Mappe
Palazzi
Il Falansterio di via Saragozza
La strada di Saragozza versa, a metà ‘800, in condizioni indecorose tenendo conto che è lo sfondo scenografico per i periodici transiti dell’immagine della Madonna di San Luca.
All’indomani dell’Unità d’Italia, il tecnico comunale Coriolano Monti si occupa della rettifica della strada proponendo la costruzione di imponenti corpi di fabbrica regolari destinati ad abitazioni per classi popolari che, al piano terra, continuano il profilo porticato dell’edilizia preesistente inglobando due spazi sacri, la chiesa di Santa Sofia dei Domenichini e quella dell’Ascensione, detta dei Trentatré. Nella soluzione stilistica di questi nuovi interventi Monti reinterpreta in modo più spoglio, adeguandolo al tono dei destinatari, il lessico neo-cinquecentista adottato in altre soluzioni in zone più borghesi della città (Palazzo Vignoli, Palazzina di Santa Tecla in via Farini).
All’indomani dell’Unità d’Italia, il tecnico comunale Coriolano Monti si occupa della rettifica della strada proponendo la costruzione di imponenti corpi di fabbrica regolari destinati ad abitazioni per classi popolari che, al piano terra, continuano il profilo porticato dell’edilizia preesistente inglobando due spazi sacri, la chiesa di Santa Sofia dei Domenichini e quella dell’Ascensione, detta dei Trentatré. Nella soluzione stilistica di questi nuovi interventi Monti reinterpreta in modo più spoglio, adeguandolo al tono dei destinatari, il lessico neo-cinquecentista adottato in altre soluzioni in zone più borghesi della città (Palazzo Vignoli, Palazzina di Santa Tecla in via Farini).
Scopri di più
Il Falansterio di via Saragozza
La strada di Saragozza versa, a metà ‘800, in condizioni indecorose tenendo conto che è lo sfondo scenografico per i periodici transiti dell’immagine della Madonna di San Luca.
All’indomani dell’Unità d’Italia, il tecnico comunale Coriolano Monti si occupa della rettifica della strada proponendo la costruzione di imponenti corpi di fabbrica regolari destinati ad abitazioni per classi popolari che, al piano terra, continuano il profilo porticato dell’edilizia preesistente inglobando due spazi sacri, la chiesa di Santa Sofia dei Domenichini e quella dell’Ascensione, detta dei Trentatré. Nella soluzione stilistica di questi nuovi interventi Monti reinterpreta in modo più spoglio, adeguandolo al tono dei destinatari, il lessico neo-cinquecentista adottato in altre soluzioni in zone più borghesi della città (Palazzo Vignoli, Palazzina di Santa Tecla in via Farini).
All’indomani dell’Unità d’Italia, il tecnico comunale Coriolano Monti si occupa della rettifica della strada proponendo la costruzione di imponenti corpi di fabbrica regolari destinati ad abitazioni per classi popolari che, al piano terra, continuano il profilo porticato dell’edilizia preesistente inglobando due spazi sacri, la chiesa di Santa Sofia dei Domenichini e quella dell’Ascensione, detta dei Trentatré. Nella soluzione stilistica di questi nuovi interventi Monti reinterpreta in modo più spoglio, adeguandolo al tono dei destinatari, il lessico neo-cinquecentista adottato in altre soluzioni in zone più borghesi della città (Palazzo Vignoli, Palazzina di Santa Tecla in via Farini).
Scopri di più
Case Beccadelli Bovi
Anticamente appartenuto alla famiglia dei Beccadelli, poi passato ai Bovio o Bovi, l’edificio al n. 17 è adorno di un portico con un prezioso trattamento a colonne tortili, risalente alla metà del XV secolo che richiama i modi di Fieravante Fieravanti, autore della facciata dell’attuale Palazzo Comunale. E’ anche uno dei pochi esempi rimasti di ‘murelli’, ovvero piccoli muri bassi da cui sorgono le colonne, utili, oltre che come sedili, anche come presidio dalla sporcizia della strada.
L’edificio a fianco (n. 15), divenuto dei Bovio ormai nel 1796, si distingue per un’anomala conformazione del fronte porticato. Considerata ‘di barbaro stile’ dallo storico bolognese Guidicini, la facciata ricorda un arco trionfale su cui poggiano le finestre del piano nobile.
Se il grande storico dell’architettura Bruno Zevi l’attribuisce a Biagio Rossetti (morto nel 1516), recentemente si è preferito spostare la datazione di questo anomalo fronte ad un periodo successivo agli anni venti del 1500, viste le assonanze con altri edifici bolognesi appartenenti al medesimo periodo.
L’edificio a fianco (n. 15), divenuto dei Bovio ormai nel 1796, si distingue per un’anomala conformazione del fronte porticato. Considerata ‘di barbaro stile’ dallo storico bolognese Guidicini, la facciata ricorda un arco trionfale su cui poggiano le finestre del piano nobile.
Se il grande storico dell’architettura Bruno Zevi l’attribuisce a Biagio Rossetti (morto nel 1516), recentemente si è preferito spostare la datazione di questo anomalo fronte ad un periodo successivo agli anni venti del 1500, viste le assonanze con altri edifici bolognesi appartenenti al medesimo periodo.
Scopri di più
Case Beccadelli Bovi
Anticamente appartenuto alla famiglia dei Beccadelli, poi passato ai Bovio o Bovi, l’edificio al n. 17 è adorno di un portico con un prezioso trattamento a colonne tortili, risalente alla metà del XV secolo che richiama i modi di Fieravante Fieravanti, autore della facciata dell’attuale Palazzo Comunale. E’ anche uno dei pochi esempi rimasti di ‘murelli’, ovvero piccoli muri bassi da cui sorgono le colonne, utili, oltre che come sedili, anche come presidio dalla sporcizia della strada.
L’edificio a fianco (n. 15), divenuto dei Bovio ormai nel 1796, si distingue per un’anomala conformazione del fronte porticato. Considerata ‘di barbaro stile’ dallo storico bolognese Guidicini, la facciata ricorda un arco trionfale su cui poggiano le finestre del piano nobile.
Se il grande storico dell’architettura Bruno Zevi l’attribuisce a Biagio Rossetti (morto nel 1516), recentemente si è preferito spostare la datazione di questo anomalo fronte ad un periodo successivo agli anni venti del 1500, viste le assonanze con altri edifici bolognesi appartenenti al medesimo periodo.
L’edificio a fianco (n. 15), divenuto dei Bovio ormai nel 1796, si distingue per un’anomala conformazione del fronte porticato. Considerata ‘di barbaro stile’ dallo storico bolognese Guidicini, la facciata ricorda un arco trionfale su cui poggiano le finestre del piano nobile.
Se il grande storico dell’architettura Bruno Zevi l’attribuisce a Biagio Rossetti (morto nel 1516), recentemente si è preferito spostare la datazione di questo anomalo fronte ad un periodo successivo agli anni venti del 1500, viste le assonanze con altri edifici bolognesi appartenenti al medesimo periodo.
Scopri di più
Palazzo Lupari Isolani
Il nucleo originario, già proprietà della famiglia Fiessi e poi Lupari, viene ereditato dagli Isolani nel 1701 e dal 1708 diviene oggetto di una sostanziale trasformazione su progetto di Giuseppe Antonio Torri. Nel 1778, tuttavia, viene abitato solo il piano nobile e il complesso delle opere previste, che avrebbero coinvolto i due fabbricati vicini, non viene messo in opera.
“Il prospetto è caratteristico di un modo di progettare che ancora in piena età barocca, non abbandona forme tipiche del Cinquecento: il portico è sostenuto da pilastri quadrangolari in mattoni rivestiti di intonaco che simula un bugnato lapideo; al posto delle basi e dei capitelli sono inseriti semplici blocchi quadrangolari che danno a tutta l’architettura un carattere rustico e severo”
(D. Pascale Guidotti Magnani, Il portico bolognese, p. 121)
“Il prospetto è caratteristico di un modo di progettare che ancora in piena età barocca, non abbandona forme tipiche del Cinquecento: il portico è sostenuto da pilastri quadrangolari in mattoni rivestiti di intonaco che simula un bugnato lapideo; al posto delle basi e dei capitelli sono inseriti semplici blocchi quadrangolari che danno a tutta l’architettura un carattere rustico e severo”
(D. Pascale Guidotti Magnani, Il portico bolognese, p. 121)
Scopri di più
Palazzo Lupari Isolani
Il nucleo originario, già proprietà della famiglia Fiessi e poi Lupari, viene ereditato dagli Isolani nel 1701 e dal 1708 diviene oggetto di una sostanziale trasformazione su progetto di Giuseppe Antonio Torri. Nel 1778, tuttavia, viene abitato solo il piano nobile e il complesso delle opere previste, che avrebbero coinvolto i due fabbricati vicini, non viene messo in opera.
“Il prospetto è caratteristico di un modo di progettare che ancora in piena età barocca, non abbandona forme tipiche del Cinquecento: il portico è sostenuto da pilastri quadrangolari in mattoni rivestiti di intonaco che simula un bugnato lapideo; al posto delle basi e dei capitelli sono inseriti semplici blocchi quadrangolari che danno a tutta l’architettura un carattere rustico e severo”
(D. Pascale Guidotti Magnani, Il portico bolognese, p. 121)
“Il prospetto è caratteristico di un modo di progettare che ancora in piena età barocca, non abbandona forme tipiche del Cinquecento: il portico è sostenuto da pilastri quadrangolari in mattoni rivestiti di intonaco che simula un bugnato lapideo; al posto delle basi e dei capitelli sono inseriti semplici blocchi quadrangolari che danno a tutta l’architettura un carattere rustico e severo”
(D. Pascale Guidotti Magnani, Il portico bolognese, p. 121)
Scopri di più
Casa Calzolari
Via Galliera 12
Le prime attestazioni documentarie dell’edificio lo ascrivono alla famiglia Preti che dà il nome al vicolo fra questo e la chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’edificazione deve essere stata, in origine, condizionata, a ovest, nelle sue dimensioni dalla presenza del cimitero di pertinenza della chiesa, sulla cui area oggi insiste il giardino annesso alla proprietà.
Passato ai Fibbia e, all’estinzione di questa famiglia, ai Fabri e poi ancora ai Pallavicini, l’edificio viene a metà Settecento collegato con la vicina chiesa tramite un passaggio coperto che consente alla famiglia di partecipare alle funzioni liturgiche senza mescolarsi con i fedeli.
Lo stato attuale del palazzo si deve all’intervento dell’ingegnere ‘multiforme’ Antonio Zannoni, databile fra il 1874 e il 1876.
Per lo stile della facciata, confinante con il quattrocentesco Palazzo Fibbia, l’ingegnere si rifa ad un linguaggio decisamente eclettico ispirato al tardo quattrocento bolognese.
Le prime attestazioni documentarie dell’edificio lo ascrivono alla famiglia Preti che dà il nome al vicolo fra questo e la chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’edificazione deve essere stata, in origine, condizionata, a ovest, nelle sue dimensioni dalla presenza del cimitero di pertinenza della chiesa, sulla cui area oggi insiste il giardino annesso alla proprietà.
Passato ai Fibbia e, all’estinzione di questa famiglia, ai Fabri e poi ancora ai Pallavicini, l’edificio viene a metà Settecento collegato con la vicina chiesa tramite un passaggio coperto che consente alla famiglia di partecipare alle funzioni liturgiche senza mescolarsi con i fedeli.
Lo stato attuale del palazzo si deve all’intervento dell’ingegnere ‘multiforme’ Antonio Zannoni, databile fra il 1874 e il 1876.
Per lo stile della facciata, confinante con il quattrocentesco Palazzo Fibbia, l’ingegnere si rifa ad un linguaggio decisamente eclettico ispirato al tardo quattrocento bolognese.
Scopri di più
Casa Calzolari
Via Galliera 12
Le prime attestazioni documentarie dell’edificio lo ascrivono alla famiglia Preti che dà il nome al vicolo fra questo e la chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’edificazione deve essere stata, in origine, condizionata, a ovest, nelle sue dimensioni dalla presenza del cimitero di pertinenza della chiesa, sulla cui area oggi insiste il giardino annesso alla proprietà.
Passato ai Fibbia e, all’estinzione di questa famiglia, ai Fabri e poi ancora ai Pallavicini, l’edificio viene a metà Settecento collegato con la vicina chiesa tramite un passaggio coperto che consente alla famiglia di partecipare alle funzioni liturgiche senza mescolarsi con i fedeli.
Lo stato attuale del palazzo si deve all’intervento dell’ingegnere ‘multiforme’ Antonio Zannoni, databile fra il 1874 e il 1876.
Per lo stile della facciata, confinante con il quattrocentesco Palazzo Fibbia, l’ingegnere si rifa ad un linguaggio decisamente eclettico ispirato al tardo quattrocento bolognese.
Le prime attestazioni documentarie dell’edificio lo ascrivono alla famiglia Preti che dà il nome al vicolo fra questo e la chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’edificazione deve essere stata, in origine, condizionata, a ovest, nelle sue dimensioni dalla presenza del cimitero di pertinenza della chiesa, sulla cui area oggi insiste il giardino annesso alla proprietà.
Passato ai Fibbia e, all’estinzione di questa famiglia, ai Fabri e poi ancora ai Pallavicini, l’edificio viene a metà Settecento collegato con la vicina chiesa tramite un passaggio coperto che consente alla famiglia di partecipare alle funzioni liturgiche senza mescolarsi con i fedeli.
Lo stato attuale del palazzo si deve all’intervento dell’ingegnere ‘multiforme’ Antonio Zannoni, databile fra il 1874 e il 1876.
Per lo stile della facciata, confinante con il quattrocentesco Palazzo Fibbia, l’ingegnere si rifa ad un linguaggio decisamente eclettico ispirato al tardo quattrocento bolognese.
Scopri di più
Il portico e il palazzo dell'Archiginnasio
Il lungo portico che oggi collega l’attuale via Farini con il palazzo vignolesco dei Banchi esiste già nel Quattrocento, voluto dalla Fabbriceria di San Petronio per ospitare le botteghe di librai e miniatori e, al primo piano, grandi aule per le lezioni dello Studium. A questa prima costruzione porticata se ne affianca, verso nord, un’altra, entrambe uniformate da Antonio Morandi detto il Terribilia fra il 1562 e il 1563. Il portico nella sua struttura rimane il medesimo, mentre gli originari sostegni di cotto vengono sostituiti da colonne in arenaria.
Da qui si accede alla antica sede dello Studio, oggi Biblioteca dell’Archiginnasio, attraverso un portale, opera dello scalpellino Andrea da Carrara, decorato con simboli allusivi alla destinazione culturale del palazzo. Le particolarità dell’edificio sono la decorazione degli interni, quasi integralmente cosparsi di stemmi araldici di studenti e docenti, e il Teatro Anatomico, seicentesco, ma interessato da un restauro esemplare a seguito di un bombardamento che lo rase al suolo.
Da qui si accede alla antica sede dello Studio, oggi Biblioteca dell’Archiginnasio, attraverso un portale, opera dello scalpellino Andrea da Carrara, decorato con simboli allusivi alla destinazione culturale del palazzo. Le particolarità dell’edificio sono la decorazione degli interni, quasi integralmente cosparsi di stemmi araldici di studenti e docenti, e il Teatro Anatomico, seicentesco, ma interessato da un restauro esemplare a seguito di un bombardamento che lo rase al suolo.
Scopri di più
Palazzo Comunale
l Palazzo Comunale è il risultato di una serie di acquisizioni iniziate nel 1287 con l’acquisto di una casa torre appartenuta al maestro di diritto Accursio. Un primo nucleo, detto Palazzo della Biada, così come allora viene chiamato, viene eretto sul lato sud-ovest dell’attuale complesso tra il 1293 e il 1295. Il portico, con archi a sesto acuto, è sostenuto da pilastri polistili e presenta un trattamento a conci alternati in arenaria e mattoni che rimanda ad un periodo più arcaico rispetto alle date di costruzione effettiva.
Scopri di più
Palazzo Comunale
l Palazzo Comunale è il risultato di una serie di acquisizioni iniziate nel 1287 con l’acquisto di una casa torre appartenuta al maestro di diritto Accursio. Un primo nucleo, detto Palazzo della Biada, così come allora viene chiamato, viene eretto sul lato sud-ovest dell’attuale complesso tra il 1293 e il 1295. Il portico, con archi a sesto acuto, è sostenuto da pilastri polistili e presenta un trattamento a conci alternati in arenaria e mattoni che rimanda ad un periodo più arcaico rispetto alle date di costruzione effettiva.
Scopri di più
Palazzo dei Notai
Il palazzo, coronato da una importante merlatura ghibellina, è stato lungo i secoli sede della Compagnia dei Notai da cui ha tratto la denominazione. Bisogna attendere il 1335 perché siano attestati lavori finalizzati a dare dignità ad un insieme di preesistenze che un documento coevo definisce domus magna merlata. Al suo interno, oltre ai Notai vi sono, al piano terra, diverse botteghe, uffici di cambiatori e ambienti con funzioni differenti, come l’ingresso di una locanda ed anche un piccolo studio medico.
Scopri di più
Palazzo dei Notai
Il palazzo, coronato da una importante merlatura ghibellina, è stato lungo i secoli sede della Compagnia dei Notai da cui ha tratto la denominazione. Bisogna attendere il 1335 perché siano attestati lavori finalizzati a dare dignità ad un insieme di preesistenze che un documento coevo definisce domus magna merlata. Al suo interno, oltre ai Notai vi sono, al piano terra, diverse botteghe, uffici di cambiatori e ambienti con funzioni differenti, come l’ingresso di una locanda ed anche un piccolo studio medico.
