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Mappe

Palazzi

vista del portico da sotto con ingresso della Biblioteca dell'Archiginnasio

Il portico e il palazzo dell'Archiginnasio

Il lungo portico che oggi collega l’attuale via Farini con il palazzo vignolesco dei Banchi esiste già nel Quattrocento, voluto dalla Fabbriceria di San Petronio per ospitare le botteghe di librai e miniatori e, al primo piano, grandi aule per le lezioni dello Studium. A questa prima costruzione porticata se ne affianca, verso nord, un’altra, entrambe uniformate da Antonio Morandi detto il Terribilia fra il 1562 e il 1563. Il portico nella sua struttura rimane il medesimo, mentre gli originari sostegni di cotto vengono sostituiti da colonne in arenaria.
Da qui si accede alla antica sede dello Studio, oggi Biblioteca dell’Archiginnasio, attraverso un portale, opera dello scalpellino Andrea da Carrara, decorato con simboli allusivi alla destinazione culturale del palazzo. Le particolarità dell’edificio sono la decorazione degli interni, quasi integralmente cosparsi di stemmi araldici di studenti e docenti, e il Teatro Anatomico, seicentesco, ma interessato da un restauro esemplare a seguito di un bombardamento che lo rase al suolo.
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Falansterio di Coriolano Monti

Il Falansterio di via Saragozza

La strada di Saragozza versa, a metà ‘800, in condizioni indecorose tenendo conto che è lo sfondo scenografico per i periodici transiti dell’immagine della Madonna di San Luca.
All’indomani dell’Unità d’Italia, il tecnico comunale Coriolano Monti si occupa della rettifica della strada proponendo la costruzione di imponenti corpi di fabbrica regolari destinati ad abitazioni per classi popolari che, al piano terra, continuano il profilo porticato dell’edilizia preesistente inglobando due spazi sacri, la chiesa di Santa Sofia dei Domenichini e quella dell’Ascensione, detta dei Trentatré. Nella soluzione stilistica di questi nuovi interventi Monti reinterpreta in modo più spoglio, adeguandolo al tono dei destinatari, il lessico neo-cinquecentista adottato in altre soluzioni in zone più borghesi della città (Palazzo Vignoli, Palazzina di Santa Tecla in via Farini).
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Falansterio di Coriolano Monti

Il Falansterio di via Saragozza

La strada di Saragozza versa, a metà ‘800, in condizioni indecorose tenendo conto che è lo sfondo scenografico per i periodici transiti dell’immagine della Madonna di San Luca.
All’indomani dell’Unità d’Italia, il tecnico comunale Coriolano Monti si occupa della rettifica della strada proponendo la costruzione di imponenti corpi di fabbrica regolari destinati ad abitazioni per classi popolari che, al piano terra, continuano il profilo porticato dell’edilizia preesistente inglobando due spazi sacri, la chiesa di Santa Sofia dei Domenichini e quella dell’Ascensione, detta dei Trentatré. Nella soluzione stilistica di questi nuovi interventi Monti reinterpreta in modo più spoglio, adeguandolo al tono dei destinatari, il lessico neo-cinquecentista adottato in altre soluzioni in zone più borghesi della città (Palazzo Vignoli, Palazzina di Santa Tecla in via Farini).
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vista delle facciate degli edifici

Case Beccadelli Bovi

Anticamente appartenuto alla famiglia dei Beccadelli, poi passato ai Bovio o Bovi, l’edificio al n. 17 è adorno di un portico con un prezioso trattamento a colonne tortili, risalente alla metà del XV secolo che richiama i modi di Fieravante Fieravanti, autore della facciata dell’attuale Palazzo Comunale. E’ anche uno dei pochi esempi rimasti di ‘murelli’, ovvero piccoli muri bassi da cui sorgono le colonne, utili, oltre che come sedili, anche come presidio dalla sporcizia della strada.
L’edificio a fianco (n. 15), divenuto dei Bovio ormai nel 1796, si distingue per un’anomala conformazione del fronte porticato. Considerata ‘di barbaro stile’ dallo storico bolognese Guidicini, la facciata ricorda un arco trionfale su cui poggiano le finestre del piano nobile.
Se il grande storico dell’architettura Bruno Zevi l’attribuisce a Biagio Rossetti (morto nel 1516), recentemente si è preferito spostare la datazione di questo anomalo fronte ad un periodo successivo agli anni venti del 1500, viste le assonanze con altri edifici bolognesi appartenenti al medesimo periodo.
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vista delle facciate degli edifici

Case Beccadelli Bovi

Anticamente appartenuto alla famiglia dei Beccadelli, poi passato ai Bovio o Bovi, l’edificio al n. 17 è adorno di un portico con un prezioso trattamento a colonne tortili, risalente alla metà del XV secolo che richiama i modi di Fieravante Fieravanti, autore della facciata dell’attuale Palazzo Comunale. E’ anche uno dei pochi esempi rimasti di ‘murelli’, ovvero piccoli muri bassi da cui sorgono le colonne, utili, oltre che come sedili, anche come presidio dalla sporcizia della strada.
L’edificio a fianco (n. 15), divenuto dei Bovio ormai nel 1796, si distingue per un’anomala conformazione del fronte porticato. Considerata ‘di barbaro stile’ dallo storico bolognese Guidicini, la facciata ricorda un arco trionfale su cui poggiano le finestre del piano nobile.
Se il grande storico dell’architettura Bruno Zevi l’attribuisce a Biagio Rossetti (morto nel 1516), recentemente si è preferito spostare la datazione di questo anomalo fronte ad un periodo successivo agli anni venti del 1500, viste le assonanze con altri edifici bolognesi appartenenti al medesimo periodo.
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palazzo isolani via santo stefano 16

Palazzo Lupari Isolani

Il nucleo originario, già proprietà della famiglia Fiessi e poi Lupari, viene ereditato dagli Isolani nel 1701 e dal 1708 diviene oggetto di una sostanziale trasformazione su progetto di Giuseppe Antonio Torri. Nel 1778, tuttavia, viene abitato solo il piano nobile e il complesso delle opere previste, che avrebbero coinvolto i due fabbricati vicini, non viene messo in opera.
“Il prospetto è caratteristico di un modo di progettare che ancora in piena età barocca, non abbandona forme tipiche del Cinquecento: il portico è sostenuto da pilastri quadrangolari in mattoni rivestiti di intonaco che simula un bugnato lapideo; al posto delle basi e dei capitelli sono inseriti semplici blocchi quadrangolari che danno a tutta l’architettura un carattere rustico e severo”
(D. Pascale Guidotti Magnani, Il portico bolognese, p. 121)
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palazzo isolani via santo stefano 16

Palazzo Lupari Isolani

Il nucleo originario, già proprietà della famiglia Fiessi e poi Lupari, viene ereditato dagli Isolani nel 1701 e dal 1708 diviene oggetto di una sostanziale trasformazione su progetto di Giuseppe Antonio Torri. Nel 1778, tuttavia, viene abitato solo il piano nobile e il complesso delle opere previste, che avrebbero coinvolto i due fabbricati vicini, non viene messo in opera.
“Il prospetto è caratteristico di un modo di progettare che ancora in piena età barocca, non abbandona forme tipiche del Cinquecento: il portico è sostenuto da pilastri quadrangolari in mattoni rivestiti di intonaco che simula un bugnato lapideo; al posto delle basi e dei capitelli sono inseriti semplici blocchi quadrangolari che danno a tutta l’architettura un carattere rustico e severo”
(D. Pascale Guidotti Magnani, Il portico bolognese, p. 121)
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Vista della palazzina calzolari

Casa Calzolari

Via Galliera 12

Le prime attestazioni documentarie dell’edificio lo ascrivono alla famiglia Preti che dà il nome al vicolo fra questo e la chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’edificazione deve essere stata, in origine, condizionata, a ovest, nelle sue dimensioni dalla presenza del cimitero di pertinenza della chiesa, sulla cui area oggi insiste il giardino annesso alla proprietà.
Passato ai Fibbia e, all’estinzione di questa famiglia, ai Fabri e poi ancora ai Pallavicini, l’edificio viene a metà Settecento collegato con la vicina chiesa tramite un passaggio coperto che consente alla famiglia di partecipare alle funzioni liturgiche senza mescolarsi con i fedeli.
Lo stato attuale del palazzo si deve all’intervento dell’ingegnere ‘multiforme’ Antonio Zannoni, databile fra il 1874 e il 1876.
Per lo stile della facciata, confinante con il quattrocentesco Palazzo Fibbia, l’ingegnere si rifa ad un linguaggio decisamente eclettico ispirato al tardo quattrocento bolognese.
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Vista della palazzina calzolari

Casa Calzolari

Via Galliera 12

Le prime attestazioni documentarie dell’edificio lo ascrivono alla famiglia Preti che dà il nome al vicolo fra questo e la chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’edificazione deve essere stata, in origine, condizionata, a ovest, nelle sue dimensioni dalla presenza del cimitero di pertinenza della chiesa, sulla cui area oggi insiste il giardino annesso alla proprietà.
Passato ai Fibbia e, all’estinzione di questa famiglia, ai Fabri e poi ancora ai Pallavicini, l’edificio viene a metà Settecento collegato con la vicina chiesa tramite un passaggio coperto che consente alla famiglia di partecipare alle funzioni liturgiche senza mescolarsi con i fedeli.
Lo stato attuale del palazzo si deve all’intervento dell’ingegnere ‘multiforme’ Antonio Zannoni, databile fra il 1874 e il 1876.
Per lo stile della facciata, confinante con il quattrocentesco Palazzo Fibbia, l’ingegnere si rifa ad un linguaggio decisamente eclettico ispirato al tardo quattrocento bolognese.
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vista del portico da sotto con ingresso della Biblioteca dell'Archiginnasio

Il portico e il palazzo dell'Archiginnasio

Il lungo portico che oggi collega l’attuale via Farini con il palazzo vignolesco dei Banchi esiste già nel Quattrocento, voluto dalla Fabbriceria di San Petronio per ospitare le botteghe di librai e miniatori e, al primo piano, grandi aule per le lezioni dello Studium. A questa prima costruzione porticata se ne affianca, verso nord, un’altra, entrambe uniformate da Antonio Morandi detto il Terribilia fra il 1562 e il 1563. Il portico nella sua struttura rimane il medesimo, mentre gli originari sostegni di cotto vengono sostituiti da colonne in arenaria.
Da qui si accede alla antica sede dello Studio, oggi Biblioteca dell’Archiginnasio, attraverso un portale, opera dello scalpellino Andrea da Carrara, decorato con simboli allusivi alla destinazione culturale del palazzo. Le particolarità dell’edificio sono la decorazione degli interni, quasi integralmente cosparsi di stemmi araldici di studenti e docenti, e il Teatro Anatomico, seicentesco, ma interessato da un restauro esemplare a seguito di un bombardamento che lo rase al suolo.
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vista del palazzo comunale con palazzo dei notai sullo sfondo

Palazzo Comunale

l Palazzo Comunale è il risultato di una serie di acquisizioni iniziate nel 1287 con l’acquisto di una casa torre appartenuta al maestro di diritto Accursio. Un primo nucleo, detto Palazzo della Biada, così come allora viene chiamato, viene eretto sul lato sud-ovest dell’attuale complesso tra il 1293 e il 1295. Il portico, con archi a sesto acuto, è sostenuto da pilastri polistili e presenta un trattamento a conci alternati in arenaria e mattoni che rimanda ad un periodo più arcaico rispetto alle date di costruzione effettiva.
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vista del palazzo comunale con palazzo dei notai sullo sfondo

Palazzo Comunale

l Palazzo Comunale è il risultato di una serie di acquisizioni iniziate nel 1287 con l’acquisto di una casa torre appartenuta al maestro di diritto Accursio. Un primo nucleo, detto Palazzo della Biada, così come allora viene chiamato, viene eretto sul lato sud-ovest dell’attuale complesso tra il 1293 e il 1295. Il portico, con archi a sesto acuto, è sostenuto da pilastri polistili e presenta un trattamento a conci alternati in arenaria e mattoni che rimanda ad un periodo più arcaico rispetto alle date di costruzione effettiva.
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@bologna welcome

Palazzo dei Notai

Il palazzo, coronato da una importante merlatura ghibellina, è stato lungo i secoli sede della Compagnia dei Notai da cui ha tratto la denominazione. Bisogna attendere il 1335 perché siano attestati lavori finalizzati a dare dignità ad un insieme di preesistenze che un documento coevo definisce domus magna merlata. Al suo interno, oltre ai Notai vi sono, al piano terra, diverse botteghe, uffici di cambiatori e ambienti con funzioni differenti, come l’ingresso di una locanda ed anche un piccolo studio medico.
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@bologna welcome

Palazzo dei Notai

Il palazzo, coronato da una importante merlatura ghibellina, è stato lungo i secoli sede della Compagnia dei Notai da cui ha tratto la denominazione. Bisogna attendere il 1335 perché siano attestati lavori finalizzati a dare dignità ad un insieme di preesistenze che un documento coevo definisce domus magna merlata. Al suo interno, oltre ai Notai vi sono, al piano terra, diverse botteghe, uffici di cambiatori e ambienti con funzioni differenti, come l’ingresso di una locanda ed anche un piccolo studio medico.
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il palazzo nel contesto delle piazze

Palazzo del Podestà

Dal 1201 prima sede del Comune, nel 1472 l’edificio viene interessato da un rifacimento totale, sotto il governo di Giovanni II Bentivoglio che desidera dare ordine e dignità al luogo, invaso da ogni tipo di commercio. A questa campagna di lavori risale il portico il cui cantiere si conclude nel 1489. Vera novità da un punto di vista formale, il portico ricalca il modello delle strutture all’antica con l’arco sostenuto da possenti pilastri a cui viene addossato un sistema di colonne a sorreggere una trabeazione classica. Benché una tradizione lo ascriva a Bramante, sembra più probabile che il progetto sia di Aristotele Fioravanti mentre la realizzazione è dello scalpellino Marsilio Infrangipani.
Ulteriore caratteristica è la fitta decorazione che pervade la superficie dei pilastri: un repertorio variegato di soggetti che va dai fiori, ai simboli araldici fino a rappresentare volti talvolta deformati da buffe espressioni caricaturali.
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il palazzo nel contesto delle piazze

Palazzo del Podestà

Dal 1201 prima sede del Comune, nel 1472 l’edificio viene interessato da un rifacimento totale, sotto il governo di Giovanni II Bentivoglio che desidera dare ordine e dignità al luogo, invaso da ogni tipo di commercio. A questa campagna di lavori risale il portico il cui cantiere si conclude nel 1489. Vera novità da un punto di vista formale, il portico ricalca il modello delle strutture all’antica con l’arco sostenuto da possenti pilastri a cui viene addossato un sistema di colonne a sorreggere una trabeazione classica. Benché una tradizione lo ascriva a Bramante, sembra più probabile che il progetto sia di Aristotele Fioravanti mentre la realizzazione è dello scalpellino Marsilio Infrangipani.
Ulteriore caratteristica è la fitta decorazione che pervade la superficie dei pilastri: un repertorio variegato di soggetti che va dai fiori, ai simboli araldici fino a rappresentare volti talvolta deformati da buffe espressioni caricaturali.
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vista del palazzo verso via d'azeglio

Palazzo Ratta Agucchi

La voluminosa costruzione porticata che si estende da Piazza Galvani fino a via D’Azeglio è frutto della trasformazione di una serie di proprietà che culmina attorno al 1861 in una querelle immobiliare nata dalla volontà comunale di espropriare il complesso. Il nucleo cinquecentesco, appartenuto alla famiglia Dolfi, diventa il modello ideale su cui Coriolano Monti elabora il suo progetto di edificio a destinazione residenziale e commerciale, sfruttando il comfort del profondo portico. Originale per la Bologna post-unitaria è il trattamento delle facciate, decorate da un pattern bicolore in giallo e rosso che simula un paramento bugnato a punta di diamante.
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vista del palazzo verso via d'azeglio

Palazzo Ratta Agucchi

La voluminosa costruzione porticata che si estende da Piazza Galvani fino a via D’Azeglio è frutto della trasformazione di una serie di proprietà che culmina attorno al 1861 in una querelle immobiliare nata dalla volontà comunale di espropriare il complesso. Il nucleo cinquecentesco, appartenuto alla famiglia Dolfi, diventa il modello ideale su cui Coriolano Monti elabora il suo progetto di edificio a destinazione residenziale e commerciale, sfruttando il comfort del profondo portico. Originale per la Bologna post-unitaria è il trattamento delle facciate, decorate da un pattern bicolore in giallo e rosso che simula un paramento bugnato a punta di diamante.
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vista di palazzo re enzo da piazza del nettuno

Palazzo Re Enzo

La denominazione deriva dalla presenza di Re Enzo, figlio di Federico Barbarossa che fra queste mura rimane prigioniero dei bolognesi dal 1249 alla morte nel 1272.
L’attuale assetto risente dei restauri di Alfonso Rubbiani che, nel 1905, pone mano ad un riordino degli edifici sorti lungo i secoli. Infatti in origine, a metà Duecento, in questa area sono costruiti il palazzo Re Enzo, appunto, e il palazzo del Capitano del Popolo. Dal 1212 è presente anche un possente torrione, la Torre dell’Arengo, su cui viene montato un sonoro ‘Campanazzo’ nel 1453.
Nel secondo Cinquecento sorge, adiacente alle preesistenze, un ulteriore corpo di fabbrica, il Palazzo della Rota, destinato poi a scomparire coi restauri rubbianeschi.
Fin dal principio destinato ad ospitare funzioni di governo, attualmente è prestigiosa sede per eventi e manifestazioni.
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vista di palazzo re enzo da piazza del nettuno

