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Il 14
dicembre 1944 un gruppo di prigionieri, su ordine del Comando
tedesco, viene fatto uscire da San Giovanni in Monte, e preso
in consegna da un ufficiale tedesco SS, come viene annotato
dal registro del carcere che tutti firmano, alluscita (fig.
1) .
Quella firma è lultima traccia materiale che
quegli uomini lasciano di sé. Ma perché vengono rilasciati,
e dove sono diretti?
È probabile che alcuni di loro sperassero di essere
destinati al lavoro coatto per costruire fortificazioni nelle colline
a sud della città, ma certamente qualcuno nel gruppo già
intuisce che il proprio destino sarà un altro.
Dal dicembre del 1941, con il decreto Notte
e nebbia, i capi della Germania nazista
avevano stabilito che unopera di efficace e duratura
repressione esige la pena di morte o misure tali che i parenti o
la popolazione in generale rimangano nellincertezza circa
la sorte dei trasgressori, il che significava morte o
deportazione nei lager per i partigiani e per i fiancheggiatori
della Resistenza rastrellati ad Amola e ad Anzola. Inoltre,
il carcere di San Giovanni in Monte ha già dimostrato
di non essere affatto inespugnabile, ed è sovraffollato di
detenuti politici. La soluzione più conseguente è
leliminazione fisica, per gruppi, dei ribelli imprigionati.
In base alle ricostruzioni fatte grazie ad alcune testimonianze
oculari, il primo gruppo viene incolonnato e, non si sa con certezza
se a piedi o in camion, attraversa Via Farini e Via DAzeglio,
esce da Porta San Mamolo e prende la strada dei colli. È
la tarda mattinata del 14 dicembre.
Alle 16 dello stesso giorno, un giovane gappista, Bruno
Tura Wladimiro, mentre sta attraversando
la zona di Sabbiuno con un compagno, cercando di mettersi
in salvo oltre la linea del fronte, sente alcune scariche di mitra
e, poche ore dopo, catturato dalle SS, viene condotto in prossimità
di un calanco dove vede giacere dieci o dodici corpi di giovani,
tra i quali riconosce, legati tra loro, Tempesta
e Terremoto. È probabile che le fucilazioni
avvenissero per gruppi, tra il 14 e il 16 dicembre, e che, nellattesa,
i condannati venissero tenuti nella stalla del vicino casolare (fig.
4) (lo stesso che oggi ospita la mostra fotografica). Ma perché
viene scelta la località di Sabbiuno per quella esecuzione?
Siamo nel terreno delle ipotesi: è una località
raggiungibile dalla città in breve tempo
(ci sono meno di 8 km. di distanza); è una zona pressoché
disabitata, perché il fronte è vicino; è caratterizzata
dalla presenza dei calanchi, nei quali i corpi possono essere.
più facilmente nascosti (figg. 2 - 3) . Perché in
questa fase della guerra tedeschi e fascisti rinunciano a dare ampio
risalto alle esecuzioni, e tendono a nascondere i corpi dei giustiziati
invece di esibirli, temendo i contraccolpi negativi che potrebbero
prodursi nellopinione pubblica cittadina alla vista dei cadaveri
di numerosi partigiani fucilati.
Familiari e compagni di lotta apprendono di questa prima
esecuzione attraverso un manifesto affisso in città, che
contiene i nomi di 24 partigiani giustiziati
il 14 dicembre.
Ma non ci sono solo partigiani in quel primo convoglio di morte.
La ricostruzione dellelenco delle vittime di Sabbiuno
si basa sullincrocio di fonti diverse, e su una di queste,
il registro delle firme duscita dal carcere di San Giovanni
in Monte, appaiono appartenere al gruppo di coloro che sono
partiti per Sabbiuno anche quattro nomi che non sembrano far parte
del movimento della Resistenza: Felice
Bagnoli, di Ozzano, Leo
Kocker, commerciante salisburghese residente a Castelfranco
Emilia, Ernesto Bisi, ferroviere
bolognese, e Adelmo Piazzi,
anchegli bolognese, fornaio.
Quindi è possibile che, nel progetto che
sta dietro leccidio, accanto ai nomi dei partigiani ben noti
e individuati, in gran parte contenuti in una lista compilata dallallora
vicequestore Agostino Fortunati,
ne siano stati introdotti altri, in tutto o in parte anomali, scelti
per motivi diversi, e difficilmente decifrabili, dalle SS.
Dopo che i primi gruppi sono stati fucilati tra il 14
e il 16, il 22 dicembre
un contingente di partigiani e fiancheggiatori incarcerati a San
Giovanni in Monte viene deportato a Mauthausen. Per questo motivo
quando, allalba del 23, un nuovo gruppo di prigionieri
viene fatto uscire dal carcere, molti, anche tra i familiari, credono
che la loro destinazione sia la Germania.
Ma anche il sistema dei campi, in quello scorcio
di guerra, sta per cedere, ed è probabile che cambi lo schema
prevalentemente usato, secondo il quale gli appartenenti alla Resistenza
politica e i fiancheggiatori venivano spediti nei lager, mentre
i partigiani combattenti accertati venivano uccisi subito. Sta di
fatto che del gruppo uscito dal carcere lantivigilia di Natale
si perdono le tracce: lapplicazione del decreto Notte
e nebbia, in questo caso, è perfetta.
Da questo momento in poi cessa ogni forma di pubblicità
alleliminazione di partigiani o di civili sospetti. La guerra
antipartigiana diviene sempre più una guerra di annientamento,
dove non cè spazio per la ricerca del consenso, neppure
attraverso la paura instillata con la repressione palese, con la
punizione esemplare. Si elimina fisicamente lavversario, quasi
in silenzio, nellattesa che il nemico fermo sullAppennino
riprenda per lultima volta loffensiva.
Intanto, per i parenti dei partigiani portati via dal carcere
fra il 22 e il 23 dicembre, comincia unattesa
lunga e piena di sofferenza.
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