Scopri di più
Palazzo del Podestà
Dal 1201 prima sede del Comune, nel 1472 l’edificio viene interessato da un rifacimento totale, sotto il governo di Giovanni II Bentivoglio che desidera dare ordine e dignità al luogo, invaso da ogni tipo di commercio. A questa campagna di lavori risale il portico il cui cantiere si conclude nel 1489. Vera novità da un punto di vista formale, il portico ricalca il modello delle strutture all’antica con l’arco sostenuto da possenti pilastri a cui viene addossato un sistema di colonne a sorreggere una trabeazione classica. Benché una tradizione lo ascriva a Bramante, sembra più probabile che il progetto sia di Aristotele Fioravanti mentre la realizzazione è dello scalpellino Marsilio Infrangipani.
Ulteriore caratteristica è la fitta decorazione che pervade la superficie dei pilastri: un repertorio variegato di soggetti che va dai fiori, ai simboli araldici fino a rappresentare volti talvolta deformati da buffe espressioni caricaturali.
Ulteriore caratteristica è la fitta decorazione che pervade la superficie dei pilastri: un repertorio variegato di soggetti che va dai fiori, ai simboli araldici fino a rappresentare volti talvolta deformati da buffe espressioni caricaturali.
Scopri di più
Palazzo del Podestà
Dal 1201 prima sede del Comune, nel 1472 l’edificio viene interessato da un rifacimento totale, sotto il governo di Giovanni II Bentivoglio che desidera dare ordine e dignità al luogo, invaso da ogni tipo di commercio. A questa campagna di lavori risale il portico il cui cantiere si conclude nel 1489. Vera novità da un punto di vista formale, il portico ricalca il modello delle strutture all’antica con l’arco sostenuto da possenti pilastri a cui viene addossato un sistema di colonne a sorreggere una trabeazione classica. Benché una tradizione lo ascriva a Bramante, sembra più probabile che il progetto sia di Aristotele Fioravanti mentre la realizzazione è dello scalpellino Marsilio Infrangipani.
Ulteriore caratteristica è la fitta decorazione che pervade la superficie dei pilastri: un repertorio variegato di soggetti che va dai fiori, ai simboli araldici fino a rappresentare volti talvolta deformati da buffe espressioni caricaturali.
Ulteriore caratteristica è la fitta decorazione che pervade la superficie dei pilastri: un repertorio variegato di soggetti che va dai fiori, ai simboli araldici fino a rappresentare volti talvolta deformati da buffe espressioni caricaturali.
Scopri di più
Palazzo Ratta Agucchi
La voluminosa costruzione porticata che si estende da Piazza Galvani fino a via D’Azeglio è frutto della trasformazione di una serie di proprietà che culmina attorno al 1861 in una querelle immobiliare nata dalla volontà comunale di espropriare il complesso. Il nucleo cinquecentesco, appartenuto alla famiglia Dolfi, diventa il modello ideale su cui Coriolano Monti elabora il suo progetto di edificio a destinazione residenziale e commerciale, sfruttando il comfort del profondo portico. Originale per la Bologna post-unitaria è il trattamento delle facciate, decorate da un pattern bicolore in giallo e rosso che simula un paramento bugnato a punta di diamante.
Scopri di più
Palazzo Ratta Agucchi
La voluminosa costruzione porticata che si estende da Piazza Galvani fino a via D’Azeglio è frutto della trasformazione di una serie di proprietà che culmina attorno al 1861 in una querelle immobiliare nata dalla volontà comunale di espropriare il complesso. Il nucleo cinquecentesco, appartenuto alla famiglia Dolfi, diventa il modello ideale su cui Coriolano Monti elabora il suo progetto di edificio a destinazione residenziale e commerciale, sfruttando il comfort del profondo portico. Originale per la Bologna post-unitaria è il trattamento delle facciate, decorate da un pattern bicolore in giallo e rosso che simula un paramento bugnato a punta di diamante.
Scopri di più
Palazzo Re Enzo
La denominazione deriva dalla presenza di Re Enzo, figlio di Federico Barbarossa che fra queste mura rimane prigioniero dei bolognesi dal 1249 alla morte nel 1272.
L’attuale assetto risente dei restauri di Alfonso Rubbiani che, nel 1905, pone mano ad un riordino degli edifici sorti lungo i secoli. Infatti in origine, a metà Duecento, in questa area sono costruiti il palazzo Re Enzo, appunto, e il palazzo del Capitano del Popolo. Dal 1212 è presente anche un possente torrione, la Torre dell’Arengo, su cui viene montato un sonoro ‘Campanazzo’ nel 1453.
Nel secondo Cinquecento sorge, adiacente alle preesistenze, un ulteriore corpo di fabbrica, il Palazzo della Rota, destinato poi a scomparire coi restauri rubbianeschi.
Fin dal principio destinato ad ospitare funzioni di governo, attualmente è prestigiosa sede per eventi e manifestazioni.
L’attuale assetto risente dei restauri di Alfonso Rubbiani che, nel 1905, pone mano ad un riordino degli edifici sorti lungo i secoli. Infatti in origine, a metà Duecento, in questa area sono costruiti il palazzo Re Enzo, appunto, e il palazzo del Capitano del Popolo. Dal 1212 è presente anche un possente torrione, la Torre dell’Arengo, su cui viene montato un sonoro ‘Campanazzo’ nel 1453.
Nel secondo Cinquecento sorge, adiacente alle preesistenze, un ulteriore corpo di fabbrica, il Palazzo della Rota, destinato poi a scomparire coi restauri rubbianeschi.
Fin dal principio destinato ad ospitare funzioni di governo, attualmente è prestigiosa sede per eventi e manifestazioni.
Scopri di più
Palazzo Re Enzo
La denominazione deriva dalla presenza di Re Enzo, figlio di Federico Barbarossa che fra queste mura rimane prigioniero dei bolognesi dal 1249 alla morte nel 1272.
L’attuale assetto risente dei restauri di Alfonso Rubbiani che, nel 1905, pone mano ad un riordino degli edifici sorti lungo i secoli. Infatti in origine, a metà Duecento, in questa area sono costruiti il palazzo Re Enzo, appunto, e il palazzo del Capitano del Popolo. Dal 1212 è presente anche un possente torrione, la Torre dell’Arengo, su cui viene montato un sonoro ‘Campanazzo’ nel 1453.
Nel secondo Cinquecento sorge, adiacente alle preesistenze, un ulteriore corpo di fabbrica, il Palazzo della Rota, destinato poi a scomparire coi restauri rubbianeschi.
Fin dal principio destinato ad ospitare funzioni di governo, attualmente è prestigiosa sede per eventi e manifestazioni.
L’attuale assetto risente dei restauri di Alfonso Rubbiani che, nel 1905, pone mano ad un riordino degli edifici sorti lungo i secoli. Infatti in origine, a metà Duecento, in questa area sono costruiti il palazzo Re Enzo, appunto, e il palazzo del Capitano del Popolo. Dal 1212 è presente anche un possente torrione, la Torre dell’Arengo, su cui viene montato un sonoro ‘Campanazzo’ nel 1453.
Nel secondo Cinquecento sorge, adiacente alle preesistenze, un ulteriore corpo di fabbrica, il Palazzo della Rota, destinato poi a scomparire coi restauri rubbianeschi.
Fin dal principio destinato ad ospitare funzioni di governo, attualmente è prestigiosa sede per eventi e manifestazioni.
Scopri di più
Palazzo Bolognini Isolani
Il portico è opera di Pagno di Lapo Portigiani e Antonio di Simone Fiorentino, maestri lapicidi di cui rimane traccia in un contratto del 1454. Da un punto di vista formale è una delle tappe di passaggio dal tardogotico al Rinascimento, di cui proprio Pagno di Lapo è, a Bologna, fra i principali esponenti.
Le sei arcate a tutto sesto, rimarcate da ghiere in cotto, sono rette da colonne in mattoni a sezione circolare, mentre i capitelli, in arenaria, sono un rifacimento della metà del XVIII secolo, a differenza dei peducci interni che hanno un aspetto più arcaico.
La facciata è completata da una teoria di finestre a sesto acuto nella cui sommità sono posti busti, così come fittamente popolate sono le nicchie poste sotto il cornicione che ospitano teste e vasi di cotto.
Le sei arcate a tutto sesto, rimarcate da ghiere in cotto, sono rette da colonne in mattoni a sezione circolare, mentre i capitelli, in arenaria, sono un rifacimento della metà del XVIII secolo, a differenza dei peducci interni che hanno un aspetto più arcaico.
La facciata è completata da una teoria di finestre a sesto acuto nella cui sommità sono posti busti, così come fittamente popolate sono le nicchie poste sotto il cornicione che ospitano teste e vasi di cotto.
Scopri di più
Palazzo Bolognini Isolani
Il portico è opera di Pagno di Lapo Portigiani e Antonio di Simone Fiorentino, maestri lapicidi di cui rimane traccia in un contratto del 1454. Da un punto di vista formale è una delle tappe di passaggio dal tardogotico al Rinascimento, di cui proprio Pagno di Lapo è, a Bologna, fra i principali esponenti.
Le sei arcate a tutto sesto, rimarcate da ghiere in cotto, sono rette da colonne in mattoni a sezione circolare, mentre i capitelli, in arenaria, sono un rifacimento della metà del XVIII secolo, a differenza dei peducci interni che hanno un aspetto più arcaico.
La facciata è completata da una teoria di finestre a sesto acuto nella cui sommità sono posti busti, così come fittamente popolate sono le nicchie poste sotto il cornicione che ospitano teste e vasi di cotto.
Le sei arcate a tutto sesto, rimarcate da ghiere in cotto, sono rette da colonne in mattoni a sezione circolare, mentre i capitelli, in arenaria, sono un rifacimento della metà del XVIII secolo, a differenza dei peducci interni che hanno un aspetto più arcaico.
La facciata è completata da una teoria di finestre a sesto acuto nella cui sommità sono posti busti, così come fittamente popolate sono le nicchie poste sotto il cornicione che ospitano teste e vasi di cotto.
Scopri di più
Palazzo de’ Bianchi, già Casa Pasquini
Si tratta di uno dei portici più interessanti della piazza per via della eleganza delle colonne. Caratterizzate da profonde scanalature, sono interrotte a metà del fusto da un evidente anello con listelli e robusto cordone e terminano con un capitello in cui i classici elementi corinzi vengono sostituiti da figure di draghi e teste umane.
Fino al 1824, in verità, il portico e la muratura retrostante si configurano in un semplice passaggio coperto, sormontato poi dagli attuali due piani in un sobrio stile rinascimentale. Tale disparità nelle altezze è evidente in un disegno settecentesco di Gaetano Ferratini che mostra l’invaso conico della Piazza Santo Stefano.
Fino al 1824, in verità, il portico e la muratura retrostante si configurano in un semplice passaggio coperto, sormontato poi dagli attuali due piani in un sobrio stile rinascimentale. Tale disparità nelle altezze è evidente in un disegno settecentesco di Gaetano Ferratini che mostra l’invaso conico della Piazza Santo Stefano.
Scopri di più
Palazzo de’ Bianchi, già Casa Pasquini
Si tratta di uno dei portici più interessanti della piazza per via della eleganza delle colonne. Caratterizzate da profonde scanalature, sono interrotte a metà del fusto da un evidente anello con listelli e robusto cordone e terminano con un capitello in cui i classici elementi corinzi vengono sostituiti da figure di draghi e teste umane.
Fino al 1824, in verità, il portico e la muratura retrostante si configurano in un semplice passaggio coperto, sormontato poi dagli attuali due piani in un sobrio stile rinascimentale. Tale disparità nelle altezze è evidente in un disegno settecentesco di Gaetano Ferratini che mostra l’invaso conico della Piazza Santo Stefano.
Fino al 1824, in verità, il portico e la muratura retrostante si configurano in un semplice passaggio coperto, sormontato poi dagli attuali due piani in un sobrio stile rinascimentale. Tale disparità nelle altezze è evidente in un disegno settecentesco di Gaetano Ferratini che mostra l’invaso conico della Piazza Santo Stefano.
Scopri di più
Casa Cavalli già Bianchini
Il portico risale al XVI secolo. Una stampa della collezione Panfili attesta che esso era composto di sole due arcate e così resta fino ai primi del Novecento (come da testimonianza fotografica). La terza campata viene aggiunta nel 1933, integrando per analogia anche le parti superiori. In tal modo il portale risulta centrato sul fornice di mezzo.
Il cornicione che conclude la facciata è del XV/XVI secolo.
Il cornicione che conclude la facciata è del XV/XVI secolo.
Scopri di più
Casa Cavalli già Bianchini
Il portico risale al XVI secolo. Una stampa della collezione Panfili attesta che esso era composto di sole due arcate e così resta fino ai primi del Novecento (come da testimonianza fotografica). La terza campata viene aggiunta nel 1933, integrando per analogia anche le parti superiori. In tal modo il portale risulta centrato sul fornice di mezzo.
Il cornicione che conclude la facciata è del XV/XVI secolo.
Il cornicione che conclude la facciata è del XV/XVI secolo.
Scopri di più
Palazzo Salina Amorini Bolognini
Le prime mosse per l’edificazione dell’edificio partono sul finire del Quattrocento. Fra il 1513 e il 1525 prende forma la porzione di palazzo verso sinistra secondo il progetto di Andrea Marchesi da Formigine, mentre i capitelli sono scolpiti, parrebbe, da Properzia de’ Rossi e Giacomo della Nave.
Ma ciò che più di tutto attrae di questo prospetto sono i volti in terracotta che sporgono dalle numerose aperture circolari poste sulla facciata: non ce n’è uno uguale all’altro. Sono opera, a quanto sembra, di Alfonso Lombardi e Niccolò da Volterra e richiamano il tema tipico della testa umana a guardia della casa. Non si sa molto invece dei 13 visi con ali di pipistrello sopra le finestre del primo piano così come delle 133 testine incastonate sotto al cornicione e quasi invisibili da terra.
Ma ciò che più di tutto attrae di questo prospetto sono i volti in terracotta che sporgono dalle numerose aperture circolari poste sulla facciata: non ce n’è uno uguale all’altro. Sono opera, a quanto sembra, di Alfonso Lombardi e Niccolò da Volterra e richiamano il tema tipico della testa umana a guardia della casa. Non si sa molto invece dei 13 visi con ali di pipistrello sopra le finestre del primo piano così come delle 133 testine incastonate sotto al cornicione e quasi invisibili da terra.
Scopri di più
Palazzo Salina Amorini Bolognini
Le prime mosse per l’edificazione dell’edificio partono sul finire del Quattrocento. Fra il 1513 e il 1525 prende forma la porzione di palazzo verso sinistra secondo il progetto di Andrea Marchesi da Formigine, mentre i capitelli sono scolpiti, parrebbe, da Properzia de’ Rossi e Giacomo della Nave.
Ma ciò che più di tutto attrae di questo prospetto sono i volti in terracotta che sporgono dalle numerose aperture circolari poste sulla facciata: non ce n’è uno uguale all’altro. Sono opera, a quanto sembra, di Alfonso Lombardi e Niccolò da Volterra e richiamano il tema tipico della testa umana a guardia della casa. Non si sa molto invece dei 13 visi con ali di pipistrello sopra le finestre del primo piano così come delle 133 testine incastonate sotto al cornicione e quasi invisibili da terra.
Ma ciò che più di tutto attrae di questo prospetto sono i volti in terracotta che sporgono dalle numerose aperture circolari poste sulla facciata: non ce n’è uno uguale all’altro. Sono opera, a quanto sembra, di Alfonso Lombardi e Niccolò da Volterra e richiamano il tema tipico della testa umana a guardia della casa. Non si sa molto invece dei 13 visi con ali di pipistrello sopra le finestre del primo piano così come delle 133 testine incastonate sotto al cornicione e quasi invisibili da terra.
Scopri di più
Loggia della Mercanzia
E’ la sede medievale della dogana e del tribunale dei mercanti.
La costruzione è iniziata nel 1384 grazie all’intervento di Lorenzo da Bagnomarino che cura l’ampliamento di un edificio preesistente, mentre Antonio di Vincenzo è responsabile del progetto delle finestre. Alla base presenta uno spazio aperto porticato, la loggia appunto, retto da pilastri compositi decorati da fasci di colonnette con capitelli riccamente decorati. Il primo ordine presenta, al di sotto di un coronamento merlato, due ampie bifore. Al centro fra queste, aggetta un balcone in pietra d’Istria la cui forma sembra alludere a quella di un polittico marmoreo.
L’edificio subisce un primo restauro nel 1887 ad opera di Alfonso Rubbiani che reinterpreta alcuni dettagli e nuovamente vi si pone mano nel 1949 per riparare i danni della seconda guerra mondiale, questa volta a cura del soprintendente Alfredo Barbacci e dell’architetto Bruno Parolini.
La costruzione è iniziata nel 1384 grazie all’intervento di Lorenzo da Bagnomarino che cura l’ampliamento di un edificio preesistente, mentre Antonio di Vincenzo è responsabile del progetto delle finestre. Alla base presenta uno spazio aperto porticato, la loggia appunto, retto da pilastri compositi decorati da fasci di colonnette con capitelli riccamente decorati. Il primo ordine presenta, al di sotto di un coronamento merlato, due ampie bifore. Al centro fra queste, aggetta un balcone in pietra d’Istria la cui forma sembra alludere a quella di un polittico marmoreo.
L’edificio subisce un primo restauro nel 1887 ad opera di Alfonso Rubbiani che reinterpreta alcuni dettagli e nuovamente vi si pone mano nel 1949 per riparare i danni della seconda guerra mondiale, questa volta a cura del soprintendente Alfredo Barbacci e dell’architetto Bruno Parolini.
Scopri di più
Loggia della Mercanzia
E’ la sede medievale della dogana e del tribunale dei mercanti.
La costruzione è iniziata nel 1384 grazie all’intervento di Lorenzo da Bagnomarino che cura l’ampliamento di un edificio preesistente, mentre Antonio di Vincenzo è responsabile del progetto delle finestre. Alla base presenta uno spazio aperto porticato, la loggia appunto, retto da pilastri compositi decorati da fasci di colonnette con capitelli riccamente decorati. Il primo ordine presenta, al di sotto di un coronamento merlato, due ampie bifore. Al centro fra queste, aggetta un balcone in pietra d’Istria la cui forma sembra alludere a quella di un polittico marmoreo.
