Musica Insieme 2018/2019
Beatrice Rana - pianoforte
Programma
Fryderyk Chopin
Dodici Studi op. 25
Maurice Ravel
Miroirs
Igor Stravinskij
L’oiseau de feu (trascrizione per pianoforte di Guido Agosti)
Sorprendente talento italiano in continua ascesa sulla scena internazionale, Beatrice Rana si è imposta grazie ad una impressionante serie di prestigiosi riconoscimenti, dal “Gramophone Award” per la sua incisione delle Variazioni Goldberg, al “New Generation Artist” della BBC, dal “Borletti-Buitoni Trust” al Premio “Abbiati” della critica, dal Premio del Pubblico al Concorso “Van Cliburn” alla vittoria del Concorso internazionale di Montreal. Nel suo recital per Musica Insieme, Beatrice Rana si misura con un repertorio di ampio respiro e di particolare difficoltà esecutiva, a partire da una pietra miliare della letteratura pianistica: i Dodici Studi op. 25 di Fryderyk Chopin. Ultimati nel 1837, ciascuno di essi esplora un peculiare aspetto della tecnica dello strumento, senza mai perdersi nel puro virtuosismo a discapito di quella cantabilità che fa di Chopin, ancora oggi, uno dei compositori più amati dal pubblico. Sognante ed elegante è la suite Miroirs di Maurice Ravel, frutto della sua militanza nel goliardico gruppo degli Apache: musicisti, pittori e scrittori che solevano incontrarsi settimanalmente per sottoporre ai compagni il frutto del proprio lavoro. I cinque movimenti della suite segnano un punto di non ritorno nello stile del compositore, ormai votato verso quelle nuove e audaci armonie che affascinarono i suoi contemporanei. Le pennellate sonore che raffigurano animali, cieli notturni e campane lontane fanno da preludio a L’oiseau de feu di Igor Stravinskij, una delle pagine più dirompenti del primo Novecento. La raffinata trascrizione pianistica di Guido Agosti, non distratta dai colori dell’orchestra, rivela con efficacia la distanza linguistica tra il mondo dell’umano, ancora ottocentesco, e la sfera del magico e del sovrannaturale, dipinta con modernissimi cromatismi.
A cura di Fondazione Musica Insieme
Musica Insieme 2018/2019
Scharoun Ensemble
Programma
Johannes Brahms
Variazioni sopra un tema di Robert Schumann op. 9 (trascrizione per ottetto di Detlev Glanert)
Hans Werner Henze
Quattro Fantasie per ottetto
Ludwig van Beethoven
Settimino in mi bemolle maggiore op. 20 per fiati e archi
Il programma proposto dallo Scharoun Ensemble, oggi ai vertici del panorama cameristico tedesco, riflette la filosofia perseguita dai suoi membri in questi trentacinque anni di attività: valorizzazione del grande repertorio e attenzione alla contemporaneità. Hanno scelto infatti di chiamarsi come Hans Scharoun, l’architetto che ha progettato la Philharmonie di Berlino, la loro ‘casa’, dove l’innovazione si sposa con l’amore per il passato. Proprio per questo troviamo le Quattro Fantasie per ottetto di archi e fiati di Hans Werner Henze – con cui l’ensemble ha ampiamente collaborato e delle cui opere ha realizzato apprezzate incisioni – incorniciate da Brahms e Beethoven. Scritte nel 1963, quando il compositore tedesco, in forte dissidio con la situazione socio-politica del suo paese, si era già trasferito in Italia, le Fantasie guardano al passato della tradizione barocca, ma sempre rielaborato con un linguaggio personalissimo che non rinuncia mai al lirismo, una delle sue inconfondibili cifre stilistiche. Ad introdurre il programma, tutto dedicato alla Germania, sono le Variazioni sopra un tema di Robert Schumann op. 9 di Johannes Brahms, ispirate a una melodia dei Bunte Blätter, nella trascrizione per ottetto di Detlev Glanert. Dedicate a Clara Schumann, che già aveva composto sette melodie su questo stesso tema, le Variazioni giocano con le citazioni più o meno celate delle note di Schumann e della moglie: Brahms ne trasse un contrappunto di voci e di anime che piacque anche al suo mentore, già ospite del manicomio di Endenich dopo il tentato suicidio. Il finale del concerto permetterà di ascoltare una delle opere cameristiche di più rara esecuzione di Ludwig van Beethoven, il Settiminio op. 20 per fiati e archi. Scritto dal compositore non ancora trentenne, ebbe un immediato successo e riecheggiò in tante partiture dell’Ottocento europeo, a partite dalla Norma di Bellini.
