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Concerti, spettacoli, cinema, mostre, teatro, laboratori per bambini, visite guidate: una panoramica completa degli eventi culturali organizzati a Bologna.
Aggiornato: 19 min 36 sec fa

Come d'incanto

Gio, 08/01/2019 - 13:24

nell’ambito di Pescarola Estate 2019

Un viaggio nel mondo del cinema di animazione passando dal teatro alla scrittura creativa
 

- Proiezione di cortometraggi animati d'autore;
- Laboratorio di Passo Uno [introduzione alle tecniche usate nel cinema di animazione];
- Esercizi teatrali con elementi di scrittura creativa.

Per bambini di età compresa fra i 7 e i 9 anni:

Info 389.2040884

Promosso da Associazione Senza il Banco, Kinodromo e Centro di Salute Internazionale e Interculturale (CSI) APS.

La conduzione dei laboratori è a cura di Manuela Ara e Paolo Marzoni.

Running up that hill. Esperimenti coreografici in collina

Gio, 08/01/2019 - 13:13

VI Edizione

Un progetto internazionale di residenze e performance di danza contemporanea per gli spazi verdi di Fienile Fluò. In collaborazione con Festival Danza Urbana e Masdanza - International festival of Canary Islands. Un’ora di spettacolo itinerante con performance inedite, create site specific per gli spazi verdi di Fienile Fluò.

Prezzi
5 euro, info riduzioni su www.crexida.it/event/scenanatura2019

Prenotazione consigliata
In caso di maltempo telefonare allo 051/589636

Festa del Ponte Alidosi

Gio, 08/01/2019 - 13:05

Torna anche quest’anno la tradizionale Festa del ponte organizzata dall'Amministrazione Comunale, appuntamento musicale dedicato al cinquecentesco Ponte Alidosi e all'intera area fluviale.

  

A partire dalle ore 21 nella splendida cornice dell’Oasi Parco Alidosi si esibiranno la Shotgun Blues Band e la Nearco Band.

  

In occasione della Festa, dalle 16 alle 19 sarà inoltre possibile visitare le stanze interne del Ponte Alidosi.

  

L’ingresso è libero.

Scarica il volantino dell’iniziativa

Vassilissa e la Strega

Gio, 08/01/2019 - 11:57

Spettacolo per bambini di burattini, figure e attore

Spettacolo per bambini di burattini, figure e attore
Di E. Grigoli e Moreno Pigoni
Una produzione I burattini della Commedia

Lo spettacolo ha una struttura simile a quella delle fiabe e come tale riporta temi e personaggi archetipici dove l’eroe intraprende un viaggio nel quale deve superare delle prove per riportare la pace e l’armonia della situazione iniziale.
Vi sono animali fantastici, aiutanti magici e una Strega.
La presenza del teatro delle ombre rimanda all’immaginario poetico dell’altrove creando suggestioni visive, favorendo fortemente l’immedesimazione e l’intreccio dei linguaggi espressivi.
I burattini in scena sono stati creati dal burattinaio Moreno Pigoni.

Prezzi
10 euro, info riduzioni su www.crexida.it/event/scenanatura2019

Prenotazione consigliata
In caso di maltempo telefonare allo 051/589636

7 uomini a mollo

Gio, 08/01/2019 - 11:23

(Le Grand Bain, Francia-Belgio/2018) di Gilles Lellouche (122')

Bertrand, un quarantenne un po' in crisi, riesce a dare finalmente un senso alla sua vita quando decide di entrare a far parte di una squadra di nuoto sincronizzato maschile. Per ognuno dei componenti gli allenamenti rappresentano una valvola di sfogo e un rifugio sicuro. Insieme si sentiranno sempre più forti fino a volere intraprendere un traguardo pazzesco: la partecipazione ai campionati mondiali di nuoto sincronizzato maschile!

Premio Oscar 2019 e Golden Globe 2018 per la miglior canzone originale

"Costume da bagno, infradito, cuffia di plastica. Per dirla con Totò, la «livella» dell'estetica si incarna in piscina. Pancetta, spalle cadenti, pettorali flaccidi. Corpi senza trucchi e senza inganni. Quel che si appare si è: Sette uomini a mollo, come dice il titolo del film di Gilles Lellouche, protagonisti un team di attori di grande bravura e ironia, che stavolta rinunciano al loro talento di seduttori per dar vita a un gruppetto di maschi in crisi di mezza età: poco amati, molto maltrattati, respinti dalla vita, dal lavoro, dalle donne. Uomini alla deriva, delusi, vulnerabili. «I veri eroi sono i perdenti capaci di rialzarsi -sostiene  Lellouche-. Una commedia che va contro il pensiero dominante, il dover allinearsi al diktat del successo, della carriera, di un fisico sempre smagliante. Chi non ce la fa, è tagliato fuori. Stiamo vivendo un periodo strano, la gente è sempre più smarrita, ripiegata su se stessa. Abbiamo perso il senso della collettività. Uno sport di gruppo obbliga a faticare insieme per un obiettivo comune, a sostenersi a vicenda. E il tepore dell'acqua protegge dal mondo esterno, invita a confidenze. Questo sport marginale mi pareva ideale per chi si sente emarginato. Per chi è abituato a esser criticato e malvisto, rompere un luogo comune è una prima rivincita». Sirenetti non si nasce ma si può diventare. Sfatando la morale enunciata all'inizio del film, i magnifici sette del sincrono acquatico dimostreranno che uniti si può. Farsi beffa dei pregiudizi, ritrovare un'identità, la fierezza di riuscire in qualcosa di speciale."

