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Il fondatore della letteratura bolognese, Giulio Cesare Croce, scriveva con una grafia adatta alla pronuncia dei suoi tempi ma poi superata dalla rapida evoluzione fonetica del bolognese. Nell’Ottocento, Carolina Coronedi Berti riaprì la questione nel suo Vocabolario bolognese italiano, proponendo di avvicinare la grafia alla pronuncia del suo tempo. L’appello fu raccolto solo molto parzialmente dal commediografo Alfredo Testoni e dal cantautore Carlo Musi, i quali continuarono a scrivere il bolognese con la distribuzione delle vocali usata da Croce, tutto sommato simile a quella italiana, ma vi aggiunsero vari accenti, per mostrare che effettivamente l’effettiva pronuncia doveva essere differente, col risultato che l’enorme differenziale tra pronuncia e scrittura rende inutilizzabile a fini didattici la «grafia testoniana» o «letteraria».
Con l’arrivo degli studi linguistici, Augusto Gaudenzi adottò i segni della glottologia di allora per scrivere il bolognese (accento circonflesso, lettere ṡ, ż, ṅ, å ecc.) e il suo esempio fu seguito da Alberto Trauzzi e Gaspare Ungarelli (di quest’ultimo abbiamo un importante Vocabolario del dialetto bolognese, del 1901). Lo stesso sistema, con qualche semplificazione, fu adottato da Pietro Mainoldi nei suoi lavori del 1950 e del 1967: ormai era chiaro che, almeno in grammatiche e dizionari, la grafia da utilizzare era «fonetica», cioè rispecchiante la pronuncia effettiva.
Nella stessa scia si sono mossi Daniele Vitali e Luigi Lepri col loro Dizionario italiano-bolognese, bolognese-italiano del 1999-2000, atto di nascita dell’Ortografia lessicografica moderna (OLM), poi diffusasi rapidamente. Per saperne di più: www.bulgnais.com/grafia.html
A cura di Aldo Jani Noè, Luigi Lepri, Roberto Serra, Daniele Vitali. In collaborazione con la Redazione Iperbole
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Ultimo aggiornamento: 23 05 2011