A cura di Fondazione Musica Insieme
Musica Insieme 2018/2019
Krystian Zimerman - pianoforte
Polacco di nascita, come il grande compositore di cui diventerà uno dei maggiori portabandiera, fin da bambino Krystian Zimerman ha uno spontaneo e naturale contatto con la musica. Pur non amando i concorsi, segue la strada di tutti i concertisti, partecipando e vincendo molte competizioni di prestigio, tra cui il Concorso Internazionale “Ludwig van Beethoven” a Hradec Králové. È però la vittoria del Grand Prix al Concorso “Chopin” del 1975 ad aprirgli le porte di una brillante carriera internazionale. Da quel momento sono passati oltre quarant’anni: anni nei quali il genio polacco è riuscito a imporre internazionalmente la sua musica, anche grazie ad una attenzione estrema al repertorio, frutto di scelte accurate e mai lasciate al caso, come quella di eseguire le musiche nel luogo d’origine in cui sono state composte, o di interpretare i concerti di compositori come Leonard Bernstein o Witold Lutosławski sotto la direzione degli stessi autori. Zimerman ha incontrato maestri come Rubinstein, Benedetti Michelangeli, Arrau, Richter, e compagni di strada come Kremer, Menuhin, Abbado, Boulez, Rattle, con tutti loro intrattenendo uno scambio preziosissimo e arricchente. Pianista raffinato, capace di creare un incantesimo con il pubblico che lo ascolta, la sua attività artistica è segnata prima di tutto da regolari incontri con un pubblico appassionato, che aspetta con ansia ogni suo concerto, e che vede in lui l’espressione del pianismo moderno. Un pubblico che ben conosce la sua personalità eccentrica, la sua abitudine di seguire passo dopo passo la preparazione del pianoforte per un concerto come la regia del suono di un’incisione discografica (e con Deutsche Grammophon ne ha licenziate ventidue…), le sue passioni per il computer come per l’organo, la psicologia, l’acustica. Le sue selezionatissime tournée fanno dunque di questa data per Musica Insieme un’occasione ancor più eccezionale per ascoltare quel che di nuovo avrà da raccontare con la sua arte.
A cura di Fondazione Musica Insieme
Musica Insieme 2018/2019
Anna Caterina Antonacci - soprano
Donald Sulzen - pianoforte
Programma
Ottorino Respighi
Deità silvane
Nadia Boulanger
Versailles
Cantique
Elle à vendu mon cœur
Vous m’avez dit
C’était en juin
Reynaldo Hahn
Venezia – Sei canzoni in dialetto veneziano
Francis Poulenc
La Voix Humaine
Interprete di acutissima e profonda sensibilità, Anna Caterina Antonacci negli anni ha coerentemente perseguito una sua meta: quella di dare letteralmente voce a personaggi dell’opera e a pagine della musica vocale da camera troppo spesso esclusi dalla programmazione, o assenti dal repertorio cosiddetto ‘tradizionale’. Ricondurre tanto impegno ad un mero eclettismo è non solo riduttivo, ma anche fuorviante. Non si affrontano repertori impervi, quale, ad esempio, quello barocco, ed in particolare Monteverdi, se non per vera passione e per un profondo interesse. Non basta il voler aggiungere un titolo sul curriculum. Così pure per quel che riguarda la vocalità cameristica, che anche in Italia, come dimostrano le belle pagine di Respighi con cui la Antonacci aprirà il suo recital in duo con Donald Sulzen, ha goduto, e gode tuttora, di buona fortuna. Fortuna che in Inghilterra non è mai tramontata, e di cui Britten si è fatto, fra i tanti, portavoce. Hahn, amico e tra i compositori preferiti da Proust, ci porta infine nella Parigi che guarda a Venezia (indimenticabili proprio le pagine proustiane sulla città lagunare) quasi fosse il centro di tutte le nostalgie, e nella quale Poulenc compone uno dei suoi più emozionanti capolavori, La Voix Humaine, complice il toccante testo di Jean Cocteau.