L’edificio subisce un primo restauro nel 1887 ad opera di Alfonso Rubbiani che reinterpreta alcuni dettagli e nuovamente vi si pone mano nel 1949 per riparare i danni della seconda guerra mondiale, questa volta a cura del soprintendente Alfredo Barbacci e dell’architetto Bruno Parolini.
La costruzione è iniziata nel 1384 grazie all’intervento di Lorenzo da Bagnomarino che cura l’ampliamento di un edificio preesistente, mentre Antonio di Vincenzo è responsabile del progetto delle finestre. Alla base presenta uno spazio aperto porticato, la loggia appunto, retto da pilastri compositi decorati da fasci di colonnette con capitelli riccamente decorati. Il primo ordine presenta, al di sotto di un coronamento merlato, due ampie bifore. Al centro fra queste, aggetta un balcone in pietra d’Istria la cui forma sembra alludere a quella di un polittico marmoreo.
L’edificio subisce un primo restauro nel 1887 ad opera di Alfonso Rubbiani che reinterpreta alcuni dettagli e nuovamente vi si pone mano nel 1949 per riparare i danni della seconda guerra mondiale, questa volta a cura del soprintendente Alfredo Barbacci e dell’architetto Bruno Parolini.
Scopri di più
Casa Castelli
La facciata dell’edificio che fa da traguardo alla lunga via Galliera risale al XV secolo, nonostante il suo aspetto ancora gotico visibile nelle tre bifore archiacute del piano nobile.
Il portico è stato rimodernato nel 1702, mentre l’intero edificio è stato sottoposto a restauro nel 1949.
Il portico è stato rimodernato nel 1702, mentre l’intero edificio è stato sottoposto a restauro nel 1949.
Scopri di più
Casa Castelli
La facciata dell’edificio che fa da traguardo alla lunga via Galliera risale al XV secolo, nonostante il suo aspetto ancora gotico visibile nelle tre bifore archiacute del piano nobile.
Il portico è stato rimodernato nel 1702, mentre l’intero edificio è stato sottoposto a restauro nel 1949.
Il portico è stato rimodernato nel 1702, mentre l’intero edificio è stato sottoposto a restauro nel 1949.
Scopri di più
Palazzo del Modernissimo
Alessandro Ronzani imprenditore con birrificio ha una mescita nei locali di Palazzo Lambertini, antico edificio nel cuore del Mercato di Mezzo. E’ un palazzo storico che ha visto un intervento di Baldassarre Peruzzi, con un cortile maestoso dalle alte colonne. I locali di Ronzani vanno per la maggiore dopo che Gualtiero Pontoni li ha ammodernati in stile Liberty e fra quelle mura nasce anche il Bologna Football Club nel 1909. Ma la città moderna ha le sue logiche e ben presto quell’edificio viene abbattuto per lasciare spazio a lotti di nuova costruzione e al non più differibile ampliamento di quella che diventerà via Rizzoli. Nel 1911 Ronzani si aggiudica la proprietà del primo lotto, quello antistante il Palazzo Re Enzo e, proseguendo il sodalizio con Gualtiero Pontoni, affida a lui, esperto di disegno e architettura, e all’ingegnere Giuseppe Lambertini, mago del cemento armato, la costruzione di una innovativa tipologia di edificio che si avvale di un portico caratterizzato da ampi arconi alternati a fornici minori, su due dei quattro lati. Innovativa è anche la destinazione d’uso: infatti, oltre ai negozi, ai ristoranti, agli uffici e ad un hotel, è prevista, al centro della costruzione, una imponente sala per 2000 persone, un vero e proprio prodigio architettonico, destinata agli spettacoli dal vivo e poi a cinematografo, mentre una sala cinema più piccola, la prima ad entrare in funzione, è sistemata sulla parte retrostante, verso via Artieri. Il teatro sotterraneo viene inaugurato nel 1921 e prende il nome di Modernissimo.
La guerra e le difficoltà legate alla dislocazione nell’interrato sono la causa del ritardo nell’apertura della sala più grande che rimarrà in funzione, col nome di Arcobaleno, fino al 2007. Un complesso progetto di restauro e rifunzionalizzazione riporta nel 2023 il grande cinema all’interno di Palazzo Ronzani con un complesso progetto a cura della Cineteca di Bologna.
La guerra e le difficoltà legate alla dislocazione nell’interrato sono la causa del ritardo nell’apertura della sala più grande che rimarrà in funzione, col nome di Arcobaleno, fino al 2007. Un complesso progetto di restauro e rifunzionalizzazione riporta nel 2023 il grande cinema all’interno di Palazzo Ronzani con un complesso progetto a cura della Cineteca di Bologna.
Scopri di più
Palazzo del Modernissimo
Alessandro Ronzani imprenditore con birrificio ha una mescita nei locali di Palazzo Lambertini, antico edificio nel cuore del Mercato di Mezzo. E’ un palazzo storico che ha visto un intervento di Baldassarre Peruzzi, con un cortile maestoso dalle alte colonne. I locali di Ronzani vanno per la maggiore dopo che Gualtiero Pontoni li ha ammodernati in stile Liberty e fra quelle mura nasce anche il Bologna Football Club nel 1909. Ma la città moderna ha le sue logiche e ben presto quell’edificio viene abbattuto per lasciare spazio a lotti di nuova costruzione e al non più differibile ampliamento di quella che diventerà via Rizzoli. Nel 1911 Ronzani si aggiudica la proprietà del primo lotto, quello antistante il Palazzo Re Enzo e, proseguendo il sodalizio con Gualtiero Pontoni, affida a lui, esperto di disegno e architettura, e all’ingegnere Giuseppe Lambertini, mago del cemento armato, la costruzione di una innovativa tipologia di edificio che si avvale di un portico caratterizzato da ampi arconi alternati a fornici minori, su due dei quattro lati. Innovativa è anche la destinazione d’uso: infatti, oltre ai negozi, ai ristoranti, agli uffici e ad un hotel, è prevista, al centro della costruzione, una imponente sala per 2000 persone, un vero e proprio prodigio architettonico, destinata agli spettacoli dal vivo e poi a cinematografo, mentre una sala cinema più piccola, la prima ad entrare in funzione, è sistemata sulla parte retrostante, verso via Artieri. Il teatro sotterraneo viene inaugurato nel 1921 e prende il nome di Modernissimo.
La guerra e le difficoltà legate alla dislocazione nell’interrato sono la causa del ritardo nell’apertura della sala più grande che rimarrà in funzione, col nome di Arcobaleno, fino al 2007. Un complesso progetto di restauro e rifunzionalizzazione riporta nel 2023 il grande cinema all’interno di Palazzo Ronzani con un complesso progetto a cura della Cineteca di Bologna.
La guerra e le difficoltà legate alla dislocazione nell’interrato sono la causa del ritardo nell’apertura della sala più grande che rimarrà in funzione, col nome di Arcobaleno, fino al 2007. Un complesso progetto di restauro e rifunzionalizzazione riporta nel 2023 il grande cinema all’interno di Palazzo Ronzani con un complesso progetto a cura della Cineteca di Bologna.
Scopri di più
Palazzo Fava
Palazzo Fava, attualmente sede espositiva di Genus Bononiae, polo museale privato e multisede, si erge su un portico quattrocentesco con alcuni connotati ancora tardogotici, mentre il resto dell’edificio risale alla trasformazione condotta a partire dal 1584 e voluta dal proprietario, Filippo di Antonio Fava.
Questi, per decorare le sale del piano nobile, commissiona un ciclo di affreschi a Lodovico, Annibale e Agostino Carracci al loro primo importante impegno. Il risultato consacra i pittori bolognesi quali rappresentanti di una nuova corrente pittorica, basata sul rifiuto dei manierismi tardo-cinquecenteschi e aperta al recupero del naturalismo.
Questi, per decorare le sale del piano nobile, commissiona un ciclo di affreschi a Lodovico, Annibale e Agostino Carracci al loro primo importante impegno. Il risultato consacra i pittori bolognesi quali rappresentanti di una nuova corrente pittorica, basata sul rifiuto dei manierismi tardo-cinquecenteschi e aperta al recupero del naturalismo.
Scopri di più
Palazzo Fava
Palazzo Fava, attualmente sede espositiva di Genus Bononiae, polo museale privato e multisede, si erge su un portico quattrocentesco con alcuni connotati ancora tardogotici, mentre il resto dell’edificio risale alla trasformazione condotta a partire dal 1584 e voluta dal proprietario, Filippo di Antonio Fava.
Questi, per decorare le sale del piano nobile, commissiona un ciclo di affreschi a Lodovico, Annibale e Agostino Carracci al loro primo importante impegno. Il risultato consacra i pittori bolognesi quali rappresentanti di una nuova corrente pittorica, basata sul rifiuto dei manierismi tardo-cinquecenteschi e aperta al recupero del naturalismo.
Questi, per decorare le sale del piano nobile, commissiona un ciclo di affreschi a Lodovico, Annibale e Agostino Carracci al loro primo importante impegno. Il risultato consacra i pittori bolognesi quali rappresentanti di una nuova corrente pittorica, basata sul rifiuto dei manierismi tardo-cinquecenteschi e aperta al recupero del naturalismo.
Scopri di più
Palazzo Ghisilardi
Uno dei più pregevoli portici rinascimentali rimasti in città, si presenta sopraelevato rispetto al piano stradale e con sostegni in laterizio caratterizzati da un pilastro centrale a cui sono affiancate due semicolonne. I capitelli, in arenaria, presentano una decorazione ricca come anche le ghiere degli archi a molteplici fasce plasticamente ornate.
L’edificio voluto da Bartolomeo Ghisilardi porta anche la firma del suo progettista, mastro Zilio di Battista che lo edifica fra il 1484 e il 1491. La facciata viene restaurata nel 1915 dal Comitato per Bologna Storica e Artistica ripristinando le bifore sul modello dell’unica conservatasi.
Interessante anche il cortile interno dove si segnalano le grandi mensole decorate con motivi floreali e araldici. Anch’esso è stato oggetto di restauri novecenteschi a cura di Giulio Ulisse Arata che lo adatta a sede bolognese della Casa del Fascio nel 1925.
Attualmente è sede del Museo Civico Medievale.
L’edificio voluto da Bartolomeo Ghisilardi porta anche la firma del suo progettista, mastro Zilio di Battista che lo edifica fra il 1484 e il 1491. La facciata viene restaurata nel 1915 dal Comitato per Bologna Storica e Artistica ripristinando le bifore sul modello dell’unica conservatasi.
Interessante anche il cortile interno dove si segnalano le grandi mensole decorate con motivi floreali e araldici. Anch’esso è stato oggetto di restauri novecenteschi a cura di Giulio Ulisse Arata che lo adatta a sede bolognese della Casa del Fascio nel 1925.
Attualmente è sede del Museo Civico Medievale.
Scopri di più
Palazzo Ghisilardi
Uno dei più pregevoli portici rinascimentali rimasti in città, si presenta sopraelevato rispetto al piano stradale e con sostegni in laterizio caratterizzati da un pilastro centrale a cui sono affiancate due semicolonne. I capitelli, in arenaria, presentano una decorazione ricca come anche le ghiere degli archi a molteplici fasce plasticamente ornate.
L’edificio voluto da Bartolomeo Ghisilardi porta anche la firma del suo progettista, mastro Zilio di Battista che lo edifica fra il 1484 e il 1491. La facciata viene restaurata nel 1915 dal Comitato per Bologna Storica e Artistica ripristinando le bifore sul modello dell’unica conservatasi.
Interessante anche il cortile interno dove si segnalano le grandi mensole decorate con motivi floreali e araldici. Anch’esso è stato oggetto di restauri novecenteschi a cura di Giulio Ulisse Arata che lo adatta a sede bolognese della Casa del Fascio nel 1925.
Attualmente è sede del Museo Civico Medievale.
L’edificio voluto da Bartolomeo Ghisilardi porta anche la firma del suo progettista, mastro Zilio di Battista che lo edifica fra il 1484 e il 1491. La facciata viene restaurata nel 1915 dal Comitato per Bologna Storica e Artistica ripristinando le bifore sul modello dell’unica conservatasi.
Interessante anche il cortile interno dove si segnalano le grandi mensole decorate con motivi floreali e araldici. Anch’esso è stato oggetto di restauri novecenteschi a cura di Giulio Ulisse Arata che lo adatta a sede bolognese della Casa del Fascio nel 1925.
Attualmente è sede del Museo Civico Medievale.
Scopri di più
Casa Conoscenti
Le origini di questo edificio sono molto antiche e la sua configurazione risente delle preesistenze illustri, ovvero la Rocca Imperiale che viene distrutta a furor di popolo nel 1115. All’inizio del XIV secolo prende forma un palazzo di dimensioni ragguardevoli voluto dal banchiere Alberto Conoscenti. Il portico risente delle trasformazioni avvenute nel tempo presentando fornici di forme diverse e vari tipi di decorazioni.
A testimonianza dell’antichità del luogo, nel cortile è visibile un frammento delle mura di selenite che risalgono al V-VI secolo d.C.
A testimonianza dell’antichità del luogo, nel cortile è visibile un frammento delle mura di selenite che risalgono al V-VI secolo d.C.
Scopri di più
Casa Conoscenti
Le origini di questo edificio sono molto antiche e la sua configurazione risente delle preesistenze illustri, ovvero la Rocca Imperiale che viene distrutta a furor di popolo nel 1115. All’inizio del XIV secolo prende forma un palazzo di dimensioni ragguardevoli voluto dal banchiere Alberto Conoscenti. Il portico risente delle trasformazioni avvenute nel tempo presentando fornici di forme diverse e vari tipi di decorazioni.
A testimonianza dell’antichità del luogo, nel cortile è visibile un frammento delle mura di selenite che risalgono al V-VI secolo d.C.
A testimonianza dell’antichità del luogo, nel cortile è visibile un frammento delle mura di selenite che risalgono al V-VI secolo d.C.
Scopri di più
Palazzo Dal Monte
Questo è uno dei pochi casi in cui il portico tenta di rispettare i canoni del linguaggio classico, ovvero pilastri quadrangolari a reggere l’arco del portico davanti ai quali si pongono colonne, qui molto affusolate, che reggono l’architrave. A Bologna, più di frequente, l’arco del portico insiste direttamente sulle colonne. La spiegazione degli storici rispetto all’eccezione di questo edificio fa riferimento all’anno della sua costruzione, il 1517, quando la città è da poco rientrata sotto il dominio papale dopo la parentesi autonomista bentivolesca.
Il committente è un dottore dello Studio, Panfilio dal Monte, dunque un uomo colto e devoto alla classicità, mentre per l’architetto si fa il nome qui di Baldassarre Peruzzi, attivo in città su altri cantieri. La notizia tuttavia non è documentata, mentre è certo che ad occuparsi della costruzione sia il capomastro Andrea Marchesi da Formigine.
Il committente è un dottore dello Studio, Panfilio dal Monte, dunque un uomo colto e devoto alla classicità, mentre per l’architetto si fa il nome qui di Baldassarre Peruzzi, attivo in città su altri cantieri. La notizia tuttavia non è documentata, mentre è certo che ad occuparsi della costruzione sia il capomastro Andrea Marchesi da Formigine.
Scopri di più
Palazzo Dal Monte
Questo è uno dei pochi casi in cui il portico tenta di rispettare i canoni del linguaggio classico, ovvero pilastri quadrangolari a reggere l’arco del portico davanti ai quali si pongono colonne, qui molto affusolate, che reggono l’architrave. A Bologna, più di frequente, l’arco del portico insiste direttamente sulle colonne. La spiegazione degli storici rispetto all’eccezione di questo edificio fa riferimento all’anno della sua costruzione, il 1517, quando la città è da poco rientrata sotto il dominio papale dopo la parentesi autonomista bentivolesca.
Il committente è un dottore dello Studio, Panfilio dal Monte, dunque un uomo colto e devoto alla classicità, mentre per l’architetto si fa il nome qui di Baldassarre Peruzzi, attivo in città su altri cantieri. La notizia tuttavia non è documentata, mentre è certo che ad occuparsi della costruzione sia il capomastro Andrea Marchesi da Formigine.
Il committente è un dottore dello Studio, Panfilio dal Monte, dunque un uomo colto e devoto alla classicità, mentre per l’architetto si fa il nome qui di Baldassarre Peruzzi, attivo in città su altri cantieri. La notizia tuttavia non è documentata, mentre è certo che ad occuparsi della costruzione sia il capomastro Andrea Marchesi da Formigine.
Scopri di più
Palazzo Torfanini
Il portico, di inconsueta lunghezza per un palazzo, porta la data del 1544 e presenta un ricco campionario di capitelli dalle fogge più varie: elementi naturalistici, draghi, creature alate, ecc. Il committente, Bartolomeo Torfanini, affida la decorazione del suo edificio ai principali artisti del tempo, tra i quali Nicolò dell’Abate. Persino la facciata, opera di Prospero Fontana, si presentava dipinta.
Nel 1737, l’architetto Alfonso Torreggiani è autore di una generale riforma dell’edificio, che però risparmia il portico che mantiene l’aspetto originario cinquecentesco.
Nel 1737, l’architetto Alfonso Torreggiani è autore di una generale riforma dell’edificio, che però risparmia il portico che mantiene l’aspetto originario cinquecentesco.
Scopri di più
Palazzo Torfanini
Il portico, di inconsueta lunghezza per un palazzo, porta la data del 1544 e presenta un ricco campionario di capitelli dalle fogge più varie: elementi naturalistici, draghi, creature alate, ecc. Il committente, Bartolomeo Torfanini, affida la decorazione del suo edificio ai principali artisti del tempo, tra i quali Nicolò dell’Abate. Persino la facciata, opera di Prospero Fontana, si presentava dipinta.
Nel 1737, l’architetto Alfonso Torreggiani è autore di una generale riforma dell’edificio, che però risparmia il portico che mantiene l’aspetto originario cinquecentesco.