Palazzo Re Enzo

La denominazione deriva dalla presenza di Re Enzo, figlio di Federico Barbarossa che fra queste mura rimane prigioniero dei bolognesi dal 1249 alla morte nel 1272.
L’attuale assetto risente dei restauri di Alfonso Rubbiani che, nel 1905, pone mano ad un riordino degli edifici sorti lungo i secoli. Infatti in origine, a metà Duecento, in questa area sono costruiti il palazzo Re Enzo, appunto, e il palazzo del Capitano del Popolo. Dal 1212 è presente anche un possente torrione, la Torre dell’Arengo, su cui viene montato un sonoro ‘Campanazzo’ nel 1453.
Nel secondo Cinquecento sorge, adiacente alle preesistenze, un ulteriore corpo di fabbrica, il Palazzo della Rota, destinato poi a scomparire coi restauri rubbianeschi.
Fin dal principio destinato ad ospitare funzioni di governo, attualmente è prestigiosa sede per eventi e manifestazioni.
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fronte del palazzo

Palazzo Bolognini Isolani

Il portico è opera di Pagno di Lapo Portigiani e Antonio di Simone Fiorentino, maestri lapicidi di cui rimane traccia in un contratto del 1454. Da un punto di vista formale è una delle tappe di passaggio dal tardogotico al Rinascimento, di cui proprio Pagno di Lapo è, a Bologna, fra i principali esponenti.
Le sei arcate a tutto sesto, rimarcate da ghiere in cotto, sono rette da colonne in mattoni a sezione circolare, mentre i capitelli, in arenaria, sono un rifacimento della metà del XVIII secolo, a differenza dei peducci interni che hanno un aspetto più arcaico.
La facciata è completata da una teoria di finestre a sesto acuto nella cui sommità sono posti busti, così come fittamente popolate sono le nicchie poste sotto il cornicione che ospitano teste e vasi di cotto.
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fronte del palazzo

Palazzo Bolognini Isolani

Il portico è opera di Pagno di Lapo Portigiani e Antonio di Simone Fiorentino, maestri lapicidi di cui rimane traccia in un contratto del 1454. Da un punto di vista formale è una delle tappe di passaggio dal tardogotico al Rinascimento, di cui proprio Pagno di Lapo è, a Bologna, fra i principali esponenti.
Le sei arcate a tutto sesto, rimarcate da ghiere in cotto, sono rette da colonne in mattoni a sezione circolare, mentre i capitelli, in arenaria, sono un rifacimento della metà del XVIII secolo, a differenza dei peducci interni che hanno un aspetto più arcaico.
La facciata è completata da una teoria di finestre a sesto acuto nella cui sommità sono posti busti, così come fittamente popolate sono le nicchie poste sotto il cornicione che ospitano teste e vasi di cotto.
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fronte del palazzo

Palazzo de’ Bianchi, già Casa Pasquini

Si tratta di uno dei portici più interessanti della piazza per via della eleganza delle colonne. Caratterizzate da profonde scanalature, sono interrotte a metà del fusto da un evidente anello con listelli e robusto cordone e terminano con un capitello in cui i classici elementi corinzi vengono sostituiti da figure di draghi e teste umane.
Fino al 1824, in verità, il portico e la muratura retrostante si configurano in un semplice passaggio coperto, sormontato poi dagli attuali due piani in un sobrio stile rinascimentale. Tale disparità nelle altezze è evidente in un disegno settecentesco di Gaetano Ferratini che mostra l’invaso conico della Piazza Santo Stefano.
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fronte del palazzo

Palazzo de’ Bianchi, già Casa Pasquini

Si tratta di uno dei portici più interessanti della piazza per via della eleganza delle colonne. Caratterizzate da profonde scanalature, sono interrotte a metà del fusto da un evidente anello con listelli e robusto cordone e terminano con un capitello in cui i classici elementi corinzi vengono sostituiti da figure di draghi e teste umane.
Fino al 1824, in verità, il portico e la muratura retrostante si configurano in un semplice passaggio coperto, sormontato poi dagli attuali due piani in un sobrio stile rinascimentale. Tale disparità nelle altezze è evidente in un disegno settecentesco di Gaetano Ferratini che mostra l’invaso conico della Piazza Santo Stefano.
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@archivio mibact da tourer

Casa Cavalli già Bianchini

Il portico risale al XVI secolo. Una stampa della collezione Panfili attesta che esso era composto di sole due arcate e così resta fino ai primi del Novecento (come da testimonianza fotografica). La terza campata viene aggiunta nel 1933, integrando per analogia anche le parti superiori. In tal modo il portale risulta centrato sul fornice di mezzo.
Il cornicione che conclude la facciata è del XV/XVI secolo.
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@archivio mibact da tourer

Casa Cavalli già Bianchini

Il portico risale al XVI secolo. Una stampa della collezione Panfili attesta che esso era composto di sole due arcate e così resta fino ai primi del Novecento (come da testimonianza fotografica). La terza campata viene aggiunta nel 1933, integrando per analogia anche le parti superiori. In tal modo il portale risulta centrato sul fornice di mezzo.
Il cornicione che conclude la facciata è del XV/XVI secolo.
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@giorgio bianchi

Palazzo Salina Amorini Bolognini

Le prime mosse per l’edificazione dell’edificio partono sul finire del Quattrocento. Fra il 1513 e il 1525 prende forma la porzione di palazzo verso sinistra secondo il progetto di Andrea Marchesi da Formigine, mentre i capitelli sono scolpiti, parrebbe, da Properzia de’ Rossi e Giacomo della Nave.
Ma ciò che più di tutto attrae di questo prospetto sono i volti in terracotta che sporgono dalle numerose aperture circolari poste sulla facciata: non ce n’è uno uguale all’altro. Sono opera, a quanto sembra, di Alfonso Lombardi e Niccolò da Volterra e richiamano il tema tipico della testa umana a guardia della casa. Non si sa molto invece dei 13 visi con ali di pipistrello sopra le finestre del primo piano così come delle 133 testine incastonate sotto al cornicione e quasi invisibili da terra.
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@giorgio bianchi

Palazzo Salina Amorini Bolognini

Le prime mosse per l’edificazione dell’edificio partono sul finire del Quattrocento. Fra il 1513 e il 1525 prende forma la porzione di palazzo verso sinistra secondo il progetto di Andrea Marchesi da Formigine, mentre i capitelli sono scolpiti, parrebbe, da Properzia de’ Rossi e Giacomo della Nave.
Ma ciò che più di tutto attrae di questo prospetto sono i volti in terracotta che sporgono dalle numerose aperture circolari poste sulla facciata: non ce n’è uno uguale all’altro. Sono opera, a quanto sembra, di Alfonso Lombardi e Niccolò da Volterra e richiamano il tema tipico della testa umana a guardia della casa. Non si sa molto invece dei 13 visi con ali di pipistrello sopra le finestre del primo piano così come delle 133 testine incastonate sotto al cornicione e quasi invisibili da terra.
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facciata del palazzo

Loggia della Mercanzia

E’ la sede medievale della dogana e del tribunale dei mercanti.
La costruzione è iniziata nel 1384 grazie all’intervento di Lorenzo da Bagnomarino che cura l’ampliamento di un edificio preesistente, mentre Antonio di Vincenzo è responsabile del progetto delle finestre. Alla base presenta uno spazio aperto porticato, la loggia appunto, retto da pilastri compositi decorati da fasci di colonnette con capitelli riccamente decorati. Il primo ordine presenta, al di sotto di un coronamento merlato, due ampie bifore. Al centro fra queste, aggetta un balcone in pietra d’Istria la cui forma sembra alludere a quella di un polittico marmoreo.
L’edificio subisce un primo restauro nel 1887 ad opera di Alfonso Rubbiani che reinterpreta alcuni dettagli e nuovamente vi si pone mano nel 1949 per riparare i danni della seconda guerra mondiale, questa volta a cura del soprintendente Alfredo Barbacci e dell’architetto Bruno Parolini.
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facciata del palazzo

Loggia della Mercanzia

E’ la sede medievale della dogana e del tribunale dei mercanti.
La costruzione è iniziata nel 1384 grazie all’intervento di Lorenzo da Bagnomarino che cura l’ampliamento di un edificio preesistente, mentre Antonio di Vincenzo è responsabile del progetto delle finestre. Alla base presenta uno spazio aperto porticato, la loggia appunto, retto da pilastri compositi decorati da fasci di colonnette con capitelli riccamente decorati. Il primo ordine presenta, al di sotto di un coronamento merlato, due ampie bifore. Al centro fra queste, aggetta un balcone in pietra d’Istria la cui forma sembra alludere a quella di un polittico marmoreo.
L’edificio subisce un primo restauro nel 1887 ad opera di Alfonso Rubbiani che reinterpreta alcuni dettagli e nuovamente vi si pone mano nel 1949 per riparare i danni della seconda guerra mondiale, questa volta a cura del soprintendente Alfredo Barbacci e dell’architetto Bruno Parolini.
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vista della facciata dell'edificio

Casa Castelli

La facciata dell’edificio che fa da traguardo alla lunga via Galliera risale al XV secolo, nonostante il suo aspetto ancora gotico visibile nelle tre bifore archiacute del piano nobile.
Il portico è stato rimodernato nel 1702, mentre l’intero edificio è stato sottoposto a restauro nel 1949.
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vista della facciata dell'edificio

Casa Castelli

La facciata dell’edificio che fa da traguardo alla lunga via Galliera risale al XV secolo, nonostante il suo aspetto ancora gotico visibile nelle tre bifore archiacute del piano nobile.
Il portico è stato rimodernato nel 1702, mentre l’intero edificio è stato sottoposto a restauro nel 1949.
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interno del Cinema Modernissimo 2023

Palazzo del Modernissimo

Alessandro Ronzani imprenditore con birrificio ha una mescita nei locali di Palazzo Lambertini, antico edificio nel cuore del Mercato di Mezzo. E’ un palazzo storico che ha visto un intervento di Baldassarre Peruzzi, con un cortile maestoso dalle alte colonne. I locali di Ronzani vanno per la maggiore dopo che Gualtiero Pontoni li ha ammodernati in stile Liberty e fra quelle mura nasce anche il Bologna Football Club nel 1909. Ma la città moderna ha le sue logiche e ben presto quell’edificio viene abbattuto per lasciare spazio a lotti di nuova costruzione e al non più differibile ampliamento di quella che diventerà via Rizzoli. Nel 1911 Ronzani si aggiudica la proprietà del primo lotto, quello antistante il Palazzo Re Enzo e, proseguendo il sodalizio con Gualtiero Pontoni, affida a lui, esperto di disegno e architettura, e all’ingegnere Giuseppe Lambertini, mago del cemento armato, la costruzione di una innovativa tipologia di edificio che si avvale di un portico caratterizzato da ampi arconi alternati a fornici minori, su due dei quattro lati. Innovativa è anche la destinazione d’uso: infatti, oltre ai negozi, ai ristoranti, agli uffici e ad un hotel, è prevista, al centro della costruzione, una imponente sala per 2000 persone, un vero e proprio prodigio architettonico, destinata agli spettacoli dal vivo e poi a cinematografo, mentre una sala cinema più piccola, la prima ad entrare in funzione, è sistemata sulla parte retrostante, verso via Artieri. Il teatro sotterraneo viene inaugurato nel 1921 e prende il nome di Modernissimo.

La guerra e le difficoltà legate alla dislocazione nell’interrato sono la causa del ritardo nell’apertura della sala più grande che rimarrà in funzione, col nome di Arcobaleno, fino al 2007. Un complesso progetto di restauro e rifunzionalizzazione riporta nel 2023 il grande cinema all’interno di Palazzo Ronzani con un complesso progetto a cura della Cineteca di Bologna.
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interno del Cinema Modernissimo 2023

Palazzo del Modernissimo

Alessandro Ronzani imprenditore con birrificio ha una mescita nei locali di Palazzo Lambertini, antico edificio nel cuore del Mercato di Mezzo. E’ un palazzo storico che ha visto un intervento di Baldassarre Peruzzi, con un cortile maestoso dalle alte colonne. I locali di Ronzani vanno per la maggiore dopo che Gualtiero Pontoni li ha ammodernati in stile Liberty e fra quelle mura nasce anche il Bologna Football Club nel 1909. Ma la città moderna ha le sue logiche e ben presto quell’edificio viene abbattuto per lasciare spazio a lotti di nuova costruzione e al non più differibile ampliamento di quella che diventerà via Rizzoli. Nel 1911 Ronzani si aggiudica la proprietà del primo lotto, quello antistante il Palazzo Re Enzo e, proseguendo il sodalizio con Gualtiero Pontoni, affida a lui, esperto di disegno e architettura, e all’ingegnere Giuseppe Lambertini, mago del cemento armato, la costruzione di una innovativa tipologia di edificio che si avvale di un portico caratterizzato da ampi arconi alternati a fornici minori, su due dei quattro lati. Innovativa è anche la destinazione d’uso: infatti, oltre ai negozi, ai ristoranti, agli uffici e ad un hotel, è prevista, al centro della costruzione, una imponente sala per 2000 persone, un vero e proprio prodigio architettonico, destinata agli spettacoli dal vivo e poi a cinematografo, mentre una sala cinema più piccola, la prima ad entrare in funzione, è sistemata sulla parte retrostante, verso via Artieri. Il teatro sotterraneo viene inaugurato nel 1921 e prende il nome di Modernissimo.

La guerra e le difficoltà legate alla dislocazione nell’interrato sono la causa del ritardo nell’apertura della sala più grande che rimarrà in funzione, col nome di Arcobaleno, fino al 2007. Un complesso progetto di restauro e rifunzionalizzazione riporta nel 2023 il grande cinema all’interno di Palazzo Ronzani con un complesso progetto a cura della Cineteca di Bologna.
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vista di sotto in su della facciata di palazzo fava

Palazzo Fava

Palazzo Fava, attualmente sede espositiva di Genus Bononiae, polo museale privato e multisede, si erge su un portico quattrocentesco con alcuni connotati ancora tardogotici, mentre il resto dell’edificio risale alla trasformazione condotta a partire dal 1584 e voluta dal proprietario, Filippo di Antonio Fava.
Questi, per decorare le sale del piano nobile, commissiona un ciclo di affreschi a Lodovico, Annibale e Agostino Carracci al loro primo importante impegno. Il risultato consacra i pittori bolognesi quali rappresentanti di una nuova corrente pittorica, basata sul rifiuto dei manierismi tardo-cinquecenteschi e aperta al recupero del naturalismo.
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vista di sotto in su della facciata di palazzo fava

Palazzo Fava

Palazzo Fava, attualmente sede espositiva di Genus Bononiae, polo museale privato e multisede, si erge su un portico quattrocentesco con alcuni connotati ancora tardogotici, mentre il resto dell’edificio risale alla trasformazione condotta a partire dal 1584 e voluta dal proprietario, Filippo di Antonio Fava.
Questi, per decorare le sale del piano nobile, commissiona un ciclo di affreschi a Lodovico, Annibale e Agostino Carracci al loro primo importante impegno. Il risultato consacra i pittori bolognesi quali rappresentanti di una nuova corrente pittorica, basata sul rifiuto dei manierismi tardo-cinquecenteschi e aperta al recupero del naturalismo.
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vista di sotto in su di palazzo ghisilardi sede del museo medievale

Palazzo Ghisilardi

Uno dei più pregevoli portici rinascimentali rimasti in città, si presenta sopraelevato rispetto al piano stradale e con sostegni in laterizio caratterizzati da un pilastro centrale a cui sono affiancate due semicolonne. I capitelli, in arenaria, presentano una decorazione ricca come anche le ghiere degli archi a molteplici fasce plasticamente ornate.
L’edificio voluto da Bartolomeo Ghisilardi porta anche la firma del suo progettista, mastro Zilio di Battista che lo edifica fra il 1484 e il 1491. La facciata viene restaurata nel 1915 dal Comitato per Bologna Storica e Artistica ripristinando le bifore sul modello dell’unica conservatasi.
Interessante anche il cortile interno dove si segnalano le grandi mensole decorate con motivi floreali e araldici. Anch’esso è stato oggetto di restauri novecenteschi a cura di Giulio Ulisse Arata che lo adatta a sede bolognese della Casa del Fascio nel 1925.
Attualmente è sede del Museo Civico Medievale.
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vista di sotto in su di palazzo ghisilardi sede del museo medievale

Palazzo Ghisilardi

Uno dei più pregevoli portici rinascimentali rimasti in città, si presenta sopraelevato rispetto al piano stradale e con sostegni in laterizio caratterizzati da un pilastro centrale a cui sono affiancate due semicolonne. I capitelli, in arenaria, presentano una decorazione ricca come anche le ghiere degli archi a molteplici fasce plasticamente ornate.
L’edificio voluto da Bartolomeo Ghisilardi porta anche la firma del suo progettista, mastro Zilio di Battista che lo edifica fra il 1484 e il 1491. La facciata viene restaurata nel 1915 dal Comitato per Bologna Storica e Artistica ripristinando le bifore sul modello dell’unica conservatasi.
Interessante anche il cortile interno dove si segnalano le grandi mensole decorate con motivi floreali e araldici. Anch’esso è stato oggetto di restauri novecenteschi a cura di Giulio Ulisse Arata che lo adatta a sede bolognese della Casa del Fascio nel 1925.
Attualmente è sede del Museo Civico Medievale.
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vista laterale dell'edificio