A cura di Fondazione Musica Insieme
Musica Insieme 2018/2019
Kremerata Baltica
Freddie Jemison – voce bianca
Michail Lifits – pianoforte
Gidon Kremer – violino e maestro concertatore
Mario Brunello – violoncello e direttore
Programma
Gustav Mahle
Quartettsatz in la minore per pianoforte e archi
Sinfonia n. 10 in fa diesis maggiore: Adagio (trascrizione per archi di Hans Stadlmair)
Sinfonia n. 4 in sol maggiore – Das himmlische Leben (trascrizione per soprano e archi di Klaus Simon)
L’idea di trascrivere per ensemble più o meno grandi (o più o meno piccoli) grandi sinfonie non è certo caratteristica del Novecento. Anzi, trascrivere e rielaborare è arte fondativa della storia della musica occidentale: passare da una compagine all’altra, magari dalle voci agli strumenti, è una prassi a tal punto consolidata che proprio nel Novecento e fino ad oggi si svilupperà ben oltre la semplice trasposizione. Ne sono ampia testimonianza le elaborazioni realizzate da Arnold Schoenberg a partire dagli anni Dieci di quel secolo, alcune delle quali proprio su Mahler (ma c’è anche Funiculì Funiculà), e che sono state ampiamente riproposte negli anni passati. Mahler, dunque: probabilmente è tra gli oggetti più ambiti dei desideri di trascrittori e rielaboratori. Tant’è che negli ultimi anni le sue sinfonie sono state più volte presentate in versioni cameristiche. Grazie a Gidon Kremer, alla sua Kremerata Baltica, l’ensemble da lui stesso fondato e col quale gira il mondo da decenni, e a Mario Brunello, una collaborazione la loro davvero di grandi talenti, eccoci ad una serata tutta Mahler, e un Mahler da camera appunto. Un’operazione suggestiva, che non mancherà di illuminare da una prospettiva diversa le pagine del grande compositore boemo.
A cura di Fondazione Musica Insieme
mostra
INAUGURAZIONE: Giovedì 27 Settembre 2018 alle ore 18.30 presso il Chiostro dell'ex Convento di Santa Cristina, via del Piombo 5.
In occasione del cinquantesimo anniversario del SESSANTOTTO, l’Associazione Orlando è lieta di presentare una mostra tematica e cronologica, un percorso che attraverso materiali di archivio (documenti, riviste, fotografie e video) sarà espressione di una contaminazione di linguaggi differenti che daranno vita ai corpi, le parole e gli spazi delle donne che hanno caratterizzato l'Italia e la città di Bologna dagli anni sessanta fino a oggi.
Grazie alla grande quantità di materiali provenienti dall'Archivio di Storia delle Donne e dalla Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna - in collaborazione con altri archivi storici e personali nazionali
e internazionali - la mostra sarà suddivisa in quattro ambiti tematici:
- il sé e le piazze: dalle pratiche dell'autocoscienza alle grandi manifestazioni per l’autodeterminazione delle donne;
- Lotto marzo 1977/2017: dalle manifestazioni locali agli scioperi globali;
- i luoghi delle donne: trasmettere saperi, pratiche e reti nel tempo;
- costumi e consumi: rappresentazioni, corpi, gesti che cambiano.
La mostra è aperta dal LUNEDI' al SABATO dalle ore 10 alle 18.
L'ingresso è gratuito.
