Parecchi
poeti hanno manifestato i loro sentimenti scatenati dalla guerra con poesie
degne di nota.
Alcuni
hanno addirittura vissuto in prima persona la drammaticità dei due conflitti
mondiali, anche combattendo.
Giuseppe
Ungaretti in “Fratelli”
esprime la precarietà dell’uomo, che si fa
sentire soprattutto in una logorante guerra di trincea, che mette tutti i giorni
a dure prova i nervi del soldato e lo porta pian piano ad accettare come
inevitabile e naturale la fragilità della vita che la guerra rende presente in
ogni momento. Il senso della precarietà è strettamente collegato con il
bisogno di solidarietà ma il poeta prova ribellione all’autodistruzione della
guerra.
Invece “Soldati”, sempre
di Ungaretti,è una poesia molto breve ma altrettanto intensa: rende
perfettamente l’idea di come si sente il soldato-poeta; una foglia nel periodo
in cui tutte cadono…Non può accettare che la guerra si prenda così tante
vite, né che l’uomo possa vivere in situazioni così drammatiche.
Tuttavia
la poesia che veramente catapulta il lettore in prima linea in trincea, a vivere
quei momenti terribili è “Viatico”, di Clemente
Rebora. La Prima Guerra
Mondiale non è stata la più dannosa, ma senz’altro la più logorante. Rebora,
presente nelle trincee, è spettatore di una scena straziante: un ferito che si
lamenta per le mutilazioni subite, ma ancora sotto il fuoco nemico, spinge tre
compagni ad andare ad aiutarlo. Tutti e tre muoiono falciati dalle
mitragliatrici. I vivi, da parte loro, pregano perché finisca quel dolore
insopportabile alle loro orecchie, perché la sofferenza crea uno strettissimo
legame umano e sentire un moribondo che rantola senza poterlo aiutare, è un
dolore insopportabile. Nel verso: “Nella demenza che non sa impazzire”
è racchiuso il dolore che rende pazzo il ferito, purtroppo senza potergli
togliere la capacità di provare il dolore la coscienza della propria
condizione. La morte tarda ad arrivare, a liberare lo straziato, ma quando
arriva i superstiti lo ringraziano del regalo più grande: il silenzio.
La
fraternità nella sofferenza è presente in tutte e tre le poesie: condividere
alcuni momenti così drammatici con qualcuno aiuta a superarli; ma instaura un
legame tanto stretto quanto fragile. Un colpo e ci si trova soli, a lottare per
la sopravvivenza e contro quelle sensazioni che fanno crollare tutte le
certezze: il degrado fisico, ma soprattutto quello mentale, unica causa di
errori che inducono a passi falsi, alla morte. Non si possono immaginare la
guerra e il suo dramma, senza essere stati in prima persona a combatterla, ci si
può fare un’idea leggendo le documentazioni e le poesie, che a distanza di
novant’anni sono più fredde che mai, testimoni di un dramma passato ma
tuttora presente, riflessioni sulla facilità che ha l’uomo nell’autodistruggersi.
(Alessandro Vanzetti, 5s1)