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Concerti, spettacoli, cinema, mostre, teatro, laboratori per bambini, visite guidate: una panoramica completa degli eventi culturali organizzati a Bologna.
Aggiornato: 30 min 1 sec fa

Bianco Rosso e Verdone

Gio, 07/26/2018 - 16:40

(Italia/1981) di Carlo Verdone (110')

Sceneggiatura: Piero De Bernardi, Leo Benvenuti, Carlo Verdone. Fotografia: LucianoTovoli. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Carlo Simi. Musica: Ennio Moricone. Interpreti: Carlo Verdone (Furio/Pasquale/Mimmo), Elena Fabrizi (nonna Teresa), Irina Sanpiter (Magda), Mario Brega (er Principe), Angelo Infanti (corteggiatore di Magda), Milena Vukotic (prostituta), Elisabeth Weiner (la moglie di Pasquale). Produzione: Sergio Leone per Medusa Distribuzione.
Versione originale con sottotitoli inglesi
Copia proveniente da Cineteca Italiana Milano

Bianco, rosso e Verdone nasce chiaramente per bissare il successo di Un sacco bello. […] Leone mi disse: “Sto film c’ha un errore. ‘Sto marito rompicoglioni! Il pubblico s’incazza quando lo vede. Prenderebbe una sega e gli taglierebbe la testa! Fa venire solo un urto di nervi e basta!”. […] Oggi, a distanza, quel personaggio ancor più di Mimmo o di Leo è forte, per le sue manie e le sue ossessioni. Per la parte della nonna, presi Elena Fabrizi, sora Lella, la sorella di Aldo. Ebbi tutti contro, da Sergio Leone a Romano Cardarelli a quelli della Medusa, perché secondo loro era un tipo di romana che non aveva nessuna preparazione, che non avrebbe fatto ridere... insomma, era sbagliata. […] Io la scelsi perché la incontrai al bar vicino a dove abitavo e mi fece ridere. Quando la vidi, tutta un fagottone, co ‘sta pancia tipica di Campo de’ Fiori, una faccia da vecchia romana come non ce ne sono più, le dissi subito: “Signora Fabrizi, la chiamerò per il mio prossimo film”. Lei mi fissò e mi disse: “Ma non è che me stai a cojonà?”. Quando lo comunicai a Leone, andò su tutte le furie ma poi si dovette arrendere perché capì che era stata uno degli elementi vincenti del film. […] Se io fossi stato più furbo avrei fatto gli happy end come, senza aprire polemiche, fanno molti miei colleghi. Ma non credo che la mia visione della vita sia così. […] La vita è una fregatura. Dietro c’è sempre una crepa, un qualcosa che non funziona. E io in questo sono stato molto sincero: ho sempre raccontato le cose come le vedevo io. Fa parte di me questa visione, non dico cinica perché non sono un cinico, triste, un po’ disincantata, qualche volta un po’ malinconica. (Carlo Verdone)

La vera rivelazione del film è Pasquale: l’emigrante che da Monaco con la sua Alfa Sud arancione deve raggiungere la nativa Matera per fare il suo dovere di elettore. Pasquale non parla per tutta la pellicola, fino allo sfogo finale […]. Più discende la penisola e più riscopre l’Italia. […] Verdone già vede che in quei nascenti anni Ottanta in Italia qualcosa si è incrinato: il Paese inizia a perdere il suo candore, diventando sempre più cinico e arrogante. L’episodio di Mimmo e della nonna, invece, colpisce soprattutto per la sua delicatezza. La naturalezza della recitazione di Elena Fabrizi, solenne matrona romana, fiera, orgogliosa, dura ma infinitamente dolce, lascia una grande impronta in Bianco, rosso e Verdone. Mimmo, giovanotto romano ingenuo e fanciullesco è una sorta di Candido voltairiano. […] Furio il pazzo, il paranoico, il logorroico, il maniacale è un italiano che in parte esiste ancora oggi. È il ritratto di un impiegato statale, di un piccolo commerciante, di un imprenditore di provincia. Ha distrutto la moglie, distruggerà i figli. […] Bianco, rosso e Verdone è la storia di tre sconfitte, o meglio di tre cambiamenti. Furio dovrà ricostruire la famiglia senza la moglie; Mimmo è obbligato a crescere e a svezzarsi senza la presenza rassicurante della nonna-matrona; l’animalesco ma genuino Pasquale dovrà cambiare la visione del suo amato paese. (Antonio D’Olivo)