#AlzaIlTriangoloAlCielo
#mostra #women #feminist
INFO:
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Pochi sanno che le prime ricerche archeologiche sistematiche a Marzabotto furono condotte da Giovanni Gozzadini. Forse influenzato dalle straordinarie scoperte fatte a Villanova di Castenaso, lo studioso ritenne erroneamente che anche Marzabotto fosse il sito di una enorme necropoli. Il prosieguo degli scavi ha rivelato che Pian di Misano ospitò invece, tra VI e IV sec. a.C., una fiorente città etrusca favorevolmente ubicata sul medio corso del Reno, fondamentale asse di collegamento tra l’Etruria tirrenica e la valle del Po. Marzabotto costituisce oggi l’esempio più completo di pianificazione urbana in ambito etrusco: una città antica perfettamente leggibile nella sua articolazione topografica e funzionale. Alcune iscrizioni rinvenute nel corso degli scavi ne tramandano il nome: Kàinua, che in lingua etrusca significava “la nuova”. Il museo è dunque focalizzato sulla città, che illustra attraverso i corredi funerari delle necropoli, le membrature architettoniche e le offerte votive delle aree sacre, i manufatti della vita quotidiana, gli strumenti della produzione artigianale. L’ultima sala è dedicata al comprensorio della valle del Reno, che per la sua importanza strategica fu densamente popolata sin dall’età preistorica. Sono esposti in particolare alcuni contesti tardo- villanoviani da Casalecchio di Reno e un paio di sepolture di V sec. a.C. da Sasso Marconi, quest’ultime sorprendentemente affini a quelle coeve di Marzabotto etrusca.
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E’ ancora la figura dell’erudito ottocentesco Giovanni Gozzadini a fare da riferimento per la sezione villanoviana;
L’erudito ottocentesco Giovanni Gozzadini scoprì nel 1853, in località caselle di San Lazzaro, una grande necropoli. Il percorso del museo si dipana tra corredi tombali di grande bellezza e qualità ed espone i materiali che provengono anche da scavi recenti come quelli del 1988 e del 1990. Di grande importanza il frammento della cosiddetta Stele del Guerriero. Emozionante sarà vedere la ricostruzione di una capanna villanoviana a pianta ovale, dove si conservano varie suppellettili di uso domestico.
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E’ la necropoli di Pontesanto che ha restituito per l’area imolese, una serie di reperti di alta qualità e bellezza della civiltà villanoviana, soprattutto con due ricche tombe delle quali sono in esposizione due calchi che rendono con grande realtà cosa vedono gli archeologi nel momento in cui realizzano una scoperta: un attimo del lavoro di un archeologo emozionante e breve. Subito dopo la scoperta i materiali vengono delicatamente asportati per entrare nel laboratorio di restauro. Vedremo così la splendida fibula del cavaliere, dove ancora permangono tracce di pasta colorata e altri elementi del ricco corredo funebre delle due tombe.
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Confluiscono alla Rocca di Bazzano i reperti delle Valli Samoggia, Lavino e Reno. Il museo nato nel 1873, grazie alla Società per Scavi Archeologici composta da illustri cittadini bazzanesi, diretta dall’archeologo Arsenio Crespellani, è insediato in cinque sale della rocca bentivolesca. Un luogo anch’esso di grande fascino dapprima fortilizio, poi delizia dei Bentivoglio, infine carcere, caserma epoi museo. Qui vedremo i preziosi materiali dei corredi funerari della Fornace Minelli, della tomba a dolio di Zola Predosa e la ricostruzione di una tomba aristocratica e della stele che la sormontava.
Il museo si trova presso la Rocca dei Bentivoglio
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Siamo a metà Ottocento quando il conte Giovanni Gozzadini scopre i primi resti di quella che poi sarà chiamata civiltà villanoviana. Ad affiorare per primi sono i resti della necropoli di Marano di Castenaso che rivelano profonde originalità rispetto alla civiltà etrusca. Il congresso preistorico internazionale di Bologna nel 1871, ne fu subito colpito: sepolture particolari, corredi funerari ricchi di asce, coltelli, spilloni in vetro e ambra, fibule e poi braccialetti, anelli… Fu l’inizio di un lungo percorso di riappropriazione di una civiltà fino a quel momento sconosciuta. Per i visitatori della Card sarà l’occasione di scoprire i corredi e le stele del sepolcreto di Marano, la ricostruzione della capanna villanoviana ma anche la nuova mostra temporanea “Oggetti dal quotidiano: un giorno all’interno di un villaggio villanoviano”, inaugurata il 13 ottobre.
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Un ciclo di visite guidate dedicato alla scoperta della civiltà villanoviana attraverso i musei del territorio.
Le visite sono gratuite e riservate agli abbonati Card Musei Metropolitani. I posti sono limitati, la prenotazione è obbligatoria. Per prenotarsi occorre selezionare i singoli eventi elencati sotto.
