(Les Invisibles, Francia/2019) di Louis-Julien Petit (102')
Quattro assistenti sociali lavorano presso un centro diurno che fornisce assistenza alle donne senza fissa dimora. Quando il Comune decide di chiuderlo, le quattro donne si lanciano in una missione impossibile: dedicare gli ultimi mesi a trovare un lavoro al variopinto gruppo delle loro assistite, abituate a vivere in strada. Violando ogni regola e incappando in una serie di equivoci, riusciranno infine a dimostrare che la solidarietà al femminile può fare miracoli?
"Non amano i letti pronti, le gelide mura delle camere anonime, le stanze perfette che, nei centri di accoglienza notturni, raffreddano i rapporti personali. Preferiscono dormire all'addiaccio in tende lontano dal centro parigino e svegliarsi ogni mattina presto per andare all'Envol, lo spazio diurno che alle otto si apre e offre loro doccia calda, colazione, biglietti dell'autobus e tutto ciò che potrebbe contribuire alla cura personale. Sono in carne e ossa ma sono invisibili per la polizia che gestisce l'ordine cittadino e la società che pretende risultati economici. Potrebbe sembrare un dramma sociale Le invisibili di Louis-Julien Petit, il film che ha conquistato il botteghino francese. I riferimenti sono reali e le ispirazioni autoriali provengono da un libro Sur la route des invisibles, scritto da Claire Lajeunie, che è diventato poi, per la stessa regia di Lajeunie, il documentario Femmes Invisibles - Survivre à la rue. Ma il tema è così forte che la chiave per raccontarlo, che centra l'obiettivo, è il sorriso. Bilancio quasi perfetto di paradossi e paure, commozione e rabbia, Le invisibili sono infatti donne senza tetto, che hanno scelto come distintivo nomi popolari, da Edith Piaf e Brigitte Bardot, da Lady D a Brigitte Macron. Avevano una vita prima, dolorosa, problematica e violenta. Ora invece hanno trovato il loro equilibrio al centro Envol: le dirigenti si sanno occupare di loro e anzi, hanno fatto di loro la ragione di vita. Dimenticando spesso la loro esistenza fuori dal lavoro, e perciò, come le clochard, diventano invisibili. Il mondo circostante le dimentica o le sottovaluta facilmente. E se un giorno il centro Envol dovesse chiudere? Questo bel film ricorda le commedie americane ben interpretate e ben architettate narrativamente. Il regista ha voluto che le clochard recitassero sé stesse e per farlo ha frequentato, per un anno, diversi centri di accoglienza in Francia. E accanto a loro ha scelto un cast femminile perfetto. La sua macchina da presa, anche essa poco invadente, misura bene il peso che ogni personaggio deve avere. Scava nelle dinamiche psicologiche e restituisce il dolore che si prova quando si è costretti, per incapacità personali e sociali, alla solitudine."
Emanuela Genovese, "Avvenire"
di Asghar Farhadi, Spagna-Francia/2018, 130’
In occasione del matrimonio della sorella, Laura torna con i figli nel proprio paese natale, nel cuore di un vigneto spagnolo. Ma alcuni avvenimenti inaspettati turberanno il suo soggiorno facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto.
"Regista tra i migliori del suo Paese, l'iraniano Asghar Farhadi (Una separazione) si è distinto come autore di film profondamente umanisti, dove i "buoni" hanno segreti da nascondere e i "cattivi" non sono mai del tutto tali. Questa volta si trasferisce in Spagna, anche se con un soggetto in origine destinato all'Iran. Laura, che vive in Argentina, torna nella provincia spagnola della Rioja per il matrimonio della sorella. Prima i festeggiamenti, poi sua figlia Irene è vittima di rapimento. Vendetta trasversale? Mentre antichi rancori vengono a galla, Laura può contare solo sull'aiuto di Paco, suo amante di gioventù. La trama poliziesca mira a essere soprattutto un reagente di comportamenti."
Roberto Nepoti, "La Repubblica"
(Italia/2019) di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi (96') | Accadde domani
Sono passati otto anni dalla sua elezione al Quirinale e Peppino Garibaldi vive il suo idillio sui monti con Janis e la piccola Guevara. Peppino non ha dubbi: preferisce la montagna alla campagna...elettorale. Janis invece è sempre più insofferente a questa vita troppo tranquilla e soprattutto non riconosce più in lui l'uomo appassionato che voleva cambiare l'Italia. Richiamata al Quirinale, nel momento in cui il Paese è alle prese con la formazione del nuovo governo e appare minacciato da oscuri intrighi, Janis lascia Peppino e torna a Roma con Guevara. Disperato, Peppino non ha scelta: tornare alla politica per riconquistare la donna che ama.
"Non era facile fare la caricatura di un governo già ampiamente dedito alla causa, ma Bentornato Presidente riesce nel prodigio, e tuttavia non se ne scrive per questa ragione. Se ne scrive perché il presidente del governo più anticasta della storia dell'umanità - il nostro Bisio-Garibaldi - si rende conto che l'unico modo per uscire dal disastro è che gli italiani paghino le tasse. Se le pagassero - dice in un discorso a metà strada fra la Pimpa e Churchill - avremmo una tale quantità di denaro per sistemare il Paese che quelli di Düsseldorf verrebbero qui per il gusto di sbalordire. Diciamola facile: si rende conto che la casta non sono soltanto i partiti di destra o di sinistra, i loro danarosi padrini, le élite del sapere e della finanza. La casta è soprattutto una, gli italiani. Se pagano le tasse l'Italia si salva, se continuano a non pagarle non si salva. Che faranno? Lo saprete all'ultimo fotogramma."