Casa Conoscenti

Le origini di questo edificio sono molto antiche e la sua configurazione risente delle preesistenze illustri, ovvero la Rocca Imperiale che viene distrutta a furor di popolo nel 1115. All’inizio del XIV secolo prende forma un palazzo di dimensioni ragguardevoli voluto dal banchiere Alberto Conoscenti. Il portico risente delle trasformazioni avvenute nel tempo presentando fornici di forme diverse e vari tipi di decorazioni.
A testimonianza dell’antichità del luogo, nel cortile è visibile un frammento delle mura di selenite che risalgono al V-VI secolo d.C.
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vista laterale dell'edificio

Casa Conoscenti

Le origini di questo edificio sono molto antiche e la sua configurazione risente delle preesistenze illustri, ovvero la Rocca Imperiale che viene distrutta a furor di popolo nel 1115. All’inizio del XIV secolo prende forma un palazzo di dimensioni ragguardevoli voluto dal banchiere Alberto Conoscenti. Il portico risente delle trasformazioni avvenute nel tempo presentando fornici di forme diverse e vari tipi di decorazioni.
A testimonianza dell’antichità del luogo, nel cortile è visibile un frammento delle mura di selenite che risalgono al V-VI secolo d.C.
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vista di scorcio dell'edificio

Palazzo Dal Monte

Questo è uno dei pochi casi in cui il portico tenta di rispettare i canoni del linguaggio classico, ovvero pilastri quadrangolari a reggere l’arco del portico davanti ai quali si pongono colonne, qui molto affusolate, che reggono l’architrave. A Bologna, più di frequente, l’arco del portico insiste direttamente sulle colonne. La spiegazione degli storici rispetto all’eccezione di questo edificio fa riferimento all’anno della sua costruzione, il 1517, quando la città è da poco rientrata sotto il dominio papale dopo la parentesi autonomista bentivolesca.
Il committente è un dottore dello Studio, Panfilio dal Monte, dunque un uomo colto e devoto alla classicità, mentre per l’architetto si fa il nome qui di Baldassarre Peruzzi, attivo in città su altri cantieri. La notizia tuttavia non è documentata, mentre è certo che ad occuparsi della costruzione sia il capomastro Andrea Marchesi da Formigine.
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vista di scorcio dell'edificio

Palazzo Dal Monte

Questo è uno dei pochi casi in cui il portico tenta di rispettare i canoni del linguaggio classico, ovvero pilastri quadrangolari a reggere l’arco del portico davanti ai quali si pongono colonne, qui molto affusolate, che reggono l’architrave. A Bologna, più di frequente, l’arco del portico insiste direttamente sulle colonne. La spiegazione degli storici rispetto all’eccezione di questo edificio fa riferimento all’anno della sua costruzione, il 1517, quando la città è da poco rientrata sotto il dominio papale dopo la parentesi autonomista bentivolesca.
Il committente è un dottore dello Studio, Panfilio dal Monte, dunque un uomo colto e devoto alla classicità, mentre per l’architetto si fa il nome qui di Baldassarre Peruzzi, attivo in città su altri cantieri. La notizia tuttavia non è documentata, mentre è certo che ad occuparsi della costruzione sia il capomastro Andrea Marchesi da Formigine.
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vista della facciata dell'edificio

Palazzo Torfanini

Il portico, di inconsueta lunghezza per un palazzo, porta la data del 1544 e presenta un ricco campionario di capitelli dalle fogge più varie: elementi naturalistici, draghi, creature alate, ecc. Il committente, Bartolomeo Torfanini, affida la decorazione del suo edificio ai principali artisti del tempo, tra i quali Nicolò dell’Abate. Persino la facciata, opera di Prospero Fontana, si presentava dipinta.
Nel 1737, l’architetto Alfonso Torreggiani è autore di una generale riforma dell’edificio, che però risparmia il portico che mantiene l’aspetto originario cinquecentesco.
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vista della facciata dell'edificio

Palazzo Torfanini

Il portico, di inconsueta lunghezza per un palazzo, porta la data del 1544 e presenta un ricco campionario di capitelli dalle fogge più varie: elementi naturalistici, draghi, creature alate, ecc. Il committente, Bartolomeo Torfanini, affida la decorazione del suo edificio ai principali artisti del tempo, tra i quali Nicolò dell’Abate. Persino la facciata, opera di Prospero Fontana, si presentava dipinta.
Nel 1737, l’architetto Alfonso Torreggiani è autore di una generale riforma dell’edificio, che però risparmia il portico che mantiene l’aspetto originario cinquecentesco.
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vista della facciata dell'edificio

Casa dalle Tuate

Il portico con sostegni disomogenei, rivela, nella sua multiformità, alcuni dettagli unici.
Il capitello del pilastro angolare, infatti, di fattura preziosa, rivela un tondo l’effige di Giovanni Bentivoglio, alla guida della città nell’ultimo quarantennio del Quattrocento. Si è detto che poteva essere un rarissimo residuo del distrutto Palazzo Bentivoglio (situato nell’attuale area del Teatro Comunale) ma studi recenti mettono in dubbio tale attribuzione. Questo capitello, insieme all’altro, sempre in pietra d’Istria, posto non lontano in cui è raffigurato Augusto imperatore, rimandano all’aurea stagione bentivolesca che ha connotato in senso rinascimentale la città di Bologna.
L’edificio, passato dalla famiglia dalle Tuate ai numerosi proprietari lungo la sua esistenza, registra nei dettagli il passaggio dall’origine gotica, attraverso il Rinascimento, ai fasti dell’epoca barocca.

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vista della facciata dell'edificio

Casa dalle Tuate

Il portico con sostegni disomogenei, rivela, nella sua multiformità, alcuni dettagli unici.
Il capitello del pilastro angolare, infatti, di fattura preziosa, rivela un tondo l’effige di Giovanni Bentivoglio, alla guida della città nell’ultimo quarantennio del Quattrocento. Si è detto che poteva essere un rarissimo residuo del distrutto Palazzo Bentivoglio (situato nell’attuale area del Teatro Comunale) ma studi recenti mettono in dubbio tale attribuzione. Questo capitello, insieme all’altro, sempre in pietra d’Istria, posto non lontano in cui è raffigurato Augusto imperatore, rimandano all’aurea stagione bentivolesca che ha connotato in senso rinascimentale la città di Bologna.
L’edificio, passato dalla famiglia dalle Tuate ai numerosi proprietari lungo la sua esistenza, registra nei dettagli il passaggio dall’origine gotica, attraverso il Rinascimento, ai fasti dell’epoca barocca.

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dettaglio della facciata sull'ingresso principale

Palazzo Aldrovandi

Uno dei pochissimi edifici senza portico nella strada di Galliera, è però uno degli esempi più significativi della stagione dei palazzi senatori tra Barocco e Rococò. Tale stile leggiadro connota infatti, al piano terra, le inferriate alle finestre sormontate da una cornice sinuosa, mentre al piano superiore i timpani presentano cornici spezzate curvilinee. Colpisce il trattamento della facciata, opera di Alfonso Torreggiani, che impiega il marmo chiaro, raro nelle fabbriche bolognesi, a contrasto con la cortina muraria di mattoni trattati con il tipico trattamento della sagramatura, innescando inediti rapporti cromatici e materici.
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dettaglio della facciata sull'ingresso principale

Palazzo Aldrovandi

Uno dei pochissimi edifici senza portico nella strada di Galliera, è però uno degli esempi più significativi della stagione dei palazzi senatori tra Barocco e Rococò. Tale stile leggiadro connota infatti, al piano terra, le inferriate alle finestre sormontate da una cornice sinuosa, mentre al piano superiore i timpani presentano cornici spezzate curvilinee. Colpisce il trattamento della facciata, opera di Alfonso Torreggiani, che impiega il marmo chiaro, raro nelle fabbriche bolognesi, a contrasto con la cortina muraria di mattoni trattati con il tipico trattamento della sagramatura, innescando inediti rapporti cromatici e materici.
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veduta parziale della facciata

Palazzo Felicini

Eretto nel 1497 da Bartolomeo Felicini è esempio tra i più significativi di Rinascimento alla bolognese.
Il portico è caratterizzato da archi a tutto sesto retti da colonne in laterizio culminanti in capitelli corinzi a contrasto. Sotto al portico l’imponente portone risale al periodo di costruzione del palazzo.
La parte superiore della facciata si distingue per le finestre centinate bipartite in sommità poggianti su marcapiano e per gli oculi nell’attico anch’essi con cornice sottostante, il tutto in terracotta finemente decorata.
L’edificio, nel 1906, è stato oggetto di un restauro emblematico a cura del Comitato per Bologna Storica e Artistica curato da Alfonso Rubbiani che ha riportato l’edificio allo splendore originale.
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veduta parziale della facciata

Palazzo Felicini

Eretto nel 1497 da Bartolomeo Felicini è esempio tra i più significativi di Rinascimento alla bolognese.
Il portico è caratterizzato da archi a tutto sesto retti da colonne in laterizio culminanti in capitelli corinzi a contrasto. Sotto al portico l’imponente portone risale al periodo di costruzione del palazzo.
La parte superiore della facciata si distingue per le finestre centinate bipartite in sommità poggianti su marcapiano e per gli oculi nell’attico anch’essi con cornice sottostante, il tutto in terracotta finemente decorata.
L’edificio, nel 1906, è stato oggetto di un restauro emblematico a cura del Comitato per Bologna Storica e Artistica curato da Alfonso Rubbiani che ha riportato l’edificio allo splendore originale.
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vista della facciata dell'edificio

Palazzo Bonasoni

La facciata porticata è stata a lungo attribuita ad Antonio Morandi, detto il Terribilia, attivo a metà del Cinquecento. Tuttavia, relativamente alla conformazione del portico, la sua somiglianza con quello del Baraccano spinge a retrodatarlo al XV secolo, periodo aureo della dominazione dei Bentivoglio. Entrambi, infatti, sono contraddistinti dalla tipica cornice ad anello che interrompe a metà il fusto della colonna. Studi più recenti mettono però in rilevo l’aspetto dei capitelli che sono sicuramente successivi, cinquecenteschi, se non più tardi.
L’edificio è un chiaro esempio, comunque, di quanto l’architettura bentivolesca sia stata un modello ben oltre lo stretto periodo del loro governo.
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vista della facciata dell'edificio

Palazzo Bonasoni

La facciata porticata è stata a lungo attribuita ad Antonio Morandi, detto il Terribilia, attivo a metà del Cinquecento. Tuttavia, relativamente alla conformazione del portico, la sua somiglianza con quello del Baraccano spinge a retrodatarlo al XV secolo, periodo aureo della dominazione dei Bentivoglio. Entrambi, infatti, sono contraddistinti dalla tipica cornice ad anello che interrompe a metà il fusto della colonna. Studi più recenti mettono però in rilevo l’aspetto dei capitelli che sono sicuramente successivi, cinquecenteschi, se non più tardi.
L’edificio è un chiaro esempio, comunque, di quanto l’architettura bentivolesca sia stata un modello ben oltre lo stretto periodo del loro governo.
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Vista di scorcio della facciata dell'edificio

Palazzo Merendoni

Costruito su una preesistenza, l’attuale palazzo vede la luce intorno al 1774 ad opera dell’architetto Raimondo Compagnini. Il portico è connotato da pilastri su cui sono applicate lesene tuscaniche e l’intera facciata risente del ritorno al gusto cinquecentesco proprio di questo momento storico-artistico.
L’interno, purtroppo non visitabile, presenta il tipico scalone bolognese con sfondato illuminato da finestre nascoste nei profondi cornicioni in aggetto arricchito da statue di Domenico Piò e da un dipinto posto sulla sommità del vano, opera di Gaetano Gandolfi.
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Vista di scorcio della facciata dell'edificio

Palazzo Merendoni

Costruito su una preesistenza, l’attuale palazzo vede la luce intorno al 1774 ad opera dell’architetto Raimondo Compagnini. Il portico è connotato da pilastri su cui sono applicate lesene tuscaniche e l’intera facciata risente del ritorno al gusto cinquecentesco proprio di questo momento storico-artistico.
L’interno, purtroppo non visitabile, presenta il tipico scalone bolognese con sfondato illuminato da finestre nascoste nei profondi cornicioni in aggetto arricchito da statue di Domenico Piò e da un dipinto posto sulla sommità del vano, opera di Gaetano Gandolfi.
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vista portico di ingresso

Complesso di San Colombano

Le origini del complesso sono state ricondotte ad un edificio romano o tardo antico. Il vescovo Pietro I nel VII secolo fa costruire il primo nucleo dell’insieme il cui sviluppo copre tutto il medioevo.
Nel 1679 gli spazi passano alla Repubblica di Lucca che li impiega come studentato per i suoi giovani presenti a Bologna. Di questo secolo è l'aggiunta del portico.
Nella chiesa intitolata a San Colombano e oggi allestimento d’eccezione per la collezione di strumenti musicali di Luigi Ferdinando Tagliavini, vi sono opere pittoriche interessanti, una delle quali è stata messa in relazione a Lippo di Dalmasio. Quest’ultimo è autore certo di un’immagine votiva della Madonna dell’Orazione, dipinta nel muro esterno della chiesa. A causa delle ingiurie del tempo si decide di metterla al riparo e viene così costruita una cappella che conserva uno dei più importanti cicli di affreschi della Bologna controriformata, opera dei pittori dell’Accademia degli Incamminati, che riunisce i Carracci e i loro allievi più brillanti.
Nel primo dopoguerra diventa la sede della Cooperativa Mutilati e Invalidi e viene restaurata dal giovane Giuseppe Vaccaro, incaricato poi di realizzare numerosi edifici destinati ad ospitare le famiglie dei combattenti menomate fisicamente dal conflitto.
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vista portico di ingresso

Complesso di San Colombano

Le origini del complesso sono state ricondotte ad un edificio romano o tardo antico. Il vescovo Pietro I nel VII secolo fa costruire il primo nucleo dell’insieme il cui sviluppo copre tutto il medioevo.
Nel 1679 gli spazi passano alla Repubblica di Lucca che li impiega come studentato per i suoi giovani presenti a Bologna. Di questo secolo è l'aggiunta del portico.
Nella chiesa intitolata a San Colombano e oggi allestimento d’eccezione per la collezione di strumenti musicali di Luigi Ferdinando Tagliavini, vi sono opere pittoriche interessanti, una delle quali è stata messa in relazione a Lippo di Dalmasio. Quest’ultimo è autore certo di un’immagine votiva della Madonna dell’Orazione, dipinta nel muro esterno della chiesa. A causa delle ingiurie del tempo si decide di metterla al riparo e viene così costruita una cappella che conserva uno dei più importanti cicli di affreschi della Bologna controriformata, opera dei pittori dell’Accademia degli Incamminati, che riunisce i Carracci e i loro allievi più brillanti.
Nel primo dopoguerra diventa la sede della Cooperativa Mutilati e Invalidi e viene restaurata dal giovane Giuseppe Vaccaro, incaricato poi di realizzare numerosi edifici destinati ad ospitare le famiglie dei combattenti menomate fisicamente dal conflitto.
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fronte dell'edificio

Casa per la Cooperativa mutilati e invalidi di guerra

L’edificio residenziale senza portico costruito nel 1927 sul sedime delle mura urbane è opera di Giuseppe Vaccaro. L’architetto, formatosi alla locale Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, risente qui dei contatti con Marcello Piacentini impegnato in una rilettura dell’eclettismo in chiave moderna. La cosiddetta ‘altra modernità’ è l’alternativa pacata e tradizionalista al ‘razionalismo’ radicale che lo stesso Vaccaro prova a praticare in altre opere successive come la sede per la Facoltà di Ingegneria. L’edificio viene realizzato impiegando materiali di qualità e prevedendo tipologie di appartamenti tutt’altro che popolari.
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fronte dell'edificio

Casa per la Cooperativa mutilati e invalidi di guerra

L’edificio residenziale senza portico costruito nel 1927 sul sedime delle mura urbane è opera di Giuseppe Vaccaro. L’architetto, formatosi alla locale Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, risente qui dei contatti con Marcello Piacentini impegnato in una rilettura dell’eclettismo in chiave moderna. La cosiddetta ‘altra modernità’ è l’alternativa pacata e tradizionalista al ‘razionalismo’ radicale che lo stesso Vaccaro prova a praticare in altre opere successive come la sede per la Facoltà di Ingegneria. L’edificio viene realizzato impiegando materiali di qualità e prevedendo tipologie di appartamenti tutt’altro che popolari.
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il lungo fronte del palazzo da piazza maggiore

Palazzo dei Banchi

Fra il 1407 e il 1412 viene costruito un loggiato per mettere ordine rispetto all’edificato umile e molto denso che connota la zona di mercato prospiciente il lato est di Piazza Maggiore.
Il ritmo degli archi impostati su pilastri ottagonali si allenta in prossimità degli accessi alle due strade, via Pescherie Vecchie e via Clavature. Tale soluzione, sormontata forse da un piano concluso da una cornice merlata, non è però considerata abbastanza decorosa quando il vicelegato Pierdonato Cesi commissiona a Jacopo Barozzi da Vignola, in quel momento architetto di punta alla corte papale, un edificio-facciata all’altezza della piazza principale di Bologna.
I lavori, in corso dal 1565 al 1568, prevedono la realizzazione di una quinta scenografica a due ordini: in basso un ordine composito gigante che rilega gli archi di portico e il mezzanino, ma incornicia anche i due alti fornici che danno accesso alle strade del mercato; al di sopra, invece, fasce in pietra che incorniciano un livello affacciato su un lungo balcone, e il suo mezzanino.
Il progetto originale prevedeva anche due torri con orologi e balconi più pronunciati in corrispondenza dei passi viari che però non vedono la luce.
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il lungo fronte del palazzo da piazza maggiore