Giuseppina Manin, "Il Corriere della Sera"

Quasi nemici - L'importante è avere ragione

Gio, 08/01/2019 - 11:17

(Le Brio, Francia/2017) di Yvan Attal (95')

Neïla Salah vive a Creteil e sogna di diventare avvocato. Iscritta all'autorevole Scuola di Legge Assas di Parigi, il primo giorno si scontra con il professor Pierre Mazard, noto per la sua cattiva condotta e il suo comportamento provocatorio. Il professore, per redimersi, accetta di preparare Neïla per un prestigioso concorso di retorica. Cinico ed esigente, potrebbe diventare il mentore di cui ha bisogno. Ma per farlo, dovranno entrambi superare i loro pregiudizi.

Premio César 2018 per la miglior nuova promessa femminile

"L'inizio è tumultuante, lo scontro cattivo. Tra professore e studentessa sono faville. Lui boriosamente e ironicamente razzista, lei d'origine araba, aspirante avvocatessa proveniente dalla periferia di Parigi. Dallo scontro fiorisce l'incontro che è al centro di Quasi nemici - L'importante è avere ragione. Il film va, tra le scintille che a poco a poco si affievoliscono, in tonalità sospese tra commedia di formazione,  itinerario di integrazione, valore della parola e potenza della retorica: a più riprese divertendo senza prescindere da una dimensione pregevolmente  istruttiva, addirittura lasciando spazio ai sentimenti e, nel finale, a una residuale impronta di commozione."

Claudio Trionfera, "Panorama"

"Ottimo film Quasi nemici di Attal, che affronta il dibattito sull'integrazione delle minoranze e lo scontro delle culture con situazioni e battute di sarcastica equidistanza che spiaceranno agli estremisti di ambedue le sponde. Contrapponendo la ragazza di banlieue, Neila, allo scorbutico cattedratico Pierre, infatti, il regista tratteggia con toni agrodolci un divertente duello psicologico in grado d'intaccare i muri dei reciproci manicheismi oggi vieppiù irrobustiti dal pessimo uso e abuso dei social. Costretto dal rettore ad addestrare per un prestigioso concorso d'eloquenza la studentessa magrebina da lui offesa nel clou di un'affollata lezione, Pierre imbastisce un'abile strategia per farsi strada nell'ostilità della riottosa pupilla; ma nello stesso tempo quest'ultima, pur senza cedere di un passo al mentore, inizia a capire come la capacità di parlare bene, di scegliere le parole giuste può servire a farsi spazio nella giungla affascinante ma pericolosa delle comunicazioni e a fronteggiare gli strumenti di potere, persuasione ed emancipazione in mano alle élites. Sulla bravura di Auteuil non si sa più quali aggettivi usare, ma anche la verve dell'emergente Jordana contribuisce alla piacevolezza e intelligenza della commedia."

Valerio Caprara, "Il Mattino"

Un affare di famiglia

Gio, 08/01/2019 - 11:11

(Shoplifters, Giappone/2018) di Koreeda Hirokazu (121')

Storia di una comunità particolare, priva di vincoli di parentela ma unita sotto lo stesso tetto dall'indigenza e dalla necessità di mutuo conforto.

Palma d'oro al Festival di Cannes 2018

"Un adulto che insegna a un bambino a rubare nei negozi. Una ragazzina che si spoglia nei peep show. Una nonna che gioca alle slot machine. Raccontata così, sembrerebbe una famiglia sociopatica e disfunzionale. In realtà, è una famiglia sui generis (anche biologicamente), ma per certi versi, autentica, ideale, quella che poco a poco ci viene svelata da Hirokazu Kore-eda nel suo ultimo film. A questo nucleo si aggiunge un nuovo membro: una bambina di pochi anni, ritrovata fuori da casa, e accolta. Dopo un po' però i genitori della bambina ne denunciano la scomparsa, e allora che fare? Perché questo strano microcosmo nasconde segreti imprevedibili. Questo film ha vinto la Palma d'oro all'ultimo festival di Cannes. Il maggiore rivale, non meno meritevole, era secondo molti il nostro Dogman, e non si potrebbero immaginare film più diversi: duro e compatto l'italiano, soave e meditativo il giapponese. Al centro dei film di Kore-eda c'è spesso stato il microcosmo famigliare, le relazioni tra padri e figli (da noi si era visto Ritratto di famiglia con tempesta). Rispetto agli altri suoi film, però, in cui i conflitti sono quasi increspature, qui assistiamo al progredire di una storia con colpi di scena, pur tra le maglie di uno stile sempre quieto: inquadrature fisse, musiche sobrie e melanconiche, prevalenza di campi medi e lunghi; finché nella parte finale si passa a dei primi piani frontali, rivelatori, in una soluzione tutta in levare, magistralmente costruita per ellissi di regia e di sceneggiatura. Non siamo però dalle parti di quei film cinici che si compiacciono di mostrare nidi di vipere, segreti nascosti dietro le mura domestiche. Anzi, è la descrizione di un modo di vivere certo non tradizionale, ma che lui ci mostra come naturalissimo. A suo modo Un affare di famiglia è, nel senso migliore, "un film di buoni sentimenti". Solo che questi sentimenti sono opposti ai legami sociali e biologici ufficiali. Una specie di utopia, piena però di zone d'ombra e contraddizioni al proprio interno, anch'esse narrate e accettate pienamente dallo sguardo del regista. Non c'è insomma nemmeno un conflitto schematico, tra il calore di dentro e il gelo di fuori (anche se fuori cade la neve). Comunque, il ritratto della società giapponese, indiretto, è durissimo. E l'immagine che rimane è l'ambientazione, una specie di villetta da fiaba, incastrata tra i condomini, rimasta fuori dal tempo e dalla disumanità. Un'immagine che riporta in mente il titolo di un saggio sulla famiglia di qualche decennio fa: un rifugio in un mondo senza cuore."

Emiliano Morreale, "La Repubblica"

Moschettieri del Re - La penultima missione

Gio, 08/01/2019 - 11:05

(Italia/2018) di Giovanni Veronesi (109')

D'Artagnan, Porthos, Aramis e Athos vivranno una nuova, coraggiosa, divertente e un po' pazza avventura per salvare il Re Luigi XIV.

