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'Portici come soglie'

Una nuova e fertile chiave di lettura offerta dalla professoressa Stefania Bonfiglioli


Stefania Bonfiglioli è geografa culturale, professoressa presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna. Al centro dei suoi interessi vi sono le teorie ed epistemologie geografiche, le geografie culturali, gli studi femministi e di genere e la relazione tra geografia ed etica. In passato la sua attenzione si è incentrata, fra le altre cose, su Egnazio Danti, singolare figura di intellettuale geografo al lavoro a Bologna nell’ultimo quarto del Cinquecento. Ora però è autrice di un brillante studio sui Portici di Bologna, Heritage as threshold: an autoethnographic exploration of the porticoes of Bologna (Italy)  ospitato su una prestigiosa rivista scientifica internazionale, “Cultural Geographies”, motivo per cui l’abbiamo intervistata, curiosi di saperne di più.

Professoressa, come mai questo suo interesse per i Portici di Bologna?

SB. Il mio interesse per i portici è nato nel 2019, quando il progetto della candidatura a patrimonio UNESCO si stava consolidando. Avevo una chiara ipotesi, fondata sulla mia idea spaziale dei portici: che non sarebbe stata una candidatura semplice. Nel 2019, in occasione di un evento accademico su Bologna aperto alla cittadinanza, avevo già scelto i portici per raccontare la città in un mio intervento e, approfondendo la letteratura in merito, ero stata conquistata dalla vivacità di storia e storie che essa racchiudeva. Poi, a fine 2020 e soprattutto nel 2021, decisi di verificare e approfondire le mie ipotesi sulla complessità dello spazio dei portici e della loro candidatura facendo anche ricerca sul campo. Sono una bolognese che, prima di questa ricerca, non aveva vissuto troppo sotto i portici, li aveva attraversati tante volte senza viverli a lungo. Da bolognese, però, sapevo che la complessità e ricchezza dei portici non poteva che essere ricercata nella vivacità dell’esperienza quotidiana, o meglio nell’intreccio tra la loro storia e il fluire della vita sotto di essi. Di qui l’articolo che ho scritto, preceduto, nel 2022, da una relazione a un convegno internazionale.

Da che punto di vista li ha studiati? E con quale metodologia?

SB. Si scelgono punti di vista e metodologia sulla base delle domande e degli obiettivi che ci si pone. Comprendere la natura spaziale dei portici è stato il mio primo obiettivo. Come ho detto, avevo già un’ipotesi in merito: che i portici fossero soglie e che proprio questo rendesse la loro candidatura a patrimonio UNESCO piuttosto difficile. Dovevo però verificare questa ipotesi, dunque scegliere la metodologia di ricerca e i punti di vista.

Il punto di vista di partenza, su cui ho poi costruito le mie ricerche, è stato quello dell’esperienza, fondato sull’idea che i significati di ogni spazio siano costruiti e ricostruiti dalle esperienze di chi li vive, li abita, li percorre. Di qui la mia decisione di verificare le mie ipotesi sul campo, cioè camminando per tante ore sotto i portici, partecipando alla vita sotto di essi, prendendo appunti e scattando foto. Un altro punto di vista fondamentale riguarda l’idea di patrimonio – o meglio l’idea della sua costruzione – in quanto narrazione, progressiva produzione di significati in relazione a determinati spazi.

Quanto ai metodi, il metodo principale è stato quello dell’autoetnografia. Si tratta di un metodo innovativo, uno dei più recenti nella ricerca internazionale nell’ambito delle scienze umane e sociali. Semplificando, l’autoetnografia è un metodo che non prescinde dall’autobiografia come risultato di una concreta esplorazione di un contesto. Nel mio studio, insomma, ho sviluppato una narrazione in prima persona della mia esperienza dei portici. Da un punto di vista teorico, ho rafforzato questa narrazione attraverso il dialogo con i dibattiti internazionali sul patrimonio – oltre che sulle soglie e le esperienze di soglia – e l’ho inoltre messa a confronto con altre narrazioni dei portici, da quelle ufficiali sul sito UNESCO a quelle letterarie e artistiche, del presente e del passato.

Ci è parso illuminante e denso di implicazioni il concetto che Lei ha introdotto, ovvero i portici come soglie, ce ne può parlare?