Palazzo dei Banchi

Fra il 1407 e il 1412 viene costruito un loggiato per mettere ordine rispetto all’edificato umile e molto denso che connota la zona di mercato prospiciente il lato est di Piazza Maggiore.
Il ritmo degli archi impostati su pilastri ottagonali si allenta in prossimità degli accessi alle due strade, via Pescherie Vecchie e via Clavature. Tale soluzione, sormontata forse da un piano concluso da una cornice merlata, non è però considerata abbastanza decorosa quando il vicelegato Pierdonato Cesi commissiona a Jacopo Barozzi da Vignola, in quel momento architetto di punta alla corte papale, un edificio-facciata all’altezza della piazza principale di Bologna.
I lavori, in corso dal 1565 al 1568, prevedono la realizzazione di una quinta scenografica a due ordini: in basso un ordine composito gigante che rilega gli archi di portico e il mezzanino, ma incornicia anche i due alti fornici che danno accesso alle strade del mercato; al di sopra, invece, fasce in pietra che incorniciano un livello affacciato su un lungo balcone, e il suo mezzanino.
Il progetto originale prevedeva anche due torri con orologi e balconi più pronunciati in corrispondenza dei passi viari che però non vedono la luce.
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vista frontale del museo di mineralogia

Museo di Mineralogia e l'apertura di via Irnerio

Già il primo piano urbanistico, che nel 1889 doveva dare a Bologna un volto moderno, aveva previsto l’apertura di un nuovo asse viario, in parallelo al tracciato urbano della via Emilia, necessario per tagliare la città più a nord. Una decina di anni dopo, tale asse viene effettivamente costruito e corrisponde all’attuale via Irnerio che nel punto in cui si connette con la parte terminale di via Zamboni, si apre in una piccola piazza dalla conformazione irregolare.
E’ proprio in questo punto nodale, il lotto trapezoidale disegnato dalle due strade, che sorge l’edificio per Mineralogia. L’area, sfida urbanistica oltre che architettonica per via della forma anomala, diventa punto d’orgoglio per Flavio Bastiani, l’ingegnere incaricato del progetto di questo nuovo comparto della città destinato all’edilizia universitaria. Si trova, infatti, alle prese con una distribuzione planimetrica complessa e con la necessità di rispettare precise richieste della committenza. Al Museo viene, fin dal principio, destinata la parte principale dell’edificio: il grande salone al primo piano, a cui si accede attraverso uno scalone in marmo di Verona, definito dal suo autore “abbastanza grandioso”. Il piano terra, leggermente rialzato dal livello della strada e reso buio dal portico ritenuto di “civica necessità”, è invece destinato all’attività didattica.
Sintomatica è la scelta dell’aspetto dell’esterno, che si configura come un guscio, un rivestimento senza relazioni con il corpo della costruzione. Vengono infatti apprestati due progetti, uno in stile gotico e uno in stile classico (in qualche documento citato anche come ‘palladiano’), quest’ultimo prescelto poi dal direttore del Museo, Luigi Bombicci, anche se più costoso. Le decorazioni architettoniche, in terracotta, prevedono un possente portico retto da robusti pilastri e una corona di ampie finestre a serliana ad illuminare il museo, destinate a diventare l’elemento caratteristico dell’edificio.
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vista frontale del museo di mineralogia

Museo di Mineralogia e l'apertura di via Irnerio

Già il primo piano urbanistico, che nel 1889 doveva dare a Bologna un volto moderno, aveva previsto l’apertura di un nuovo asse viario, in parallelo al tracciato urbano della via Emilia, necessario per tagliare la città più a nord. Una decina di anni dopo, tale asse viene effettivamente costruito e corrisponde all’attuale via Irnerio che nel punto in cui si connette con la parte terminale di via Zamboni, si apre in una piccola piazza dalla conformazione irregolare.
E’ proprio in questo punto nodale, il lotto trapezoidale disegnato dalle due strade, che sorge l’edificio per Mineralogia. L’area, sfida urbanistica oltre che architettonica per via della forma anomala, diventa punto d’orgoglio per Flavio Bastiani, l’ingegnere incaricato del progetto di questo nuovo comparto della città destinato all’edilizia universitaria. Si trova, infatti, alle prese con una distribuzione planimetrica complessa e con la necessità di rispettare precise richieste della committenza. Al Museo viene, fin dal principio, destinata la parte principale dell’edificio: il grande salone al primo piano, a cui si accede attraverso uno scalone in marmo di Verona, definito dal suo autore “abbastanza grandioso”. Il piano terra, leggermente rialzato dal livello della strada e reso buio dal portico ritenuto di “civica necessità”, è invece destinato all’attività didattica.
Sintomatica è la scelta dell’aspetto dell’esterno, che si configura come un guscio, un rivestimento senza relazioni con il corpo della costruzione. Vengono infatti apprestati due progetti, uno in stile gotico e uno in stile classico (in qualche documento citato anche come ‘palladiano’), quest’ultimo prescelto poi dal direttore del Museo, Luigi Bombicci, anche se più costoso. Le decorazioni architettoniche, in terracotta, prevedono un possente portico retto da robusti pilastri e una corona di ampie finestre a serliana ad illuminare il museo, destinate a diventare l’elemento caratteristico dell’edificio.
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vista frontale dell'edificio del museo capellini

Museo Capellini

Nel 1860 giunge a Bologna dalla natia Spezia il giovanissimo Giovanni Capellini con una laurea in Geologia e molta voglia di fare. Al suo arrivo le collezioni scientifiche dell’Ateneo risultano disperse a causa di incuria e di inopportuni smembramenti: suo obiettivo diviene allora la creazione di un grande museo destinato allo studio della Geologia e della Paleontologia. Nel 1868 si liberano, in fondo a via Zamboni, alcuni locali fino ad allora destinati alle cliniche universitarie, a loro volta trasferite nel costruendo policlinico del Sant’Orsola. E’ lì che, oltre alla sede dell’Istituto di Geologia, gradualmente prende corpo il Museo con una prima esposizione allestita nel 1871.
La vera e propria inaugurazione del Museo, però, avverrà nel 1881, anno cruciale per Capellini che organizza e ospita il II Congresso Geologico Internazionale, occasione anche per acquisire numerosi nuovi esemplari, dono dei convenuti per l’incremento delle collezioni.
L’indissolubile legame fra Capellini e il ‘suo’ museo viene confermato ancora nel 1911 quando, in occasione dei 50 anni dall’avvio del suo insegnamento a Bologna, viene inaugurata la nuova facciata.
Rispetto al modesto fronte originario, l’attuale è connotato stilisticamente da un marcato storicismo neorinascimentale. È scandito da un ordine gigante di lesene corinzie che ritmano il complesso partito decorativo dei due piani di cui si compone il museo (vi è un ulteriore livello superiore adibito a locali di servizio). Il piano terra si contraddistingue per un bugnato a fasce, mentre il piano superiore è forato da una serie quasi continua di aperture, talvolta evocanti una serliana, talaltra invece semplicemente architravate.
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vista frontale dell'edificio del museo capellini

Museo Capellini

Nel 1860 giunge a Bologna dalla natia Spezia il giovanissimo Giovanni Capellini con una laurea in Geologia e molta voglia di fare. Al suo arrivo le collezioni scientifiche dell’Ateneo risultano disperse a causa di incuria e di inopportuni smembramenti: suo obiettivo diviene allora la creazione di un grande museo destinato allo studio della Geologia e della Paleontologia. Nel 1868 si liberano, in fondo a via Zamboni, alcuni locali fino ad allora destinati alle cliniche universitarie, a loro volta trasferite nel costruendo policlinico del Sant’Orsola. E’ lì che, oltre alla sede dell’Istituto di Geologia, gradualmente prende corpo il Museo con una prima esposizione allestita nel 1871.
La vera e propria inaugurazione del Museo, però, avverrà nel 1881, anno cruciale per Capellini che organizza e ospita il II Congresso Geologico Internazionale, occasione anche per acquisire numerosi nuovi esemplari, dono dei convenuti per l’incremento delle collezioni.
L’indissolubile legame fra Capellini e il ‘suo’ museo viene confermato ancora nel 1911 quando, in occasione dei 50 anni dall’avvio del suo insegnamento a Bologna, viene inaugurata la nuova facciata.
Rispetto al modesto fronte originario, l’attuale è connotato stilisticamente da un marcato storicismo neorinascimentale. È scandito da un ordine gigante di lesene corinzie che ritmano il complesso partito decorativo dei due piani di cui si compone il museo (vi è un ulteriore livello superiore adibito a locali di servizio). Il piano terra si contraddistingue per un bugnato a fasce, mentre il piano superiore è forato da una serie quasi continua di aperture, talvolta evocanti una serliana, talaltra invece semplicemente architravate.
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vista del segmento porticato di piazza scaravilli su via zamboni

Edifici per la Facoltà di Economia e Commercio

In un tessuto fortemente storicizzato si innestano architetture moderne che dialogano con via Zamboni attraverso la quinta osmotica del portico che si apre verso la piazza, un tempo assai poco frequentata per via di una nota superstizione: se si fosse attraversata diagonalmente, l’agognata laurea non sarebbe mai stata conseguita. Ora invece è spazio pulsante di vita studentesca la cui storia rimonta agli anni ‘30. In quel momento, infatti, la zona è, come tante nella Bologna coeva, caratterizzata da un’edilizia povera quando non fatiscente. Nel 1936 il Piano di Risanamento prevede che vi si costruisca un edificio per l’Università e la scelta dapprima cade su Lettere. Quando però una bomba, nel 1943, distrugge il Palazzo per gli Studi commerciali costruito una decina di anni prima nei pressi di Porta Galliera, la decisione diventa inevitabile: l’area viene destinata a Economia e Commercio.
Subito dopo la fine della guerra, il 30 marzo 1950 esce il bando di concorso per la progettazione dell’edificio. In esso si prescrive che l’architettura si accordi con i caratteri del costruito già in essere, in termini di materiali e cromie. Il concorso, dopo due gradi di giudizio, premia Enea Trenti e Luigi Vignali che già nel suo Piano regolatore clandestino, elaborato in piena guerra, aveva previsto un analogo edificio in quel punto.
Nel 1951 iniziano i lavori e nel 1955 il rettore Felice Battaglia inaugura un primo lotto che riguarda il quadriportico e il corpo nord-est della Facoltà. In un secondo momento, nel 1959-60, l’edificio verrà compiuto in conformità con l’attuale sviluppo.
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vista del segmento porticato di piazza scaravilli su via zamboni

Edifici per la Facoltà di Economia e Commercio

In un tessuto fortemente storicizzato si innestano architetture moderne che dialogano con via Zamboni attraverso la quinta osmotica del portico che si apre verso la piazza, un tempo assai poco frequentata per via di una nota superstizione: se si fosse attraversata diagonalmente, l’agognata laurea non sarebbe mai stata conseguita. Ora invece è spazio pulsante di vita studentesca la cui storia rimonta agli anni ‘30. In quel momento, infatti, la zona è, come tante nella Bologna coeva, caratterizzata da un’edilizia povera quando non fatiscente. Nel 1936 il Piano di Risanamento prevede che vi si costruisca un edificio per l’Università e la scelta dapprima cade su Lettere. Quando però una bomba, nel 1943, distrugge il Palazzo per gli Studi commerciali costruito una decina di anni prima nei pressi di Porta Galliera, la decisione diventa inevitabile: l’area viene destinata a Economia e Commercio.
Subito dopo la fine della guerra, il 30 marzo 1950 esce il bando di concorso per la progettazione dell’edificio. In esso si prescrive che l’architettura si accordi con i caratteri del costruito già in essere, in termini di materiali e cromie. Il concorso, dopo due gradi di giudizio, premia Enea Trenti e Luigi Vignali che già nel suo Piano regolatore clandestino, elaborato in piena guerra, aveva previsto un analogo edificio in quel punto.
Nel 1951 iniziano i lavori e nel 1955 il rettore Felice Battaglia inaugura un primo lotto che riguarda il quadriportico e il corpo nord-est della Facoltà. In un secondo momento, nel 1959-60, l’edificio verrà compiuto in conformità con l’attuale sviluppo.
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interno dell'aula magna dell'accademia di belle arti

Accademia di Belle Arti

Il complesso del Noviziato gesuita e della chiesa di Sant’Ignazio, oggi Accademia di Belle Arti e Pinacoteca, è anticipato da un portico che, come di consueto a Bologna, porta in secondo piano la sua facciata rendendola pressoché invisibile. Gli ampi spazi, costruiti fra il 1670 e il 1685, ospitavano i giovani gesuiti in formazione. La chiesa però viene edificata solo dal 1728 al 1735 su progetto di Alfonso Torreggiani e attualmente funge da Aula magna dell’Accademia, visibile ai passanti grazie alla apertura pressoché costante del portone sotto il portico. Il suo interno è organizzato come una croce greca con bracci appena pronunciati punteggiati da alte colonne libere in stile composito. Al sommo un’ampia cupola, ridotta nel 1805, inonda di luce l’ampio invaso. In questo periodo l'edificio è sottoposto ad un generale riassetto per destinarlo all'Accademia.
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interno dell'aula magna dell'accademia di belle arti

Accademia di Belle Arti

Il complesso del Noviziato gesuita e della chiesa di Sant’Ignazio, oggi Accademia di Belle Arti e Pinacoteca, è anticipato da un portico che, come di consueto a Bologna, porta in secondo piano la sua facciata rendendola pressoché invisibile. Gli ampi spazi, costruiti fra il 1670 e il 1685, ospitavano i giovani gesuiti in formazione. La chiesa però viene edificata solo dal 1728 al 1735 su progetto di Alfonso Torreggiani e attualmente funge da Aula magna dell’Accademia, visibile ai passanti grazie alla apertura pressoché costante del portone sotto il portico. Il suo interno è organizzato come una croce greca con bracci appena pronunciati punteggiati da alte colonne libere in stile composito. Al sommo un’ampia cupola, ridotta nel 1805, inonda di luce l’ampio invaso. In questo periodo l'edificio è sottoposto ad un generale riassetto per destinarlo all'Accademia.
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vista del portico di palazzo poggi su via zamboni

Palazzo Poggi

L’ampio palazzo, oggi sede centrale dell’Università di Bologna, viene costruito a partire dalla metà del Cinquecento, sulla preesistenza di dimore famigliari non commisurate al rango del cardinale Giovanni Poggi che lo va ad occupare.
L’artefice di questo bell’esempio di dimora aristocratica è stato a lungo un rebus della critica che oggi tende ad ascrivere il portico e la facciata al bolognese Bartolomeo Triachini mentre il cortile interno sarebbe dell’artista polimorfo Pellegrino Tibaldi.
Il portico è caratterizzato da colonne doriche con capitello a rosette. Pilastri decorati con figure geometriche inquadrano l’ingresso principale e chiudono la sequenza delle colonne.
Alla morte del cardinale, gli eredi proseguono nella costruzione dell’edificio che però non viene completato.
La svolta nella destinazione d’uso si ha nel 1712 quando il palazzo, venduto dalla famiglia, diventa la sede dell’Accademia delle Scienze e si arricchisce di una imponente biblioteca opera di Carlo Francesco Dotti.
Oggi il complesso occupa un intero isolato e ospita, oltre alla Biblioteca Universitaria, il Rettorato, alcune aule e molti uffici. Presto vedrà la luce la ricostruzione fedele della biblioteca di Umberto Eco.
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vista del portico di palazzo poggi su via zamboni

Palazzo Poggi

L’ampio palazzo, oggi sede centrale dell’Università di Bologna, viene costruito a partire dalla metà del Cinquecento, sulla preesistenza di dimore famigliari non commisurate al rango del cardinale Giovanni Poggi che lo va ad occupare.
L’artefice di questo bell’esempio di dimora aristocratica è stato a lungo un rebus della critica che oggi tende ad ascrivere il portico e la facciata al bolognese Bartolomeo Triachini mentre il cortile interno sarebbe dell’artista polimorfo Pellegrino Tibaldi.
Il portico è caratterizzato da colonne doriche con capitello a rosette. Pilastri decorati con figure geometriche inquadrano l’ingresso principale e chiudono la sequenza delle colonne.
Alla morte del cardinale, gli eredi proseguono nella costruzione dell’edificio che però non viene completato.
La svolta nella destinazione d’uso si ha nel 1712 quando il palazzo, venduto dalla famiglia, diventa la sede dell’Accademia delle Scienze e si arricchisce di una imponente biblioteca opera di Carlo Francesco Dotti.
Oggi il complesso occupa un intero isolato e ospita, oltre alla Biblioteca Universitaria, il Rettorato, alcune aule e molti uffici. Presto vedrà la luce la ricostruzione fedele della biblioteca di Umberto Eco.
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vista dall'alto della facciata del teatro comunale

Teatro Comunale

Lo spazio oggi occupato dal Teatro Comunale è stato per alcuni decenni uno dei luoghi in cui meglio si è esplicitata la magnificenza dei Bentivoglio: qui infatti sorgeva la Domus Magna, edificio che i contemporanei paragonano ai più sfarzosi palazzi del potere signorile italiano.
L’edificio, secondo la tradizione della città, presentava sul fronte un ampio portico, opera di Pagno di Lapo Portigiani, connesso con quello presente sulle facciate degli edifici circostanti, connotando così uno spazio urbano omogeneo, centro del potere della famiglia che di fatto regge Bologna nel Quattrocento.
Nel 1507, a seguito della conquista della città da parte di Giulio II che ristabilisce su di essa il potere pontificio, il palazzo è fatto oggetto di una devastante spoliazione che riduce l’area ad un ‘guasto’ (toponimo che rimane nella strada che fiancheggia l’attuale teatro) ovvero ad un incongruo ammasso di macerie. Così l’area permane fino a Settecento inoltrato, quando il Senato decide di costruirvi una sala teatrale per tutta la città e affida nel 1755 il progetto ad Antonio Galli Bibiena.
Delle due idee presentate viene preferita la più semplice, caratterizzata da un portico a colonne doriche che dà luce al foyer, mentre il piano superiore resta incompiuto fino agli anni Trenta del Novecento quando viene completato con una profonda terrazza opera di Umberto Rizzi.
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vista dall'alto della facciata del teatro comunale