Nel 1737, l’architetto Alfonso Torreggiani è autore di una generale riforma dell’edificio, che però risparmia il portico che mantiene l’aspetto originario cinquecentesco.
Scopri di più
Casa dalle Tuate
Il portico con sostegni disomogenei, rivela, nella sua multiformità, alcuni dettagli unici.
Il capitello del pilastro angolare, infatti, di fattura preziosa, rivela un tondo l’effige di Giovanni Bentivoglio, alla guida della città nell’ultimo quarantennio del Quattrocento. Si è detto che poteva essere un rarissimo residuo del distrutto Palazzo Bentivoglio (situato nell’attuale area del Teatro Comunale) ma studi recenti mettono in dubbio tale attribuzione. Questo capitello, insieme all’altro, sempre in pietra d’Istria, posto non lontano in cui è raffigurato Augusto imperatore, rimandano all’aurea stagione bentivolesca che ha connotato in senso rinascimentale la città di Bologna.
L’edificio, passato dalla famiglia dalle Tuate ai numerosi proprietari lungo la sua esistenza, registra nei dettagli il passaggio dall’origine gotica, attraverso il Rinascimento, ai fasti dell’epoca barocca.
Il capitello del pilastro angolare, infatti, di fattura preziosa, rivela un tondo l’effige di Giovanni Bentivoglio, alla guida della città nell’ultimo quarantennio del Quattrocento. Si è detto che poteva essere un rarissimo residuo del distrutto Palazzo Bentivoglio (situato nell’attuale area del Teatro Comunale) ma studi recenti mettono in dubbio tale attribuzione. Questo capitello, insieme all’altro, sempre in pietra d’Istria, posto non lontano in cui è raffigurato Augusto imperatore, rimandano all’aurea stagione bentivolesca che ha connotato in senso rinascimentale la città di Bologna.
L’edificio, passato dalla famiglia dalle Tuate ai numerosi proprietari lungo la sua esistenza, registra nei dettagli il passaggio dall’origine gotica, attraverso il Rinascimento, ai fasti dell’epoca barocca.
Scopri di più
Casa dalle Tuate
Il portico con sostegni disomogenei, rivela, nella sua multiformità, alcuni dettagli unici.
Il capitello del pilastro angolare, infatti, di fattura preziosa, rivela un tondo l’effige di Giovanni Bentivoglio, alla guida della città nell’ultimo quarantennio del Quattrocento. Si è detto che poteva essere un rarissimo residuo del distrutto Palazzo Bentivoglio (situato nell’attuale area del Teatro Comunale) ma studi recenti mettono in dubbio tale attribuzione. Questo capitello, insieme all’altro, sempre in pietra d’Istria, posto non lontano in cui è raffigurato Augusto imperatore, rimandano all’aurea stagione bentivolesca che ha connotato in senso rinascimentale la città di Bologna.
L’edificio, passato dalla famiglia dalle Tuate ai numerosi proprietari lungo la sua esistenza, registra nei dettagli il passaggio dall’origine gotica, attraverso il Rinascimento, ai fasti dell’epoca barocca.
Il capitello del pilastro angolare, infatti, di fattura preziosa, rivela un tondo l’effige di Giovanni Bentivoglio, alla guida della città nell’ultimo quarantennio del Quattrocento. Si è detto che poteva essere un rarissimo residuo del distrutto Palazzo Bentivoglio (situato nell’attuale area del Teatro Comunale) ma studi recenti mettono in dubbio tale attribuzione. Questo capitello, insieme all’altro, sempre in pietra d’Istria, posto non lontano in cui è raffigurato Augusto imperatore, rimandano all’aurea stagione bentivolesca che ha connotato in senso rinascimentale la città di Bologna.
L’edificio, passato dalla famiglia dalle Tuate ai numerosi proprietari lungo la sua esistenza, registra nei dettagli il passaggio dall’origine gotica, attraverso il Rinascimento, ai fasti dell’epoca barocca.
Scopri di più
Palazzo Aldrovandi
Uno dei pochissimi edifici senza portico nella strada di Galliera, è però uno degli esempi più significativi della stagione dei palazzi senatori tra Barocco e Rococò. Tale stile leggiadro connota infatti, al piano terra, le inferriate alle finestre sormontate da una cornice sinuosa, mentre al piano superiore i timpani presentano cornici spezzate curvilinee. Colpisce il trattamento della facciata, opera di Alfonso Torreggiani, che impiega il marmo chiaro, raro nelle fabbriche bolognesi, a contrasto con la cortina muraria di mattoni trattati con il tipico trattamento della sagramatura, innescando inediti rapporti cromatici e materici.
Scopri di più
Palazzo Aldrovandi
Uno dei pochissimi edifici senza portico nella strada di Galliera, è però uno degli esempi più significativi della stagione dei palazzi senatori tra Barocco e Rococò. Tale stile leggiadro connota infatti, al piano terra, le inferriate alle finestre sormontate da una cornice sinuosa, mentre al piano superiore i timpani presentano cornici spezzate curvilinee. Colpisce il trattamento della facciata, opera di Alfonso Torreggiani, che impiega il marmo chiaro, raro nelle fabbriche bolognesi, a contrasto con la cortina muraria di mattoni trattati con il tipico trattamento della sagramatura, innescando inediti rapporti cromatici e materici.
Scopri di più
Palazzo Felicini
Eretto nel 1497 da Bartolomeo Felicini è esempio tra i più significativi di Rinascimento alla bolognese.
Il portico è caratterizzato da archi a tutto sesto retti da colonne in laterizio culminanti in capitelli corinzi a contrasto. Sotto al portico l’imponente portone risale al periodo di costruzione del palazzo.
La parte superiore della facciata si distingue per le finestre centinate bipartite in sommità poggianti su marcapiano e per gli oculi nell’attico anch’essi con cornice sottostante, il tutto in terracotta finemente decorata.
L’edificio, nel 1906, è stato oggetto di un restauro emblematico a cura del Comitato per Bologna Storica e Artistica curato da Alfonso Rubbiani che ha riportato l’edificio allo splendore originale.
Il portico è caratterizzato da archi a tutto sesto retti da colonne in laterizio culminanti in capitelli corinzi a contrasto. Sotto al portico l’imponente portone risale al periodo di costruzione del palazzo.
La parte superiore della facciata si distingue per le finestre centinate bipartite in sommità poggianti su marcapiano e per gli oculi nell’attico anch’essi con cornice sottostante, il tutto in terracotta finemente decorata.
L’edificio, nel 1906, è stato oggetto di un restauro emblematico a cura del Comitato per Bologna Storica e Artistica curato da Alfonso Rubbiani che ha riportato l’edificio allo splendore originale.
Scopri di più
Palazzo Felicini
Eretto nel 1497 da Bartolomeo Felicini è esempio tra i più significativi di Rinascimento alla bolognese.
Il portico è caratterizzato da archi a tutto sesto retti da colonne in laterizio culminanti in capitelli corinzi a contrasto. Sotto al portico l’imponente portone risale al periodo di costruzione del palazzo.
La parte superiore della facciata si distingue per le finestre centinate bipartite in sommità poggianti su marcapiano e per gli oculi nell’attico anch’essi con cornice sottostante, il tutto in terracotta finemente decorata.
L’edificio, nel 1906, è stato oggetto di un restauro emblematico a cura del Comitato per Bologna Storica e Artistica curato da Alfonso Rubbiani che ha riportato l’edificio allo splendore originale.
Il portico è caratterizzato da archi a tutto sesto retti da colonne in laterizio culminanti in capitelli corinzi a contrasto. Sotto al portico l’imponente portone risale al periodo di costruzione del palazzo.
La parte superiore della facciata si distingue per le finestre centinate bipartite in sommità poggianti su marcapiano e per gli oculi nell’attico anch’essi con cornice sottostante, il tutto in terracotta finemente decorata.
L’edificio, nel 1906, è stato oggetto di un restauro emblematico a cura del Comitato per Bologna Storica e Artistica curato da Alfonso Rubbiani che ha riportato l’edificio allo splendore originale.
Scopri di più
Palazzo Bonasoni
La facciata porticata è stata a lungo attribuita ad Antonio Morandi, detto il Terribilia, attivo a metà del Cinquecento. Tuttavia, relativamente alla conformazione del portico, la sua somiglianza con quello del Baraccano spinge a retrodatarlo al XV secolo, periodo aureo della dominazione dei Bentivoglio. Entrambi, infatti, sono contraddistinti dalla tipica cornice ad anello che interrompe a metà il fusto della colonna. Studi più recenti mettono però in rilevo l’aspetto dei capitelli che sono sicuramente successivi, cinquecenteschi, se non più tardi.
L’edificio è un chiaro esempio, comunque, di quanto l’architettura bentivolesca sia stata un modello ben oltre lo stretto periodo del loro governo.
L’edificio è un chiaro esempio, comunque, di quanto l’architettura bentivolesca sia stata un modello ben oltre lo stretto periodo del loro governo.
Scopri di più
Palazzo Bonasoni
La facciata porticata è stata a lungo attribuita ad Antonio Morandi, detto il Terribilia, attivo a metà del Cinquecento. Tuttavia, relativamente alla conformazione del portico, la sua somiglianza con quello del Baraccano spinge a retrodatarlo al XV secolo, periodo aureo della dominazione dei Bentivoglio. Entrambi, infatti, sono contraddistinti dalla tipica cornice ad anello che interrompe a metà il fusto della colonna. Studi più recenti mettono però in rilevo l’aspetto dei capitelli che sono sicuramente successivi, cinquecenteschi, se non più tardi.
L’edificio è un chiaro esempio, comunque, di quanto l’architettura bentivolesca sia stata un modello ben oltre lo stretto periodo del loro governo.
L’edificio è un chiaro esempio, comunque, di quanto l’architettura bentivolesca sia stata un modello ben oltre lo stretto periodo del loro governo.
Scopri di più
Palazzo Merendoni
Costruito su una preesistenza, l’attuale palazzo vede la luce intorno al 1774 ad opera dell’architetto Raimondo Compagnini. Il portico è connotato da pilastri su cui sono applicate lesene tuscaniche e l’intera facciata risente del ritorno al gusto cinquecentesco proprio di questo momento storico-artistico.
L’interno, purtroppo non visitabile, presenta il tipico scalone bolognese con sfondato illuminato da finestre nascoste nei profondi cornicioni in aggetto arricchito da statue di Domenico Piò e da un dipinto posto sulla sommità del vano, opera di Gaetano Gandolfi.
L’interno, purtroppo non visitabile, presenta il tipico scalone bolognese con sfondato illuminato da finestre nascoste nei profondi cornicioni in aggetto arricchito da statue di Domenico Piò e da un dipinto posto sulla sommità del vano, opera di Gaetano Gandolfi.
Scopri di più
Palazzo Merendoni
Costruito su una preesistenza, l’attuale palazzo vede la luce intorno al 1774 ad opera dell’architetto Raimondo Compagnini. Il portico è connotato da pilastri su cui sono applicate lesene tuscaniche e l’intera facciata risente del ritorno al gusto cinquecentesco proprio di questo momento storico-artistico.
L’interno, purtroppo non visitabile, presenta il tipico scalone bolognese con sfondato illuminato da finestre nascoste nei profondi cornicioni in aggetto arricchito da statue di Domenico Piò e da un dipinto posto sulla sommità del vano, opera di Gaetano Gandolfi.
L’interno, purtroppo non visitabile, presenta il tipico scalone bolognese con sfondato illuminato da finestre nascoste nei profondi cornicioni in aggetto arricchito da statue di Domenico Piò e da un dipinto posto sulla sommità del vano, opera di Gaetano Gandolfi.
Scopri di più
Complesso di San Colombano
Le origini del complesso sono state ricondotte ad un edificio romano o tardo antico. Il vescovo Pietro I nel VII secolo fa costruire il primo nucleo dell’insieme il cui sviluppo copre tutto il medioevo.
Nel 1679 gli spazi passano alla Repubblica di Lucca che li impiega come studentato per i suoi giovani presenti a Bologna. Di questo secolo è l'aggiunta del portico.
Nella chiesa intitolata a San Colombano e oggi allestimento d’eccezione per la collezione di strumenti musicali di Luigi Ferdinando Tagliavini, vi sono opere pittoriche interessanti, una delle quali è stata messa in relazione a Lippo di Dalmasio. Quest’ultimo è autore certo di un’immagine votiva della Madonna dell’Orazione, dipinta nel muro esterno della chiesa. A causa delle ingiurie del tempo si decide di metterla al riparo e viene così costruita una cappella che conserva uno dei più importanti cicli di affreschi della Bologna controriformata, opera dei pittori dell’Accademia degli Incamminati, che riunisce i Carracci e i loro allievi più brillanti.
Nel primo dopoguerra diventa la sede della Cooperativa Mutilati e Invalidi e viene restaurata dal giovane Giuseppe Vaccaro, incaricato poi di realizzare numerosi edifici destinati ad ospitare le famiglie dei combattenti menomate fisicamente dal conflitto.
Nel 1679 gli spazi passano alla Repubblica di Lucca che li impiega come studentato per i suoi giovani presenti a Bologna. Di questo secolo è l'aggiunta del portico.
Nella chiesa intitolata a San Colombano e oggi allestimento d’eccezione per la collezione di strumenti musicali di Luigi Ferdinando Tagliavini, vi sono opere pittoriche interessanti, una delle quali è stata messa in relazione a Lippo di Dalmasio. Quest’ultimo è autore certo di un’immagine votiva della Madonna dell’Orazione, dipinta nel muro esterno della chiesa. A causa delle ingiurie del tempo si decide di metterla al riparo e viene così costruita una cappella che conserva uno dei più importanti cicli di affreschi della Bologna controriformata, opera dei pittori dell’Accademia degli Incamminati, che riunisce i Carracci e i loro allievi più brillanti.
Nel primo dopoguerra diventa la sede della Cooperativa Mutilati e Invalidi e viene restaurata dal giovane Giuseppe Vaccaro, incaricato poi di realizzare numerosi edifici destinati ad ospitare le famiglie dei combattenti menomate fisicamente dal conflitto.
Scopri di più
Complesso di San Colombano
Le origini del complesso sono state ricondotte ad un edificio romano o tardo antico. Il vescovo Pietro I nel VII secolo fa costruire il primo nucleo dell’insieme il cui sviluppo copre tutto il medioevo.
Nel 1679 gli spazi passano alla Repubblica di Lucca che li impiega come studentato per i suoi giovani presenti a Bologna. Di questo secolo è l'aggiunta del portico.
Nella chiesa intitolata a San Colombano e oggi allestimento d’eccezione per la collezione di strumenti musicali di Luigi Ferdinando Tagliavini, vi sono opere pittoriche interessanti, una delle quali è stata messa in relazione a Lippo di Dalmasio. Quest’ultimo è autore certo di un’immagine votiva della Madonna dell’Orazione, dipinta nel muro esterno della chiesa. A causa delle ingiurie del tempo si decide di metterla al riparo e viene così costruita una cappella che conserva uno dei più importanti cicli di affreschi della Bologna controriformata, opera dei pittori dell’Accademia degli Incamminati, che riunisce i Carracci e i loro allievi più brillanti.
Nel primo dopoguerra diventa la sede della Cooperativa Mutilati e Invalidi e viene restaurata dal giovane Giuseppe Vaccaro, incaricato poi di realizzare numerosi edifici destinati ad ospitare le famiglie dei combattenti menomate fisicamente dal conflitto.
Nel 1679 gli spazi passano alla Repubblica di Lucca che li impiega come studentato per i suoi giovani presenti a Bologna. Di questo secolo è l'aggiunta del portico.
Nella chiesa intitolata a San Colombano e oggi allestimento d’eccezione per la collezione di strumenti musicali di Luigi Ferdinando Tagliavini, vi sono opere pittoriche interessanti, una delle quali è stata messa in relazione a Lippo di Dalmasio. Quest’ultimo è autore certo di un’immagine votiva della Madonna dell’Orazione, dipinta nel muro esterno della chiesa. A causa delle ingiurie del tempo si decide di metterla al riparo e viene così costruita una cappella che conserva uno dei più importanti cicli di affreschi della Bologna controriformata, opera dei pittori dell’Accademia degli Incamminati, che riunisce i Carracci e i loro allievi più brillanti.
Nel primo dopoguerra diventa la sede della Cooperativa Mutilati e Invalidi e viene restaurata dal giovane Giuseppe Vaccaro, incaricato poi di realizzare numerosi edifici destinati ad ospitare le famiglie dei combattenti menomate fisicamente dal conflitto.
Scopri di più
Casa per la Cooperativa mutilati e invalidi di guerra
L’edificio residenziale senza portico costruito nel 1927 sul sedime delle mura urbane è opera di Giuseppe Vaccaro. L’architetto, formatosi alla locale Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, risente qui dei contatti con Marcello Piacentini impegnato in una rilettura dell’eclettismo in chiave moderna. La cosiddetta ‘altra modernità’ è l’alternativa pacata e tradizionalista al ‘razionalismo’ radicale che lo stesso Vaccaro prova a praticare in altre opere successive come la sede per la Facoltà di Ingegneria. L’edificio viene realizzato impiegando materiali di qualità e prevedendo tipologie di appartamenti tutt’altro che popolari.
Scopri di più
Casa per la Cooperativa mutilati e invalidi di guerra
L’edificio residenziale senza portico costruito nel 1927 sul sedime delle mura urbane è opera di Giuseppe Vaccaro. L’architetto, formatosi alla locale Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, risente qui dei contatti con Marcello Piacentini impegnato in una rilettura dell’eclettismo in chiave moderna. La cosiddetta ‘altra modernità’ è l’alternativa pacata e tradizionalista al ‘razionalismo’ radicale che lo stesso Vaccaro prova a praticare in altre opere successive come la sede per la Facoltà di Ingegneria. L’edificio viene realizzato impiegando materiali di qualità e prevedendo tipologie di appartamenti tutt’altro che popolari.