Fantozzi

Gio, 07/26/2018 - 16:38

(Italia/1975) di Luciano Salce (108')

Soggetto: dai romanzi Fantozzi e Il secondo tragico libro di Fantozzi di Paolo Villaggio. Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Paolo Villaggio, Luciano Salce. Fotografia: Erico Menczer. Montaggio: Amedeo Salfa. Scenografia: Nedo Azzi. Musica: Fabio Frizzi. Interpreti: Paolo Villaggio (rag. Ugo Fantozzi), Liù Bosisio (Pina), Plinio Fernando (Mariangela), Anna Mazzamauro (signorina Silvani), Giuseppe Anatrelli (geom. Calboni), Gigi Reder (rag. Enzo Filini), Paolo Paoloni (megadirettore galattico), Umberto D’Orsi (cav. Diego Catellani). Produzione: Rizzoli Film.
Versione originale con sottotitoli inglesi

Visto il successo del libro, il ‘commenda’ ha l’idea di fare un film […]. Il vecchio Rizzoli mi dice: “Uè, Villaggio, ma perché non lo fai tu?”. Ero anche intimorito, perché pensavo veramente ad un comico vero, patentato, come Tognazzi e poi Pozzetto. […] Scriviamo io, Benvenuti e De Bernardi, con Salce non sempre presente, ma lì a capire qual era il clima. […] Lui ha capito esattamente il cast, indovinando più o meno tutti i personaggi che poi sono diventati corrispondenti esattamente alle mie intenzioni: Filini, che era Schroeder. quasi cieco; la Mazzamauro, che era la Silvani, una che si sentiva una gran figa e invece era un cesso; Liù Bosisio, che era la moglie: un mostro; Calboni, che ha individuato in un attore napoletano straordinario. La bambina è stato un momento molto delicato. Abbiamo dovuto fare una specie di audizione nella quale non si poteva dire alle madri che volevamo una bambina un po’ bruttina. Portavano le bambine tutte infioccate... Morale, non abbiamo trovato una bambina all’altezza della mostruosità della figlia di Fantozzi. Allora Salce ha detto: “Ho una mezza idea... Un uomo”. Ha beccato questo, un certo Plinio Fernando, uno di trentanove anni, un nano, pied-noir, tunisino, non parlava bene l’italiano. Vestito da bambina era paradossale, era veramente inenarrabile, non c’era una bambina che potesse somigliare in parte a quel mostro. […] Fantozzi non era commedia, era un film un pochettino atipico, con una cattiveria, una ferocia nei riguardi dei disgraziati, che si è realizzata in pieno. (Paolo Villaggio)

Fantozzi viene da lontano, poiché, se sulla sua busta paga andrebbero registrati gli anni in cui Paolo Villaggio rimase alle dipendenze della sede genovese della COSIDER, è altrettanto indiscutibile che la sua immagine trae in qualche modo origine da quella tutta umanistica (“Come è umano lei!”), precapitalistica, da civiltà, se non materialmente, certo spiritualmente, legata per cordone ombelicale al mondo contadino; nipote o figlio degli impiegati di Bersezio e di Gandolin, umiliato e offeso come i personaggi di Gogol’ e di Cechov […]. In altri termini. Fantozzi risulta dalla somma di una componente autobiografica e di un retaggio culturale che precede lo sviluppo industriale della nazione e di neocapitalismo non ha mai sentito parlare. Villaggio si offre, non senza intelligenza e abilità, come mediatore fra le due componenti, da un lato eliminando, prima dalla pagina, poi dal campo visivo, ogni segno significativo di modernità, dall’altro apportando piccole, ma essenziali correzioni alla figura dell’umiliato e offeso, tramandataci dalla letteratura e dal cinema. (Callisto Cosulich)