Teatro Comunale

Lo spazio oggi occupato dal Teatro Comunale è stato per alcuni decenni uno dei luoghi in cui meglio si è esplicitata la magnificenza dei Bentivoglio: qui infatti sorgeva la Domus Magna, edificio che i contemporanei paragonano ai più sfarzosi palazzi del potere signorile italiano.
L’edificio, secondo la tradizione della città, presentava sul fronte un ampio portico, opera di Pagno di Lapo Portigiani, connesso con quello presente sulle facciate degli edifici circostanti, connotando così uno spazio urbano omogeneo, centro del potere della famiglia che di fatto regge Bologna nel Quattrocento.
Nel 1507, a seguito della conquista della città da parte di Giulio II che ristabilisce su di essa il potere pontificio, il palazzo è fatto oggetto di una devastante spoliazione che riduce l’area ad un ‘guasto’ (toponimo che rimane nella strada che fiancheggia l’attuale teatro) ovvero ad un incongruo ammasso di macerie. Così l’area permane fino a Settecento inoltrato, quando il Senato decide di costruirvi una sala teatrale per tutta la città e affida nel 1755 il progetto ad Antonio Galli Bibiena.
Delle due idee presentate viene preferita la più semplice, caratterizzata da un portico a colonne doriche che dà luce al foyer, mentre il piano superiore resta incompiuto fino agli anni Trenta del Novecento quando viene completato con una profonda terrazza opera di Umberto Rizzi.
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vista interna del portico della palazzo della cassa di risparmio

Palazzo della sede storica della Cassa di Risparmio

Il portico ampio e chiaro, fra i pochi a Bologna con copertura a lacunari, certifica del rango di edificio solenne che spetta alla sede della Banca più importante della città nell’immediato periodo post-unitario.
La Cassa di risparmio, fondata nel 1837 e ospitata inizialmente nel Palazzo del Podestà, richiede una sede adeguata al suo ruolo, una sede che promani solidità e decoro ma senza sciali. Dopo un concorso che non trova vincitori convincenti, l’incarico viene dato al romagnolo Giuseppe Mengoni, impegnato anche nella costruzione della milanese Galleria Vittorio Emanuele (dove trovò la morte cadendo da un’impalcatura), ma anche in cantieri e pensieri a Firenze e Roma.
In linea con quanto sta accadendo in altri centri, lo stile scelto per la banca è il neorinascimento che per il portato simbolico (il pensiero va ai banchieri rinascimentali e alle ricchezze di un’Italia dei tempi d’oro) e per il vastissimo campionario decorativo sembra bene interpretare i valori della committenza. In effetti le scelte di Mengoni per l’edificio mettono in campo un repertorio decorativo che guarda fuori da Bologna, sia nelle forme che nei materiali: in particolare la pietra da taglio preferita al laterizio o all’intonaco propri della città.
Anche sul piano della tecnologia, l’edificio si pone all’avanguardia nella scelta di di metodologie costruttive innovative.
Singolare è il lavoro sulle inferriate, opera degli artigiani delle officine Cambiaggio di Milano,che riescono, attraverso la lavorazione a vuoto del metallo, a realizzare manufatti di estrema leggerezza: i grandi cancelli d’accesso sul fronte principale – si legge in un giornale dell’epoca – possono essere mossi da un fanciullo che appena si regga in piedi.

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vista interna del portico della palazzo della cassa di risparmio

Palazzo della sede storica della Cassa di Risparmio

Il portico ampio e chiaro, fra i pochi a Bologna con copertura a lacunari, certifica del rango di edificio solenne che spetta alla sede della Banca più importante della città nell’immediato periodo post-unitario.
La Cassa di risparmio, fondata nel 1837 e ospitata inizialmente nel Palazzo del Podestà, richiede una sede adeguata al suo ruolo, una sede che promani solidità e decoro ma senza sciali. Dopo un concorso che non trova vincitori convincenti, l’incarico viene dato al romagnolo Giuseppe Mengoni, impegnato anche nella costruzione della milanese Galleria Vittorio Emanuele (dove trovò la morte cadendo da un’impalcatura), ma anche in cantieri e pensieri a Firenze e Roma.
In linea con quanto sta accadendo in altri centri, lo stile scelto per la banca è il neorinascimento che per il portato simbolico (il pensiero va ai banchieri rinascimentali e alle ricchezze di un’Italia dei tempi d’oro) e per il vastissimo campionario decorativo sembra bene interpretare i valori della committenza. In effetti le scelte di Mengoni per l’edificio mettono in campo un repertorio decorativo che guarda fuori da Bologna, sia nelle forme che nei materiali: in particolare la pietra da taglio preferita al laterizio o all’intonaco propri della città.
Anche sul piano della tecnologia, l’edificio si pone all’avanguardia nella scelta di di metodologie costruttive innovative.
Singolare è il lavoro sulle inferriate, opera degli artigiani delle officine Cambiaggio di Milano,che riescono, attraverso la lavorazione a vuoto del metallo, a realizzare manufatti di estrema leggerezza: i grandi cancelli d’accesso sul fronte principale – si legge in un giornale dell’epoca – possono essere mossi da un fanciullo che appena si regga in piedi.

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vista dell'edificio sull'angolo fra via farini e piazza cavour

Palazzo Guidotti

La prima costruzione risale al XIV secolo e vede poi nel XVI un ampliamento che però non completa l’edificio. Si deve attendere l’epoca dei grands travaux postunitari governati dalla figura dell’ingegnere Coriolano Monti per arrivare all’attuale assetto.
L’allargamento di Borgo Sàlamo provoca la demolizione di un portico mentre l’apertura di Piazza Cavour motiva l’erezione di una nuova facciata porticata, in armonia con quanto si stava costruendo lì attorno e con il carattere della città, pienamente rispettato dall’ingegnere perugino che in via straordinaria, probabilmente cura per i Guidotti i lavori al loro palazzo.
Si salvano alcuni capitelli delle precedenti fasi della costruzione che vengono integrati nel nuovo assetto, visibile su via Farini. Mentre sulla piazza, l’effigie dell’ingegnere e quella di membri della famiglia committente (Annibale e il padre Francesco) compaiono su capitelli neocinquecenteschi opera di Augusto Viallet.

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vista dell'edificio sull'angolo fra via farini e piazza cavour

Palazzo Guidotti

La prima costruzione risale al XIV secolo e vede poi nel XVI un ampliamento che però non completa l’edificio. Si deve attendere l’epoca dei grands travaux postunitari governati dalla figura dell’ingegnere Coriolano Monti per arrivare all’attuale assetto.
L’allargamento di Borgo Sàlamo provoca la demolizione di un portico mentre l’apertura di Piazza Cavour motiva l’erezione di una nuova facciata porticata, in armonia con quanto si stava costruendo lì attorno e con il carattere della città, pienamente rispettato dall’ingegnere perugino che in via straordinaria, probabilmente cura per i Guidotti i lavori al loro palazzo.
Si salvano alcuni capitelli delle precedenti fasi della costruzione che vengono integrati nel nuovo assetto, visibile su via Farini. Mentre sulla piazza, l’effigie dell’ingegnere e quella di membri della famiglia committente (Annibale e il padre Francesco) compaiono su capitelli neocinquecenteschi opera di Augusto Viallet.

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vista frontale dell'edificio dalla piazza

Palazzine Bottrigari

Nella nuova e aristocratica piazza Cavour l’ingegnere bolognese Antonio Zannoni è l’autore del segmento est di costruzioni che completano il lato di palazzo Guidotti, composto da un edificio compatto, casa Ratta, e le cosiddette Palazzine Bottrigari.
Il genio originale di Zannoni, tipica figura di ingegnere integrale ottocentesco, in grado di occuparsi di ogni aspetto concernente lo spazio urbano dalla storia all’archeologia all’ingegneria strutturale, si esplica qui in una costruzione che non ha eguali in città da un punto di vista della forma e dello stile. Forse stimolato dal tono della piazza che ricorda i tipici squares inglesi, Zannoni organizza la facciata connotandola con un’alta loggia arricchita da un imponente ordine gigante che rilega piano nobile e mezzanino superiore. L’edificio è poi coronato da una balaustra, anche questo elemento non comune sotto le torri.

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vista frontale dell'edificio dalla piazza

Palazzine Bottrigari

Nella nuova e aristocratica piazza Cavour l’ingegnere bolognese Antonio Zannoni è l’autore del segmento est di costruzioni che completano il lato di palazzo Guidotti, composto da un edificio compatto, casa Ratta, e le cosiddette Palazzine Bottrigari.
Il genio originale di Zannoni, tipica figura di ingegnere integrale ottocentesco, in grado di occuparsi di ogni aspetto concernente lo spazio urbano dalla storia all’archeologia all’ingegneria strutturale, si esplica qui in una costruzione che non ha eguali in città da un punto di vista della forma e dello stile. Forse stimolato dal tono della piazza che ricorda i tipici squares inglesi, Zannoni organizza la facciata connotandola con un’alta loggia arricchita da un imponente ordine gigante che rilega piano nobile e mezzanino superiore. L’edificio è poi coronato da una balaustra, anche questo elemento non comune sotto le torri.

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vista del portico con le volte dipinte

Palazzo della Banca d'Italia

Imponente costruzione che occupa il lato ovest della nuova piazza Cavour, è opera dell’architetto napoletano Antonio Cipolla, autore anche dell’edificio che insiste sul lato sud, Palazzo Silvani.
L’edificio, la cui costruzione si avvia nel 1861, presenta l’unico portico cittadino interamente affrescato con un programma iconografico consapevole e coerente. L’autore è Gaetano Lodi che si pone sulla scia delle ricerche in atto nella cultura artistica e architettonica coeva per trovare uno stile che interpretasse al meglio gli ideali dell’Italia unita. Cipolla per le architetture come anche Lodi per le decorazioni convergono, unitamente a tanti altri in Italia, sulla scelta del recupero dello stile rinascimentale, epoca di eccellenza italiana, stile considerato il più adatto a supportare le istanze ideali e politiche del nuovo stato.
Le volte del portico, infatti, racchiuse da una gabbia di grottesche di marca raffaellesca, ricorda, racchiuse in riquadri, la storia, le eccellenze scientifiche, i personaggi famosi e le città italiane di tutti i tempi.
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vista del portico con le volte dipinte

Palazzo della Banca d'Italia

Imponente costruzione che occupa il lato ovest della nuova piazza Cavour, è opera dell’architetto napoletano Antonio Cipolla, autore anche dell’edificio che insiste sul lato sud, Palazzo Silvani.
L’edificio, la cui costruzione si avvia nel 1861, presenta l’unico portico cittadino interamente affrescato con un programma iconografico consapevole e coerente. L’autore è Gaetano Lodi che si pone sulla scia delle ricerche in atto nella cultura artistica e architettonica coeva per trovare uno stile che interpretasse al meglio gli ideali dell’Italia unita. Cipolla per le architetture come anche Lodi per le decorazioni convergono, unitamente a tanti altri in Italia, sulla scelta del recupero dello stile rinascimentale, epoca di eccellenza italiana, stile considerato il più adatto a supportare le istanze ideali e politiche del nuovo stato.
Le volte del portico, infatti, racchiuse da una gabbia di grottesche di marca raffaellesca, ricorda, racchiuse in riquadri, la storia, le eccellenze scientifiche, i personaggi famosi e le città italiane di tutti i tempi.
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vista della facciata di palazzo isolani

Casa Isolani

Uno dei casi più interessanti di portico ligneo rimasti a Bologna.
Anzitutto per il periodo di costruzione, il XIII secolo, ovvero gli esordi della vicenda del portico bolognese. Ma anche per gli oltre 9 metri di altezza che lo rendono uno degli esempi più slanciati in città (il più alto è quello novecentesco della sede della Zanichelli in via Irnerio che si avvicina ai 13 metri).
La facciata è però frutto di un restauro ottocentesco a cura di Raffaele Faccioli in occasione del quale, per scherzo, furono conficcate, nell’intradosso del portico, le famose tre frecce. Motivi di prudenza invece hanno consigliato l’affiancamento, alla struttura lignea originale, di due possenti pilastri in laterizio.

Il varco che si apre in facciata al piano terra, ingresso originale dell’edificio, è l’avvio di una sequenza di cortili passanti che consentono di collegare questa proprietà Isolani a quella posta su piazza Santo Stefano. Il passage, conosciuto come Corte Isolani, è diventato di pubblico utilizzo nel 1995 e oggi ospita attività commerciali.

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vista della facciata di palazzo isolani

Casa Isolani

Uno dei casi più interessanti di portico ligneo rimasti a Bologna.
Anzitutto per il periodo di costruzione, il XIII secolo, ovvero gli esordi della vicenda del portico bolognese. Ma anche per gli oltre 9 metri di altezza che lo rendono uno degli esempi più slanciati in città (il più alto è quello novecentesco della sede della Zanichelli in via Irnerio che si avvicina ai 13 metri).
La facciata è però frutto di un restauro ottocentesco a cura di Raffaele Faccioli in occasione del quale, per scherzo, furono conficcate, nell’intradosso del portico, le famose tre frecce. Motivi di prudenza invece hanno consigliato l’affiancamento, alla struttura lignea originale, di due possenti pilastri in laterizio.

Il varco che si apre in facciata al piano terra, ingresso originale dell’edificio, è l’avvio di una sequenza di cortili passanti che consentono di collegare questa proprietà Isolani a quella posta su piazza Santo Stefano. Il passage, conosciuto come Corte Isolani, è diventato di pubblico utilizzo nel 1995 e oggi ospita attività commerciali.

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vista della facciata del mambo

Il MAMbo

“Una prima sezione dell'edificio viene costruita nel 1915 dal Sindaco di Bologna Francesco Zanardi con la funzione di panificio comunale per assolvere alle difficoltà di approvvigionamento dei cittadini bolognesi nel corso della prima guerra mondiale.
Negli anni quaranta del Novecento lo stabile viene ampliato e ospita l’Ente Autonomo dei Consumi fino alla sua definitiva chiusura nel 1958.
La trasformazione e la conversione del vecchio panificio nella nuova sede del MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta.
Il progetto di recupero si attua attraverso il rispetto e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche preesistenti.
Il restauro è progettato da Aldo Rossi e realizzato dal Comune di Bologna tramite la società Finanziaria Bologna Metropolitana, con la collaborazione dello Studio Arassociati di Milano”.
dal sito web del museo http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/Storiaedificio/
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vista della facciata del mambo

Il MAMbo

“Una prima sezione dell'edificio viene costruita nel 1915 dal Sindaco di Bologna Francesco Zanardi con la funzione di panificio comunale per assolvere alle difficoltà di approvvigionamento dei cittadini bolognesi nel corso della prima guerra mondiale.
Negli anni quaranta del Novecento lo stabile viene ampliato e ospita l’Ente Autonomo dei Consumi fino alla sua definitiva chiusura nel 1958.
La trasformazione e la conversione del vecchio panificio nella nuova sede del MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta.
Il progetto di recupero si attua attraverso il rispetto e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche preesistenti.
Il restauro è progettato da Aldo Rossi e realizzato dal Comune di Bologna tramite la società Finanziaria Bologna Metropolitana, con la collaborazione dello Studio Arassociati di Milano”.
dal sito web del museo http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/Storiaedificio/
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facciata dell'edificio fra via de Rolandis e via Zamboni

Casa della Meridiana

Questo singolare palazzino è opera di Giuseppe Gualandi che lo realizza fra il 1933-35. I sacerdoti dell’architettura moderna hanno parole di spregio per un edificio che ripropone decorazioni art déco, ormai fuori tempo massimo. Ma il suo progettista certifica, dalle colonne dell’ “Avvenire d’Italia”, che “nell’interno l’edificio non ha nulla da imparare dalle più moderne costruzioni” (31/12/1936). La scritta al sommo della facciata è un augurio che la meridiana inserita al di sotto possa sempre scandire ore serene per i cittadini. Considerato che la produzione di Gualandi è soprattutto dedita all’architettura sacra e alle strutture a servizio delle persone cieche, questa ridente costruzione, posta a cerniera fra istituti artistici e università, è stato davvero un unicum ben riuscito.
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facciata dell'edificio fra via de Rolandis e via Zamboni

Casa della Meridiana

Questo singolare palazzino è opera di Giuseppe Gualandi che lo realizza fra il 1933-35. I sacerdoti dell’architettura moderna hanno parole di spregio per un edificio che ripropone decorazioni art déco, ormai fuori tempo massimo. Ma il suo progettista certifica, dalle colonne dell’ “Avvenire d’Italia”, che “nell’interno l’edificio non ha nulla da imparare dalle più moderne costruzioni” (31/12/1936). La scritta al sommo della facciata è un augurio che la meridiana inserita al di sotto possa sempre scandire ore serene per i cittadini. Considerato che la produzione di Gualandi è soprattutto dedita all’architettura sacra e alle strutture a servizio delle persone cieche, questa ridente costruzione, posta a cerniera fra istituti artistici e università, è stato davvero un unicum ben riuscito.
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fronte del palazzo Zambeccari

Palazzo Zambeccari

L’attuale facciata del Palazzo Zambeccari che si erge su via Farini è il frutto delle trasformazioni urbane del periodo post-unitario, quando l’antica via Ponte di Ferro viene allargata a beneficio di una viabilità più moderna. Il complesso di costruzioni che lì insistevano, compresa l’antichissima chiesa camaldolese dei SS. Cosma e Damiano, è oggetto di un rifacimento radicale ad opera di tre professionisti bolognesi, gli ingegneri Alessandro Maccaferri, Luigi Grandi e Francesco Gualandi, quest’ultimo conosciuto come il principale autore dell’opera. Il fronte su via Farini, il cui progetto viene presentato nel 1870, è opera di gusto eclettico che impiega stilemi classicisti, lontani, però, dall’originario equilibrio nelle proporzioni. Tuttavia, nell’insieme, la foggia esterna dell’edificio risente di un certo efficace movimento dei piani di facciata. Sotto il portico si trova l’accesso agli ambienti ricreati della chiesa antica camaldolese. Questa era stata ricostruita perpendicolarmente all’originaria planimetria ma mai completata fino in fondo. Oggi è scenografia d’eccezione per un esercizio commerciale.
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facciata di casa Saraceni

Casa Saraceni

Definita come “una delle più graziose residenze che la rinascenza bolognese abbia prodotto” (Alfredo Baruffi, Guida di Bologna, 1911), Casa Saraceni è costruita sul finire del 1400 presentando evidenti somiglianze con il Palazzo Fibbia Pallavicini di via Galliera. Subisce diverse trasformazioni anche esteriori fino agli importanti restauri del 1930, a cura dell’ingegnere Augusto Baulina Paleotti, che, se riportano le facciate allo stato originale, non potendo più ripristinare partizioni e decorazioni quattrocentesche, mutano sostanzialmente gli interni. Nel frattempo, infatti, l’edificio, collegato ad un corpo retrostante per aumentare gli spazi, è passato alla Cassa di Risparmio che necessita di ambienti di rappresentanza. La ricca decorazione pittorica degli interni si deve al pittore Roberto Franzoni che da un lato non tradisce la sua passione per l’Art Nouveau, dall’altro, tuttavia, reinterpreta qui la stagione decorativa del Rinascimento bolognese.
Casa Saraceni, divenuta poi sede della Fondazione della Cassa di Risparmio, è stata oggetto di una nuova stagione di restauri sugli esterni a cura degli architetti Roberto Terra e Guido Cavina (1995-98) e negli interni a cura dell’architetto Roberto Scannavini (2001) che hanno permesso di ricavare al piano terreno un’ampia galleria per esposizioni e una sala per conferenze.