"Ci si lamenta, a ragione, che gli italiani, cinematograficamente parlando, scarseggino, quanto a idee, da restare piacevolmente stupiti davanti a un film come Moschettieri del Re. Onore, quindi, a Giovanni Veronesi (probabilmente, al suo miglior film) per aver provato una strada diversa (...). Un'idea intrigante quella di raccontare i Moschettieri di Dumas, carichi di acciacchi e disillusi, sui 55-60 anni, in zona «Quota 100». Lo voleva già fare negli anni '80, con Nuti, Benigni, Troisi e Verdone (che gran film sarebbe stato), ma ha realizzato il progetto solo ora, affidando il ruolo dei protagonisti a Pierfrancesco Favino (D'Artagnan), Valerio Mastandrea (Porthos), Rocco Papaleo (Athos) e Sergio Rubini (Aramis). Scelta azzeccata, perché questa sorta di supereroi del passato funzionano alla grande, senza mai rubarsi la scena. All'inizio della pellicola, la Regina (Margherita Buy) per fermare le congiure del Cardinal Mazzarino (Alessandro Haber) e di Milady (Giulia Bevilacqua) chiede aiuto a D'Artagnan, ormai allevatore di bestiame, personaggio che Favino rende divertente con quella strana parlata tra sfondoni grammaticali e francesismi. Il Moschettiere, con qualche problema di cavalli (gli scappano sempre via), riunisce il lussurioso Athos, l'«abate» spiantato Aramis e l'ubriacone Porthos. Devono salvare gli Ugonotti e salvaguardare la vita del giovanissimo erede al trono Luigi. Con un finale, inaspettato e perfetto, che riporta il film alla sua dimensione fantasiosa. Nota a parte meritano il caratterista Lele Vannoli, nei panni di un perfetto servo muto e la simpatica Matilde Gioli (sempre più brava), ancella peccaminosa della regina, che ruba spesso la scena con la sua simpatia. Un film che, nella sua autoironia, tratta temi importanti come, ad esempio, la guerra di religione, ancora attuale. Una pellicola che va presa per quella che è, con i suoi calembour verbali e la parvenza di fumetto. Magnificata dai paesaggi della Basilicata. Insomma, una Armata Brancaleone ben recitata e diretta."

Maurizio Acerbi, "Il Giornale"

Serata promossa da Unipol Banca

The Wife - Vivere nell'ombra

Gio, 08/01/2019 - 11:00

(USA-GB-Svezia/2018) di Björn Runge (100')

Joan Castleman è una donna estremamente intelligente e ancora molto bella, la perfetta moglie devota. Quarant'anni passati a sacrificare il suo talento, i suoi sogni e le sue ambizioni per incoraggiare e sostenere la carriera letteraria del carismatico marito Joe, sopportando e giustificando con pazienza le sue numerose scappatelle. Ma dopo tanti anni di compromessi il tacito patto su cui si basa il matrimonio raggiunge il punto di rottura...

Premio come Miglior Attrice in un film drammatico a Glenn Close ai Golden Globe 2019

" 'Dietro ogni grande uomo c'è una grande donna' campeggia sulla locandina dell'edizione italiana del film, come scriveva Virginia Woolf tanto tempo fa, ma questa frase prevede innanzi tutto la presenza di un grande uomo sulla scena. In questo caso invece di grandi uomini non se ne vede neanche la traccia, è la donna ad indossare di nascosto da tutti anche i panni dell'uomo. Runge, grazie all'utilizzo dei flashback, mette infatti in dubbio la realtà dei fatti e l'effettiva paternità dei romanzi di Joe Castleman. Arrivati al vertice del successo, la moglie Joan comincia ad essere troppo stanca di trascinarsi nell'ombra della fama del marito, fingendo di essere la mogliettina ingenua e priva di personalità a cui vengono dedicati strazianti discorsi di ringraziamento. Ed è proprio questo che segnerà la goccia che fa traboccare il vaso, un vaso ormai troppo colmo di sconforto, di umiliazione e di sofferenza per essere stata privata del tempo e del riconoscimento che parrebbe spettarle. Joan è la pura immagine di una donna forte, saggia e intelligente, un'amorevole madre e forse una moglie anche migliore, ma è anche l'immagine del puro compromesso al femminile, che ormai da anni si cerca di combattere. Una donna che decide prima di mettere da parte la sua vocazione naturale, e poi, di donarla a suo marito, regalandogli così fama e successo. Una donna che è disposta, nonostante tutto, ad accettare le scappatelle del marito. Ma è anche simbolo di riscatto dall'ombra, che d'un tratto le cambia l'espressione in volto, d'un tratto quella che guarda un foglio bianco diventa l'espressione della libertà, della speranza e della forza."

Francesca Pasculli, "Sentieri Selvaggi"

L'agenzia dei bugiardi

Gio, 08/01/2019 - 10:53

(Italia/2019) di Volfango De Biasi (90')

Il seducente Fred, l'esperto di tecnologia Diego e l'apprendista narcolettico Paolo sono i componenti di una diabolica e geniale agenzia che fornisce alibi ai propri clienti e il cui motto è "Meglio una bella bugia che una brutta verità". Le cose si complicano quando Fred conosce e si innamora di Clio, paladina della sincerità a tutti i costi e figlia di uno dei suoi clienti più affezionati...