The Nile Hilton Incident

Gio, 07/26/2018 - 16:36

Tarik Saleh (Svezia, Danimarca, Germania, Francia, 2017, 106’)

Immaginarti: Visioni Meticce è la rassegna a cura di Kilowatt, in collaborazione con Arca di Noè Coop. Soc., Baumhaus, Cantieri Meticci, Snark – space making e con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

Immaginarti propone una selezione di film che fanno riferimento ai generi classici del cinema (fantascienza, horror, commedia ecc.) per raccontare l’immaginario delle comunità migranti. 

Terzo appuntamento con The Nile Hilton Incident di Tarik Saleh (Svezia, Danimarca, Germania, Francia, 2017, 106’)

**SINOSSI**

Un ordinario poliziotto corrotto, scopre gli inquietanti retroscena di un delitto legato ai loschi affari di un’élite di intoccabili immuni alla giustizia. Un film di denuncia che contestualizza il coté noir nel clima di rivolta popolare che dà il via alla Primavera Araba.

Il Cairo, Egitto, gennaio 2011, Noredin Mustafa è un detective corrotto come tutti i suoi collehi. Chiede denaro per proteggere i commercianti da attacchi delle stesse forze dell’ordine di cui fa parte. Per le strade intanto iniziano ad avvertirsi i primi segnali di quella rivolta che avrà il proprio fulcro in piazza Tahrir. Sta seguendo il caso di una cantante trovata uccisa in una stanza dell’hotel Nile Hilton, e ben presto scopre la relazione segreta della donna con il proprietario dell’albergo, ricco imprenditore e membro del parlamento. Durante la ricerca dell’unico testimone, una cameriera sudanese senza permesso di soggiorno, a Noredin viene brutalmente ordinato di archiviare il caso. Il detective tuttavia non demorde e l’indagine conduce ad un’élite di “intoccabili” che gestisce il paese, immune alla giustizia…

A precedere il film verrà proiettato l’altra faccia di un progetto di video partecipativo promosso da Arcà di Noè, che dà la possibilità a chi viene solamente raccontato di raccontarsi.

Cortometraggio L’altra faccia di…Taufic

Taufic, 28 anni, dal Ghana, in Italia da tre anni, nel suo video prova a dare una interpretazione pesonale del rapporto tra religione e violenza, riprendendo momenti di preghiera nelle chiese di Santo Stefano e San Petronio a Bologna e nella moschea di Ferrara. L’idea del video gli è venuta in seguito a un videomessaggio di Papa Francesco in cui il pontefice invita alla pacificazione tra cattolici e musulmani, grazie a una maggiore reciproca conoscenza e comprensione.

Sarà inoltre diffusa durante le serate della rassegna la serie di audiodoc Vediamoli a casa loro!, realizzata da Snark – space making a seguito di un’indagine esplorativa sull’uso di film e serie tv all’interno delle comunità migranti cittadine. 

Ingresso libero

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Immaginarti:Visioni Meticce è una rassegna di film di genere provenienti dai paesi d’origine delle comunità di migranti che ci accompagna alla scoperta di futuri possibili, misteri insondabili e avventure rocambolesche: perché se l’immaginazione non ha confini, una mente aperta e lo schermo di un cinema sono i migliori antidoti alla paura.