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facciata dell'edificio della Pinacoteca

Pinacoteca Nazionale

Un tempo l’edificio porticato che ospita oggi la Pinacoteca nazionale, insieme agli ambienti dell’Accademia di Belle Arti, costituiva il Noviziato gesuitico di Sant’Ignazio. Il complesso si deve ad Alfonso Torreggiani che lo costruisce fra il 1728 e il 1735.
Nei primi del Novecento, sotto la direzione di Francesco Malaguzzi Valeri, Edoardo Collamarini firma il progetto di un ampliamento considerevole degli spazi, visibile ora nel lato non porticato verso est.
Fra il 1957 e il 1973 la parte di pertinenza della Pinacoteca è interessata da un profondo ripensamento degli allestimenti dovuto all’architetto e artista Leone Pancaldi che, coinvolto da Cesare Gnudi, ammoderna le sale secondo i principi di una museografia contemporanea. Rimane traccia delle precedenti destinazioni nel vano dello scalone di accesso, un tempo cappella, il cui soffitto ospita una scenografica Gloria di Sant’Ignazio di Giuseppe Barbieri.
Nel decennio 80-90 il complesso viene ulteriormente rinnovato e si arricchisce di nuovi spazi per la didattica.
La Pinacoteca Nazionale di Bologna conserva fondamentali testimonianze della pittura emiliana fra il XIII e il XVIII secolo, ma anche opere di Giotto, Raffaello, Tiziano, Tintoretto e un modello ligneo attribuito a Bernini.

https://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/
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vista della facciata dell'edificio

Palazzo Hercolani

L’ultimo dei palazzi senatori, porticato, è costruito a partire dal 1793 su progetto di Angelo Venturoli.
La posizione, in un punto di Strada Maggiore particolarmente ristretto, fa propendere committenti e progettista per una facciata dal linguaggio architettonico classicista. Gli interni sono di grande respiro e grandiosità: dopo una loggia a tre navate si apre un ampio cortile d’onore, collegato ai quartieri di servizio, verso il fondo, mediante un’altra loggia a tre navate. Sul lato destro del cortile, è collocato lo scalone monumentale, ricco di statue, libere e in nicchia, opera di Giacomo De Maria, con rampa di avvio singola che diventa doppia dopo il ripiano intermedio. Un attico punteggiato di finestre rettangolari e una volta affrescata di Francesco Pedrini si elevano a coronamento dello scenografico vano. Oggi l’edificio e le sue pertinenze sono occupate da vari dipartimenti dell’Università di Bologna, ma nascosto al piano terra, della fastosa stagione del palazzo sopravvive un piccolo tesoro: la ‘stanza a paese’ di Rodolfo Fantuzzi (1810), un ambiente dipinto a simulare il paesaggio di un lussureggiante giardino, peraltro presente anche dal vero con un settore all’italiana e un boschetto all’inglese.
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dettaglio della facciata del palazzo con il portale inquadrato dai due atlanti

Palazzo Davia Bargellini - Museo

E’ uno dei pochissimi edifici di Strada Maggiore a non presentare il portico, privilegio che in molti casi viene concesso nella costruzione dei palazzi senatori. In tal modo la facciata assume un ruolo preponderante negli affacci su strada e qualifica i proprietari, in questo caso i Bargellini, in termini di rango e status sociale.
L’edificio, uno dei più fastosi dell’epoca barocca, viene iniziato nel 1610 inglobando due proprietà esistenti. Nel 1638 il senatore Astorre ottiene il permesso di erigere la facciata su progetto di Bartolomeo Provaglia che la caratterizza con la presenza di due telamoni in macigno eseguiti dagli scultori Gabriele Brunelli e dall’ allievo Francesco Agnesini.
I lavori nel corso del secolo procedono lentamente e culminano nel 1730 con la realizzazione dell’imponente scalone voluto da Vincenzo Bargellini per il quale vengono redatti numerosi progetti. L’autore dello scalone al momento viene individuato in Alfonso Torreggiani, per quanto autorevoli studiosi preferiscano l’attribuzione a Carlo Francesco Dotti. La decorazione a stucco è di Giuseppe Borelli.
Nel XIX secolo la proprietà passa alla famiglia Davia e successivamente, in mancanza di eredi, perviene all'Opera Pia che ancora la gestisce. Dal 1924 il Museo Civico d’Arte Industriale viene ospitato al piano terra dove tuttora è visitabile nell’attuale allestimento del 1984.
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Portici

portico della morte verso la libreria

Portico della Morte

Un primo portico è attestato nel XV secolo a protezione dell’ingresso della chiesa di Santa Maria della Morte quasi all’angolo con l’attuale via del Pavaglione.
Nel 1565, Antonio Morandi detto il Terribilia, nell’ambito delle trasformazioni che informano tutto l’isolato, interviene anche sul portico i cui sostegni diventano di macigno.
Dopo l’Unità d’Italia, su progetto di Coriolano Monti, il portico rientra nelle attività di ammodernamento legate alle trasformazioni degli edifici a luoghi per la cultura. Infine, negli anni 1925-1932, la parte terminale viene interessata dall’intervento di Giulio Ulisse Arata che ricostruisce l’isolato verso est in stile neo-medievale.
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portico della morte verso la libreria

Portico della Morte

Un primo portico è attestato nel XV secolo a protezione dell’ingresso della chiesa di Santa Maria della Morte quasi all’angolo con l’attuale via del Pavaglione.
Nel 1565, Antonio Morandi detto il Terribilia, nell’ambito delle trasformazioni che informano tutto l’isolato, interviene anche sul portico i cui sostegni diventano di macigno.
Dopo l’Unità d’Italia, su progetto di Coriolano Monti, il portico rientra nelle attività di ammodernamento legate alle trasformazioni degli edifici a luoghi per la cultura. Infine, negli anni 1925-1932, la parte terminale viene interessata dall’intervento di Giulio Ulisse Arata che ricostruisce l’isolato verso est in stile neo-medievale.
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vista del portico del baraccano da sotto

Portico del Baraccano

E’ uno degli esempi più caratteristici della stagione dei Bentivoglio. La parte più antica del portico (i primi sette archi dal Voltone alla Porta) viene edificata entro il 1500 per dare riparo a chi entra in città ma anche per servire l’Ospedale per i pellegrini che qui viene costruito a partire dal 1491.
La peculiarità di questo tratto di portico è la presenza del toro, ovvero la cornice ad anello che taglia a metà il fusto della colonna. Tale elemento è in verità già presente in alcuni esempi medievali, come il Portico dei Servi e sembra venga applicato come elemento di irrobustimento per coprire il punto di connessura fra due porzioni del fusto.
Interessante è il repertorio decorativo dei capitelli che mostra un ampio campionario di figure intercalate a insegne araldiche bentivolesche.
Dall’ottava colonna in poi la costruzione del portico risale ad epoche successive e si segnala per l’unica occorrenza bolognese di un portico a due navate, utile dispositivo di riparo per i fedeli della chiesa di San Giuliano.
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vista del portico del baraccano da sotto

Portico del Baraccano

E’ uno degli esempi più caratteristici della stagione dei Bentivoglio. La parte più antica del portico (i primi sette archi dal Voltone alla Porta) viene edificata entro il 1500 per dare riparo a chi entra in città ma anche per servire l’Ospedale per i pellegrini che qui viene costruito a partire dal 1491.
La peculiarità di questo tratto di portico è la presenza del toro, ovvero la cornice ad anello che taglia a metà il fusto della colonna. Tale elemento è in verità già presente in alcuni esempi medievali, come il Portico dei Servi e sembra venga applicato come elemento di irrobustimento per coprire il punto di connessura fra due porzioni del fusto.
Interessante è il repertorio decorativo dei capitelli che mostra un ampio campionario di figure intercalate a insegne araldiche bentivolesche.
Dall’ottava colonna in poi la costruzione del portico risale ad epoche successive e si segnala per l’unica occorrenza bolognese di un portico a due navate, utile dispositivo di riparo per i fedeli della chiesa di San Giuliano.
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vista del portico del baraccano all'innesto col voltone

Voltone del Baraccano

Artificio architettonico di notevole impatto scenografico il ‘voltone’ del Baraccano è un passaggio profondo e sghembo che consente un contatto visivo e un collegamento viario fra il portico sulla via Santo Stefano e il Santuario di Santa Maria del Baraccano, chiesa voluta da Giovanni I Bentivoglio. Si tratta di una delle numerose cappelle costruite a ridosso delle mura cittadine, in questo caso per mettere al riparo un’immagine che si considerava miracolosa.
La struttura del collegamento è costituita da una volta a lunette edificata fra il 1497 e il 1524 che presenta verso via Santo Stefano una facciata, più volte rifatta, opera infine di Giuseppe Jarmorini (1779). Riparo ampio e confortevole, nel Cinquecento e nel Seicento, diventa un luogo privilegiato dagli artisti per l’esposizione delle opere al pubblico.
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vista del portico del baraccano all'innesto col voltone

Voltone del Baraccano

Artificio architettonico di notevole impatto scenografico il ‘voltone’ del Baraccano è un passaggio profondo e sghembo che consente un contatto visivo e un collegamento viario fra il portico sulla via Santo Stefano e il Santuario di Santa Maria del Baraccano, chiesa voluta da Giovanni I Bentivoglio. Si tratta di una delle numerose cappelle costruite a ridosso delle mura cittadine, in questo caso per mettere al riparo un’immagine che si considerava miracolosa.
La struttura del collegamento è costituita da una volta a lunette edificata fra il 1497 e il 1524 che presenta verso via Santo Stefano una facciata, più volte rifatta, opera infine di Giuseppe Jarmorini (1779). Riparo ampio e confortevole, nel Cinquecento e nel Seicento, diventa un luogo privilegiato dagli artisti per l’esposizione delle opere al pubblico.
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vista dell'arco bonaccorsi da porta saragozza foto 1cinquantesimo

Arco Bonaccorsi

La costruzione in forma di arco onorario aperta su tutti i lati enfatizza l’avvio del tratto di pianura extraurbano del portico di San Luca. L'arco è edificato in uno stile sobrio che rinuncia alle decorazioni architettoniche sovrabbondanti e tipiche del periodo barocco in cui nasce, volgendosi piuttosto, come tanta architettura bolognese, ai fasti di un pacato neocinquecentismo.
E’ opera di Gian Giacomo Monti, architetto a cui si deve anche il disegno del tracciato del portico che, in un primo momento, invece, era stato previsto sull’altro lato della strada e con le aperture verso nord.
L'edificazione dell'arco risale al 1675.

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vista dell'arco bonaccorsi da porta saragozza foto 1cinquantesimo

Arco Bonaccorsi

La costruzione in forma di arco onorario aperta su tutti i lati enfatizza l’avvio del tratto di pianura extraurbano del portico di San Luca. L'arco è edificato in uno stile sobrio che rinuncia alle decorazioni architettoniche sovrabbondanti e tipiche del periodo barocco in cui nasce, volgendosi piuttosto, come tanta architettura bolognese, ai fasti di un pacato neocinquecentismo.
E’ opera di Gian Giacomo Monti, architetto a cui si deve anche il disegno del tracciato del portico che, in un primo momento, invece, era stato previsto sull’altro lato della strada e con le aperture verso nord.
L'edificazione dell'arco risale al 1675.

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veduta del tratto collinare del portico di san luca di scorcio con Bologna sullo sfondo

Portico di San Luca

Il portico di San Luca è unico al mondo.
Collega la città di Bologna al santuario della Beata Vergine di San Luca con un percorso che alcuni contano in 666 arcate, ma il numero in verità è leggermente inferiore (dipende da come si contano).
Nasce per rendere possibili le processioni devozionali in occasione della discesa della sacra immagine della Madonna di San Luca in città. L’inizio della costruzione del tratto di pianura risale al 1674 per concludersi un secolo dopo, con le ultime opere relative al Santuario, posto in posizione strategica sul Monte della Guardia.
Il percorso porticato nel suo insieme si snoda per circa 3600 metri. La prima parte è in piano e dall’Arco Bonaccorsi segue via Saragozza per circa un chilometro e mezzo. All’altezza della centosettantesima arcata di portico, in una nicchia è collocata la statua che, per le forme generose, dai bolognesi è soprannominata Madonna Grassa, opera dello scultore Andrea Ferreri (1706ca.).
All’altezza di piazza della Pace, poi, il portico attraversa la strada con un sovrappasso, ardito per i tempi e molto scenografico, l’Arco del Meloncello (1718).
Da lì il tragitto si fa arduo, in salita o a gradini, per più di 2 chilometri, fino ad arrivare alla parte terminale, una sorta di abbraccio porticato che dà il benvenuto ai pellegrini e accompagna all’ingresso del Santuario. Dedicato alla Madonna di San Luca, conserva l’icona della Beata Vergine che si dice sia stata dipinta dal Santo evangelista e portata fino a Bologna da un pellegrino proveniente da Costantinopoli.
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veduta del tratto collinare del portico di san luca di scorcio con Bologna sullo sfondo

Portico di San Luca

Il portico di San Luca è unico al mondo.
Collega la città di Bologna al santuario della Beata Vergine di San Luca con un percorso che alcuni contano in 666 arcate, ma il numero in verità è leggermente inferiore (dipende da come si contano).
Nasce per rendere possibili le processioni devozionali in occasione della discesa della sacra immagine della Madonna di San Luca in città. L’inizio della costruzione del tratto di pianura risale al 1674 per concludersi un secolo dopo, con le ultime opere relative al Santuario, posto in posizione strategica sul Monte della Guardia.
Il percorso porticato nel suo insieme si snoda per circa 3600 metri. La prima parte è in piano e dall’Arco Bonaccorsi segue via Saragozza per circa un chilometro e mezzo. All’altezza della centosettantesima arcata di portico, in una nicchia è collocata la statua che, per le forme generose, dai bolognesi è soprannominata Madonna Grassa, opera dello scultore Andrea Ferreri (1706ca.).
All’altezza di piazza della Pace, poi, il portico attraversa la strada con un sovrappasso, ardito per i tempi e molto scenografico, l’Arco del Meloncello (1718).
Da lì il tragitto si fa arduo, in salita o a gradini, per più di 2 chilometri, fino ad arrivare alla parte terminale, una sorta di abbraccio porticato che dà il benvenuto ai pellegrini e accompagna all’ingresso del Santuario. Dedicato alla Madonna di San Luca, conserva l’icona della Beata Vergine che si dice sia stata dipinta dal Santo evangelista e portata fino a Bologna da un pellegrino proveniente da Costantinopoli.
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scorcio de meloncello da sotto insù

Arco del Meloncello

L’arco, quasi un fondale scenografico che collega i due tratti del portico, quello di pianura e quello di collina, è davvero frutto della cultura bolognese intrisa di teatralità e dominata dalla famiglia Bibiena a cui forse si deve l’ispirazione nel disegno degli alzati. Bibienesca, infatti, sembra l’orchestrazione degli elementi decorativi, mentre lo sviluppo in pianta, sinuoso e curvo, è da ascriversi a Carlo Francesco Dotti (1718), autore anche del Santuario della Beata Vergine al termine del tratto in salita.
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scorcio de meloncello da sotto insù