Tra il VI e il V secolo a.C. nasce la grande città di Felsina, fulcro della presenza etrusca in area padana. Attorno alla città più importante nascono e prosperano altri insediamenti e gli scavi del recente passato, uniti agli attuali, hanno rivelato realtà dove ferveva una vita che ci ha lasciato tracce ancor oggi visibili di una cultura materiale omogena per oggetti e riti. Siamo nella prima età del ferro e della civiltà villanoviana, confusa dapprima con quella etrusca, grazie al crescere degli studi, si precisò valore e caratteristiche specifiche.
Abbiamo scelto cinque musei, cinque realtà di periferia che sapranno raccontarci vita, costumi, usanze di un momento lontano nella storia ma che fa parte delle nostre radici più profonde.
Tre assemblee intorno ad OiL - Ora il Lavoro!
Un’iniziativa di Ateliersi in collaborazione con Làbas e Associazione Orfeonica
5/22 settembre + 10 ottobre 2018
Làbas + Atelier Sì, Bologna
Ingresso gratuito
(Raging Bull, USA/1980) di Martin Scorsese (129')
Quando un pugile si allena allo specchio, tirando e schivando con la sua immagine riflessa, si dice che sta ‘boxando con l'ombra'. L'espressione è così bella che ci porta inevitabilmente a vedervi impresse allusioni metaforiche: anche se sul ring ci si scazzotta in due, il pugile è sempre solo con se stesso, lui e il proprio lato oscuro. La figura epica e turbolenta di Jake LaMotta porta, sul proprio corpo martoriato, decenni di cinema sulla boxe, distillando alla perfezione la vena ostinata e disperata dei suoi protagonisti. "Il tema del film è la sopravvivenza", dice Scorsese. LaMotta, nel corso di una vita inimitabile, lotta all'ultimo sangue per sopravvivere a se stesso, tentando vanamente di non precipitare nella spirale delle proprie nevrosi e dei propri fallimenti. "Combattimenti regolari non ne esistono", aggiunge Scorsese, riferendosi forse più alla vita che allo sport, e mettendoci davanti alla fatica immane che ognuno deve affrontare sul proprio ring privato. Anche per questo Toro scatenato, con tutto il carico di brutalità che lo accompagna, è un film spirituale. Oltre a essere una malinconica lezione sul tempo e sulla vocazione distruttiva dello spettacolo. Tra cent'anni, sarà ancora uno dei film più grandi di sempre. (am)
(USA/2013) di Martin Scorsese (180')
Basato su una storia vera, segue l'impressionante ascesa e la caduta di Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio), il broker di New York che conquista un'incredibile fortuna truffando milioni di investitori. Un giovane ‘nuovo arrivato' nel tempio del capitalismo mondiale che si trasforma via via in un corrotto manipolatore dei mercati e in un cowboy della Borsa. Capitali che investe in un'infinita gamma di afrodisiaci: donne, cocaina, automobili, la moglie supermodella e una vita leggendaria fatta di aspirazioni e acquisti senza limiti. Ma la SEC e l'FBI tengono d'occhio il suo impero contrassegnato dagli eccessi... Scorsese crea un racconto oltraggioso, una dark comedy contemporanea sull'alta finanza, un mondo dove domina l'estorsione perfetta. Il risultato è un viaggio epico nell'esaltazione provocata da avidità, adrenalina, sesso, droghe e dal vortice costante del denaro guadagnato troppo facilmente.
segue
IT'S NOT JUST YOU, MURRAY!
(USA/1964) di Martin Scorsese (15')
Il cortometraggio è l'opera seconda di Scorsese. Un gangster di mezza tacca invecchia malriponendo fiducia in un presunto amico. Cenni e temi dell'autore a venire: l'ambiente criminale, il legame fraterno (qui in chiave Caino) tra uomini, e la mamma: Catherine Scorsese tra gli interpreti.