"Una bugia credibile detta al momento giusto è un ottimo ammortizzatore sociale: evita crisi, drammi, incomprensioni e rotture. Ma va usata con parsimonia e cognizione di causa. Lo imparano presto i bambini, capaci di invenzioni estemporanee mirabolanti per coprire i propri piccoli misfatti. Crescendo, le convenzioni sociali ci plasmano e ci insegnano a capire quando mentire o tacere una verità sgradevole sia, se non giusto, almeno perdonabile e quando una piccola bugia serva ad evitare dolore a qualcun altro. Il bugiardo seriale è un bambino mai cresciuto, o, meglio, un Pinocchio rimasto burattino: è l'uomo che mantiene moglie e amante perché non sa o non vuole fare una scelta, il megalomane che si inventa avventure straordinarie perché si sente un fallito e ha paura del giudizio altrui e chi promette cose che sa di non poter mantenere (e qui certi politici, laureati o meno, salgono in cattedra). Ad un'azienda come quella descritta nel film L'agenzia dei bugiardi, insomma, i clienti non mancherebbero mai, anche se chissà chi potrebbe permettersi di pagare le parcelle per un servizio del genere, pronto a coprire con garantita efficacia ed elaborate messinscene scappatelle e trasgressioni di altro genere. Il nuovo remake di un film europeo di grande successo al box office del suo paese, viene stavolta affidato a Volfango De Biasi, autore di commedie, di un bel docufilm e soprattutto dei film di Natale più bizzarri e movimentati dei classici e spesso indigesti mappazzoni delle feste, grazie anche alla complicità di due geniali e affiatati guastatori come Lillo e Greg."

Daniela Catelli, "Coming Soon"

La Befana vien di notte

Gio, 08/01/2019 - 10:44

(Italia/2018) di Michele Soavi (98')

Paola è una maestra di scuola elementare con un segreto da nascondere: bella e giovane di giorno, di notte si trasforma nell'eterna e leggendaria Befana! A ridosso dell'Epifania, viene rapita da un misterioso produttore di giocattoli. Sei compagni di classe assistono al rapimento e dopo aver scoperto la doppia identità della loro maestra decidono di affrontare, a bordo delle loro biciclette, una straordinaria avventura che li cambierà per sempre. Tra magia, sorprese e risate, riusciranno a salvare la Befana?

"Le scarpe tutte rotte ci sono, e anche cappello alla romana. C'è il sacco pieno di doni e non manca nemmeno la scopa di saggina. La scopa è dispettosa, certo, ma è veloce, anzi velocissima, e fende instancabilmente l'oscurità. Purtroppo, al sorgere del sole, smette inesorabilmente di funzionare, ma è giusto che accada, perché la Befana, si sa, vien di notte, e nel film di Michele Soavi non potrebbe essere altrimenti, visto che di giorno la vecchietta dal naso lungo e storto ha ben altro da fare. I tempi cambiano, ladies & gentlemen, e succede che sempre più donne si facciano in due, in quattro, in sei e perfino in otto, e se la maggior parte si divide fra lavoro, famiglia e gestione della casa, ecco che la competitor number one di Babbo Natale alterna alla consegna dei doni, preceduta da un allenamento degno di Rocky Balboa, l'attività di maestra elementare. Proprio così: nell'epoca di #MeToo, e soprattutto nella fantasia di Nicola Guaglianone, la nonnina dispensa-carbone è diventata un'icona femminista, che esaudisce gli stessi desideri del collega lappone ma che, invece di essere testimonial della bibita gassata più famosa al mondo, tira la carretta. E, come se non bastasse, non può nemmeno sognare il grande amore, dal momento che, proprio come Connor MacLeod di Highlander, è immortale. Questa premessa, che ci ha divertito un mondo, è il miglior inizio che possa avere un fantasy delle festività, anche se Soavi non vuole assolutamente che lo si spacci per tale. A noi, comunque, è venuto in mente il cinecomic, perché anche Batman e Superman hanno una doppia vita da mandare avanti e un segreto da custodire. Qui però il segreto è presto svelato, visto che la Befana viene rapita, e quando viene rapita da un ex bambino a cui ha rovinato l'infanzia, entriamo di prepotenza nell'ambito del fumetto, con il villain di Stefano Fresi che indossa abiti bizzarri e coloratissimi e strizza l'occhio allo Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot, sempre sceneggiato da Guaglianone. Poi ci sono i bambini in bicicletta che ci riportano a certo cinema anni '80 (da E.T. L'extraterrestre a I Goonies) e perfino una spolveratina di Stranger Things e una citazione da Maledetto il giorno che t'ho incontrato. I riferimenti sono gustosi, e i grandi li apprezzeranno. Forse i bambini non li coglieranno, ma non importa, perché hanno altro da imparare da La Befana vien di notte, e cioè che l'unione fa la forza, che il gioco più efficace è il gioco di squadra, che più la squadra è variegata e multietnica e meglio è, e che chi pensa a sé, come il perfido Mr. Johnny, è destinato al fallimento, alla solitudine eterna (...)".

Carola Proto, "Coming Soon"

La Fattoria dei nostri Sogni

Gio, 08/01/2019 - 10:39

(The Biggest Little Farm, USA/2018) di John Chester (91')

Il film racconta l'incredibile storia vera di John e Molly Chester, coppia in fuga dalla città per realizzare il sogno di una vita, quello di costruire dal nulla un'enorme fattoria seguendo i criteri della coltivazione biologica e di una completa sostenibilità ambientale. Tra mille difficoltà, momenti esaltanti e cocenti delusioni, i due protagonisti impareranno a comprendere i ritmi più profondi della natura, fino a riuscire nella loro formidabile impresa.

"Girato nell'arco di 8 anni e diventato un caso eclatante al box office americano, arriva anche in Italia il film rivelazione La Fattoria dei nostri Sogni di John Chester. Uscito a maggio in America in sole 5 sale, grazie al passaparola e alle critiche eccezionali La Fattoria dei nostri Sogni ha raggiunto ben 285 schermi, scalando la classifica degli incassi e contagiando sempre più spettatori con il suo ottimismo e la sua visione luminosa ma mai banale di Madre Natura. Oggi Apricot Lane, questo il nome della fattoria, si estende per oltre 200 acri e raccoglie circa 850 animali e 75 varietà di coltivazioni biodinamiche. Dal dicembre 2015 ospita anche Beauden, il primo figlio di John e Molly."