SB. Da geografa ritenevo di dover anzitutto trovare il concetto spaziale più adeguato a spiegare che cosa sono i portici e l’ho trovato nell’idea di soglia. Ve ne parlerò a partire da osservazioni molto concrete. Sotto i portici, anche in virtù della loro genesi storica, ciò che si incontra più frequentemente sono porte, entrate di case. E infatti il termine portico (porticus) deriva dal latino porta, che appunto significa porta, entrata. Da quelle porte si ha accesso direttamente ad abitazioni private o ad androni o al vano delle scale di queste abitazioni. L’aspetto più straordinario dei portici è che il loro pavimento è esattamente il medesimo di quello delle case al di là delle porte. Questo significa che chi cammina sotto i portici condivide e calpesta il medesimo pavimento di coloro che vivono al di là di quelle porte. Questa continuità fra il dentro e il fuori, fra la casa e la strada, è dovuta al fatto che i portici sono un’estensione sulla strada delle entrate delle case, del pavimento dell’entrata delle case. E il pavimento della porta d’ingresso, la parte inferiore del vano di una porta, è esattamente ciò che chiamiamo soglia. Perciò, nella mia interpretazione, l’intero spazio dei portici bolognesi, in quanto estensione dell’entrata delle case e del loro pavimento, costituisce una soglia.

In virtù della continuità fra casa e strada, fra dentro e fuori, fra spazio privato e spazio pubblico, creata dai portici, chi cammina sotto di essi non è né interamente in strada né interamente in casa, poiché è al contempo fuori e dentro, in strada e in casa. E una soglia è proprio questo: una zona indefinita fra dentro e fuori, dove gli opposti – come pubblico e privato, strada e casa – sono tenuti insieme. La soglia, in altri termini, è il concetto che spiega nel modo più efficace la complessa geografia dei portici, poiché costituisce l’interpretazione spaziale della loro ben nota funzione di connessione e mediazione fra pubblico e privato.

Ad un certo punto lei scrive che i portici sono un bene ‘altro’ rispetto ai consueti patrimoni UNESCO, in che senso?

SB. Ho scritto che l’alterità dei portici come patrimonio UNESCO sta nel loro essere “patrimonio come soglia”. Questa alterità spiega le difficoltà incontrate nel processo di candidatura ma anche il carattere originale e innovativo dei portici come patrimonio. È proprio in virtù di questa alterità che ho considerato i portici un caso da sottoporre all’attenzione dei dibattiti internazionali sul patrimonio. Ma bisogna andare con ordine e ritornare alla spazialità delle soglie. Le soglie non sono limiti o confini, come generalmente si crede; al contrario, le soglie mettono in crisi le ragioni dei confini. Dove i confini distinguono e separano nettamente, come le linee tracciate sulle mappe, le soglie, invece, sono zone di transizione e interscambio che tengono insieme anche gli opposti. Ma se i portici sono soglie e dunque mettono in crisi le ragioni dei confini, allora i portici come patrimonio mettono in discussione quell’idea di heritage che più caratterizza i discorsi ufficiali sul patrimonio. Secondo la letteratura internazionale sull’heritage, i discorsi ufficiali come quello dell’UNESCO intendono il patrimonio, nella sua componente materiale, come un sito con confini identificabili e tracciabili su una mappa. Ma i portici, se sono soglie, sono fatti per mettere in crisi i confini, e non solo fra strada e casa, fra pubblico e privato. Basta domandarsi dove inizia e finisce un portico, come mi sono chiesta io durante la mia ricerca sul campo.

Professoressa, dove inizia e dove finisce un portico?

SB. Dove ogni percorso pedonale lo fa iniziare e finire. Tanti percorsi sotto i portici, compresi i miei, non seguono traiettorie lineari, poiché le persone entrano ed escono dai portici dove vogliono, fra le loro colonne. Questo conferma che i portici non hanno confini statici; al contrario, i loro confini, così come le loro relazioni con strade, case e con l’intera città, sono continuamente costruiti, decostruiti e ricostruiti dalle pratiche quotidiane di chi li abita e attraversa. Sotto i portici, poi, le persone non solo camminano, ma anche si fermano, conversano, guardano le vetrine, si siedono al tavolo di un bar o di un ristorante, leggono, dipingono, a volte danzano ecc. Ne deriva che anche i significati dei portici sono incessantemente costruiti e ricostruiti dalla miriade di pratiche quotidiane in cui si articola la vita che fluisce sotto di essi. Questa miriade di pratiche porta, di conseguenza, a oltrepassare i confini di qualsiasi univoca ed esaustiva definizione dei portici.

Si evidenzia in modo chiaro che non esiste un’unica concezione di patrimonio, ma, a seconda della posizione culturale da cui è osservato, la letteratura scientifica distingue fra un patrimonio dal basso, che esprime pratiche ‘contro-egemoniche’, e uno invece dall’alto, dominato da logiche impositive. Che applicazioni si possono fare ai nostri portici di queste visioni contrastanti?