Mattia Feltri, "La Stampa"
(Italia/2018) di Nanni Moretti (80') | Accadde domani
Incontro con Nanni Moretti
A tre anni di distanza da Mia madre, Nanni Moretti torna in sala con un documentario che ricostruisce le drammatiche vicende successive all'11 settembre 1973 in Cile, quando il colpo di stato del generale Pinochet pose fine al governo di Salvador Allende. Il film descrive il ruolo rivestito dall'ambasciata italiana a Santiago, che diede rifugio a entinaia di oppositori al regime permettendo loro di raggiungere l'Italia e di salvarsi. Attraverso materiali di repertorio e interviste ai protagonisti di allora, Moretti racconta il passato con un occhio al nostro presente.
Premio come miglior documentario ai David di Donatello 2019
"Due sole inquadrature. Sono quelle che Nanni Moretti concede a se stesso nel formidabile Santiago, Italia. Nella prima, in apertura, è di spalle sopra la città circondata dalle Ande. È un gesto di iscrizione. Come dire: questa città, queste storie, mi appartengono, anzi ci appartengono e riguardano tutti noi. Anche qui, anche oggi. Forse soprattutto oggi. La seconda volta appare per dire a un militare che si protesta innocente: «Io non sono imparziale». Il resto è occupato dai ricordi dei cileni che nel 1973 trovarono scampo dal golpe nella nostra ambasciata in Cile, e dei funzionari che li aiutarono, talvolta anche a venire in Italia. Sono storie bellissime, spesso incredibili, cariche di dignità e di paradossale nostalgia, ma non prive di risvolti buffi o assurdi, anche quando sono storie di tortura. C'è Allende naturalmente, anche con Neruda. C'è il suo ultimo discorso prima di morire alla Moneda, Pinochet appare pochi secondi in immagini televisive molto disturbate. Quasi tutto è affidato alla viva voce di testimoni, uomini e donne di ogni tipo. Sono loro, dal loro punto di vista unico e irripetibile, a ricostruire tutto. Il clima politico, l'assedio economico, l'ostilità dei media in mano alle destre, il ruolo degli Usa, le responsabilità collettive e individuali. Più d'uno si commuove, mai quando te lo aspetteresti.. E sono sempre loro, alla fine, a evocare un'Italia lontana anni luce da quella cui sembriamo rassegnati. Sicché questo viaggio iniziato così lontano, nel tempo e nello spazio, ci riporta al qui e ora. Con la forza dell'epos collettivo celato in tutti quei volti. E l'urgenza che trasmette ogni tanto la nostra immagine allo specchio."
Fabio Ferzetti, "l'Espresso"
Serata promossa da Unipol Banca
(Francia/2018) di Alexis Michalik (109')
Parigi, 1897. Edmond Rostand è un drammaturgo geniale che ha inanellato solo insuccessi ed è ora afflitto dal blocco dello scrittore. Grazie a Sarah Bernhardt, sua ammiratrice, conosce il più grande attore del momento, Costant Coquelin, che in tre settimane vuole portare in scena la sua prossima commedia. Peccato che Edmond abbia deciso solo il titolo: Cyrano de Bergerac. Dopo il successo al Palais Royal, Alexis Michalik porta sul grande schermo la sua favola divertente e charmante sui capricci della creazione e la frenetica genesi di uno dei capolavori della letteratura mondiale.
"La commedia Cyrano de Bergerac è il testo francese di maggior successo nel mondo e ancora oggi resta, a distanza di 122 anni, un cult. Pure il cinema si è lasciato affascinare molte volte dalla storia dello spadaccino, scrittore e poeta dal naso mostruoso, l'irresistibile vitalità, il disprezzo per i potenti e i prepotenti, l'animo gentile nascosto sotto gli atteggiamenti guasconi: sono da citare il kolossal di Jean-Paul Rappeneau con uno strepitoso Gérard Depardieu Palma d'oro a Cannes (1990) e la reinvenzione moderna Roxanne di Fred Schepisi con Steve Martin (1987). Cyrano mon amour (titolo originale Edmond), è l'esordio nel lungometraggio di Alexis Michalik: non l'ennesima trasposizione cinematografica della pièce ma la storia romanzata della genesi del capolavoro di Rostand. Tutto è partito da una sceneggiatura scritta nel 2016 dallo stesso autore, prima destinata a diventare un film, poi trasformata in pochade teatrale affermata (cinque premi Molière vinti, 700 mila spettatori all'attivo), e infine riconvertita per il grande schermo. In una Parigi di fine Ottocento gioiosa e in piena Belle Epoque, dove i monumenti scintillano e la "settima arte" è agli albori (per un franco si può assistere ai primi esperimenti su pellicola dei Fratelli Lumière e di Méliès), il giovane Edmond, un malinconico Thomas Solivérès, è un poeta squattrinato con moglie e due figli, reduce dal fiasco della tragedia in versi La princesse lointaine. Nonostante l'interprete sia nientemeno che la grande Sarah Bernhardt, tra le poche persone a credere nel suo talento. Ed è in crisi d'ispirazione. Finché la sua illustre fan non lo fa incontrare con il divo del momento Constant Coquelin (l'esuberante Olivier Gourmet), desideroso di rilanciare la sua carriera. Peccato che il novellino e sconosciuto drammaturgo non abbia