Stefano Finesi, "Teodora Film"

"Un magnifico trattato sulla necessità di trovare un equilibrio cui tutti devono contribuire e un livello gestibile di reciproca coesistenza, esercitando la capacità di osservare e la creatività nel trovare soluzioni a problemi sempre nuovi. 'Lo slancio in avanti e la speranza nutrono la propria fortuna', afferma John, e davvero il suo documentario manda un messaggio ecologista più efficace di tanti trattati catastrofisti. John e Molly imparano a gestire la "disarmonia sostenibile" invece che aggrapparsi ad un "idealismo senza compromessi", e da spettatori seguiamo con partecipazione gli alti e bassi della loro avventura."

Paola Casella, "Mymovies.it"

In collaborazione con Teodora Film

La Vita Invisibile di Euridice Gusmão

Gio, 08/01/2019 - 10:36

(A Vida Invisível, Brasile-Germania/2019) di Karim Aïnouz (139')

Ambientato a Rio de Janeiro negli anni '50, il film ripercorre la storia di due sorelle lungo diversi decenni. Costrette dalla propria famiglia e dalle condizioni sociali a vivere lontane l'una dall'altra, non perderanno la speranza di potersi ritrovare.

Premio come miglior film al Festival di Cannes nella sezione 'Un Certain Regard'

"Ha trionfato nella sezione 'Un Certain Regard', dove è stato accolto da scrosci di applausi ad ogni proiezione, The Invisible Life of Euridice Gusmão è stato uno dei film più intensi e belli della line up di Cannes, al punto che non è chiaro perché non fosse in concorso per la Palma D'Oro. Adattamento del romanzo d'esordio di Marta Batalha, racconta la vita di due sorelle, separate dal destino, e delle loro vite parallele in una società patriarcale. Sulla miriade di titoli che al Festival di Cannes di quest'anno hanno ammorbato il pubblico con cliché ipocriti e conformisti sulle donne, questo film di Karim Aïnouz, brasiliano di origini berbere, svetta irraggiungibile per sincerità e ricchezza. Saturo di colori e musica e suoni, è un fiume in piena che annichilisce lo spettatore, un'esperienza viscerale come le protagoniste che racconta, prigioniere delle convenzioni sociali e forti come pilastri. Impossibile non entrare in empatia con loro, non soffrire delle stesse frustrazioni, piangere per le delusioni e resistergli al fianco contro tutte le avversità."

Federica Polidoro, "La Repubblica"

In collaborazione con Officine Ubu

L'amour flou - Come separarsi e restare amici

Gio, 08/01/2019 - 10:31

(Francia/2018) di Romane Bohringer e Philippe Rebbot (97')

Romane e Philippe si separano. Dopo 10 anni di vita in comune, due figli e un cane, non si amano più. Insomma, il loro amore è "flou", cioè poco chiaro. Sotto lo sguardo perplesso della gente che gli sta intorno, Romane e Philippe traslocano in due appartamenti separati, ma comunicanti attraverso la camera dei bambini. È possibile separarsi rimanendo insieme?

"Romane e Philippe si amano ancora ma non come prima. Due figli, un cane e dieci anni dopo si separano ma non si lasciano. Perché sanno che quello che hanno costruito insieme non andrà mai distrutto. Per proteggere il frutto del loro amore, Rose e Raoul, traslocano in un sépartement: due appartamenti autonomi (col)legati dalla camera dei bambini. Parenti e amici guardano con scetticismo il singolare 'assetto' ma Romane e Philippe perseverano nella loro romantica utopia, trasformando uno scacco in un trionfo miracoloso e totale. Non c'è niente di più banale di una separazione anche per due celebrità. Romane Bohringer e Philippe Rebbot sono due attori a confronto con gli stessi dubbi, le stesse disillusioni, le stesse eclissi sentimentali, gli stessi scontri di qualsiasi altra coppia che si separa ogni anno in Francia o nel resto del mondo. (...) La loro complicità è semplice, immediata, intatta, il riguardo che l'uno nutre per l'altra dimora sincero e incondizionato. Bohringer e Rebbot filmano la loro rottura in una (vera) commedia di rimatrimonio che si pone una questione cruciale. Come rivoluzionare l'idea stessa di separazione? Senza querelle, senza violenza e bambini al centro spettatori impotenti di un amore che si guasta e di cui loro sono sempre la posta in gioco? La risposta è un audace progetto sentimentale (e immobiliare) che rifiuta di demolire quello che è stato costruito e lo 'ingrandisce' con un'idea folle: due appartamenti distinti congiunti dalla camera dei bambini. Una casa che ancora non esisteva adesso esiste ed è un paradiso guadagnato e non perduto, una porta che Romane e Philippe hanno osato disegnare e aprire nel muro. Quell'equazione drammatica su cui troppe coppie si arrovellano fino a rompersi la testa, Bohringer e Rebbot la risolvono con un film. Il loro primo film come sceneggiatori e registi nel quale interpretano se stessi, due attori che possono recitare per finta o per davvero. Se c'è, evidentemente, una parte di esibizionismo, è controbilanciato da un umorismo che azzarda l'autoderisione, assumendo i difetti dei coniugi di cui ammiriamo la saggezza, l'applicazione e una forma di disobbedienza sociale che fa bene al cuore. Diario intimo di una coppia di cinema, L'amour flou - Come separarsi e restare amici chiama a testimone lo spettatore, arbitro suo malgrado di un duello fusionale e autocentrato. Ma il film va oltre il delirio coniugale e si àncora alla comedy of remarriage, procedendo verso un ritrovarsi che regola i conti con gioia e infinita tenerezza. Come in un film di George Cukor o Frank Capra, un nuovo legame nasce alla fine con un anello e dentro un paesaggio idilliaco. L'amour flou è un manuale ben scritto della separazione esemplare, con dialoghi incisivi e personaggi esilaranti (...). La coppia protagonista non sotterra sotto le dispute quella passione che fino a ieri affrontava venti e tempeste ma la estrae come per magia dal cilindro. Piazzata al centro del loro universo rocambolesco, ci scommettono ancora, improvvisando e facendo ridere di gusto con colpi bassi e piccole viltà perché i nostri hanno litigato parecchio e conoscono bene le frasi che possono ferire. Ma nel film quelle frasi rivelano sempre un'intenzione morale, tracciano un percorso che va dalla caduta alla rinascita, trovando nell'epilogo la resurrezione di una relazione profonda. Romane e Philippe dovranno ammettere alla fine, e il loro film ne è la prova, che a dispetto di tutto sono inseparabili. Se non è più amour fou, quello che li lega assomiglia in ogni caso a un sentimento ideale: l'amour flou, forte, solidale, giusto."