SB. La letteratura scientifica contemporanea distingue fra un “discorso autorizzato sul patrimonio”, in cui rientra anche quello dell’UNESCO, e un’idea di patrimonio “dal basso” i cui valori e significati, spesso alternativi a quelli ufficiali, sono costruiti da pratiche ed esperienze quotidiane. Nel caso dei portici bolognesi: tra fine 2020 e inizio 2021 ICOMOS, organo consultivo dell’UNESCO, rinviò la loro candidatura, ponendosi dubbi sulla natura di ciò che veniva candidato. Le mie ipotesi geografiche di partenza erano state confermate: la candidatura dei portici non poteva essere semplice se, nel discorso ufficiale sull’heritage, l’idea di patrimonio (nella sua componente materiale) rimaneva fondata su quella di sito con netti confini. Il punto di vista del discorso ufficiale è geograficamente dall’alto al basso, perché è il punto di vista delle mappe, su cui è possibile individuare aree omogenee tracciando chiare linee di confine. Ma per quanto riguarda i portici, ne erano stati candidati dodici tratti, in quanto rappresentativi dell’intero sistema, che sono dislocati in diverse parti della città, anche in periferia, e che perciò non costituiscono un’area omogenea facilmente delimitabile. E infatti, anche dopo l’iscrizione dei portici nella lista del patrimonio mondiale, l’UNESCO continua a raccomandare la revisione dei confini del bene. Questione davvero problematica se, come io li interpreto, i portici sono “patrimonio come soglia”, cioè patrimonio da concepire spazialmente come soglia. La questione è problematica nella misura in cui, di nuovo, i portici, in quanto soglie, mettono in discussione ogni narrazione del patrimonio che sia fondata sulle certezze dei confini.

Che conseguenze ha il concetto di soglia sulla definizione di ‘patrimonio’?

SB. Nel mio articolo propongo l’idea di “patrimonio come soglia”, che intendo e declino in diversi modi. Il primo modo è già emerso dalla precedente risposta: l’idea di “patrimonio come soglia” è un senso spaziale del patrimonio che, sfidando i confini, mette in discussione la concezione di patrimonio più diffusa nel discorso ufficiale in merito. Eppure, i portici sono stati iscritti nella lista del patrimonio mondiale UNESCO. Il che significa che il discorso sul patrimonio, anche attraverso il caso dei portici, può evolvere e sta evolvendo al di là di una rigida opposizione fra discorso autorizzato, da una parte, e interpretazioni alternative“dal basso”, dall’altra.

Arrivo così a un altro modo di intendere il “patrimonio come soglia”, sempre legato al fatto che le soglie, al contrario dei confini, tengono insieme e fanno interagire prospettive fra loro diverse. Ho esteso l’idea spaziale di “patrimonio come soglia” anche al processo culturale di costruzione del patrimonio stesso, quando questo processo è basato sull’intreccio di discorsi ufficiali ed esperienze quotidiane “dal basso”, sulla loro reciproca influenza e trasformazione. Nel testo della candidatura dei portici il racconto della funzione di connessione fra pubblico e privato non poteva mancare. E questa funzione riguarda anche l’esperienza quotidiana dei portici, oltre che la loro storia. Il che significa che, attraverso il testo della candidatura, una componente importante dell’esperienza quotidiana dei portici è entrata in qualche modo a far parte del discorso ufficiale su di essi. Ma questo è ancora più evidente nella narrazione odierna dei portici come patrimonio UNESCO: anche sui siti web “ufficiali” a essi dedicati, il discorso dei portici è costantemente arricchito, modificato, influenzato da sguardi artistici, esperienze autobiografiche “dal basso” e così via. La costruzione della narrazione sui portici come patrimonio rappresenta perciò un perfetto esempio di un processo di transizione e interscambio tra prospettive diverse, tra discorsi ufficiali ed esperienze quotidiane – un processo che io associo strettamente alla spazialità delle soglie.

Secondo Lei, quali prospettive di studio possono germinare da questa visione del portico come soglia?

SB. Posso dire quale contributo ho inteso dare allo studio dei portici interpretandoli come soglie. Anzitutto, ho voluto offrire un’interpretazione spaziale dei portici che tenesse insieme la loro storia con la vivacità del fluire della vita sotto di essi. Ho restituito l’esperienza quotidiana dei portici come esperienza di soglia attraverso l’esplorazione sul campo, dunque dal basso, e ho recuperato la loro storia sviluppando una teoria sulle soglie a partire dall’etimologia stessa del termine portico, cioè porta (v. supra).

Diversi studi, che rimangono imprescindibili, hanno spiegato, in prospettiva storico-architettonica, la genesi del portico bolognese a partire dall’ampliamento dei piani superiori delle case. Io non ho rivolto lo sguardo in su, dato che era stato già fatto con dovizia di documentazione; sono restata sotto i portici e ho rivolto lo sguardo in basso, soprattutto al loro pavimento. Questa mia visione dei portici come soglie può dunque integrare, da un altro punto di vista che è sia geografico sia etimologico, la già approfondita storia e funzione dei portici bolognesi.