ancora scritto una riga. Sull'esempio di Shakespeare in love, Michalik parte dall'idea che Rostand abbia concepito Cyrano ispirandosi a situazioni realmente vissute e a personaggi conosciuti, soprattutto la bella costumista Jeanne, la musa a cui scrive lettere appassionate per conto dell'attore prestante ma vacuo Léo, che nella commedia diventa Christian. La storia dello scrittore e quella del moschettiere fanno corto circuito, solo il finale ovviamente diverge: trionfo scontato per il primo, morte, come si sa, per il secondo. Alcuni critici francesi hanno rimproverato al regista qualche incongruenza di troppo: Rostand non scrisse Cyrano in tre settimane, la moglie non era solo una casalinga gelosa del consorte, ma una poetessa e drammaturga, il Bolero di Ravel, che risuona nella sequenza in cui i commedianti decidono di non rispettare la legge andando ugualmente in scena, venne composto molti anni dopo. Ma non è la verità storica che conta. Vincono la licenza poetica, il divertimento, i sentimenti. Il film funziona perché è costruito come un vaudeville di Georges Feydeau (che compare come personaggio, interpretato dallo stesso regista, in una scena degna dell'Albergo del libero scambio), tra equivoci, incidenti, la primattrice che cade in una botola, ritmo serrato e un meccanismo a orologeria. Vale di per sé la visione un esilarante Anton Cechov incontrato in un bordello, dove accompagna un amico, ma senza "consumare". Cyrano non amour piacerà soprattutto al pubblico femminile e strapperà qualche lacrimuccia nel finale, assicurando due ore di leggerezza. Insomma, anche Michalik può pronunciare la fatidica frase: "À la fine de l'envoi, je touche".
Paola Zocca, "La Repubblica"
(Italia/2019) di Riccardo Milani (98') | Accadde domani
Giovanna è una donna dimessa, addirittura noiosa, che si divide tra il lavoro al Ministero e gli impegni scolastici di sua figlia Martina. Dietro questa scialba facciata, Giovanna in realtà è un agente segreto, impegnato in pericolosissime missioni internazionali. In occasione di una rimpatriata tra vecchi compagni di liceo, i gloriosi "Fantastici 5", Giovanna ascolta le storie di ognuno e realizza che tutti, proprio come lei, sono costretti a subire quotidianamente piccole e grandi angherie al limite dell'assurdo.
"Fra Cosa ti dice il cervello, titolo di una popolare serie di National Geographic, e Ma cosa ci dice il cervello, titolo del nuovo film di Riccardo Milani, di diverso ci sono il «ma» e la particella pronominale, però è quel che fa la differenza fra un didattico viaggio nei segreti della mente e una pellicola che, ridendo, castigat mores. Divorziata alle prese con una mamma criticona (Carla Signoris) che nasconde i segni dell'età travestendosi da rockettara, Paola Cortellesi conduce una tranquilla routine di impiegata, mentre in realtà lavora per i servizi segreti: vale a dire che si occupa di sicurezza sul piano di proteggere il Paese dalle minacce del terrorismo internazionale piuttosto che dallo sbarco di un pugno di immigrati. Seguendola in missione fra Marocco e Mosca, il film rischia all'inizio di incagliarsi nelle sabbie mobili di una ruspante parodia bondiana, ma la rimpatriata con un quartetto di ex compagni di liceo, provvede a riportare la 007 ai valori di una quotidianità condivisa; e il film sui binari della commedia di costume, che della coppia Milani/Cortellesi (anche sceneggiatori) è genere assai congeniale. Il fatto che, nell'esercizio delle loro mansioni, l'hostess Pandolfi, il medico di base Mascino, l'allenatore di scuola calcio Marchioni e il prof. di Lettere Fresi, siano costretti a scontrarsi con l'ignoranza e la prepotenza in auge, fa scattare in Paola la molla dell'indignazione, inducendola a vendicare gli amici non con la violenza, bensì tramite la legge del contrappasso. Il tutto sull'esempio di Fresi che, apostrofato in aeroporto per la sua grassezza, replica spiritosamente all'aggressore con una tirata alla Cyrano, inanellando i possibili modi inventivi, fioriti ed eleganti con cui un'ingiuria può essere espressa se solo si possiedono le armi dell'arguzia e del sapere. Ci vuole coraggio di questi tempi a far scattare la risata ironizzando sulla mala- educazione di una società dove cultura, gentilezza, buone maniere vengono giornalmente demonizzate. Ma la piccola lezione di civiltà è impartita con un garbo e un divertimento che accattivano la simpatia, riscattando la commedia di alcune fragilità."
Alessandra Levantesi, "La Stampa"
live
Il suono di questa band prende forma attraverso le composizioni della pianista, Giulia Facco, e si sviluppa coerentemente, mescolando le quattro personalità dei musicisti in un unico flusso, bilanciato dall'ascolto e dal continuo contrappunto. Melodie scritte si intrecciano con l'improvvisazione, affondando le radici nel jazz, dalle sue forme più tradizionali alle sonorità più moderne e free, senza escludere contaminazioni latine, funky e popolari.