Scopri di più
Palazzo dei Banchi
Fra il 1407 e il 1412 viene costruito un loggiato per mettere ordine rispetto all’edificato umile e molto denso che connota la zona di mercato prospiciente il lato est di Piazza Maggiore.
Il ritmo degli archi impostati su pilastri ottagonali si allenta in prossimità degli accessi alle due strade, via Pescherie Vecchie e via Clavature. Tale soluzione, sormontata forse da un piano concluso da una cornice merlata, non è però considerata abbastanza decorosa quando il vicelegato Pierdonato Cesi commissiona a Jacopo Barozzi da Vignola, in quel momento architetto di punta alla corte papale, un edificio-facciata all’altezza della piazza principale di Bologna.
I lavori, in corso dal 1565 al 1568, prevedono la realizzazione di una quinta scenografica a due ordini: in basso un ordine composito gigante che rilega gli archi di portico e il mezzanino, ma incornicia anche i due alti fornici che danno accesso alle strade del mercato; al di sopra, invece, fasce in pietra che incorniciano un livello affacciato su un lungo balcone, e il suo mezzanino.
Il progetto originale prevedeva anche due torri con orologi e balconi più pronunciati in corrispondenza dei passi viari che però non vedono la luce.
Il ritmo degli archi impostati su pilastri ottagonali si allenta in prossimità degli accessi alle due strade, via Pescherie Vecchie e via Clavature. Tale soluzione, sormontata forse da un piano concluso da una cornice merlata, non è però considerata abbastanza decorosa quando il vicelegato Pierdonato Cesi commissiona a Jacopo Barozzi da Vignola, in quel momento architetto di punta alla corte papale, un edificio-facciata all’altezza della piazza principale di Bologna.
I lavori, in corso dal 1565 al 1568, prevedono la realizzazione di una quinta scenografica a due ordini: in basso un ordine composito gigante che rilega gli archi di portico e il mezzanino, ma incornicia anche i due alti fornici che danno accesso alle strade del mercato; al di sopra, invece, fasce in pietra che incorniciano un livello affacciato su un lungo balcone, e il suo mezzanino.
Il progetto originale prevedeva anche due torri con orologi e balconi più pronunciati in corrispondenza dei passi viari che però non vedono la luce.
Scopri di più
Palazzo dei Banchi
Fra il 1407 e il 1412 viene costruito un loggiato per mettere ordine rispetto all’edificato umile e molto denso che connota la zona di mercato prospiciente il lato est di Piazza Maggiore.
Il ritmo degli archi impostati su pilastri ottagonali si allenta in prossimità degli accessi alle due strade, via Pescherie Vecchie e via Clavature. Tale soluzione, sormontata forse da un piano concluso da una cornice merlata, non è però considerata abbastanza decorosa quando il vicelegato Pierdonato Cesi commissiona a Jacopo Barozzi da Vignola, in quel momento architetto di punta alla corte papale, un edificio-facciata all’altezza della piazza principale di Bologna.
I lavori, in corso dal 1565 al 1568, prevedono la realizzazione di una quinta scenografica a due ordini: in basso un ordine composito gigante che rilega gli archi di portico e il mezzanino, ma incornicia anche i due alti fornici che danno accesso alle strade del mercato; al di sopra, invece, fasce in pietra che incorniciano un livello affacciato su un lungo balcone, e il suo mezzanino.
Il progetto originale prevedeva anche due torri con orologi e balconi più pronunciati in corrispondenza dei passi viari che però non vedono la luce.
Il ritmo degli archi impostati su pilastri ottagonali si allenta in prossimità degli accessi alle due strade, via Pescherie Vecchie e via Clavature. Tale soluzione, sormontata forse da un piano concluso da una cornice merlata, non è però considerata abbastanza decorosa quando il vicelegato Pierdonato Cesi commissiona a Jacopo Barozzi da Vignola, in quel momento architetto di punta alla corte papale, un edificio-facciata all’altezza della piazza principale di Bologna.
I lavori, in corso dal 1565 al 1568, prevedono la realizzazione di una quinta scenografica a due ordini: in basso un ordine composito gigante che rilega gli archi di portico e il mezzanino, ma incornicia anche i due alti fornici che danno accesso alle strade del mercato; al di sopra, invece, fasce in pietra che incorniciano un livello affacciato su un lungo balcone, e il suo mezzanino.
Il progetto originale prevedeva anche due torri con orologi e balconi più pronunciati in corrispondenza dei passi viari che però non vedono la luce.
Scopri di più
Museo di Mineralogia e l'apertura di via Irnerio
Già il primo piano urbanistico, che nel 1889 doveva dare a Bologna un volto moderno, aveva previsto l’apertura di un nuovo asse viario, in parallelo al tracciato urbano della via Emilia, necessario per tagliare la città più a nord. Una decina di anni dopo, tale asse viene effettivamente costruito e corrisponde all’attuale via Irnerio che nel punto in cui si connette con la parte terminale di via Zamboni, si apre in una piccola piazza dalla conformazione irregolare.
E’ proprio in questo punto nodale, il lotto trapezoidale disegnato dalle due strade, che sorge l’edificio per Mineralogia. L’area, sfida urbanistica oltre che architettonica per via della forma anomala, diventa punto d’orgoglio per Flavio Bastiani, l’ingegnere incaricato del progetto di questo nuovo comparto della città destinato all’edilizia universitaria. Si trova, infatti, alle prese con una distribuzione planimetrica complessa e con la necessità di rispettare precise richieste della committenza. Al Museo viene, fin dal principio, destinata la parte principale dell’edificio: il grande salone al primo piano, a cui si accede attraverso uno scalone in marmo di Verona, definito dal suo autore “abbastanza grandioso”. Il piano terra, leggermente rialzato dal livello della strada e reso buio dal portico ritenuto di “civica necessità”, è invece destinato all’attività didattica.
Sintomatica è la scelta dell’aspetto dell’esterno, che si configura come un guscio, un rivestimento senza relazioni con il corpo della costruzione. Vengono infatti apprestati due progetti, uno in stile gotico e uno in stile classico (in qualche documento citato anche come ‘palladiano’), quest’ultimo prescelto poi dal direttore del Museo, Luigi Bombicci, anche se più costoso. Le decorazioni architettoniche, in terracotta, prevedono un possente portico retto da robusti pilastri e una corona di ampie finestre a serliana ad illuminare il museo, destinate a diventare l’elemento caratteristico dell’edificio.
E’ proprio in questo punto nodale, il lotto trapezoidale disegnato dalle due strade, che sorge l’edificio per Mineralogia. L’area, sfida urbanistica oltre che architettonica per via della forma anomala, diventa punto d’orgoglio per Flavio Bastiani, l’ingegnere incaricato del progetto di questo nuovo comparto della città destinato all’edilizia universitaria. Si trova, infatti, alle prese con una distribuzione planimetrica complessa e con la necessità di rispettare precise richieste della committenza. Al Museo viene, fin dal principio, destinata la parte principale dell’edificio: il grande salone al primo piano, a cui si accede attraverso uno scalone in marmo di Verona, definito dal suo autore “abbastanza grandioso”. Il piano terra, leggermente rialzato dal livello della strada e reso buio dal portico ritenuto di “civica necessità”, è invece destinato all’attività didattica.
Sintomatica è la scelta dell’aspetto dell’esterno, che si configura come un guscio, un rivestimento senza relazioni con il corpo della costruzione. Vengono infatti apprestati due progetti, uno in stile gotico e uno in stile classico (in qualche documento citato anche come ‘palladiano’), quest’ultimo prescelto poi dal direttore del Museo, Luigi Bombicci, anche se più costoso. Le decorazioni architettoniche, in terracotta, prevedono un possente portico retto da robusti pilastri e una corona di ampie finestre a serliana ad illuminare il museo, destinate a diventare l’elemento caratteristico dell’edificio.
Scopri di più
Museo di Mineralogia e l'apertura di via Irnerio
Già il primo piano urbanistico, che nel 1889 doveva dare a Bologna un volto moderno, aveva previsto l’apertura di un nuovo asse viario, in parallelo al tracciato urbano della via Emilia, necessario per tagliare la città più a nord. Una decina di anni dopo, tale asse viene effettivamente costruito e corrisponde all’attuale via Irnerio che nel punto in cui si connette con la parte terminale di via Zamboni, si apre in una piccola piazza dalla conformazione irregolare.
E’ proprio in questo punto nodale, il lotto trapezoidale disegnato dalle due strade, che sorge l’edificio per Mineralogia. L’area, sfida urbanistica oltre che architettonica per via della forma anomala, diventa punto d’orgoglio per Flavio Bastiani, l’ingegnere incaricato del progetto di questo nuovo comparto della città destinato all’edilizia universitaria. Si trova, infatti, alle prese con una distribuzione planimetrica complessa e con la necessità di rispettare precise richieste della committenza. Al Museo viene, fin dal principio, destinata la parte principale dell’edificio: il grande salone al primo piano, a cui si accede attraverso uno scalone in marmo di Verona, definito dal suo autore “abbastanza grandioso”. Il piano terra, leggermente rialzato dal livello della strada e reso buio dal portico ritenuto di “civica necessità”, è invece destinato all’attività didattica.
Sintomatica è la scelta dell’aspetto dell’esterno, che si configura come un guscio, un rivestimento senza relazioni con il corpo della costruzione. Vengono infatti apprestati due progetti, uno in stile gotico e uno in stile classico (in qualche documento citato anche come ‘palladiano’), quest’ultimo prescelto poi dal direttore del Museo, Luigi Bombicci, anche se più costoso. Le decorazioni architettoniche, in terracotta, prevedono un possente portico retto da robusti pilastri e una corona di ampie finestre a serliana ad illuminare il museo, destinate a diventare l’elemento caratteristico dell’edificio.
E’ proprio in questo punto nodale, il lotto trapezoidale disegnato dalle due strade, che sorge l’edificio per Mineralogia. L’area, sfida urbanistica oltre che architettonica per via della forma anomala, diventa punto d’orgoglio per Flavio Bastiani, l’ingegnere incaricato del progetto di questo nuovo comparto della città destinato all’edilizia universitaria. Si trova, infatti, alle prese con una distribuzione planimetrica complessa e con la necessità di rispettare precise richieste della committenza. Al Museo viene, fin dal principio, destinata la parte principale dell’edificio: il grande salone al primo piano, a cui si accede attraverso uno scalone in marmo di Verona, definito dal suo autore “abbastanza grandioso”. Il piano terra, leggermente rialzato dal livello della strada e reso buio dal portico ritenuto di “civica necessità”, è invece destinato all’attività didattica.
Sintomatica è la scelta dell’aspetto dell’esterno, che si configura come un guscio, un rivestimento senza relazioni con il corpo della costruzione. Vengono infatti apprestati due progetti, uno in stile gotico e uno in stile classico (in qualche documento citato anche come ‘palladiano’), quest’ultimo prescelto poi dal direttore del Museo, Luigi Bombicci, anche se più costoso. Le decorazioni architettoniche, in terracotta, prevedono un possente portico retto da robusti pilastri e una corona di ampie finestre a serliana ad illuminare il museo, destinate a diventare l’elemento caratteristico dell’edificio.
Scopri di più
Museo Capellini
Nel 1860 giunge a Bologna dalla natia Spezia il giovanissimo Giovanni Capellini con una laurea in Geologia e molta voglia di fare. Al suo arrivo le collezioni scientifiche dell’Ateneo risultano disperse a causa di incuria e di inopportuni smembramenti: suo obiettivo diviene allora la creazione di un grande museo destinato allo studio della Geologia e della Paleontologia. Nel 1868 si liberano, in fondo a via Zamboni, alcuni locali fino ad allora destinati alle cliniche universitarie, a loro volta trasferite nel costruendo policlinico del Sant’Orsola. E’ lì che, oltre alla sede dell’Istituto di Geologia, gradualmente prende corpo il Museo con una prima esposizione allestita nel 1871.
La vera e propria inaugurazione del Museo, però, avverrà nel 1881, anno cruciale per Capellini che organizza e ospita il II Congresso Geologico Internazionale, occasione anche per acquisire numerosi nuovi esemplari, dono dei convenuti per l’incremento delle collezioni.
L’indissolubile legame fra Capellini e il ‘suo’ museo viene confermato ancora nel 1911 quando, in occasione dei 50 anni dall’avvio del suo insegnamento a Bologna, viene inaugurata la nuova facciata.
Rispetto al modesto fronte originario, l’attuale è connotato stilisticamente da un marcato storicismo neorinascimentale. È scandito da un ordine gigante di lesene corinzie che ritmano il complesso partito decorativo dei due piani di cui si compone il museo (vi è un ulteriore livello superiore adibito a locali di servizio). Il piano terra si contraddistingue per un bugnato a fasce, mentre il piano superiore è forato da una serie quasi continua di aperture, talvolta evocanti una serliana, talaltra invece semplicemente architravate.
La vera e propria inaugurazione del Museo, però, avverrà nel 1881, anno cruciale per Capellini che organizza e ospita il II Congresso Geologico Internazionale, occasione anche per acquisire numerosi nuovi esemplari, dono dei convenuti per l’incremento delle collezioni.
L’indissolubile legame fra Capellini e il ‘suo’ museo viene confermato ancora nel 1911 quando, in occasione dei 50 anni dall’avvio del suo insegnamento a Bologna, viene inaugurata la nuova facciata.
Rispetto al modesto fronte originario, l’attuale è connotato stilisticamente da un marcato storicismo neorinascimentale. È scandito da un ordine gigante di lesene corinzie che ritmano il complesso partito decorativo dei due piani di cui si compone il museo (vi è un ulteriore livello superiore adibito a locali di servizio). Il piano terra si contraddistingue per un bugnato a fasce, mentre il piano superiore è forato da una serie quasi continua di aperture, talvolta evocanti una serliana, talaltra invece semplicemente architravate.
Scopri di più
Museo Capellini
Nel 1860 giunge a Bologna dalla natia Spezia il giovanissimo Giovanni Capellini con una laurea in Geologia e molta voglia di fare. Al suo arrivo le collezioni scientifiche dell’Ateneo risultano disperse a causa di incuria e di inopportuni smembramenti: suo obiettivo diviene allora la creazione di un grande museo destinato allo studio della Geologia e della Paleontologia. Nel 1868 si liberano, in fondo a via Zamboni, alcuni locali fino ad allora destinati alle cliniche universitarie, a loro volta trasferite nel costruendo policlinico del Sant’Orsola. E’ lì che, oltre alla sede dell’Istituto di Geologia, gradualmente prende corpo il Museo con una prima esposizione allestita nel 1871.
La vera e propria inaugurazione del Museo, però, avverrà nel 1881, anno cruciale per Capellini che organizza e ospita il II Congresso Geologico Internazionale, occasione anche per acquisire numerosi nuovi esemplari, dono dei convenuti per l’incremento delle collezioni.
L’indissolubile legame fra Capellini e il ‘suo’ museo viene confermato ancora nel 1911 quando, in occasione dei 50 anni dall’avvio del suo insegnamento a Bologna, viene inaugurata la nuova facciata.
Rispetto al modesto fronte originario, l’attuale è connotato stilisticamente da un marcato storicismo neorinascimentale. È scandito da un ordine gigante di lesene corinzie che ritmano il complesso partito decorativo dei due piani di cui si compone il museo (vi è un ulteriore livello superiore adibito a locali di servizio). Il piano terra si contraddistingue per un bugnato a fasce, mentre il piano superiore è forato da una serie quasi continua di aperture, talvolta evocanti una serliana, talaltra invece semplicemente architravate.
La vera e propria inaugurazione del Museo, però, avverrà nel 1881, anno cruciale per Capellini che organizza e ospita il II Congresso Geologico Internazionale, occasione anche per acquisire numerosi nuovi esemplari, dono dei convenuti per l’incremento delle collezioni.
L’indissolubile legame fra Capellini e il ‘suo’ museo viene confermato ancora nel 1911 quando, in occasione dei 50 anni dall’avvio del suo insegnamento a Bologna, viene inaugurata la nuova facciata.
Rispetto al modesto fronte originario, l’attuale è connotato stilisticamente da un marcato storicismo neorinascimentale. È scandito da un ordine gigante di lesene corinzie che ritmano il complesso partito decorativo dei due piani di cui si compone il museo (vi è un ulteriore livello superiore adibito a locali di servizio). Il piano terra si contraddistingue per un bugnato a fasce, mentre il piano superiore è forato da una serie quasi continua di aperture, talvolta evocanti una serliana, talaltra invece semplicemente architravate.
Scopri di più
Edifici per la Facoltà di Economia e Commercio
In un tessuto fortemente storicizzato si innestano architetture moderne che dialogano con via Zamboni attraverso la quinta osmotica del portico che si apre verso la piazza, un tempo assai poco frequentata per via di una nota superstizione: se si fosse attraversata diagonalmente, l’agognata laurea non sarebbe mai stata conseguita. Ora invece è spazio pulsante di vita studentesca la cui storia rimonta agli anni ‘30. In quel momento, infatti, la zona è, come tante nella Bologna coeva, caratterizzata da un’edilizia povera quando non fatiscente. Nel 1936 il Piano di Risanamento prevede che vi si costruisca un edificio per l’Università e la scelta dapprima cade su Lettere. Quando però una bomba, nel 1943, distrugge il Palazzo per gli Studi commerciali costruito una decina di anni prima nei pressi di Porta Galliera, la decisione diventa inevitabile: l’area viene destinata a Economia e Commercio.
Subito dopo la fine della guerra, il 30 marzo 1950 esce il bando di concorso per la progettazione dell’edificio. In esso si prescrive che l’architettura si accordi con i caratteri del costruito già in essere, in termini di materiali e cromie. Il concorso, dopo due gradi di giudizio, premia Enea Trenti e Luigi Vignali che già nel suo Piano regolatore clandestino, elaborato in piena guerra, aveva previsto un analogo edificio in quel punto.
Nel 1951 iniziano i lavori e nel 1955 il rettore Felice Battaglia inaugura un primo lotto che riguarda il quadriportico e il corpo nord-est della Facoltà. In un secondo momento, nel 1959-60, l’edificio verrà compiuto in conformità con l’attuale sviluppo.