Marzia Gandolfi, "Mymovies"

In collaborazione con Academy Two

Wild Rose

Gio, 08/01/2019 - 10:08

(Gran Bretagna/2019) di Tom Harper (101')

La storia di una turbolenta ragazza madre scozzese, il cui desiderio è esibirsi nella patria della musica country.

"La redenzione struggente e duramente conquistata di questo racconto, sulle note della musica country, è il tema di ogni film in cui lo sfavorito che sogna di raggiungere la celebrità in campo musicale, con le sue povere origini, un talento grezzo, e demoni interiori, trionfa infine su un palco sfavillante. Ma Wild Rose getta via questa retorica e capovolge ripetutamente le aspettative su come un film del genere dovrebbe andare a finire, a cosa dovrebbe assomigliare, come dovrebbe suonare. Avvalendosi della performance elettrizzante dell'attrice emergente Jessie Buckley. Come il titolo del film, la protagonista è veramente selvaggia, in tutti i migliori e peggiori modi possibili: senza filtro e imprevedibile, frenetica e magnetica, una seduttrice e una bambina. Ma mentre il regista Tom Harper le da l'opportunità di prendersi lo schermo e incantarci, sa anche sufficientemente bene quando fare un passo indietro, sedersi e stare a guardare ed ascoltare, durante i momenti di quiete. Quando la Rose della Buckley si concede di essere vulnerabile, di esporsi alle scomode rivelazioni che derivano dall'introspezione, sa essere potente come quando fa scaturire una canzone dal cuore. Fin dall'inizio Wild Rose pone una premessa inaspettata: la giovane donna che aspira ad essere una cantante di genere country è scozzese. (...) Rose è cresciuta in un quartiere popolare di Glasgow, figlia unica di un'assistente fornaia (una sobria e pratica Julie Walters, dall'amore duro). Ma crede che avrebbe dovuto essere nata in America, e che appartiene a Nashville. La prima volta che la vediamo, sta uscendo di prigione dopo un anno dietro le sbarre per un'accusa legata a un fatto di droga: avanza impettita in giacca di pelle bianca a frange e stivali coordinati da cowboy che creano un crudo contrasto con il grigio cielo scozzese e riflettono il suo isolamento. La prima sosta che fa è dal fidanzato (al quale canta Walking' After Midnight di Patsy Cline invece di suonare il campanello) invece di andare a casa della madre dove la aspettano i suoi due figli, dai nomi leggendari di Wynonna (Daisy Littlefield) e Lyle (Adam Mitchell). Hanno 8 e 5 anni, la conoscono a malapena e lei non ha idea di come fare per conoscerli. Così come gli appariscenti numeri musicali sono convincenti e trascinanti, vedere Rose lottare goffamente per entrare in sintonia con i suoi figli durante momenti più intimi provoca un'emozione persino più grande. Malgrado il suo essere una giovane ragazza madre, Rose è al momento totalmente assorbita da se stessa. Una sfacciata solitaria che dice qualsiasi cosa le passi per la mente - normalmente nel modo più osceno possibile, che è al tempo stesso scioccante e adorabile - con la tendenza a minare qualsiasi progresso personale verso il divenire responsabile e affidabile. (...) La grande tensione di Wild Rose non viene dal chiedersi se Rose ce la farà mai ad arrivare a Nashville per vivere il suo grande sogno ma piuttosto se lei e i suoi figli condivideranno mai un abbraccio. E pur con tutti i fallimenti e le frustrazioni, Rose diventa viva quando canta. Questo vale sia sul palco del bar locale dove si tengono lezioni di ballo country, sia nella sua bolla di beato oblio, nel senso di vuoto delle sempre presenti cuffiette indossate mentre lavora come donna delle pulizie per una famiglia agiata. Nella veste di moglie e madre chic di tale famiglia Sophie Okonedo porta un senso di calore e un diverso tipo di energia materna, e da datrice di lavoro di Rose diventa una sua fan e forse persino un'amica. Ma appena pensi di sapere dove questa relazione - e la traiettoria di Rose - si dirige, Wild Rose cambia le carte in tavola e la sceneggiatura di Nicole Taylor offre consistenti sorprese. (...) Ebbene Wild Rose può suonare come una melodia familiare, ma non l'hai mai ascoltata interpretata così".

Christy Lemire, "www.rogebert.com''

In collaborazione con BIM Distribuzione

Il Signor Diavolo

Gio, 08/01/2019 - 10:04

(Italia/2019) di Pupi Avati (86')

Incontro con Antonio e Pupi Avati

Incontro con Antonio e Pupi Avati

Il ritratto di un profondo nord est intriso tanto di religione quanto di superstizione e in cui i confini tra vita e mistero si spostano come l'orizzonte nelle paludi.'