Giulia Facco - piano, voce, composizioni
Mirko Cisilino - tromba
Federico Pierantoni - trombone
Riccardo Di Vinci - contrabbasso , basso elettrico
Marco D’Orlando - batteria
live
Alberto Forzan (voice / percussions / MPC)
Davide Nicchio (guitars / voice)
Stefano Cosi (drums / keys / african percussions)
Federico Lincetto (bass / synth bass)
di Bill Holderman, USA/2018, 104’
Quattro amiche non più giovanissime fanno parte di un club del libro. La lettura del best seller erotico Cinquanta sfumature di grigio sconvolgerà le loro vite sentimentali. Sorta di Sex and the City over 70, il film dell'esordiente Holderman punta tutto sui dialoghi scoppiettanti e sulla brillante prova delle meravigliose interpreti: Diane Keaton, Jane Fonda, Candice Bergen e Mary Steenburgen. Un quartetto da Oscar di donne forti e indipendenti capace di fare scintille, ribaltando gli stereotipi legati al genere e all'amore nella terza età.
"Quattro gigantesse di Hollywood sono calate in un microcosmo losangelino à la Nancy Meyers quando piove loro in grembo 50 sfumature di grigio: è la più audace Jane Fonda-Vivian (ricchissima proprietaria di un albergo di lusso che rifiuta legami sentimentali duraturi, preferendo avventure sessuali senza impegno) a proporlo come lettura del mese per il loro club del libro. Diane Keaton, Candice Bergen, Mary Steenburgen e Jane Fonda, ciascuna con il suo personaggio diversamente stereotipato, si ritrovano periodicamente in bei salotti ordinati per discutere di libri, ma è con in mente le avventure di Mr. Grey e signora che cominciano a riflettere sulle loro vite sentimentali e sessuali, o meglio sulla loro mancanza. Accolta la proposta di Vivian dopo lo scetticismo iniziale, le quattro amiche si trovano inaspettatamente incollate alle pagine ma soprattutto risucchiate in un mondo pieno di possibilità che non si vergognano a reclamare come loro, nonostante l'età. E così Diane (Keaton), rimasta vedova da poco, complice quel guizzo di grinta in più datole dalle 50 sfumature, si lancia in una love story con un bel pilota d'aerei (Andy Garcia), lei che odia volare, in barba alle ansie delle figlie (Alicia Silverstone e Katie Aselton), che la vorrebbero tranquilla e sorvegliata in un seminterrato con pavimenti antiscivolo in Arizona. Sharon (Candice Bergen), autorevole giudice federale dall'apparenza seriosa (in realtà sarà proprio lei con il suo irresistibile aplomb ad animare alcuni tra i momenti più esilaranti del film), a diciotto anni dal suo divorzio (e dall'ultimo contatto con un uomo) spinta dalle amiche decide di gettarsi nell'online dating... con insperato successo. Vivian, ça va sans dire, rincontrerà l'uomo che le ha rubato il cuore quarant'anni prima (Don Johnson) e dovrà imparare a cedere al richiamo dell'amore vero; mentre Carol (Mary Steenburgen), l'unica sposata delle quattro amiche, è alle prese con un matrimonio da riavviare, in un momento in cui il marito recentemente pensionato (Craig T. Nelson) sembra pensare solo a riavviare la sua vecchia moto. Così, seguendo una sceneggiatura impreziosita da una raffica di battute e episodi divertenti, le quattro protagoniste procedono inesorabilmente ciascuna verso il proprio destino amoroso. Le quattro vicende scorrono parallele, inframmezzate dalle riunioni delle amiche, e giungono a conclusioni più o meno brillanti. La prevedibilità della vicenda non sottrae nulla al talento e alla scintilla che quattro Signore del cinema riescono a portare sullo schermo: brave, belle e ironiche co-protagoniste di un film che si concentra sulla vita di donne ultrasessantenni senza pietismi né acide invidie nei confronti delle giovani generazioni. (...) è sempre bello vedere sullo schermo storie romantiche che non riguardano solamente giovani e giovanissimi, ma fanno spazio a stelle mature che hanno ancora tanta luce da regalare."
Costanza Morabito, "Il Cinematografo"
(Italia/2019) di Daniele Luchetti (93') | Accadde domani
Cosa faresti se avessi solo novantadue minuti per sistemare tutte le questioni in sospeso della tua vita? È la situazione in cui si trova Paolo, marito egocentrico e padre non proprio esemplare. Salito in cielo dopo un incidente in motorino, si vedrà accordare un bonus per tornare tra i vivi. In questa cornice da cinema classico, lo sceneggiatore Francesco Piccolo inserisce i pensieri e i racconti dei suoi libri-zibaldone, costruendo un personaggio di perfetto italiano medio, infantile e cialtrone, mitigato dalla bonaria recitazione straniata di Pif.
"Chi ha letto i due brillanti trattatelli esistenzial-filosofici di Francesco Piccolo (Einaudi), sa che i momenti di trascurabile felicità e infelicità dei titoli rappresentano metaforicamente il tessuto di cui è imbastita la vita. A quattro mani con l'autore stesso, che del resto è un noto sceneggiatore (Il caimano, Il capitale umano), Daniele Luchetti ha tradotto sullo schermo questo divertente catalogo di frammenti rifacendosi a un espediente alla base di certi classici del cinema americano quali Il cielo può attendere, o meglio ancora L'inafferrabile Signor Jordan, dove un defunto torna sulla terra per via di un errore di calcolo lassù in Paradiso. (...) L'idea di un effimero teatrino umano messo in rapporto al suo ineluttabile atto conclusivo, ovvero la morte, poteva risolversi in farsa o in melodramma, ma Luchetti con sicuro talento di regia realizza una commedia al contempo lieve e densa. Nella cifra intimista a lui congeniale, e a dispetto del finale di maniera, il cineasta romano provvede a sottrarre la banalità del quotidiano alla sua insignificanza provocando l'onda lunga della nostalgia. Sul contrappunto musicale di Franco Piersanti e lo sfondo di una scenografica cornice palermitana esaltata dalla fotografia di Tommaso Fiorilli, il film coniuga felicemente l'ironico straniamento del Paolo di Pif con la femminile intensità dell'Agata di Thony."