Subito dopo la fine della guerra, il 30 marzo 1950 esce il bando di concorso per la progettazione dell’edificio. In esso si prescrive che l’architettura si accordi con i caratteri del costruito già in essere, in termini di materiali e cromie. Il concorso, dopo due gradi di giudizio, premia Enea Trenti e Luigi Vignali che già nel suo Piano regolatore clandestino, elaborato in piena guerra, aveva previsto un analogo edificio in quel punto.
Nel 1951 iniziano i lavori e nel 1955 il rettore Felice Battaglia inaugura un primo lotto che riguarda il quadriportico e il corpo nord-est della Facoltà. In un secondo momento, nel 1959-60, l’edificio verrà compiuto in conformità con l’attuale sviluppo.
Scopri di più
Edifici per la Facoltà di Economia e Commercio
In un tessuto fortemente storicizzato si innestano architetture moderne che dialogano con via Zamboni attraverso la quinta osmotica del portico che si apre verso la piazza, un tempo assai poco frequentata per via di una nota superstizione: se si fosse attraversata diagonalmente, l’agognata laurea non sarebbe mai stata conseguita. Ora invece è spazio pulsante di vita studentesca la cui storia rimonta agli anni ‘30. In quel momento, infatti, la zona è, come tante nella Bologna coeva, caratterizzata da un’edilizia povera quando non fatiscente. Nel 1936 il Piano di Risanamento prevede che vi si costruisca un edificio per l’Università e la scelta dapprima cade su Lettere. Quando però una bomba, nel 1943, distrugge il Palazzo per gli Studi commerciali costruito una decina di anni prima nei pressi di Porta Galliera, la decisione diventa inevitabile: l’area viene destinata a Economia e Commercio.
Subito dopo la fine della guerra, il 30 marzo 1950 esce il bando di concorso per la progettazione dell’edificio. In esso si prescrive che l’architettura si accordi con i caratteri del costruito già in essere, in termini di materiali e cromie. Il concorso, dopo due gradi di giudizio, premia Enea Trenti e Luigi Vignali che già nel suo Piano regolatore clandestino, elaborato in piena guerra, aveva previsto un analogo edificio in quel punto.
Nel 1951 iniziano i lavori e nel 1955 il rettore Felice Battaglia inaugura un primo lotto che riguarda il quadriportico e il corpo nord-est della Facoltà. In un secondo momento, nel 1959-60, l’edificio verrà compiuto in conformità con l’attuale sviluppo.
Subito dopo la fine della guerra, il 30 marzo 1950 esce il bando di concorso per la progettazione dell’edificio. In esso si prescrive che l’architettura si accordi con i caratteri del costruito già in essere, in termini di materiali e cromie. Il concorso, dopo due gradi di giudizio, premia Enea Trenti e Luigi Vignali che già nel suo Piano regolatore clandestino, elaborato in piena guerra, aveva previsto un analogo edificio in quel punto.
Nel 1951 iniziano i lavori e nel 1955 il rettore Felice Battaglia inaugura un primo lotto che riguarda il quadriportico e il corpo nord-est della Facoltà. In un secondo momento, nel 1959-60, l’edificio verrà compiuto in conformità con l’attuale sviluppo.
Scopri di più
Accademia di Belle Arti
Il complesso del Noviziato gesuita e della chiesa di Sant’Ignazio, oggi Accademia di Belle Arti e Pinacoteca, è anticipato da un portico che, come di consueto a Bologna, porta in secondo piano la sua facciata rendendola pressoché invisibile. Gli ampi spazi, costruiti fra il 1670 e il 1685, ospitavano i giovani gesuiti in formazione. La chiesa però viene edificata solo dal 1728 al 1735 su progetto di Alfonso Torreggiani e attualmente funge da Aula magna dell’Accademia, visibile ai passanti grazie alla apertura pressoché costante del portone sotto il portico. Il suo interno è organizzato come una croce greca con bracci appena pronunciati punteggiati da alte colonne libere in stile composito. Al sommo un’ampia cupola, ridotta nel 1805, inonda di luce l’ampio invaso. In questo periodo l'edificio è sottoposto ad un generale riassetto per destinarlo all'Accademia.
Scopri di più
Accademia di Belle Arti
Il complesso del Noviziato gesuita e della chiesa di Sant’Ignazio, oggi Accademia di Belle Arti e Pinacoteca, è anticipato da un portico che, come di consueto a Bologna, porta in secondo piano la sua facciata rendendola pressoché invisibile. Gli ampi spazi, costruiti fra il 1670 e il 1685, ospitavano i giovani gesuiti in formazione. La chiesa però viene edificata solo dal 1728 al 1735 su progetto di Alfonso Torreggiani e attualmente funge da Aula magna dell’Accademia, visibile ai passanti grazie alla apertura pressoché costante del portone sotto il portico. Il suo interno è organizzato come una croce greca con bracci appena pronunciati punteggiati da alte colonne libere in stile composito. Al sommo un’ampia cupola, ridotta nel 1805, inonda di luce l’ampio invaso. In questo periodo l'edificio è sottoposto ad un generale riassetto per destinarlo all'Accademia.
Scopri di più
Palazzo Poggi
L’ampio palazzo, oggi sede centrale dell’Università di Bologna, viene costruito a partire dalla metà del Cinquecento, sulla preesistenza di dimore famigliari non commisurate al rango del cardinale Giovanni Poggi che lo va ad occupare.
L’artefice di questo bell’esempio di dimora aristocratica è stato a lungo un rebus della critica che oggi tende ad ascrivere il portico e la facciata al bolognese Bartolomeo Triachini mentre il cortile interno sarebbe dell’artista polimorfo Pellegrino Tibaldi.
Il portico è caratterizzato da colonne doriche con capitello a rosette. Pilastri decorati con figure geometriche inquadrano l’ingresso principale e chiudono la sequenza delle colonne.
Alla morte del cardinale, gli eredi proseguono nella costruzione dell’edificio che però non viene completato.
La svolta nella destinazione d’uso si ha nel 1712 quando il palazzo, venduto dalla famiglia, diventa la sede dell’Accademia delle Scienze e si arricchisce di una imponente biblioteca opera di Carlo Francesco Dotti.
Oggi il complesso occupa un intero isolato e ospita, oltre alla Biblioteca Universitaria, il Rettorato, alcune aule e molti uffici. Presto vedrà la luce la ricostruzione fedele della biblioteca di Umberto Eco.
L’artefice di questo bell’esempio di dimora aristocratica è stato a lungo un rebus della critica che oggi tende ad ascrivere il portico e la facciata al bolognese Bartolomeo Triachini mentre il cortile interno sarebbe dell’artista polimorfo Pellegrino Tibaldi.
Il portico è caratterizzato da colonne doriche con capitello a rosette. Pilastri decorati con figure geometriche inquadrano l’ingresso principale e chiudono la sequenza delle colonne.
Alla morte del cardinale, gli eredi proseguono nella costruzione dell’edificio che però non viene completato.
La svolta nella destinazione d’uso si ha nel 1712 quando il palazzo, venduto dalla famiglia, diventa la sede dell’Accademia delle Scienze e si arricchisce di una imponente biblioteca opera di Carlo Francesco Dotti.
Oggi il complesso occupa un intero isolato e ospita, oltre alla Biblioteca Universitaria, il Rettorato, alcune aule e molti uffici. Presto vedrà la luce la ricostruzione fedele della biblioteca di Umberto Eco.
Scopri di più
Palazzo Poggi
L’ampio palazzo, oggi sede centrale dell’Università di Bologna, viene costruito a partire dalla metà del Cinquecento, sulla preesistenza di dimore famigliari non commisurate al rango del cardinale Giovanni Poggi che lo va ad occupare.
L’artefice di questo bell’esempio di dimora aristocratica è stato a lungo un rebus della critica che oggi tende ad ascrivere il portico e la facciata al bolognese Bartolomeo Triachini mentre il cortile interno sarebbe dell’artista polimorfo Pellegrino Tibaldi.
Il portico è caratterizzato da colonne doriche con capitello a rosette. Pilastri decorati con figure geometriche inquadrano l’ingresso principale e chiudono la sequenza delle colonne.
Alla morte del cardinale, gli eredi proseguono nella costruzione dell’edificio che però non viene completato.
La svolta nella destinazione d’uso si ha nel 1712 quando il palazzo, venduto dalla famiglia, diventa la sede dell’Accademia delle Scienze e si arricchisce di una imponente biblioteca opera di Carlo Francesco Dotti.
Oggi il complesso occupa un intero isolato e ospita, oltre alla Biblioteca Universitaria, il Rettorato, alcune aule e molti uffici. Presto vedrà la luce la ricostruzione fedele della biblioteca di Umberto Eco.
L’artefice di questo bell’esempio di dimora aristocratica è stato a lungo un rebus della critica che oggi tende ad ascrivere il portico e la facciata al bolognese Bartolomeo Triachini mentre il cortile interno sarebbe dell’artista polimorfo Pellegrino Tibaldi.
Il portico è caratterizzato da colonne doriche con capitello a rosette. Pilastri decorati con figure geometriche inquadrano l’ingresso principale e chiudono la sequenza delle colonne.
Alla morte del cardinale, gli eredi proseguono nella costruzione dell’edificio che però non viene completato.
La svolta nella destinazione d’uso si ha nel 1712 quando il palazzo, venduto dalla famiglia, diventa la sede dell’Accademia delle Scienze e si arricchisce di una imponente biblioteca opera di Carlo Francesco Dotti.
Oggi il complesso occupa un intero isolato e ospita, oltre alla Biblioteca Universitaria, il Rettorato, alcune aule e molti uffici. Presto vedrà la luce la ricostruzione fedele della biblioteca di Umberto Eco.
Scopri di più
Teatro Comunale
Lo spazio oggi occupato dal Teatro Comunale è stato per alcuni decenni uno dei luoghi in cui meglio si è esplicitata la magnificenza dei Bentivoglio: qui infatti sorgeva la Domus Magna, edificio che i contemporanei paragonano ai più sfarzosi palazzi del potere signorile italiano.
L’edificio, secondo la tradizione della città, presentava sul fronte un ampio portico, opera di Pagno di Lapo Portigiani, connesso con quello presente sulle facciate degli edifici circostanti, connotando così uno spazio urbano omogeneo, centro del potere della famiglia che di fatto regge Bologna nel Quattrocento.
Nel 1507, a seguito della conquista della città da parte di Giulio II che ristabilisce su di essa il potere pontificio, il palazzo è fatto oggetto di una devastante spoliazione che riduce l’area ad un ‘guasto’ (toponimo che rimane nella strada che fiancheggia l’attuale teatro) ovvero ad un incongruo ammasso di macerie. Così l’area permane fino a Settecento inoltrato, quando il Senato decide di costruirvi una sala teatrale per tutta la città e affida nel 1755 il progetto ad Antonio Galli Bibiena.
Delle due idee presentate viene preferita la più semplice, caratterizzata da un portico a colonne doriche che dà luce al foyer, mentre il piano superiore resta incompiuto fino agli anni Trenta del Novecento quando viene completato con una profonda terrazza opera di Umberto Rizzi.
L’edificio, secondo la tradizione della città, presentava sul fronte un ampio portico, opera di Pagno di Lapo Portigiani, connesso con quello presente sulle facciate degli edifici circostanti, connotando così uno spazio urbano omogeneo, centro del potere della famiglia che di fatto regge Bologna nel Quattrocento.
Nel 1507, a seguito della conquista della città da parte di Giulio II che ristabilisce su di essa il potere pontificio, il palazzo è fatto oggetto di una devastante spoliazione che riduce l’area ad un ‘guasto’ (toponimo che rimane nella strada che fiancheggia l’attuale teatro) ovvero ad un incongruo ammasso di macerie. Così l’area permane fino a Settecento inoltrato, quando il Senato decide di costruirvi una sala teatrale per tutta la città e affida nel 1755 il progetto ad Antonio Galli Bibiena.
Delle due idee presentate viene preferita la più semplice, caratterizzata da un portico a colonne doriche che dà luce al foyer, mentre il piano superiore resta incompiuto fino agli anni Trenta del Novecento quando viene completato con una profonda terrazza opera di Umberto Rizzi.
Scopri di più
Teatro Comunale
Lo spazio oggi occupato dal Teatro Comunale è stato per alcuni decenni uno dei luoghi in cui meglio si è esplicitata la magnificenza dei Bentivoglio: qui infatti sorgeva la Domus Magna, edificio che i contemporanei paragonano ai più sfarzosi palazzi del potere signorile italiano.
L’edificio, secondo la tradizione della città, presentava sul fronte un ampio portico, opera di Pagno di Lapo Portigiani, connesso con quello presente sulle facciate degli edifici circostanti, connotando così uno spazio urbano omogeneo, centro del potere della famiglia che di fatto regge Bologna nel Quattrocento.
Nel 1507, a seguito della conquista della città da parte di Giulio II che ristabilisce su di essa il potere pontificio, il palazzo è fatto oggetto di una devastante spoliazione che riduce l’area ad un ‘guasto’ (toponimo che rimane nella strada che fiancheggia l’attuale teatro) ovvero ad un incongruo ammasso di macerie. Così l’area permane fino a Settecento inoltrato, quando il Senato decide di costruirvi una sala teatrale per tutta la città e affida nel 1755 il progetto ad Antonio Galli Bibiena.
Delle due idee presentate viene preferita la più semplice, caratterizzata da un portico a colonne doriche che dà luce al foyer, mentre il piano superiore resta incompiuto fino agli anni Trenta del Novecento quando viene completato con una profonda terrazza opera di Umberto Rizzi.
L’edificio, secondo la tradizione della città, presentava sul fronte un ampio portico, opera di Pagno di Lapo Portigiani, connesso con quello presente sulle facciate degli edifici circostanti, connotando così uno spazio urbano omogeneo, centro del potere della famiglia che di fatto regge Bologna nel Quattrocento.
Nel 1507, a seguito della conquista della città da parte di Giulio II che ristabilisce su di essa il potere pontificio, il palazzo è fatto oggetto di una devastante spoliazione che riduce l’area ad un ‘guasto’ (toponimo che rimane nella strada che fiancheggia l’attuale teatro) ovvero ad un incongruo ammasso di macerie. Così l’area permane fino a Settecento inoltrato, quando il Senato decide di costruirvi una sala teatrale per tutta la città e affida nel 1755 il progetto ad Antonio Galli Bibiena.
Delle due idee presentate viene preferita la più semplice, caratterizzata da un portico a colonne doriche che dà luce al foyer, mentre il piano superiore resta incompiuto fino agli anni Trenta del Novecento quando viene completato con una profonda terrazza opera di Umberto Rizzi.
Scopri di più
Palazzo della sede storica della Cassa di Risparmio
Il portico ampio e chiaro, fra i pochi a Bologna con copertura a lacunari, certifica del rango di edificio solenne che spetta alla sede della Banca più importante della città nell’immediato periodo post-unitario.
La Cassa di risparmio, fondata nel 1837 e ospitata inizialmente nel Palazzo del Podestà, richiede una sede adeguata al suo ruolo, una sede che promani solidità e decoro ma senza sciali. Dopo un concorso che non trova vincitori convincenti, l’incarico viene dato al romagnolo Giuseppe Mengoni, impegnato anche nella costruzione della milanese Galleria Vittorio Emanuele (dove trovò la morte cadendo da un’impalcatura), ma anche in cantieri e pensieri a Firenze e Roma.
In linea con quanto sta accadendo in altri centri, lo stile scelto per la banca è il neorinascimento che per il portato simbolico (il pensiero va ai banchieri rinascimentali e alle ricchezze di un’Italia dei tempi d’oro) e per il vastissimo campionario decorativo sembra bene interpretare i valori della committenza. In effetti le scelte di Mengoni per l’edificio mettono in campo un repertorio decorativo che guarda fuori da Bologna, sia nelle forme che nei materiali: in particolare la pietra da taglio preferita al laterizio o all’intonaco propri della città.
Anche sul piano della tecnologia, l’edificio si pone all’avanguardia nella scelta di di metodologie costruttive innovative.
Singolare è il lavoro sulle inferriate, opera degli artigiani delle officine Cambiaggio di Milano,che riescono, attraverso la lavorazione a vuoto del metallo, a realizzare manufatti di estrema leggerezza: i grandi cancelli d’accesso sul fronte principale – si legge in un giornale dell’epoca – possono essere mossi da un fanciullo che appena si regga in piedi.
La Cassa di risparmio, fondata nel 1837 e ospitata inizialmente nel Palazzo del Podestà, richiede una sede adeguata al suo ruolo, una sede che promani solidità e decoro ma senza sciali. Dopo un concorso che non trova vincitori convincenti, l’incarico viene dato al romagnolo Giuseppe Mengoni, impegnato anche nella costruzione della milanese Galleria Vittorio Emanuele (dove trovò la morte cadendo da un’impalcatura), ma anche in cantieri e pensieri a Firenze e Roma.
In linea con quanto sta accadendo in altri centri, lo stile scelto per la banca è il neorinascimento che per il portato simbolico (il pensiero va ai banchieri rinascimentali e alle ricchezze di un’Italia dei tempi d’oro) e per il vastissimo campionario decorativo sembra bene interpretare i valori della committenza. In effetti le scelte di Mengoni per l’edificio mettono in campo un repertorio decorativo che guarda fuori da Bologna, sia nelle forme che nei materiali: in particolare la pietra da taglio preferita al laterizio o all’intonaco propri della città.
Anche sul piano della tecnologia, l’edificio si pone all’avanguardia nella scelta di di metodologie costruttive innovative.
Singolare è il lavoro sulle inferriate, opera degli artigiani delle officine Cambiaggio di Milano,che riescono, attraverso la lavorazione a vuoto del metallo, a realizzare manufatti di estrema leggerezza: i grandi cancelli d’accesso sul fronte principale – si legge in un giornale dell’epoca – possono essere mossi da un fanciullo che appena si regga in piedi.