Arco del Meloncello

L’arco, quasi un fondale scenografico che collega i due tratti del portico, quello di pianura e quello di collina, è davvero frutto della cultura bolognese intrisa di teatralità e dominata dalla famiglia Bibiena a cui forse si deve l’ispirazione nel disegno degli alzati. Bibienesca, infatti, sembra l’orchestrazione degli elementi decorativi, mentre lo sviluppo in pianta, sinuoso e curvo, è da ascriversi a Carlo Francesco Dotti (1718), autore anche del Santuario della Beata Vergine al termine del tratto in salita.
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vista del portico della certosa dall'interno

Il Portico della Certosa

Il Cimitero della Certosa che, anticipando l’editto di Saint-Cloud del 1804, viene aperto a Bologna fuori dalle mura urbane nel 1801, va necessariamente collegato alla città attraverso un passaggio coperto che consenta ai fedeli di potervisi recare in modo confortevole.
Un primo progetto tenta di istituire un collegamento fra il complesso cimiteriale e Porta Sant’Isaia, ma distanze e costi fanno rinunciare all’impresa.
Più interessante si dimostra invece la proposta dell’architetto Ercole Gasparini, già impegnato in lavori all’interno del Cimitero, di collegare questo al portico di San Luca, subito prima del Meloncello. Tale progetto, datato 1811, si impone per la ragionevolezza nella scelta del percorso che sfrutta il portico di San Luca già in essere, ma anche per un’estetica di assoluta rarefazione degna del neoclassicismo più puro. Nel progetto fra l’altro Gasparini ipotizza che sotto agli archi del suo portico possano trovare spazio anche memorie funebri di lapidi e cappelle: se realizzato, tale esempio sarebbe stato un unicum nel panorama dei cimiteri in formazione. La realtà del cantiere e la difficoltà a reperire i fondi però rallentano la realizzazione del portico.
Nel 1818 viene costruito l’Arco Guidi (oggi non più esistente) per attraversare la strada proveniente da porta Sant’Isaia, ma nel 1829 Gasparini muore e il progetto viene realizzato con variazioni a cura di Luigi Marchesini, ingegnere capo del Comune. Anche il tratto finale del portico verso la Certosa, con il superamento del canale di Reno, viene eseguito in modo difforme dal progetto che prevedeva un arco monumentale, sostituito invece con un segmento porticato più sobrio decorato da colonne ioniche.
Nel 1926, con un’interruzione dei portici ottocenteschi, viene eretta la Torre di Maratona, ingresso monumentale al Littoriale. Complesso sportivo all’avanguardia voluto dal podestà Leandro Arpinati, è costituito da uno stadio, campi sportivi e da due piscine, opera dell’ingegnere Umberto Costanzini che viene affiancato per la torre dall’architetto Giulio Ulisse Arata.

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vista del portico della certosa dall'interno

Il Portico della Certosa

Il Cimitero della Certosa che, anticipando l’editto di Saint-Cloud del 1804, viene aperto a Bologna fuori dalle mura urbane nel 1801, va necessariamente collegato alla città attraverso un passaggio coperto che consenta ai fedeli di potervisi recare in modo confortevole.
Un primo progetto tenta di istituire un collegamento fra il complesso cimiteriale e Porta Sant’Isaia, ma distanze e costi fanno rinunciare all’impresa.
Più interessante si dimostra invece la proposta dell’architetto Ercole Gasparini, già impegnato in lavori all’interno del Cimitero, di collegare questo al portico di San Luca, subito prima del Meloncello. Tale progetto, datato 1811, si impone per la ragionevolezza nella scelta del percorso che sfrutta il portico di San Luca già in essere, ma anche per un’estetica di assoluta rarefazione degna del neoclassicismo più puro. Nel progetto fra l’altro Gasparini ipotizza che sotto agli archi del suo portico possano trovare spazio anche memorie funebri di lapidi e cappelle: se realizzato, tale esempio sarebbe stato un unicum nel panorama dei cimiteri in formazione. La realtà del cantiere e la difficoltà a reperire i fondi però rallentano la realizzazione del portico.
Nel 1818 viene costruito l’Arco Guidi (oggi non più esistente) per attraversare la strada proveniente da porta Sant’Isaia, ma nel 1829 Gasparini muore e il progetto viene realizzato con variazioni a cura di Luigi Marchesini, ingegnere capo del Comune. Anche il tratto finale del portico verso la Certosa, con il superamento del canale di Reno, viene eseguito in modo difforme dal progetto che prevedeva un arco monumentale, sostituito invece con un segmento porticato più sobrio decorato da colonne ioniche.
Nel 1926, con un’interruzione dei portici ottocenteschi, viene eretta la Torre di Maratona, ingresso monumentale al Littoriale. Complesso sportivo all’avanguardia voluto dal podestà Leandro Arpinati, è costituito da uno stadio, campi sportivi e da due piscine, opera dell’ingegnere Umberto Costanzini che viene affiancato per la torre dall’architetto Giulio Ulisse Arata.

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vista di un monumento funebre

Cimitero monumentale della Certosa

È il cimitero storico monumentale di Bologna, fondato nel 1801 riutilizzando le grandiose strutture del convento certosino edificato nel 1334.
Del complesso monastico si è conservata integralmente la chiesa di San Girolamo, scrigno della pittura bolognese del '600. La complessa articolazione architettonica ricrea l'idea di città e nei portici, loggiati e sale è conservato il più vasto repertorio di scultura neoclassica in Italia che include anche le tombe dipinte, un unicum europeo. Nell'arco di due secoli più di 200 artisti (architetti, pittori, scultori) hanno operato nel cimitero cittadino, contribuendo a dargli quel fascino unico decantato da tutti i visitatori stranieri, tra cui Byron e Dickens.



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vista del portico del santuario da sotto

Portico e Santuario degli Alemanni

Il portico degli Alemanni è un altro importante esempio, dopo quello eccezionale di San Luca, di portico devozionale extraurbano.
Deve il suo nome all’ordine cavalleresco Teutonico, ordine monastico militare nato all’epoca delle crociate e che in questa posizione fonda nel ‘200 un oratorio.
Tra il 1619 e il 1631 viene costruito il portico per collegare la chiesa, posta 700 metri fuori porta Maggiore e nel frattempo affidata ai carmelitani scalzi, alle mura della città, in modo da consentire ai fedeli di recarsi in pellegrinaggio protetti dalle intemperie. Per il progetto si fa il nome di Floriano Ambrosini.
Il Santuario, costruito per ricoverare un’immagine miracolosa, viene ripensato in forme barocche nel Seicento e ospita una una cappella dedicata alla Sacra Famiglia opera di Ferdinando Bibiena.
L’edificio subisce ulteriori trasformazioni nell’Ottocento.

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vista del portico del santuario da sotto

Portico e Santuario degli Alemanni

Il portico degli Alemanni è un altro importante esempio, dopo quello eccezionale di San Luca, di portico devozionale extraurbano.
Deve il suo nome all’ordine cavalleresco Teutonico, ordine monastico militare nato all’epoca delle crociate e che in questa posizione fonda nel ‘200 un oratorio.
Tra il 1619 e il 1631 viene costruito il portico per collegare la chiesa, posta 700 metri fuori porta Maggiore e nel frattempo affidata ai carmelitani scalzi, alle mura della città, in modo da consentire ai fedeli di recarsi in pellegrinaggio protetti dalle intemperie. Per il progetto si fa il nome di Floriano Ambrosini.
Il Santuario, costruito per ricoverare un’immagine miracolosa, viene ripensato in forme barocche nel Seicento e ospita una una cappella dedicata alla Sacra Famiglia opera di Ferdinando Bibiena.
L’edificio subisce ulteriori trasformazioni nell’Ottocento.

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Vista del quadriportico dei servi

Portico dei Servi

Nel 1392 il Comune di Bologna cede ai Servi di Maria, che già insistevano su questo tratto di Strada Maggiore da inizio secolo, una porzione di spazio pubblico per costruirvi il portico. In cambio, sembra che i frati abbiano deciso di impiegare materiali che restituissero i colori simbolo della città, il rosso e il bianco, come il marmo di Verona e la pietra d’Istria che caratterizzano il manufatto.
Si tratta di uno fra i primissimi portici in muratura. Gli autori del progetto potrebbero essere stati gli stessi Antonio di Vincenzo e Andrea Manfredi da Faenza che erano al lavoro nel cantiere della contigua chiesa, il primo, autore anche del progetto per San Petronio, il secondo, committente partecipe.
Da rilevare è anche la larghezza del portico, la più rilevante di Bologna, con i suoi quasi 6 metri.
Studi approfonditi hanno riconosciuto nel dimensionamento di questi spazi il ricorso alla sezione aurea che genera l’inconfondibile sensazione di equilibrio e proporzione.
Nasce con questo portico la caratteristica conformazione della colonna interrotta al centro da un anello modanato: la motivazione risiede nella necessità di collegare e rafforzare il giunto fra due segmenti di piedritto. Ritroveremo lo stilema in numerosi altri portici cittadini.
Il segmento costruito viene poi proseguito in tempi successivi conformemente allo stile originario.
Il quadriportico di fronte alla facciata è il frutto dell’abbattimento di una chiesa che lambiva l’attuale via Guerrazzi, San Tommaso. Giuseppe Modonesi e Enrico Brunetti Rodati ne sono gli autori fra il 1852 e il 1857.
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Vista del quadriportico dei servi

Portico dei Servi

Nel 1392 il Comune di Bologna cede ai Servi di Maria, che già insistevano su questo tratto di Strada Maggiore da inizio secolo, una porzione di spazio pubblico per costruirvi il portico. In cambio, sembra che i frati abbiano deciso di impiegare materiali che restituissero i colori simbolo della città, il rosso e il bianco, come il marmo di Verona e la pietra d’Istria che caratterizzano il manufatto.
Si tratta di uno fra i primissimi portici in muratura. Gli autori del progetto potrebbero essere stati gli stessi Antonio di Vincenzo e Andrea Manfredi da Faenza che erano al lavoro nel cantiere della contigua chiesa, il primo, autore anche del progetto per San Petronio, il secondo, committente partecipe.
Da rilevare è anche la larghezza del portico, la più rilevante di Bologna, con i suoi quasi 6 metri.
Studi approfonditi hanno riconosciuto nel dimensionamento di questi spazi il ricorso alla sezione aurea che genera l’inconfondibile sensazione di equilibrio e proporzione.
Nasce con questo portico la caratteristica conformazione della colonna interrotta al centro da un anello modanato: la motivazione risiede nella necessità di collegare e rafforzare il giunto fra due segmenti di piedritto. Ritroveremo lo stilema in numerosi altri portici cittadini.
Il segmento costruito viene poi proseguito in tempi successivi conformemente allo stile originario.
Il quadriportico di fronte alla facciata è il frutto dell’abbattimento di una chiesa che lambiva l’attuale via Guerrazzi, San Tommaso. Giuseppe Modonesi e Enrico Brunetti Rodati ne sono gli autori fra il 1852 e il 1857.
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vista della lunga e curva  facciata dell'edificio

Treno della Barca

L’alta qualità della composizione e l’attenzione per il dettaglio, anche in un contesto ‘popolare’, hanno indotto l’amministrazione ad inserire questo lungo edificio fuori dal centro cittadino nella lista dei portici inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale.
Il quartiere Barca è stato progettato da un gruppo di professionisti coordinato da Giuseppe Vaccaro, architetto di origine bolognese, già autore dell’edificio della Facoltà di Ingegneria e diversi altri interventi in città. La costruzione di quello che si configura probabilmente come il più ampio insediamento nel territorio comunale, inizia nel 1957 e si protrae per più fasi, dal 1962 fino a metà degli anni Ottanta. Vaccaro è responsabile anche della progettazione del “Treno", curvo fabbricato in linea, lungo 553 m, con portico a piano terra e due piani a destinazione residenziale. Il “Treno”, che prende il nome dalla sua tipica conformazione, è stato pensato per essere l’elemento portante e centrale del quartiere; su di esso sono stati proiettati significati identitari forti, legati all’essenza del genius loci bolognese ed esplicitati in gran parte nella realizzazione del portico alla base dell’edificio.
La particolare conformazione di tale portico prevede blocchi posti a distanze regolari in cui vengono inseriti i locali commerciali e gli accessi agli appartamenti ai due piani superiori. La volontà di movimentare un fronte che, data l’estensione, sarebbe altrimenti apparso eccessivamente uniforme, si concretizza nel forte aggetto della copertura, mentre il corpo intermedio presenta una fitta trama di aperture ingentilite da persiane scorrevoli.
L’edificio è stato recentemente oggetto di una accurata opera di riqualificazione energetica che non ha alterato le proporzioni e le caratteristiche originarie.


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vista della lunga e curva  facciata dell'edificio

Treno della Barca

L’alta qualità della composizione e l’attenzione per il dettaglio, anche in un contesto ‘popolare’, hanno indotto l’amministrazione ad inserire questo lungo edificio fuori dal centro cittadino nella lista dei portici inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale.
Il quartiere Barca è stato progettato da un gruppo di professionisti coordinato da Giuseppe Vaccaro, architetto di origine bolognese, già autore dell’edificio della Facoltà di Ingegneria e diversi altri interventi in città. La costruzione di quello che si configura probabilmente come il più ampio insediamento nel territorio comunale, inizia nel 1957 e si protrae per più fasi, dal 1962 fino a metà degli anni Ottanta. Vaccaro è responsabile anche della progettazione del “Treno", curvo fabbricato in linea, lungo 553 m, con portico a piano terra e due piani a destinazione residenziale. Il “Treno”, che prende il nome dalla sua tipica conformazione, è stato pensato per essere l’elemento portante e centrale del quartiere; su di esso sono stati proiettati significati identitari forti, legati all’essenza del genius loci bolognese ed esplicitati in gran parte nella realizzazione del portico alla base dell’edificio.
La particolare conformazione di tale portico prevede blocchi posti a distanze regolari in cui vengono inseriti i locali commerciali e gli accessi agli appartamenti ai due piani superiori. La volontà di movimentare un fronte che, data l’estensione, sarebbe altrimenti apparso eccessivamente uniforme, si concretizza nel forte aggetto della copertura, mentre il corpo intermedio presenta una fitta trama di aperture ingentilite da persiane scorrevoli.
L’edificio è stato recentemente oggetto di una accurata opera di riqualificazione energetica che non ha alterato le proporzioni e le caratteristiche originarie.


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vista di un monumento funebre

Cimitero monumentale della Certosa

È il cimitero storico monumentale di Bologna, fondato nel 1801 riutilizzando le grandiose strutture del convento certosino edificato nel 1334.
Del complesso monastico si è conservata integralmente la chiesa di San Girolamo, scrigno della pittura bolognese del '600. La complessa articolazione architettonica ricrea l'idea di città e nei portici, loggiati e sale è conservato il più vasto repertorio di scultura neoclassica in Italia che include anche le tombe dipinte, un unicum europeo. Nell'arco di due secoli più di 200 artisti (architetti, pittori, scultori) hanno operato nel cimitero cittadino, contribuendo a dargli quel fascino unico decantato da tutti i visitatori stranieri, tra cui Byron e Dickens.