Alessandra Levantesi Kezich, "La Stampa"
(USA/2018) di Joel Edgerton (114')
Il film racconta la vera storia della presa di coscienza e della dichiarazione della propria omosessualità di Jared Eamons, figlio di un pastore battista di una piccola città dell'America rurale, che all'età di 19 anni decide di aprirsi con i suoi genitori riguardo alle proprie preferenze sessuali. Con la minaccia di perdere la famiglia, gli amici e la chiesa cui appartiene, Jared viene spinto a partecipare ad un programma di terapia di conversione.
"Ispirato a una storia vera raccontata anche in un libro autobiografico, Boy erased è la seconda regia dell'attore Joel Edgerton, che qui si ritaglia un ruolo accanto a Nicole Kidman e Russell Crowe. Un adolescente del Wisconsin (Hedges), attratto da uomini del proprio sesso, lo confessa al padre e viene spedito in un centro di rieducazione cristiano, fatto apposta per sradicare le tentazioni omosessuali. Il racconto procede minuzioso, tradizionale. La cosa più interessante è la descrizione del funzionamento di questo universo concentrazionario (...). A dare spessore ci sono gli attori, in particolare Hedges, che è ormai il giovane attore più interessante del cinema americano. Curiosamente, una storia gemella, ma al femminile, era stata raccontata in un film uscito qualche mese fa, La diseducazione di Cameron Post".
Emiliano Morreale, "La Repubblica"
di Jacques Audiard, Francia-Spagna-Romania-Belgio-USA/2018, 122’
Oregon, 1851. Due fratelli, Charlie ed Eli, il primo impulsivo, scontroso, amante di vino e donne, il secondo più riflessivo e sensibile, lavorano insieme. I Sisters sono pagati dal Commodoro dell'Oregon per eliminare i suoi nemici in modo veloce ed efficace: la loro fama li precede e sono temuti da tutti gli abitanti del West. L'ultimo lavoro consiste nel far sparire un chimico, accusato di aver rubato al loro capo e che sembra aver scoperto il metodo per scovare l'oro dai letti dei fiumi. Non tutto però va come previsto...
Leone d'Argento al 75° Festival del Cinema di Venezia
Premio César 2019 come miglior film
"Lo si capisce già dalla primissima scena: uno scontro a fuoco dove si distinguono, e molto in lontananza, solo le fiammate che escono dalle pistole, senza capire bene chi spara a chi. Siamo in un western (una didascalia all'inizio aiuta: Oregon, 1851) ma lo guardiamo come Fabrizio Del Dongo a Waterloo: abbiamo sempre l'impressione che il cuore delle cose ci sfugga. È come se avessimo una lente davanti ai nostri occhi, una strana lente che a volte dà l'impressione di deformare le immagini o a volte le avvicina e a volte le allontana. Non siamo in un western revisionista o crepuscolare o - Dio ne scampi - postmoderno. Siamo in un mondo che ha perso la sua innocenza ma non ne è ancora ben cosciente, dove le passioni guidano ancora le azioni degli uomini ma non sono così forti da farne degli eroi. E neppure il dovere di un compito ben fatto serve più a giustificare le proprie imprese. Gli anni sono gli stessi di tanti vecchi western, ma gli eroi sono irrimediabilmente cambiati. n effetti non ti aspetti John C. Reilly e Joaquin Phoenix con lo Stetson e la Colt, con quello strano cognome su cui Cyrano avrebbe intessuto rime e allusioni - Sisters, sorelle - nei panni di due infallibili killer, Charlie e Eli, in giro per il West a eliminare i nemici del misterioso Commodoro. E quasi non ci credono neppure loro, tanto gli ammazzamenti avvengono senza particolari difficoltà o pericoli. I rischi, semmai, vengono dalla facilità con cui Charlie si ubriaca e perde le staffe, costringendo il più assennato Eli a correre ai ripari. Per interesse professionale - lavorano in coppia - ma anche per un forte rapporto fraterno (l'unico vero sentimento di tutto il film), quello che spinge il giovane Charlie a occuparsi di Eli quando un ragno gli entra in bocca nel sonno e gli gonfia la faccia. Una scena su cui altri avrebbero potuto ricamare gag o riflessioni sulla Natura matrigna e che invece passa via senza conseguenze, solo un piccolo e insignificante ritardo sulla tabella di marcia. Perché il nocciolo di I fratelli Sisters l'inseguimento da parte di Charlie e Eli di uno strano chimico di origini (probabilmente) indiane, Hermann Kermit Warm, che il Commodoro vuole eliminare e sulle cui tracce ha già mandato l'investigatore privato John Morris; ui deve individuarlo e poi indicarlo ai due fratelli killer perché lo uccidano non prima di avergli strappato il suo segreto. Quale sia questo segreto lo si scoprirà più avanti nella storia, durante la quale Morris deciderà di cambiare casacca e Charlie e Eli ne saranno tentati a loro volta. Eppure, il senso del film non è certo quello di raccontare una storia di inseguimenti e tradimenti, altrimenti il regista francese Jacques Audiard non avrebbe probabilmente accettato la proposta che gli fece, addirittura sei anni fa, durante un festival di Toronto, John C. Reilly che aveva comprato con la moglie produttrice Alison Dickey i diritti del romanzo di Patrick deWitt (in italiano "Arrivano i Sisters", Neri Pozza). L'attore vi aveva visto la storia di una persona che intuisce dentro di sé un'altra strada e un'altra possibilità di vita, il regista poteva ritrovare il tema su cui aveva costruito la sua carriera d'autore e diretto alcuni grandi film: come non tradire se stessi di fronte alle contraddizioni e alle sfide della vita. Insieme al co sceneggiatore Thomas Bidegain, Audiard ha lavorato sull'umorismo del testo letterario, stemperandolo senza eliminarlo del tutto, ricostruendo un West canonico nei suoi riferimenti ma inedito nelle sue sfumature (la scoperta dello spazzolino da denti e come usarlo, la mascolinità della terribile Mayfield, (l'amore «segreto» di Eli per chi gli ha regalato una sciarpa), pronto a sorprendere lo spettatore con una nuova ripartenza (lo scontro finale col Commodoro) per toccare così i tanti temi del western - l'avidità e la violenza, la misoginia e la sfida ai padri, l'amicizia virile e l'utopia, l'amore e il conforto della famiglia - ma anche per «dimenticare» l'epica e trasformare il film in un inedito romanzo di formazione."