Scopri di più
Palazzo della sede storica della Cassa di Risparmio
Il portico ampio e chiaro, fra i pochi a Bologna con copertura a lacunari, certifica del rango di edificio solenne che spetta alla sede della Banca più importante della città nell’immediato periodo post-unitario.
La Cassa di risparmio, fondata nel 1837 e ospitata inizialmente nel Palazzo del Podestà, richiede una sede adeguata al suo ruolo, una sede che promani solidità e decoro ma senza sciali. Dopo un concorso che non trova vincitori convincenti, l’incarico viene dato al romagnolo Giuseppe Mengoni, impegnato anche nella costruzione della milanese Galleria Vittorio Emanuele (dove trovò la morte cadendo da un’impalcatura), ma anche in cantieri e pensieri a Firenze e Roma.
In linea con quanto sta accadendo in altri centri, lo stile scelto per la banca è il neorinascimento che per il portato simbolico (il pensiero va ai banchieri rinascimentali e alle ricchezze di un’Italia dei tempi d’oro) e per il vastissimo campionario decorativo sembra bene interpretare i valori della committenza. In effetti le scelte di Mengoni per l’edificio mettono in campo un repertorio decorativo che guarda fuori da Bologna, sia nelle forme che nei materiali: in particolare la pietra da taglio preferita al laterizio o all’intonaco propri della città.
Anche sul piano della tecnologia, l’edificio si pone all’avanguardia nella scelta di di metodologie costruttive innovative.
Singolare è il lavoro sulle inferriate, opera degli artigiani delle officine Cambiaggio di Milano,che riescono, attraverso la lavorazione a vuoto del metallo, a realizzare manufatti di estrema leggerezza: i grandi cancelli d’accesso sul fronte principale – si legge in un giornale dell’epoca – possono essere mossi da un fanciullo che appena si regga in piedi.
La Cassa di risparmio, fondata nel 1837 e ospitata inizialmente nel Palazzo del Podestà, richiede una sede adeguata al suo ruolo, una sede che promani solidità e decoro ma senza sciali. Dopo un concorso che non trova vincitori convincenti, l’incarico viene dato al romagnolo Giuseppe Mengoni, impegnato anche nella costruzione della milanese Galleria Vittorio Emanuele (dove trovò la morte cadendo da un’impalcatura), ma anche in cantieri e pensieri a Firenze e Roma.
In linea con quanto sta accadendo in altri centri, lo stile scelto per la banca è il neorinascimento che per il portato simbolico (il pensiero va ai banchieri rinascimentali e alle ricchezze di un’Italia dei tempi d’oro) e per il vastissimo campionario decorativo sembra bene interpretare i valori della committenza. In effetti le scelte di Mengoni per l’edificio mettono in campo un repertorio decorativo che guarda fuori da Bologna, sia nelle forme che nei materiali: in particolare la pietra da taglio preferita al laterizio o all’intonaco propri della città.
Anche sul piano della tecnologia, l’edificio si pone all’avanguardia nella scelta di di metodologie costruttive innovative.
Singolare è il lavoro sulle inferriate, opera degli artigiani delle officine Cambiaggio di Milano,che riescono, attraverso la lavorazione a vuoto del metallo, a realizzare manufatti di estrema leggerezza: i grandi cancelli d’accesso sul fronte principale – si legge in un giornale dell’epoca – possono essere mossi da un fanciullo che appena si regga in piedi.
Scopri di più
Palazzo Guidotti
La prima costruzione risale al XIV secolo e vede poi nel XVI un ampliamento che però non completa l’edificio. Si deve attendere l’epoca dei grands travaux postunitari governati dalla figura dell’ingegnere Coriolano Monti per arrivare all’attuale assetto.
L’allargamento di Borgo Sàlamo provoca la demolizione di un portico mentre l’apertura di Piazza Cavour motiva l’erezione di una nuova facciata porticata, in armonia con quanto si stava costruendo lì attorno e con il carattere della città, pienamente rispettato dall’ingegnere perugino che in via straordinaria, probabilmente cura per i Guidotti i lavori al loro palazzo.
Si salvano alcuni capitelli delle precedenti fasi della costruzione che vengono integrati nel nuovo assetto, visibile su via Farini. Mentre sulla piazza, l’effigie dell’ingegnere e quella di membri della famiglia committente (Annibale e il padre Francesco) compaiono su capitelli neocinquecenteschi opera di Augusto Viallet.
L’allargamento di Borgo Sàlamo provoca la demolizione di un portico mentre l’apertura di Piazza Cavour motiva l’erezione di una nuova facciata porticata, in armonia con quanto si stava costruendo lì attorno e con il carattere della città, pienamente rispettato dall’ingegnere perugino che in via straordinaria, probabilmente cura per i Guidotti i lavori al loro palazzo.
Si salvano alcuni capitelli delle precedenti fasi della costruzione che vengono integrati nel nuovo assetto, visibile su via Farini. Mentre sulla piazza, l’effigie dell’ingegnere e quella di membri della famiglia committente (Annibale e il padre Francesco) compaiono su capitelli neocinquecenteschi opera di Augusto Viallet.
Scopri di più
Palazzo Guidotti
La prima costruzione risale al XIV secolo e vede poi nel XVI un ampliamento che però non completa l’edificio. Si deve attendere l’epoca dei grands travaux postunitari governati dalla figura dell’ingegnere Coriolano Monti per arrivare all’attuale assetto.
L’allargamento di Borgo Sàlamo provoca la demolizione di un portico mentre l’apertura di Piazza Cavour motiva l’erezione di una nuova facciata porticata, in armonia con quanto si stava costruendo lì attorno e con il carattere della città, pienamente rispettato dall’ingegnere perugino che in via straordinaria, probabilmente cura per i Guidotti i lavori al loro palazzo.
Si salvano alcuni capitelli delle precedenti fasi della costruzione che vengono integrati nel nuovo assetto, visibile su via Farini. Mentre sulla piazza, l’effigie dell’ingegnere e quella di membri della famiglia committente (Annibale e il padre Francesco) compaiono su capitelli neocinquecenteschi opera di Augusto Viallet.
L’allargamento di Borgo Sàlamo provoca la demolizione di un portico mentre l’apertura di Piazza Cavour motiva l’erezione di una nuova facciata porticata, in armonia con quanto si stava costruendo lì attorno e con il carattere della città, pienamente rispettato dall’ingegnere perugino che in via straordinaria, probabilmente cura per i Guidotti i lavori al loro palazzo.
Si salvano alcuni capitelli delle precedenti fasi della costruzione che vengono integrati nel nuovo assetto, visibile su via Farini. Mentre sulla piazza, l’effigie dell’ingegnere e quella di membri della famiglia committente (Annibale e il padre Francesco) compaiono su capitelli neocinquecenteschi opera di Augusto Viallet.
Scopri di più
Palazzine Bottrigari
Nella nuova e aristocratica piazza Cavour l’ingegnere bolognese Antonio Zannoni è l’autore del segmento est di costruzioni che completano il lato di palazzo Guidotti, composto da un edificio compatto, casa Ratta, e le cosiddette Palazzine Bottrigari.
Il genio originale di Zannoni, tipica figura di ingegnere integrale ottocentesco, in grado di occuparsi di ogni aspetto concernente lo spazio urbano dalla storia all’archeologia all’ingegneria strutturale, si esplica qui in una costruzione che non ha eguali in città da un punto di vista della forma e dello stile. Forse stimolato dal tono della piazza che ricorda i tipici squares inglesi, Zannoni organizza la facciata connotandola con un’alta loggia arricchita da un imponente ordine gigante che rilega piano nobile e mezzanino superiore. L’edificio è poi coronato da una balaustra, anche questo elemento non comune sotto le torri.
Il genio originale di Zannoni, tipica figura di ingegnere integrale ottocentesco, in grado di occuparsi di ogni aspetto concernente lo spazio urbano dalla storia all’archeologia all’ingegneria strutturale, si esplica qui in una costruzione che non ha eguali in città da un punto di vista della forma e dello stile. Forse stimolato dal tono della piazza che ricorda i tipici squares inglesi, Zannoni organizza la facciata connotandola con un’alta loggia arricchita da un imponente ordine gigante che rilega piano nobile e mezzanino superiore. L’edificio è poi coronato da una balaustra, anche questo elemento non comune sotto le torri.
Scopri di più
Palazzine Bottrigari
Nella nuova e aristocratica piazza Cavour l’ingegnere bolognese Antonio Zannoni è l’autore del segmento est di costruzioni che completano il lato di palazzo Guidotti, composto da un edificio compatto, casa Ratta, e le cosiddette Palazzine Bottrigari.
Il genio originale di Zannoni, tipica figura di ingegnere integrale ottocentesco, in grado di occuparsi di ogni aspetto concernente lo spazio urbano dalla storia all’archeologia all’ingegneria strutturale, si esplica qui in una costruzione che non ha eguali in città da un punto di vista della forma e dello stile. Forse stimolato dal tono della piazza che ricorda i tipici squares inglesi, Zannoni organizza la facciata connotandola con un’alta loggia arricchita da un imponente ordine gigante che rilega piano nobile e mezzanino superiore. L’edificio è poi coronato da una balaustra, anche questo elemento non comune sotto le torri.
Il genio originale di Zannoni, tipica figura di ingegnere integrale ottocentesco, in grado di occuparsi di ogni aspetto concernente lo spazio urbano dalla storia all’archeologia all’ingegneria strutturale, si esplica qui in una costruzione che non ha eguali in città da un punto di vista della forma e dello stile. Forse stimolato dal tono della piazza che ricorda i tipici squares inglesi, Zannoni organizza la facciata connotandola con un’alta loggia arricchita da un imponente ordine gigante che rilega piano nobile e mezzanino superiore. L’edificio è poi coronato da una balaustra, anche questo elemento non comune sotto le torri.
Scopri di più
Palazzo della Banca d'Italia
Imponente costruzione che occupa il lato ovest della nuova piazza Cavour, è opera dell’architetto napoletano Antonio Cipolla, autore anche dell’edificio che insiste sul lato sud, Palazzo Silvani.
L’edificio, la cui costruzione si avvia nel 1861, presenta l’unico portico cittadino interamente affrescato con un programma iconografico consapevole e coerente. L’autore è Gaetano Lodi che si pone sulla scia delle ricerche in atto nella cultura artistica e architettonica coeva per trovare uno stile che interpretasse al meglio gli ideali dell’Italia unita. Cipolla per le architetture come anche Lodi per le decorazioni convergono, unitamente a tanti altri in Italia, sulla scelta del recupero dello stile rinascimentale, epoca di eccellenza italiana, stile considerato il più adatto a supportare le istanze ideali e politiche del nuovo stato.
Le volte del portico, infatti, racchiuse da una gabbia di grottesche di marca raffaellesca, ricorda, racchiuse in riquadri, la storia, le eccellenze scientifiche, i personaggi famosi e le città italiane di tutti i tempi.
L’edificio, la cui costruzione si avvia nel 1861, presenta l’unico portico cittadino interamente affrescato con un programma iconografico consapevole e coerente. L’autore è Gaetano Lodi che si pone sulla scia delle ricerche in atto nella cultura artistica e architettonica coeva per trovare uno stile che interpretasse al meglio gli ideali dell’Italia unita. Cipolla per le architetture come anche Lodi per le decorazioni convergono, unitamente a tanti altri in Italia, sulla scelta del recupero dello stile rinascimentale, epoca di eccellenza italiana, stile considerato il più adatto a supportare le istanze ideali e politiche del nuovo stato.
Le volte del portico, infatti, racchiuse da una gabbia di grottesche di marca raffaellesca, ricorda, racchiuse in riquadri, la storia, le eccellenze scientifiche, i personaggi famosi e le città italiane di tutti i tempi.
Scopri di più
Palazzo della Banca d'Italia
Imponente costruzione che occupa il lato ovest della nuova piazza Cavour, è opera dell’architetto napoletano Antonio Cipolla, autore anche dell’edificio che insiste sul lato sud, Palazzo Silvani.
L’edificio, la cui costruzione si avvia nel 1861, presenta l’unico portico cittadino interamente affrescato con un programma iconografico consapevole e coerente. L’autore è Gaetano Lodi che si pone sulla scia delle ricerche in atto nella cultura artistica e architettonica coeva per trovare uno stile che interpretasse al meglio gli ideali dell’Italia unita. Cipolla per le architetture come anche Lodi per le decorazioni convergono, unitamente a tanti altri in Italia, sulla scelta del recupero dello stile rinascimentale, epoca di eccellenza italiana, stile considerato il più adatto a supportare le istanze ideali e politiche del nuovo stato.
Le volte del portico, infatti, racchiuse da una gabbia di grottesche di marca raffaellesca, ricorda, racchiuse in riquadri, la storia, le eccellenze scientifiche, i personaggi famosi e le città italiane di tutti i tempi.
L’edificio, la cui costruzione si avvia nel 1861, presenta l’unico portico cittadino interamente affrescato con un programma iconografico consapevole e coerente. L’autore è Gaetano Lodi che si pone sulla scia delle ricerche in atto nella cultura artistica e architettonica coeva per trovare uno stile che interpretasse al meglio gli ideali dell’Italia unita. Cipolla per le architetture come anche Lodi per le decorazioni convergono, unitamente a tanti altri in Italia, sulla scelta del recupero dello stile rinascimentale, epoca di eccellenza italiana, stile considerato il più adatto a supportare le istanze ideali e politiche del nuovo stato.
Le volte del portico, infatti, racchiuse da una gabbia di grottesche di marca raffaellesca, ricorda, racchiuse in riquadri, la storia, le eccellenze scientifiche, i personaggi famosi e le città italiane di tutti i tempi.
Scopri di più
Casa Isolani
Uno dei casi più interessanti di portico ligneo rimasti a Bologna.
Anzitutto per il periodo di costruzione, il XIII secolo, ovvero gli esordi della vicenda del portico bolognese. Ma anche per gli oltre 9 metri di altezza che lo rendono uno degli esempi più slanciati in città (il più alto è quello novecentesco della sede della Zanichelli in via Irnerio che si avvicina ai 13 metri).
La facciata è però frutto di un restauro ottocentesco a cura di Raffaele Faccioli in occasione del quale, per scherzo, furono conficcate, nell’intradosso del portico, le famose tre frecce. Motivi di prudenza invece hanno consigliato l’affiancamento, alla struttura lignea originale, di due possenti pilastri in laterizio.
Il varco che si apre in facciata al piano terra, ingresso originale dell’edificio, è l’avvio di una sequenza di cortili passanti che consentono di collegare questa proprietà Isolani a quella posta su piazza Santo Stefano. Il passage, conosciuto come Corte Isolani, è diventato di pubblico utilizzo nel 1995 e oggi ospita attività commerciali.
Anzitutto per il periodo di costruzione, il XIII secolo, ovvero gli esordi della vicenda del portico bolognese. Ma anche per gli oltre 9 metri di altezza che lo rendono uno degli esempi più slanciati in città (il più alto è quello novecentesco della sede della Zanichelli in via Irnerio che si avvicina ai 13 metri).
La facciata è però frutto di un restauro ottocentesco a cura di Raffaele Faccioli in occasione del quale, per scherzo, furono conficcate, nell’intradosso del portico, le famose tre frecce. Motivi di prudenza invece hanno consigliato l’affiancamento, alla struttura lignea originale, di due possenti pilastri in laterizio.
Il varco che si apre in facciata al piano terra, ingresso originale dell’edificio, è l’avvio di una sequenza di cortili passanti che consentono di collegare questa proprietà Isolani a quella posta su piazza Santo Stefano. Il passage, conosciuto come Corte Isolani, è diventato di pubblico utilizzo nel 1995 e oggi ospita attività commerciali.
Scopri di più
Casa Isolani
Uno dei casi più interessanti di portico ligneo rimasti a Bologna.
Anzitutto per il periodo di costruzione, il XIII secolo, ovvero gli esordi della vicenda del portico bolognese. Ma anche per gli oltre 9 metri di altezza che lo rendono uno degli esempi più slanciati in città (il più alto è quello novecentesco della sede della Zanichelli in via Irnerio che si avvicina ai 13 metri).
La facciata è però frutto di un restauro ottocentesco a cura di Raffaele Faccioli in occasione del quale, per scherzo, furono conficcate, nell’intradosso del portico, le famose tre frecce. Motivi di prudenza invece hanno consigliato l’affiancamento, alla struttura lignea originale, di due possenti pilastri in laterizio.
Il varco che si apre in facciata al piano terra, ingresso originale dell’edificio, è l’avvio di una sequenza di cortili passanti che consentono di collegare questa proprietà Isolani a quella posta su piazza Santo Stefano. Il passage, conosciuto come Corte Isolani, è diventato di pubblico utilizzo nel 1995 e oggi ospita attività commerciali.
Anzitutto per il periodo di costruzione, il XIII secolo, ovvero gli esordi della vicenda del portico bolognese. Ma anche per gli oltre 9 metri di altezza che lo rendono uno degli esempi più slanciati in città (il più alto è quello novecentesco della sede della Zanichelli in via Irnerio che si avvicina ai 13 metri).
La facciata è però frutto di un restauro ottocentesco a cura di Raffaele Faccioli in occasione del quale, per scherzo, furono conficcate, nell’intradosso del portico, le famose tre frecce. Motivi di prudenza invece hanno consigliato l’affiancamento, alla struttura lignea originale, di due possenti pilastri in laterizio.
Il varco che si apre in facciata al piano terra, ingresso originale dell’edificio, è l’avvio di una sequenza di cortili passanti che consentono di collegare questa proprietà Isolani a quella posta su piazza Santo Stefano. Il passage, conosciuto come Corte Isolani, è diventato di pubblico utilizzo nel 1995 e oggi ospita attività commerciali.
Scopri di più
Il MAMbo
“Una prima sezione dell'edificio viene costruita nel 1915 dal Sindaco di Bologna Francesco Zanardi con la funzione di panificio comunale per assolvere alle difficoltà di approvvigionamento dei cittadini bolognesi nel corso della prima guerra mondiale.