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Fontane

@Giorgio Bianchi

Fontana del Nettuno

La fontana sorge su una piazza realizzata appositamente nel 1564. A Tommaso Laureti si devono i lavori idraulici e architettonici mentre la realizzazione del 'Gigante', fra il 1563 e il 1567, è opera di Jean de Boulogne, conosciuto come Giambologna.
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@Giorgio Bianchi

Fontana del Nettuno

La fontana sorge su una piazza realizzata appositamente nel 1564. A Tommaso Laureti si devono i lavori idraulici e architettonici mentre la realizzazione del 'Gigante', fra il 1563 e il 1567, è opera di Jean de Boulogne, conosciuto come Giambologna.
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Chiese

facciata della basilica di santo stefano

Basilica di Santo Stefano

Si tratta del più importante esempio di architettura sacra romanica a Bologna.
Si compone di un aggregato di luoghi sacri aperti e chiusi, per tradizione denominato le ‘Sette Chiese’. Si entra dalla chiesa del Crocifisso (un tempo aula e presbiterio rialzato costituivano due chiese diverse), sotto cui si pone la relativa cripta, detta della Confessione. Per un varco a sinistra dell’aula principale, si passa al Santo Sepolcro ottagonale e alla sobria chiesa dei Santi Vitale e Agricola. Nella parte retrostante verso est, oltre il Santo Sepolcro, vi è il cortile di Pilato che dà accesso alla chiesa della Trinità; accanto si trova il chiostro a due ordini che disimpegna il convento posto nell’estremità sud al confine con la via Santo Stefano.
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facciata della basilica di santo stefano

Basilica di Santo Stefano

Si tratta del più importante esempio di architettura sacra romanica a Bologna.
Si compone di un aggregato di luoghi sacri aperti e chiusi, per tradizione denominato le ‘Sette Chiese’. Si entra dalla chiesa del Crocifisso (un tempo aula e presbiterio rialzato costituivano due chiese diverse), sotto cui si pone la relativa cripta, detta della Confessione. Per un varco a sinistra dell’aula principale, si passa al Santo Sepolcro ottagonale e alla sobria chiesa dei Santi Vitale e Agricola. Nella parte retrostante verso est, oltre il Santo Sepolcro, vi è il cortile di Pilato che dà accesso alla chiesa della Trinità; accanto si trova il chiostro a due ordini che disimpegna il convento posto nell’estremità sud al confine con la via Santo Stefano.
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dettaglio della facciata della chiesa

Basilica di Santa Maria Maggiore

L’importante basilica, dalle origini antichissime, si inserisce col suo nartece nella cortina porticata della strada di Galliera. Gli esordi nel VI secolo e le trasformazioni romaniche avevano impostato un edificio orientato, come da tradizione cristiana, verso est. Tale orientamento viene invertito in epoca bentivolesca, stando ad alcuni recenti ritrovamenti documentali, o più tardi come riporta la storiografia, con le trasformazioni dovute a Paolo Canali nel 1665. In tutti i casi, la facciata si presenta impostata su un portico sormontato da un corpo inizialmente adibito a canonica, aumentato di un ulteriore livello nel Seicento e coronato da un frontone triangolare nel 1956 ad opera dell’ingegnere Giuseppe Coccolini.
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dettaglio della facciata della chiesa

Basilica di Santa Maria Maggiore

L’importante basilica, dalle origini antichissime, si inserisce col suo nartece nella cortina porticata della strada di Galliera. Gli esordi nel VI secolo e le trasformazioni romaniche avevano impostato un edificio orientato, come da tradizione cristiana, verso est. Tale orientamento viene invertito in epoca bentivolesca, stando ad alcuni recenti ritrovamenti documentali, o più tardi come riporta la storiografia, con le trasformazioni dovute a Paolo Canali nel 1665. In tutti i casi, la facciata si presenta impostata su un portico sormontato da un corpo inizialmente adibito a canonica, aumentato di un ulteriore livello nel Seicento e coronato da un frontone triangolare nel 1956 ad opera dell’ingegnere Giuseppe Coccolini.
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front of the church

Santuario del Baraccano

Il Santuario di Santa Maria del Baraccano, si deve a Giovanni I Bentivoglio. E’ una delle numerose cappelle costruite a ridosso delle mura cittadine, in questo caso per mettere al riparo un’immagine della Madonna col Bambino che si considerava miracolosa.
Nel 1524 alla costruzione originale viene aggiunto un portico.
Nel 1682 Agostino Barelli è incaricato di costruire la cupola.
L’interno, a causa della singolare conformazione della pianta, non prevede un abside, ma è adornato di preziosi affreschi di Francesco del Cossa e di Prospero e Lavinia Fontana.
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front of the church

Santuario del Baraccano

Il Santuario di Santa Maria del Baraccano, si deve a Giovanni I Bentivoglio. E’ una delle numerose cappelle costruite a ridosso delle mura cittadine, in questo caso per mettere al riparo un’immagine della Madonna col Bambino che si considerava miracolosa.
Nel 1524 alla costruzione originale viene aggiunto un portico.
Nel 1682 Agostino Barelli è incaricato di costruire la cupola.
L’interno, a causa della singolare conformazione della pianta, non prevede un abside, ma è adornato di preziosi affreschi di Francesco del Cossa e di Prospero e Lavinia Fontana.
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facciata della basilica di san petronio presa da palazzo del podestà

Basilica di San Petronio

Il 7 giugno del 1390 è posta la prima pietra della grande chiesa che il Comune di Bologna decide di dedicare al vescovo Petronio, vissuto nel V secolo, figura cruciale per la spiritualità ma anche fondativa dell’identità del popolo bolognese. Viene incaricato della costruzione l’architetto Antonio di Vincenzo, già attivo anche a Palazzo della Mercanzia, ai Servi e altrove in città, insieme ad Andrea da Faenza.
L’edificio insiste su un’area vasta nella quale vi erano in precedenza case, torri e chiese, il cui ricordo è fissato nella denominazione di alcune cappelle della Basilica.
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veduta panoramica del santuario della beata vergine di san luca

Beata Vergine di San Luca Basilica e Santuario

Al termine del lungo percorso porticato si giunge finalmente al Santuario. Contrariamente all’analoga Basilica di Superga, a cui paesaggisticamente l’edificio bolognese è stato appaiato, esso non presenta una facciata tradizionale, ma il portico medesimo, davanti all’ingresso, allunga i suoi bracci nell’ampio piazzale antistante con una curva sinuosa conclusa ai due vertici da altrettante edicole simili all’Arco Bonaccorsi da cui tutto è iniziato.
L’autore del progetto è Carlo Francesco Dotti che erige la Basilica a partire dal 1723 su un precedente impianto quattrocentesco, ma la costruzione procede a lungo fino al 1743 e le edicole esterne sono opera del figlio Gian Giacomo che le termina nel 1774 seguendo i disegni paterni.
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Piazze

VISTA DELLA PIAZZA VERSO SAN PETRONIO

Piazza Galvani

La piazza viene aperta da papa Pio IV in concomitanza con la costruzione del portico e dell’edificio dell’Archiginnasio nel 1563. In questo sito si teneva già la fiera dei bozzoli da seta da cui il nome di piazza del Pavaglione che deriverebbe da padiglione, alludendo ai ripari sotto cui si teneva tale manifestazione.
Nel 1801, per festeggiare la pace di Lunéville fra Francia e Austria, stati che si contendevano il governo dei territori emiliani, il sito viene denominato piazza della Pace ma il toponimo non attecchisce.
Nel 1871 la piazza viene dedicata allo scienziato Luigi Galvani, raffigurato nella statua che domina il luogo, opera dello scultore Adalberto Cencetti (1879).
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VISTA DELLA PIAZZA VERSO SAN PETRONIO

Piazza Galvani

La piazza viene aperta da papa Pio IV in concomitanza con la costruzione del portico e dell’edificio dell’Archiginnasio nel 1563. In questo sito si teneva già la fiera dei bozzoli da seta da cui il nome di piazza del Pavaglione che deriverebbe da padiglione, alludendo ai ripari sotto cui si teneva tale manifestazione.
Nel 1801, per festeggiare la pace di Lunéville fra Francia e Austria, stati che si contendevano il governo dei territori emiliani, il sito viene denominato piazza della Pace ma il toponimo non attecchisce.
Nel 1871 la piazza viene dedicata allo scienziato Luigi Galvani, raffigurato nella statua che domina il luogo, opera dello scultore Adalberto Cencetti (1879).
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@mbb

Piazza Santo Stefano

Piazza Santo Stefano non esiste. Quella che tutti chiamano piazza, in verità è uno slargo, un’apertura della via che traguarda la facciata dell’omonima chiesa, tradizionalmente composta da un aggregato di spazi liturgici detto dai bolognesi “Sette Chiese”.
Questo spazio ha, dunque, una originale forma a ‘imbuto’ e connette punti ad altezze diverse colmando il dislivello fra il centro più basso, l’ingresso della chiesa ancora più in basso e i lati porticati posti più in alto. Nel 1934 si pensa di mettere ordine a tali differenze di altezze: il sagrato viene isolato in una zona ribassata attorno a cui è costruito uno zoccolo che porta il piano di calpestio al livello del punto più alto. In tal modo la piazza diventa carrabile tutto intorno alla chiesa e così resta fino agli anni 80 del Novecento. Dino Gavina, imprenditore illuminato, nel 1989 convince l’Amministrazione a coinvolgere Luigi Caccia Dominioni. Il progetto dell’architetto milanese prevede di ripristinare l’andamento a catino della piazza attraversata da ‘guidane’ ovvero percorsi pedonali ritagliati su una pavimentazione diversa da quella poi effettivamente realizzata.
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@mbb

Piazza Santo Stefano

Piazza Santo Stefano non esiste. Quella che tutti chiamano piazza, in verità è uno slargo, un’apertura della via che traguarda la facciata dell’omonima chiesa, tradizionalmente composta da un aggregato di spazi liturgici detto dai bolognesi “Sette Chiese”.
Questo spazio ha, dunque, una originale forma a ‘imbuto’ e connette punti ad altezze diverse colmando il dislivello fra il centro più basso, l’ingresso della chiesa ancora più in basso e i lati porticati posti più in alto. Nel 1934 si pensa di mettere ordine a tali differenze di altezze: il sagrato viene isolato in una zona ribassata attorno a cui è costruito uno zoccolo che porta il piano di calpestio al livello del punto più alto. In tal modo la piazza diventa carrabile tutto intorno alla chiesa e così resta fino agli anni 80 del Novecento. Dino Gavina, imprenditore illuminato, nel 1989 convince l’Amministrazione a coinvolgere Luigi Caccia Dominioni. Il progetto dell’architetto milanese prevede di ripristinare l’andamento a catino della piazza attraversata da ‘guidane’ ovvero percorsi pedonali ritagliati su una pavimentazione diversa da quella poi effettivamente realizzata.
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vista di piazza maggiore verso san petronio e portico dei banchi

Piazza Maggiore

E’ il cuore di Bologna. E’ la Platea communis, la piazza del Comune aperta nel 1200 per ospitare le funzioni di governo della città, racchiuse nei palazzi Comunale, del Podestà e dei Notai. Ad essi, dal 1390, si aggiunge la grande Basilica di San Petronio, tempio civico voluto dai cittadini, e la quinta scenografica del Palazzo dei Banchi dietro cui si estende la densa area del Mercato di Mezzo.
Al centro un’area rialzata detta Crescentone ha accolto da sempre il mercato, poi dall’Ottocento in avanti la statua di Vittorio Emanuele, oggi ai Giardini Margherita, le jeep degli alleati che liberano Bologna il 21 aprile 1945 e tante auto finché non si decide di renderla pedonale. Da molti anni d’estate si riempie di appassionati di cinema che con gli occhi fissi su uno schermo grande quanto un palazzo animano l’ appuntamento ormai a gittata internazionale organizzato dalla Cineteca Comunale.
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vista di piazza maggiore verso san petronio e portico dei banchi

Piazza Maggiore

E’ il cuore di Bologna. E’ la Platea communis, la piazza del Comune aperta nel 1200 per ospitare le funzioni di governo della città, racchiuse nei palazzi Comunale, del Podestà e dei Notai. Ad essi, dal 1390, si aggiunge la grande Basilica di San Petronio, tempio civico voluto dai cittadini, e la quinta scenografica del Palazzo dei Banchi dietro cui si estende la densa area del Mercato di Mezzo.
Al centro un’area rialzata detta Crescentone ha accolto da sempre il mercato, poi dall’Ottocento in avanti la statua di Vittorio Emanuele, oggi ai Giardini Margherita, le jeep degli alleati che liberano Bologna il 21 aprile 1945 e tante auto finché non si decide di renderla pedonale. Da molti anni d’estate si riempie di appassionati di cinema che con gli occhi fissi su uno schermo grande quanto un palazzo animano l’ appuntamento ormai a gittata internazionale organizzato dalla Cineteca Comunale.
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vista della piazza cavour

Piazza Cavour

E’ parte integrante della componente che si connota per una marcata identità postunitaria e deve il suo nome alla morte dello statista Camillo Benso concomitante con la progettazione della piazza.
Dal suo sorgere considerata il salotto buono della città, la piazza è frutto di trasformazioni che si consolidano fra il 1859 e il 1866, sotto l’egida del primo Ufficio tecnico di Bologna nell’Italia unita, guidato dall’ingegnere Coriolano Monti.
La genesi rimonta in verità agli ultimi momenti della gestione pontificia e alle mire di grandeur del conte Grabinski, proprietario del Palazzo Ruini Ranuzzi desideroso di ampliare la strada di accesso alla sua proprietà e collegarla al nucleo pulsante del centro storico. Le difficoltà incontrate una volta insediatosi il Monti lo spingono a velocizzare il processo, cominciando nottetempo l’atterramento di uno degli edifici che ostruivano l’avvio della nuova strada. A quel punto i due edifici al centro del dibattito sono definitivamente sacrificati con grande danno per le memorie cittadine. Infatti, all’interno di uno dei due, la casa Benati, vi era un notevole ciclo di affreschi di Lodovico Carracci che viene staccato in gran velocità ma di cui ora si sono per lo più perse le tracce: solo un riquadro oggi è visibile nella sala Reference della Biblioteca dell’Archiginnasio.
Nel nuovo slargo che si costituisce, dal 1861 cominciano a prendere forma gli edifici che tutt'oggi lo circondano: da est Palazzo Guidotti (già esistente ma rifilato per regolarizzarne la facciata), le palazzine Bottrigari, Palazzo Silvani sul fronte sud, il Palazzo della Banca d’Italia a ovest e, a nord, l’edificio che poi nel 1927 diverrà il Banco di Napoli.
Infatti, insieme alla non distante Cassa di Risparmio, questo comparto urbano si caratterizza proprio per la presenza di numerosi istituti bancari, destinazione che ne ha connotato nel tempo il tono di decoro e di sobria monumentalità.

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vista della piazza cavour

Piazza Cavour

E’ parte integrante della componente che si connota per una marcata identità postunitaria e deve il suo nome alla morte dello statista Camillo Benso concomitante con la progettazione della piazza.
Dal suo sorgere considerata il salotto buono della città, la piazza è frutto di trasformazioni che si consolidano fra il 1859 e il 1866, sotto l’egida del primo Ufficio tecnico di Bologna nell’Italia unita, guidato dall’ingegnere Coriolano Monti.
La genesi rimonta in verità agli ultimi momenti della gestione pontificia e alle mire di grandeur del conte Grabinski, proprietario del Palazzo Ruini Ranuzzi desideroso di ampliare la strada di accesso alla sua proprietà e collegarla al nucleo pulsante del centro storico. Le difficoltà incontrate una volta insediatosi il Monti lo spingono a velocizzare il processo, cominciando nottetempo l’atterramento di uno degli edifici che ostruivano l’avvio della nuova strada. A quel punto i due edifici al centro del dibattito sono definitivamente sacrificati con grande danno per le memorie cittadine. Infatti, all’interno di uno dei due, la casa Benati, vi era un notevole ciclo di affreschi di Lodovico Carracci che viene staccato in gran velocità ma di cui ora si sono per lo più perse le tracce: solo un riquadro oggi è visibile nella sala Reference della Biblioteca dell’Archiginnasio.
Nel nuovo slargo che si costituisce, dal 1861 cominciano a prendere forma gli edifici che tutt'oggi lo circondano: da est Palazzo Guidotti (già esistente ma rifilato per regolarizzarne la facciata), le palazzine Bottrigari, Palazzo Silvani sul fronte sud, il Palazzo della Banca d’Italia a ovest e, a nord, l’edificio che poi nel 1927 diverrà il Banco di Napoli.
Infatti, insieme alla non distante Cassa di Risparmio, questo comparto urbano si caratterizza proprio per la presenza di numerosi istituti bancari, destinazione che ne ha connotato nel tempo il tono di decoro e di sobria monumentalità.

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vista di piazza minghetti

Piazza Minghetti

La zona fra le piazze Minghetti e Cavour diventa strategica nell’ottica di un rinnovo urbano post-unitario che le destina ad accogliere le sedi locali e nazionali di istituzioni all’epoca cruciali, come gli edifici prestigiosi della Banca d’Italia, della Cassa di Risparmio e delle Poste.
La piazza Minghetti, in specifico, viene ricavata dalla demolizione, effettuata nel 1893, di un intero isolato. Tale svuotamento si era reso necessario anche per inserire adeguatamente il Palazzo della Cassa di Risparmio di Bologna che Giuseppe Mengoni, l’architetto della Galleria Vittorio Emanuele a Milano, erige fra il 1868 e il 1877. La piazza è inaugurata nel 1896 e dedicata allo statista Marco Minghetti. 
Il lato verso nord, in un primo momento, viene assegnato alla costruzione del Museo di Mineralogia dell’Università, tuttavia, data la posizione strategica, si decide in seguito di destinarlo ad un solenne edificio per le Poste la cui progettazione inizia nel 1903. L’ingegnere Emilio Saffi (1861-1930), incaricato dell’opera, la porterà a termine per l’inaugurazione avvenuta nel 1911.
L’edificio è stato concepito in uno stile eclettico tardo rinascimentale, come spesso avviene all’epoca per le sedi istituzionali.

Foto Bologna Welcome@Wildlab
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piazza verdi vista da sud con palazzo paleotti sullo sfondo

Piazza Verdi

Il toponimo Piazza Verdi è relativamente recente, risale infatti al 1951.
Lo spazio nasce come slargo antistante la Domus Magna dei Bentivoglio, lo sfarzoso palazzo costruito a partire dal 1460. Giovanni II Bentivoglio (1443-1508) è responsabile della realizzazione di una piazza dove il portico diventa elemento ordinatore che connota uno spazio urbano decoroso e di prestigio.
Degli assetti bentivoleschi, attualmente rimane leggibile solo l’edificio relativo alle Scuderie dei Bentivoglio adibito a bar.
Nel 1586 i Padri Agostiniani di San Giacomo chiedono di poter costruire un portico a ridosso della parete nord-est della chiesa di Santa Cecilia, ai tempi parrocchia, in modo da completare l’assetto porticato della Piazza da cui rimane escluso solo il lato di palazzo Paleotti, essendo Palazzo Bentivoglio anch’esso porticato. Nel 1906, lavori coordinati da Alfonso Rubbiani, al fine di riportare alla luce un tratto delle mura dei Torresotti, demoliscono il portico contiguo a Santa Cecilia.
Dopo la distruzione e spoliazione del Palazzo dei Bentivoglio (1506-1507) sul suo sedime chiamato dai bolognesi ‘Guasto’, non viene costruito più nulla fino alla decisione di ergervi, nella parte verso strada San Donato, l'attuale via Zamboni, il Teatro Comunale, la cui edificazione risale al 1756.
Nel 1977 la piazza viene arricchita da tre elementi cilindrici opera di Arnaldo Pomodoro ben presto coperti da graffiti e manifesti, motivo per cui sono spostati presso l’allora Galleria d’Arte Moderna presso il Fiera District e recentemente ricollocati nell’area del Cavaticcio.
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