Paolo Mereghetti, "Il Corriere della Sera"
(USA/2018) di Peter Farrelly (130')
New York, anni '60. Tony Lip, un tempo rinomato buttafuori, finisce a fare l'autista di Don Shirley, giovane pianista afro-americano. Lip deve accompagnare il pianista prodigio in un lungo tour nel profondo sud degli Stati Uniti. Dopo alcune prime difficoltà, il viaggio nelle regioni razziste degli USA porta i due a stringere una forte e straordinaria amicizia.
Premio come miglior film agli Oscar 2019 e ai Golden Globe 2019
Premio come miglior attore non protagonista a Mahershala Ali agli Oscar 2019 e ai Golden Globe 2019
Premio per la miglior sceneggiatura originale a Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly agli Oscar 2019 e ai Golden Globe 2019
"La trama si basa su un vecchio episodio dell'America razzista, per la verità ancora attuale in un paese che ne continua a subire le drammatiche conseguenze, permeato, però, da un senso liberal di ripulsa che non assomiglia allo stile urlato caro a Spike Lee: per il regista Farrelly, stavolta separato dal fratello Bobby, lo spunto diventa esemplare non tanto per l'accuratezza dei costumi, le scenografie e, in particolare, le poliedriche musiche, quanto per l'acclusa metafora dei più nobili sentimenti umani che dovrebbero essere e purtroppo non sono universali e trasversali. Basta rilevare, al proposito, che lo spedito e scorrevole racconto si svolge nel corso della tournée intrapresa all'alba degli anni 60 a bordo di un'elegante Cadillac azzurra da un raffinato pianista e jazzista nero e dal suo occasionale e rozzo autista italoamericano negli stati sudisti più discriminatori nei confronti degli afroamericani. Sul filo di situazioni picaresche e tragicomiche si capisce subito che dall'odioso contesto si sprigionerà il calore di un'amicizia in barba ai doppi e tripli pregiudizi, ma il meglio del film sta nel ritmo pressoché sinfonico con cui Ali e Mortensen si palleggiano i rispettivi minishow sull'ordito di dialoghi cronometrici, battute sarcastiche e qualche scaltrita mozione degli affetti."
Valerio Caprara, "Il Mattino"
(Italia/2019) di Giorgio Tirabassi (94') | Accadde domani
I quarantenni Rufetto e Nello sono due rapinatori maldestri che, dopo aver scontato quattro anni di carcere per un colpo andato male, vivono in un quartiere della periferia romana. I due non demordono e progettano una rapina che potrebbe dare una svolta alle loro vite mediocri. Riprendere in mano l'attività e soprattutto portarla a buon fine, però, non è per niente facile: si convincono, così, che il destino non sia dalla loro parte...
"È una bella sorpresa il primo film di Giorgio Tirabassi sulle storie parallele di due perdenti nati, due soliti ignoti incastrati nella periferia romana dove nessuno ha più voglia di fare la commedia. (...) Caso raro, Il grande salto è ben diretto e scritto dal regista con Mattia Torre e Daniele Costantini, evitando ogni tipo di sdolcinatura sociale perché ormai i giochi sono fatti e Ricky Memphis, bravissimo, vive in una casa-tana in cui mangia carne in scatola e tv. Neorealismo anni '50, con echi di Emmer, Germi e Steiger, ma capace di sorprendere quando il Destino offre carte giuste. In realtà non c'è alcun fato, né innocenti, ma Tirabassi non tira di moralismo, ha riserve intatte di malinconia e sta per crollare a ogni sequenza, in bilico tra volere, violenza, assuefazione. Racconta comunque una storia contemporanea facendo prestito di echi migliori passati: sembra un film anacronistico, ma invece ci sta addosso, ci parla all'orecchio, ci invita a misurare due mesti finali di partita col jolly surreale."