"'Una storia che meritava di essere raccontata, mi appartiene profondamente: chierichetto professionale nella chiesa di San Giuseppe in Emilia, conobbi un cattolicesimo molto superstizioso, ed ecco questa favola contadina, con l'atavica paura del buio'. Parola di Pupi Avati, che dopo una parentesi televisiva torna al cinema con Il Signor Diavolo. (...) A cinquantun anni dall'esordio con Balsamus, Avati torna all'horror, ovvero al genere: 'I nostri autori ombelicali rifiutano il genere, ma il nostro cinema è stato fortissimo finché non l'ha disatteso, e penso alla sfrontatezza di Sergio Leone che da Trastevere si è inventato il western. Questo copione è stato rifiutato da sei distribuzioni, che non considerano più il genere: solo commedie, per di più con la panchina corta, una squadra ristretta. Frequentare generi non è disdicevole, questo film è una forma di provocazione'. Il Signor Diavolo è ambientato nell'autunno del 1952 nel Nord Est, dove è in corso l'istruttoria di un processo sull'omicidio di un adolescente, a furor di popolo, indemoniato. (...) Horror gotico? 'Non è solo 'de paura', l'horror gotico, ma suppone e prevede una sacralità: nel mio immaginario c'era una dilatazione del sacro, quella figura che è il sacerdote preconciliare, che dal pulpito poggiava gli occhi su di me. Credo che la mia piccola creatività sia nata da questa paura', confessa Avati, che ribadisce 'il patto con lo spettatore: questo genere deve spaventarti'. Complici logistica - 'Una parte di Emilia che non si è modernizzata, le Valli di Comacchio, dove si esce dal tempo" - e cast & crew - 'Ho voluto richiamare Capolicchio, Cavina, Haber, Bonetti, nonché ritrovare Sergio Stivaletti agli effetti e Amedeo Tommasi alle musiche', Avati ha voluto 'richiamare con pochi fotogrammi la nostra identità esplicita:Il Signor Diavolo è un film di identità'. Al centro, ovviamente, c'è il male: 'Il diavolo è sinonimo di male, abbiamo fatto conquiste in tutti i campi ma lì ci siamo distratti. Il male sopravvive in modo efficace ed efficiente, io stesso se mi guardo allo specchio sono portatore di male, per esempio, mi sono trovato a godere di chi è scivolato. Poi, c'è il male per il male, fatto gratuitamente: di recente, l'ho subito, il disturbo mentale nelle mani di chi può nuocerti è diabolico. Il diavolo è ovunque in chiunque, una considerazione molto attuale quella del film'".

Federico Pontiggia, "Il Cinematografo"

In collaborazione con 01 Distribution

Maria Regina di Scozia

Gio, 08/01/2019 - 09:56

(Mary Queen of Scots, Gran Bretagna/2018) di Josie Rourke (124')

Scozia, 1561. Maria Stuarda, salita sul trono di Francia dopo aver sposato Francesco II, è rimasta vedova a 18 anni e ha deciso di tornare nella nativa Scozia, di cui è regina per diritto di nascita. Con il suo ritorno Maria rischia di contendere anche il ruolo di regina d'Inghilterra ad Elisabetta I, che i legittimisti disconoscono come erede di Enrico VIII. Maria ed Elisabetta sono cugine ma praticano religioni diverse, la prima cattolica, la seconda protestante. E tanto la corte d'Inghilterra quanto quella di Scozia temono che la Stuarda coltivi un legame con la Roma papalina, per tramare in segreto contro il regno anglosassone. "Un papista non siederà mai sul trono d'Inghilterra", sentenziano. Tantomeno una papista: perché l'aristocrazia maschile di Inghilterra e Scozia non è affatto contenta che a contendersi il trono siano due donne.

"XVI secolo. Elisabetta regina d'Inghilterra, figlia di Enrico VIII, da cui ereditò, oltre a un regno così importante anche la riforma religiosa, protestante in chiave anglicana, con al centro quindi la monarchia, contro la cugina Mary Stuart di Scozia, diventata regina consorte di Francia dopo essere scappata dalle guerre anglo-scozzesi, di ritorno nel suo paese del nord alla morte del marito Francesco II, la cui sola presenza nell'Isola minacciava il trono della cugina, viste le fondate pretese della casata degli Stuart sul trono di Londra. Un dualismo fra regine che avrebbero potuto allearsi e cambiare le cose, magari il mondo intero, invece di finire per farsi la guerra: è questa la chiara tesi dell'affresco storico di Maria Regina di Scozia, portato al cinema da un'altra donna, Josie Rourke, a partire da una sceneggiatura di Beau Willimon. Mary è affascinante, cresciuta nella raffinata corte francese di Caterina De' Medici, addirittura viene rappresentata come un'eroina LGBT friendly, capace di usare il sesso come strumento di provocazione nei confronti degli uomini che si è vista imposta da convenzioni e alleanze di quella conventicola fallocratica di corte che in fondo somiglia a Hollywood. Al contrario Elisabetta è schiva, complessata dalle sue malformazioni alla pelle che la portano a riempirsi il volto fino a dare alla pelle quel colorito lattiginoso con cui è iconograficamente passata alla storia. Un momento cruciale è quello in cui si incontrano finalmente, in una delle scene più intense del film di Josie Rourke, una di quelle slinding doors che presto si chiuse con Elisabetta pronta a indurirsi e diventare la Virgin Queen e Mary dietro le sbarre per molti anni prima di venire sacrificata sull'altare della real politik dinastica. Margot Robbie conferma dopo Tonya di dover quasi espiare l'esplosione di vitalità e sensualità di The Wolf of Wall Street con una tendenza a imbruttirsi per dimostrare le sue notevoli qualità di attrice, un pegno da pagare a quella fallocrazia della California meridionale di cui si diceva prima, mentre per Saoirse Ronan questo ruolo è il primo da adulta, da donna carismatica e sensuale, maturata dopo l'adolescente adorabile di Lady Bird. Non più solo una delle promesse della nuova generazione, ma una delle attrici che faranno il cinema dell'immediato futuro. Elegante e pieno d'arguzia, Maria Regina di Scozia si fa perdonare le forzature storiche, la tendenza all'anacronismo soap, grazie a due protagoniste in stato di grazia e al cinismo di uno sguardo nei corridoi del potere col marchio di fabbrica di Beau House of Cards Willimon."