Vale poi tutto quello che ho già detto sull’idea di “patrimonio come soglia”. Proponendo questa idea ho cercato di evidenziare e interpretare, fra le altre cose, il carattere “altro” dei portici come bene UNESCO e, al contempo, il loro “valore” in relazione alle sfide attuali che riguardano sia le idee di patrimonio sia la costruzione culturale dell’heritage. Proprio per questo ho voluto sottoporre all’attenzione internazionale, per lo meno in ambito accademico, il caso dei portici e della loro candidatura.

Un’altra suggestione che il suo articolo propone è quella individuata dal gioco delle architetture dei portici con la luce e di conseguenza con l’ombra…

SB. Il binomio di luce e ombra non poteva naturalmente mancare in un lavoro sui portici. Si tratta del binomio più affascinante, artistico, amato a proposito delle arcate bolognesi. Io ho ricompreso la narrazione di questo binomio nella mia idea dei portici come soglie. In quelle zone che sono le soglie, dove si vivono esperienze in bilico fra opposti, gli opposti possono essere tenuti insieme per simultaneità (come strada e casa, pubblico e privato) ma anche per fluttuazione, come luce e ombra. Camminare sotto i portici di Bologna significa stare continuamente sulla soglia fra luce e ombra, giocare con l’ombra del proprio corpo che appare, scompare, riappare nell’alternarsi di luce e oscurità creato dalle colonne, disegnare sempre nuovi ricami d’ombra sul pavimento e il muro interno dei portici. Questo gioco di luci e ombre, dove l’architettura interagisce in modo sempre diverso con i corpi che passano, così come con tutti gli oggetti che sono sotto i portici, è sempre dinamico, sempre foriero di nuovi significati per i portici stessi.

Al fascino della fluttuazione fra luce e ombra sono dedicate diverse narrazioni di Bologna – letterarie, visive, sincretiche, del presente e del passato – che metto a confronto nel mio articolo: dal chiaroscuro del Guercino alle Pictures from Italy di Dickens, da The Broker di Grisham ai cortometraggi di Renzi e dei Bertolucci, fino al video di Bonifacci e Accorsi che celebra l’iscrizione dei portici nella lista del patrimonio UNESCO. Questo confronto fra narrazioni è davvero la costruzione di un discorso sul patrimonio, fra i secoli, costantemente arricchito da nuovi sguardi e prospettive, sulla soglia fra luce e ombra.

La conclusione del Suo articolo apre davvero a tante considerazioni, infatti lei chiude dicendo: “La mia esplorazione autoetnografica dei portici mi ha fatto comprendere che Bologna è un luogo ideale per vivere esperienze liminari”.

SB. Il mio articolo si conclude con un’espressione, “esperienze liminari”, che è davvero fondamentale nel mio lavoro. Liminare significa “di soglia, relativo alla soglia”, poiché deriva da limen, il termine latino che sta appunto per soglia. Come già detto, prima di iniziare la mia esplorazione sul campo, già pensavo ai portici come soglie in quanto spazi complessi di compresenza di opposti. Camminare sotto i portici non solo ha confermato la mia ipotesi, ma l’ha anche rafforzata e ampliata almeno da due punti di vista: quello dello sguardo rivolto al pavimento e alle entrate delle case e quello delle esperienze “tra”, esperienze in bilico fra opposti che si intrecciano. Le esperienze liminari, di soglia, che i portici rendono possibili, sono esattamente esperienze in bilico fra opposti e, come tali, sono sempre dinamiche, non sono mai le stesse, possono essere percepite in modi molto diversi da chi le vive. Si prenda l’esperienza liminare fra luce e ombra: essa ha determinato, nei secoli, impressioni dell’atmosfera della città molto differenti tra loro, che traspaiono da tante narrazioni. Chi (la maggior parte) ha visto nell’ombra dei portici la protezione e l’accoglienza, propria dell’interno di una casa, chi invece ha visto in quelle ombre un’aura grave e austera. Nella mia esplorazione autoetnografica entrambe le impressioni si sono alternate, a segno del fatto che le esperienze liminari possono essere complesse a tal punto da risultare anche contraddittorie.

Ma la complessità è ricchezza e vivacità, una narrazione che va avanti. Nel rendere possibili esperienze liminari, che tutte e tutti possono vivere, i portici tengono vivo il discorso della città. Un patrimonio, del resto, non è mai solo discorso e tutela del passato, è sempre narrazione anche del presente e del futuro.

 

Per leggere l'articolo originale: https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/14744740241269141

 

 

portico fra luci e ombre
foto di Lorenzo Burlando per Bologna Welcome
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