Maurizio Porro, "Il Corriere della Sera"
(The Mule, USA/2018) di Clint Eastwood (116')
Earl Stone, ottantenne senza un soldo, costretto ad affrontare la chiusura anticipata della sua impresa, accetta un lavoro apparentemente semplice: deve solo guidare. Peccato che a sua insaputa l'uomo diventi un corriere della droga per un cartello messicano.
"Pubblicata dal giornalista Sam Dolnick sul New York Times Magazine del giugno 2014, la storia vera ha ispirato una sceneggiatura affidata al Nick Schenk di Gran Torino che è poi finita sulla scrivania di Clint Eastwood. Il quale a un'età (88 anni) in cui (con l'eccezione di Manoel De Oliveira) un cineasta vive di ricordi, si è assunto il doppio compito di regista (37a) e attore (70a interpretazione). Proponendosi in un ruolo di gran vecchio che molto gli somiglia per le anarchiche scelte esistenziali, a scapito degli affetti famigliari; e nel piglio politicamente scorretto. Vedi la tranquillità con cui il suo personaggio si infila nel giro della droga; vedi battute del tipo: «Mi fa piacere aiutare voi negri» o (rivolto agli scagnozzi messicani) «sembrate tutti uguali». Frasi che in bocca a un altro suonerebbero razziste; e proferite da lui fanno sorridere noi fan, forse a torto convinti che «Dirty Harry» in realtà un suo codice etico lo ha. Molto personale sebbene ispirato alla realtà, The Mule non è Gli Spietati o Million Dollar Baby; semmai è una versione minore di quell'ironico autoritratto che è Gran Torino. Parliamo di una pellicola di dieci anni fa, e però - anche se il fisico li denuncia e la tenuta del film a tratti ne risente - The Mule conserva la lineare fluidità narrativa che Clint ha ereditato dal cinema classico americano; e ogni attore, a partire dell'agente DEA Bradley Cooper, si intona con naturalezza al suo quieto e sicuro registro di regia. Curata dal trombettista cubano Arturo Sandoval, la colonna sonora è un delizioso mix di jazz e pop."
Alessandra Levantesi Kezich, "La Stampa"
(Italia/2018) di Stefano Mordini (102') | Accadde domani
Incontro con Stefano Mordini
Adriano Doria, un giovane imprenditore di successo, si risveglia in una camera d'albergo chiusa dall'interno accanto al corpo senza vita della sua amante, l'affascinante fotografa Laura. Viene accusato di omicidio ma si dichiara innocente. Per difendersi, incarica la penalista Virginia Ferrara, famosa per non aver mai perso una causa. L'emergere di un testimone chiave e l'imminente interrogatorio che potrebbe condannarlo definitivamente, costringe Adriano e l'avvocato Ferrara a preparare in sole tre ore la strategia della sua difesa e a cercare la prova della sua innocenza. Spalle al muro, Adriano sarà costretto a raccontare tutta la verità.
"Con Il testimone invisibile il cinema italiano si arricchisce di un giallo alla vecchia maniera, ricco di colpi di scena, girato con grande eleganza formale e pieno controllo degli ambienti e recitato bene. D'altra parte Mordini è un professionista duttile e, considerando il grado di difficoltà presentato da un racconto tutto fondato su un intricato gioco di apparenze e un'overdose di dialoghi che attivano il continuo viavai tra passato e presente, si può dire che sia riuscito a ribadire il tratteggio raffinato ma mai pretestuoso. Tutto succede in una serie di location del Trentino che interagiscono strettamente non solo con la trama, ma addirittura con gli stati fisici e mentali dei personaggi: ne consegue che la suspense del dubbio sull'innocenza o la colpevolezza dell'accusato si accentui proprio grazie alle scene sospese tra un albergo situato a 3200 metri e un bosco fitto e suggestivo che saggiamente s'alternano alle corpose parti interne dello svolgimento. E' lecito compiacersi dell'accuratezza con cui s'alternano le messe a fuoco, gli zoom e le angolazioni che orientano e disorientano lo sguardo degli spettatori e in particolar modo della colonna sonora di Fabio Barovero."
Valerio Caprara, "Il Mattino"
di Jesse Peretz, GB/2018, 105’
Annie vive da lungo tempo una relazione abitudinaria con Duncan, fan ossessivo dell'ormai sconosciuto musicista rock Tucker Crowe. L'uscita del demo acustico di un album di successo di Tucker di venticinque anni prima porterà a un incontro con il rocker che cambierà la vita di tutti i protagonisti.
"Juliet, Naked funziona molto bene nello sviluppo del patologico ritratto di quanto buffi possono essere i fan estremi, privi di ogni analisi razionale, e sul triangolo in cui l'idolo si insinua nel rapporto di coppia del fan riesce a raggiungere dei momenti davvero esilaranti; ma fino a qui potevamo aspettarcelo, grazie al talento delle persone coinvolte proprio per costruire una storia di questo tipo. Quello che rende il film pienamente compiuto è il ritratto dell'idolo, non più una remota e ormai lontana nel tempo accozzaglia di pixel sbiaditi, ma una figura a tre dimensioni di cui vengono raccontate le debolezze, gli errori, e l'immobilismo di una vittima delle sue stesse passioni. (...) Insomma, ci si diverte, ma non mancano le annotazioni intelligenti sulle conseguenze della fama, anche relativa, e soprattutto sulla sindrome da eterno Peter Pan di un musicista troppo fragile. Tutti bravi, tutti da applauso gli interpreti e la speranza che la commedia romantica torni di nuovo fra noi, con rinnovato dinamismo."