Mauro Donzelli, "Coming Soon"

Il professore e il pazzo

Gio, 08/01/2019 - 09:44

(The Professor and the Madman, Irlanda/2019) di Farhad Safinia (124')

Nel 1857 il professor James Murray (Mel Gibson, anche produttore del film) fu incaricato di compilare l'Oxford English Dictionary, il monumentale dizionario storico della lingua inglese antica e moderna. In un momento di impasse arrivò l'aiuto di W.C. Minor (Sean Penn), personaggio straordinario ed eccentrico, che inviò più di diecimila voci mentre era ancora rinchiuso in un manicomio criminale. Drammi, omicidi, tradimenti, storie d'amore, il film - tratto da un romanzo di Simon Winchester -, intreccia generi diversi in un racconto avvincente su due uomini straordinari che, attraverso un'improbabile amicizia e contro temibili avversari, hanno scalato una delle vette più alte della ricerca accademica.

Succede tutto vent'anni fa quando Mel Gibson si imbatte in un libro chiamato L'assassino più colto del mondo, dedicato all'incredibile amicizia tra due uomini agli antipodi: il filologo scozzese Sir James Murray e William Chester Minor, ex chirurgo rinchiuso in un manicomio criminale. I due, improbabili ma solidali alleati, gettarono sangue e inchiostro pur di dare vita al primo grande dizionario in lingua inglese (avviato nel 1879 e concluso nel 1928). Una storia vera, che ha solleticato le fantasie cinematografiche di Gibson, da sempre innamorato di uomini capaci di fare la storia. Condottieri, esempi, simboli: la sua poetica si fonda su umanità eccezionali. Ecco perché, nonostante la regia sia stata poi affidata al suo fidato collaboratore P.B. Sherman (al suo esordio dietro la macchina da presa), è davvero impossibile non scovare ne Il professore e il pazzo quella lucida scintilla di follia da sempre presente nello sguardo di Mel. Non vi aspettate, però, un film bizzarro, strambo e innovatore come i suoi visionari protagonisti, perché la mano con cui viene messa in scena questa incredibile storia è cauta, volutamente classica nel tono e nel ritmo. Quello che rende davvero straordinario Il professore e il pazzo è proprio la vicenda poco nota quanto sbalorditiva a cui si ispira. Una storia di amicizia, dolore, perdono, redenzione e vocazioni. E no. Non è un caso se in questo elenco abbiamo rispettato l'ordine alfabetico. Siamo nel 1879. Epoca di fermento umanistico, tempo di città industriose e in rapida mutazione. Anni in cui la mania del progresso scientifico celava ancora zone oscure dell'umanità, come il trattamento riservato ai malati di mente. Lo sa bene William Chester Minor, rinchiuso in manicomio dopo aver ucciso per errore un uomo innocente. Lacerato dal senso di colpa, Minor peggiora di giorno in giorno, ma il delirio sfocia nella geniale ispirazione. Ed è così che nasce il suo rapporto epistolare con Murray, scozzese autodidatta intenzionato a smuovere dallo stallo la creazione del primo grande dizionario britannico. Un lavoro titanico, non solo per la gigantesca mole di parole da vivisezionare e studiare sin dalla loro etimologia, ma soprattutto perché osteggiato da molti studiosi di Oxford, infastiditi dai metodi così poco accademici di Murray. Il professore e il pazzo, calzante titolo interscambiabile (capace di insinuare nello spettatore il dubbio su chi sia davvero folle tra i due), (...) dà il meglio di sé quando preferisce soffermarsi sulla commovente dedizione di due uomini lontani, ma vicini nelle vocazioni. Simili nello sguardo cristallino, Mel Gibson e Sean Penn appaiono affiatati nelle poche sequenze in cui condividono la scena. Il primo con un'interpretazione misurata, implosa ma non per questo poco generosa. Il secondo sposando l'anima tormentata di un uomo per cui le parole erano l'unica forma di libertà possibile e immaginabile.

Giuseppe Grossi, "MoviePlayer"

Ferragosto alle serre w/ San Ignacio

Mer, 07/31/2019 - 12:58

Torna l’appuntamento più atteso dell’estate, l’ormai imperdibile Ferragosto alle Serre!

Se la città è vuota, non preoccuparti ci pensiamo noi a offriti refrigerio, relax e buona musica.

Dalle 17,00 fino a tarda sera si alterneranno alla consolle dj e amici delle Serre.

Tra gli ospiti San Ignacio, musicista e produttore argentino per un live al tramonto.

San Ignacio, nome d’arte di Ignacio Sorà, è fra i più autorevoli esponenti del movimento sudamericano della Electro Cumbia. È citato nel recente graphic novel di Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) “Il Cammino della Cumbia”. Nei suoi album il folklore musicale argentino sposa l’elettronica, senza dimenticare le proprie origini, in parte anche italiane, che si sono fuse per poi affondare in un terra “magica” e dalla incommensurabile bellezza naturale: l’Argentina.

A tu per tu con Zap & Ida

Mer, 07/31/2019 - 12:49

Una vita dedicata all’umorismo e al buonumore “Wikibolario”

Zap disegna in diretta alcuni soggetti tratti dalle 60 tavole illustrate del WIKIBOLARIO alternandoli alla 'recitazione' di alcuni termini per ogni lettera.

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