Negli anni quaranta del Novecento lo stabile viene ampliato e ospita l’Ente Autonomo dei Consumi fino alla sua definitiva chiusura nel 1958.
La trasformazione e la conversione del vecchio panificio nella nuova sede del MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta.
Il progetto di recupero si attua attraverso il rispetto e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche preesistenti.
Il restauro è progettato da Aldo Rossi e realizzato dal Comune di Bologna tramite la società Finanziaria Bologna Metropolitana, con la collaborazione dello Studio Arassociati di Milano”.
dal sito web del museo http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/Storiaedificio/
Negli anni quaranta del Novecento lo stabile viene ampliato e ospita l’Ente Autonomo dei Consumi fino alla sua definitiva chiusura nel 1958.
La trasformazione e la conversione del vecchio panificio nella nuova sede del MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta.
Il progetto di recupero si attua attraverso il rispetto e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche preesistenti.
Il restauro è progettato da Aldo Rossi e realizzato dal Comune di Bologna tramite la società Finanziaria Bologna Metropolitana, con la collaborazione dello Studio Arassociati di Milano”.
dal sito web del museo http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/Storiaedificio/
Scopri di più
Il MAMbo
“Una prima sezione dell'edificio viene costruita nel 1915 dal Sindaco di Bologna Francesco Zanardi con la funzione di panificio comunale per assolvere alle difficoltà di approvvigionamento dei cittadini bolognesi nel corso della prima guerra mondiale.
Negli anni quaranta del Novecento lo stabile viene ampliato e ospita l’Ente Autonomo dei Consumi fino alla sua definitiva chiusura nel 1958.
La trasformazione e la conversione del vecchio panificio nella nuova sede del MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta.
Il progetto di recupero si attua attraverso il rispetto e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche preesistenti.
Il restauro è progettato da Aldo Rossi e realizzato dal Comune di Bologna tramite la società Finanziaria Bologna Metropolitana, con la collaborazione dello Studio Arassociati di Milano”.
dal sito web del museo http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/Storiaedificio/
Negli anni quaranta del Novecento lo stabile viene ampliato e ospita l’Ente Autonomo dei Consumi fino alla sua definitiva chiusura nel 1958.
La trasformazione e la conversione del vecchio panificio nella nuova sede del MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta.
Il progetto di recupero si attua attraverso il rispetto e la valorizzazione delle caratteristiche architettoniche preesistenti.
Il restauro è progettato da Aldo Rossi e realizzato dal Comune di Bologna tramite la società Finanziaria Bologna Metropolitana, con la collaborazione dello Studio Arassociati di Milano”.
dal sito web del museo http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/Storiaedificio/
Scopri di più
Casa della Meridiana
Questo singolare palazzino è opera di Giuseppe Gualandi che lo realizza fra il 1933-35. I sacerdoti dell’architettura moderna hanno parole di spregio per un edificio che ripropone decorazioni art déco, ormai fuori tempo massimo. Ma il suo progettista certifica, dalle colonne dell’ “Avvenire d’Italia”, che “nell’interno l’edificio non ha nulla da imparare dalle più moderne costruzioni” (31/12/1936). La scritta al sommo della facciata è un augurio che la meridiana inserita al di sotto possa sempre scandire ore serene per i cittadini. Considerato che la produzione di Gualandi è soprattutto dedita all’architettura sacra e alle strutture a servizio delle persone cieche, questa ridente costruzione, posta a cerniera fra istituti artistici e università, è stato davvero un unicum ben riuscito.
Scopri di più
Casa della Meridiana
Questo singolare palazzino è opera di Giuseppe Gualandi che lo realizza fra il 1933-35. I sacerdoti dell’architettura moderna hanno parole di spregio per un edificio che ripropone decorazioni art déco, ormai fuori tempo massimo. Ma il suo progettista certifica, dalle colonne dell’ “Avvenire d’Italia”, che “nell’interno l’edificio non ha nulla da imparare dalle più moderne costruzioni” (31/12/1936). La scritta al sommo della facciata è un augurio che la meridiana inserita al di sotto possa sempre scandire ore serene per i cittadini. Considerato che la produzione di Gualandi è soprattutto dedita all’architettura sacra e alle strutture a servizio delle persone cieche, questa ridente costruzione, posta a cerniera fra istituti artistici e università, è stato davvero un unicum ben riuscito.
Scopri di più
Palazzo Zambeccari
L’attuale facciata del Palazzo Zambeccari che si erge su via Farini è il frutto delle trasformazioni urbane del periodo post-unitario, quando l’antica via Ponte di Ferro viene allargata a beneficio di una viabilità più moderna. Il complesso di costruzioni che lì insistevano, compresa l’antichissima chiesa camaldolese dei SS. Cosma e Damiano, è oggetto di un rifacimento radicale ad opera di tre professionisti bolognesi, gli ingegneri Alessandro Maccaferri, Luigi Grandi e Francesco Gualandi, quest’ultimo conosciuto come il principale autore dell’opera. Il fronte su via Farini, il cui progetto viene presentato nel 1870, è opera di gusto eclettico che impiega stilemi classicisti, lontani, però, dall’originario equilibrio nelle proporzioni. Tuttavia, nell’insieme, la foggia esterna dell’edificio risente di un certo efficace movimento dei piani di facciata. Sotto il portico si trova l’accesso agli ambienti ricreati della chiesa antica camaldolese. Questa era stata ricostruita perpendicolarmente all’originaria planimetria ma mai completata fino in fondo. Oggi è scenografia d’eccezione per un esercizio commerciale.
Scopri di più
Casa Saraceni
Definita come “una delle più graziose residenze che la rinascenza bolognese abbia prodotto” (Alfredo Baruffi, Guida di Bologna, 1911), Casa Saraceni è costruita sul finire del 1400 presentando evidenti somiglianze con il Palazzo Fibbia Pallavicini di via Galliera. Subisce diverse trasformazioni anche esteriori fino agli importanti restauri del 1930, a cura dell’ingegnere Augusto Baulina Paleotti, che, se riportano le facciate allo stato originale, non potendo più ripristinare partizioni e decorazioni quattrocentesche, mutano sostanzialmente gli interni. Nel frattempo, infatti, l’edificio, collegato ad un corpo retrostante per aumentare gli spazi, è passato alla Cassa di Risparmio che necessita di ambienti di rappresentanza. La ricca decorazione pittorica degli interni si deve al pittore Roberto Franzoni che da un lato non tradisce la sua passione per l’Art Nouveau, dall’altro, tuttavia, reinterpreta qui la stagione decorativa del Rinascimento bolognese.
Casa Saraceni, divenuta poi sede della Fondazione della Cassa di Risparmio, è stata oggetto di una nuova stagione di restauri sugli esterni a cura degli architetti Roberto Terra e Guido Cavina (1995-98) e negli interni a cura dell’architetto Roberto Scannavini (2001) che hanno permesso di ricavare al piano terreno un’ampia galleria per esposizioni e una sala per conferenze.
Casa Saraceni, divenuta poi sede della Fondazione della Cassa di Risparmio, è stata oggetto di una nuova stagione di restauri sugli esterni a cura degli architetti Roberto Terra e Guido Cavina (1995-98) e negli interni a cura dell’architetto Roberto Scannavini (2001) che hanno permesso di ricavare al piano terreno un’ampia galleria per esposizioni e una sala per conferenze.
Scopri di più
Pinacoteca Nazionale
Un tempo l’edificio porticato che ospita oggi la Pinacoteca nazionale, insieme agli ambienti dell’Accademia di Belle Arti, costituiva il Noviziato gesuitico di Sant’Ignazio. Il complesso si deve ad Alfonso Torreggiani che lo costruisce fra il 1728 e il 1735.
Nei primi del Novecento, sotto la direzione di Francesco Malaguzzi Valeri, Edoardo Collamarini firma il progetto di un ampliamento considerevole degli spazi, visibile ora nel lato non porticato verso est.
Fra il 1957 e il 1973 la parte di pertinenza della Pinacoteca è interessata da un profondo ripensamento degli allestimenti dovuto all’architetto e artista Leone Pancaldi che, coinvolto da Cesare Gnudi, ammoderna le sale secondo i principi di una museografia contemporanea. Rimane traccia delle precedenti destinazioni nel vano dello scalone di accesso, un tempo cappella, il cui soffitto ospita una scenografica Gloria di Sant’Ignazio di Giuseppe Barbieri.
Nel decennio 80-90 il complesso viene ulteriormente rinnovato e si arricchisce di nuovi spazi per la didattica.
La Pinacoteca Nazionale di Bologna conserva fondamentali testimonianze della pittura emiliana fra il XIII e il XVIII secolo, ma anche opere di Giotto, Raffaello, Tiziano, Tintoretto e un modello ligneo attribuito a Bernini.
https://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/
Nei primi del Novecento, sotto la direzione di Francesco Malaguzzi Valeri, Edoardo Collamarini firma il progetto di un ampliamento considerevole degli spazi, visibile ora nel lato non porticato verso est.
Fra il 1957 e il 1973 la parte di pertinenza della Pinacoteca è interessata da un profondo ripensamento degli allestimenti dovuto all’architetto e artista Leone Pancaldi che, coinvolto da Cesare Gnudi, ammoderna le sale secondo i principi di una museografia contemporanea. Rimane traccia delle precedenti destinazioni nel vano dello scalone di accesso, un tempo cappella, il cui soffitto ospita una scenografica Gloria di Sant’Ignazio di Giuseppe Barbieri.
Nel decennio 80-90 il complesso viene ulteriormente rinnovato e si arricchisce di nuovi spazi per la didattica.
La Pinacoteca Nazionale di Bologna conserva fondamentali testimonianze della pittura emiliana fra il XIII e il XVIII secolo, ma anche opere di Giotto, Raffaello, Tiziano, Tintoretto e un modello ligneo attribuito a Bernini.
https://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/
Scopri di più
Palazzo Hercolani
L’ultimo dei palazzi senatori, porticato, è costruito a partire dal 1793 su progetto di Angelo Venturoli.
La posizione, in un punto di Strada Maggiore particolarmente ristretto, fa propendere committenti e progettista per una facciata dal linguaggio architettonico classicista. Gli interni sono di grande respiro e grandiosità: dopo una loggia a tre navate si apre un ampio cortile d’onore, collegato ai quartieri di servizio, verso il fondo, mediante un’altra loggia a tre navate. Sul lato destro del cortile, è collocato lo scalone monumentale, ricco di statue, libere e in nicchia, opera di Giacomo De Maria, con rampa di avvio singola che diventa doppia dopo il ripiano intermedio. Un attico punteggiato di finestre rettangolari e una volta affrescata di Francesco Pedrini si elevano a coronamento dello scenografico vano. Oggi l’edificio e le sue pertinenze sono occupate da vari dipartimenti dell’Università di Bologna, ma nascosto al piano terra, della fastosa stagione del palazzo sopravvive un piccolo tesoro: la ‘stanza a paese’ di Rodolfo Fantuzzi (1810), un ambiente dipinto a simulare il paesaggio di un lussureggiante giardino, peraltro presente anche dal vero con un settore all’italiana e un boschetto all’inglese.
La posizione, in un punto di Strada Maggiore particolarmente ristretto, fa propendere committenti e progettista per una facciata dal linguaggio architettonico classicista. Gli interni sono di grande respiro e grandiosità: dopo una loggia a tre navate si apre un ampio cortile d’onore, collegato ai quartieri di servizio, verso il fondo, mediante un’altra loggia a tre navate. Sul lato destro del cortile, è collocato lo scalone monumentale, ricco di statue, libere e in nicchia, opera di Giacomo De Maria, con rampa di avvio singola che diventa doppia dopo il ripiano intermedio. Un attico punteggiato di finestre rettangolari e una volta affrescata di Francesco Pedrini si elevano a coronamento dello scenografico vano. Oggi l’edificio e le sue pertinenze sono occupate da vari dipartimenti dell’Università di Bologna, ma nascosto al piano terra, della fastosa stagione del palazzo sopravvive un piccolo tesoro: la ‘stanza a paese’ di Rodolfo Fantuzzi (1810), un ambiente dipinto a simulare il paesaggio di un lussureggiante giardino, peraltro presente anche dal vero con un settore all’italiana e un boschetto all’inglese.
Scopri di più
Palazzo Davia Bargellini - Museo
E’ uno dei pochissimi edifici di Strada Maggiore a non presentare il portico, privilegio che in molti casi viene concesso nella costruzione dei palazzi senatori. In tal modo la facciata assume un ruolo preponderante negli affacci su strada e qualifica i proprietari, in questo caso i Bargellini, in termini di rango e status sociale.
L’edificio, uno dei più fastosi dell’epoca barocca, viene iniziato nel 1610 inglobando due proprietà esistenti. Nel 1638 il senatore Astorre ottiene il permesso di erigere la facciata su progetto di Bartolomeo Provaglia che la caratterizza con la presenza di due telamoni in macigno eseguiti dagli scultori Gabriele Brunelli e dall’ allievo Francesco Agnesini.
I lavori nel corso del secolo procedono lentamente e culminano nel 1730 con la realizzazione dell’imponente scalone voluto da Vincenzo Bargellini per il quale vengono redatti numerosi progetti. L’autore dello scalone al momento viene individuato in Alfonso Torreggiani, per quanto autorevoli studiosi preferiscano l’attribuzione a Carlo Francesco Dotti. La decorazione a stucco è di Giuseppe Borelli.
Nel XIX secolo la proprietà passa alla famiglia Davia e successivamente, in mancanza di eredi, perviene all'Opera Pia che ancora la gestisce. Dal 1924 il Museo Civico d’Arte Industriale viene ospitato al piano terra dove tuttora è visitabile nell’attuale allestimento del 1984.
L’edificio, uno dei più fastosi dell’epoca barocca, viene iniziato nel 1610 inglobando due proprietà esistenti. Nel 1638 il senatore Astorre ottiene il permesso di erigere la facciata su progetto di Bartolomeo Provaglia che la caratterizza con la presenza di due telamoni in macigno eseguiti dagli scultori Gabriele Brunelli e dall’ allievo Francesco Agnesini.
I lavori nel corso del secolo procedono lentamente e culminano nel 1730 con la realizzazione dell’imponente scalone voluto da Vincenzo Bargellini per il quale vengono redatti numerosi progetti. L’autore dello scalone al momento viene individuato in Alfonso Torreggiani, per quanto autorevoli studiosi preferiscano l’attribuzione a Carlo Francesco Dotti. La decorazione a stucco è di Giuseppe Borelli.
Nel XIX secolo la proprietà passa alla famiglia Davia e successivamente, in mancanza di eredi, perviene all'Opera Pia che ancora la gestisce. Dal 1924 il Museo Civico d’Arte Industriale viene ospitato al piano terra dove tuttora è visitabile nell’attuale allestimento del 1984.
Scopri di più
Portici
Treno della Barca
L’alta qualità della composizione e l’attenzione per il dettaglio, anche in un contesto ‘popolare’, hanno indotto l’amministrazione ad inserire questo lungo edificio fuori dal centro cittadino nella lista dei portici inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale.
Il quartiere Barca è stato progettato da un gruppo di professionisti coordinato da Giuseppe Vaccaro, architetto di origine bolognese, già autore dell’edificio della Facoltà di Ingegneria e diversi altri interventi in città. La costruzione di quello che si configura probabilmente come il più ampio insediamento nel territorio comunale, inizia nel 1957 e si protrae per più fasi, dal 1962 fino a metà degli anni Ottanta. Vaccaro è responsabile anche della progettazione del “Treno", curvo fabbricato in linea, lungo 553 m, con portico a piano terra e due piani a destinazione residenziale. Il “Treno”, che prende il nome dalla sua tipica conformazione, è stato pensato per essere l’elemento portante e centrale del quartiere; su di esso sono stati proiettati significati identitari forti, legati all’essenza del genius loci bolognese ed esplicitati in gran parte nella realizzazione del portico alla base dell’edificio.
La particolare conformazione di tale portico prevede blocchi posti a distanze regolari in cui vengono inseriti i locali commerciali e gli accessi agli appartamenti ai due piani superiori. La volontà di movimentare un fronte che, data l’estensione, sarebbe altrimenti apparso eccessivamente uniforme, si concretizza nel forte aggetto della copertura, mentre il corpo intermedio presenta una fitta trama di aperture ingentilite da persiane scorrevoli.
L’edificio è stato recentemente oggetto di una accurata opera di riqualificazione energetica che non ha alterato le proporzioni e le caratteristiche originarie.
Il quartiere Barca è stato progettato da un gruppo di professionisti coordinato da Giuseppe Vaccaro, architetto di origine bolognese, già autore dell’edificio della Facoltà di Ingegneria e diversi altri interventi in città. La costruzione di quello che si configura probabilmente come il più ampio insediamento nel territorio comunale, inizia nel 1957 e si protrae per più fasi, dal 1962 fino a metà degli anni Ottanta. Vaccaro è responsabile anche della progettazione del “Treno", curvo fabbricato in linea, lungo 553 m, con portico a piano terra e due piani a destinazione residenziale. Il “Treno”, che prende il nome dalla sua tipica conformazione, è stato pensato per essere l’elemento portante e centrale del quartiere; su di esso sono stati proiettati significati identitari forti, legati all’essenza del genius loci bolognese ed esplicitati in gran parte nella realizzazione del portico alla base dell’edificio.
La particolare conformazione di tale portico prevede blocchi posti a distanze regolari in cui vengono inseriti i locali commerciali e gli accessi agli appartamenti ai due piani superiori. La volontà di movimentare un fronte che, data l’estensione, sarebbe altrimenti apparso eccessivamente uniforme, si concretizza nel forte aggetto della copertura, mentre il corpo intermedio presenta una fitta trama di aperture ingentilite da persiane scorrevoli.
L’edificio è stato recentemente oggetto di una accurata opera di riqualificazione energetica che non ha alterato le proporzioni e le caratteristiche originarie.
Scopri di più