Mauro Donzelli, "Coming Soon"
(The Children Act, GB/2017) di Richard Eyre (105')
L'eminente giudice dell'Alta Corte britannica Fiona Maye è chiamata a prendere una decisione cruciale nell'esercizio del suo ruolo: deve obbligare Adam, un giovane adolescente malato di leucemia a sottoporsi a una trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la vita ma che egli rifiuta per motivi religiosi. In deroga all'ortodossia professionale, Fiona sceglie di andare a far visita ad Adam in ospedale e quell'incontro avrà un profondo impatto su entrambi, suscitando nuove e potenti emozioni nel ragazzo e sentimenti rimasti a lungo sepolti nella donna.
"Mettere in scena un romanzo è sempre complicato, in particolare quando si tratta di un romanzo di idee e principi oltre che di persone e di cose. Nel portare al cinema La ballata di Adam Henry di Ian McEwan, Richard Eyre fa la sua scelta decisiva quando affida a Emma Thompson la parte del giudice dell'Alta Corte Fiona Maye. Fin dalla prima sequenza è chiaro che il suo personaggio si approprierà del film e la sua interpretazione farà quello che vuole dello spettatore. Impossibile non stare con lei anche quando sbaglia, quando, in spregio alla procedura, va a fare visita al minore che per ragioni religiose rifiuta la trasfusione da cui dipende la sua vita, quando, infine, nega al ragazzo e forse anche a se stessa la possibilità di un esito romantico alla storia. Il verdetto, il cui titolo originale è addirittura The Children Act e si riferisce a uno dei pilastri del diritto di famiglia britannico, articola con precisione la sua trama, ideologica oltre che narrativa, ma poi la confonde con la carne e il sangue della sua protagonista, con la sua cinegenia, con la sua irresistibile presenza. Il film si apre a quello che meglio sa fare: offrire allo spettatore un campo di forze confliggenti dove non ci sono facili soluzioni e districarsi è questione di ragionamento e di lacrime. Eyre e Thompson realizzano un anomalo melodramma che aggiorna quella linea del cinema britannico che celebra il desiderio attraverso la sua frustrazione e allo stesso tempo offre al pubblico lo spettacolo di sé."
Luca Mosso, "La Repubblica"
Tutti i sabato sera dell’estate, apertura eccezionale del Giardino del Guasto per bambini, con animazioni e gioco libero.
L’iniziativa ha l’obiettivo di animare e dare vita ad uno spazio per bambini dell’area Universitaria che è sempre a rischio degrado.
Sarà possibile lasciare i propri figli agli educatori oppure trattenersi in compagnia presso l’area.
Ingresso libero e gratuito senza obbligo di prenotazione.
Laboratori ludico didattici attorno ai temi dell’arte, della storia, della scienza, ambiente e letteratura all’aperto in LARGO RESPIGHI TUTTE LE DOMENICHE DALLE 18:00 ALLE 19:00
PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA (POSTI LIMITATI)
Per l’Estate Bolognese, è stato studiato un apposito programma di laboratori rivolti ai bambini di età compresa tra i 7 e i 12 anni. Le attività garantiscono 60 minuti di divertimento assicurato durante la quale imparare ogni volta qualcosa di nuovo.
PROGRAMMA:
7 LUGLIO
“Come diventare esploratore del mondo” dal celebre libro di Keri Smith si metteranno in campo una serie di giochi rivolti all’esplorazione della Zona Universitaria con l’obiettivo di esercitare lo spirito di orientamento e la creatività.
14 LUGLIO
“Le costellazioni sempre con noi”. Se il cielo è nuvoloso o troppo luminoso, potrebbe essere difficile ammirare le stelle e le costellazioni, vieni a costruire con noi un magico visore di costellazioni per avere sempre con te la tua costellazione preferita!
21 LUGLIO
“Erbaccia sarai tu”. Un percorso urbano per andare a caccia delle cosidette “erbacce” per conoscerle, catalogarle e creare un bellissimo erbario da tenere sempre con te.
28 LUGLIO
“Riciclo creativo in piazza”. Porta anche tu una scatola, una bottiglia o un altro oggetto che non riesci a buttare perchè secondo te assomiglia ad una casa, assomiglia ad un albero o ad un missile aerospaziale! Costruiamo tutti insieme un’opera d’arte collettiva arricchita da speciali dettagli.
4 AGOSTO
“La magia della doratura”. Hai mai pensato di poter creare un tuo personalissimo medaglione d’oro? o un altro oggetto completamente dorato? è arrivato il momento di sperimentare con noi come si applicava la foglia d’oro nelle botteghe medievali.
Consigliato per bambini dai 7 ai 12 anni
Prenotazione obbligatoria e consigliata (posti limitati), il programma potrebbe subire variazioni.
Quota di adesione € 5,00 a bambino.
*Prenotazione obbligatoria (posti limitati) dal martedì al venerdì dalle 13:00 alle 16:00
Chiamare al numero 345 650 9144 o email piazzaverdi@lemacchinecelibi.coop
* La prenotazione si può effettuare entro le 24 ore che precedono le attività.
Il programma potrebbe subire variazioni in relazione alle mete delle singole visite guidate.
L’organizzazione si riserva il diritto di effettuare la visita solo al raggiungimento di un numero minimo di adesioni.