(USA/2014) di Martin Scorsese e David Tedeschi (97')
Diretto da Martin Scorsese e dal suo fedele collaboratore David Tedeschi, cavalca le onde della storia letteraria, politica e culturale proprio come ha fatto la celebre rivista. Provocatorio, eccentrico e incendiario, il film intreccia rari materiali d'archivio, interviste ai collaboratori, estratti da opere di autori emblematici quali James Baldwin, Gore Vidal e Joan Didion e filmati vérité originali girati nella redazione della "Review", nel West Village. Queste scene riflettono l'instancabile attività di una rivista che, trascorsi i suoi primi cinquant'anni, si sente ancora piena di energia come il suo fondatore, Robert Silvers. Il film riesce a cogliere la forza con cui le idee determinano la storia. "Le riviste non cambiano il mondo" dice il saggista Avishai Margalit, "ma influenzano il clima intellettuale come il cavallo degli scacchi, una mossa in avanti e poi di lato, senza seguire una linea retta".
segue
THE BIG SHAVE
(USA/1968) di Martin Scorsese (9')
Sulle note della rassicurante I Can't Get Started di Bunny Berigan, l'ancora più confortante rituale mattutino dell'americano medio finisce in splatter. Mai smentita da Scorsese la metafora della mutilazione autoinflitta dell'America in Vietnam. (cc)
(Italia-Francia-USA/1971) di Luchino Visconti (130')
La nascita della tragedia dallo spirito della musica. O forse soltanto un'estate a Venezia, dove il caldo predispone al delirio e un gentiluomo viene rapito dalla bellezza d'un biondo virgulto polacco. Visconti prese tra le mani la novella di Thomas Mann, autore non poco restio alla resa in immagini, e la rimodellò virando tutto al proustiano, ovvero cercando ispirazione in un autore ancor più ostile. Il risultato è una nobile sfida, una lunga aristocratica confessione. Von Aschenbach non è più uno scrittore ma un musicista, ispirato a Mahler. Dunque fiumi di musica e rivoli neri su guance morenti. Il restauro esalta la delicata, languida, crudele ricostruzione d'un inizio secolo e della fine d'un mondo. (pcris) Restaurato da Cineteca di Bologna e Istituto Luce - Cinecittà in collaborazione con Warner Bros. e The Criterion Collection.
(Italia/2018) di Matteo Garrone (100')
"Come Reality non era un film sulla tv, ma l'apologo di un santo all'incontrario perseguitato da una Chiamata, anche Dogman è, a suo modo, un film religioso. Garrone va oltre ogni rappresentazione sociologica e supera per così dire il realismo estremizzandolo; utilizza il luogo con quella sensibilità di pittore già all'opera in Gomorra, come uno scenario da fantascienza post-apocalittica. [...] La regia inchioda in maniera quasi soffocante, aderendo perfettamente al racconto, senza una sola scelta banale e senza esibizionismi. Con il suo sorriso mite e quasi ebete, e con un romanesco parlato con accento calabrese, l'uomo dei cani Marcello Fonte è indimenticabile, è il film stesso". (Emiliano Morreale)
(Poesía sin fin, Cile-Francia/2016) di Alejandro Jodorowsky (128')
C'è tutta l'infinita poesia del cinema di Jodorowsky in questo debordante ‘romanzo' autobiografico, che prosegue il racconto avviato con La danza della realtà, dedicato all'infanzia dell'autore. Dalla giovanile passione per il violino alla decisione d'essere poeta, dal rifiuto della famiglia alla vita bohémienne, dall'incontro con la musa-strega Stella Díaz ai compagni di strada-artisti Enrique Lihn e Nicanor Parra. Surreale, teatrale, barocco, espressionista, travolge lo spettatore con la sua sfrenata libertà visiva che fonde delicato lirismo, ironia irriverente e l'aura trasognata del ricordo. L'autobiografismo si moltiplica: nei panni di Alejandro e di suo padre, Adan e Brontis Jodorowsky, figli del regista, che ritaglia per sé nel finale la parte di deus ex machina. (aa)
(Francia/2017) di Laurent Cantet (114')
Olivia Dejazet, giallista di successo, tiene un laboratorio di scrittura a La Ciotat, città di cantieri navali impoverita dalla crisi economica. Tra i suoi giovani allievi spicca Antoine, ragazzo introverso e di talento, spesso in rotta col resto del gruppo per le sue posizioni razziste e aggressive. Olivia sembra esserne spaventata e attratta al tempo stesso, finché la situazione sfuggirà drammaticamente di mano a entrambi. A dieci anni dalla Palma d'Oro per La classe, Laurent Cantet torna a raccontare i conflitti politici e generazionali con un thriller teso e originale, scritto con Robin Campillo (120 battiti al minuto).