L'armata Brancaleone

Gio, 07/26/2018 - 16:23

(Italia-Francia-Spagna/1966) di Mario Monicelli (120')

Sceneggiatura: Age, Furio Scarpelli, Mario Monicelli. Fotografia: Carlo Di Palma. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Scenografia: Piero Gherardi. Musica: Carlo Rustichelli. Interpreti: Vittorio Gassman (Brancaleone da Norcia), Catherine Spaak (Matelda), Gian Maria Volonté (Teofilatto dei Leonzi), Enrico Maria Salerno (Zenone), Carlo Pisacane (Abacuc), Maria Grazia Buccella (vedova), Barbara Steele (Teodora). Produzione: Mario Cecchi Gori per Fair Film, Les Film Marceau.
Versione originale con sottotitoli inglesi

L’armata Brancaleone riprende fedelmente lo schema dei Soliti ignoti (perfino nell’attribuzione di alcuni ruoli-chiave, Gassman in primis), con un gruppo di simpatici perdenti che si imbarca in un’impresa rispetto alla quale è assolutamente inadeguato, coniugandolo con la parodia del grande affresco medievale di stile hollywoodiano. Il progetto si rivela il terreno ideale per l’esercizio del formidabile talento comico e della feroce vena goliardica di cui Monicelli ha dato numerosissime prove. Nel lungo periodo della sua gestazione, le idee si accumulano e si sedimentano: quando il produttore Mario Cecchi Gori accetta di riconsiderare la possibilità di finanziarlo (previa partecipazione di Monicelli stesso alle spese, prova – peraltro – della sua affezione verso l’idea del film), L’armata Brancaleone è cresciuto fino a raggiungere una sorta di scombinata perfezione e un’assoluta originalità, data dalla maniera di combinare elementi tutt’altro che originali come quelli sopracitati. Da un lato, allora, abbiamo un film capace di inventarsi una lingua completamente nuova, a metà strada fra la parodia delle reminiscenze del latino liceale e il dialetto marchigiano, un ‘volgare’ creato in laboratorio, comico e scenografico almeno quanto i costumi cenciosi e le tetre ambientazioni, perfettamente credibili nella loro autenticità e del tutto fantasiose per quanto riguarda la veridicità della ricostruzione storica. Il roadmovie si ricongiunge al viaggio picaresco e la commedia all’italiana va in trasferta nel tempo, quasi a recuperare le radici antichissime della propria cialtronesca tradizione (compresa quella della Commedia dell’Arte, di cui Monicelli è da sempre estimatore) e a riflettere su di esse e l’antropologia che ne discende. (Giacomo Manzoli)

L’armata Brancaleone nacque da due cose: da tre paginette che Scarpelli buttò giù, un dialogo tra due contadini medioevali che parlavano di donne; e da un film fallito, Donne e soldati di Luigi Malerba e Antonio Marchi, di cui vidi soltanto 150 metri che mi colpirono molto (fra l’altro c’era di mezzo anche Ferreri in quel film). L’ispirazione venne così: facciamo un film su un medioevo cialtrone, fatto di poveri, di ignoranti, di ferocia, di miseria, di fango, di freddo; insomma tutto l’opposto di quello che ci insegnano a scuola, Le Roman de la Rose, Re Artù, e altre leziosità. Era un gruppo di sciagurati che attraversavano un’Italia di orsi e di foreste, in un’impresa come la ricerca del Graal, però tutto a un livello miserabile. Nacque come idea di immagini più che di un racconto, pensando soprattutto al personaggio di Gassman: uno sniffone stupido e coraggioso, generoso quanto incapace. Inventammo per lui delle avventure picaresche e un linguaggio tutto particolare, ripescato da Jacopone da Todi, da dialetti attuali come il marchigiano, e con parole inventate. […] Venne fuori un film che non penso abbia dei modelli precedenti nella storia del cinema, perché non esistevano punti di riferimento: le fonti come Gregorio VII e Fra’ Salimbene erano scarsissime, non si sapeva come nell’anno Mille andassero vestiti, come salutassero, come mangiassero, nessuno ne sa niente. Fu tutto inventato. (Mario Monicelli)

Non ci resta che piangere

Gio, 07/26/2018 - 16:21

(Italia/1984) di R. Benigni e M. Troisi (113')

Soggetto e sceneggiatura: Massimo Troisi, Roberto Benigni, Giuseppe Bertolucci. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Francesco Frigeri. Musica: Pino
Donaggio. Interpreti: Massimo Troisi (Mario), Roberto Benigni (Saverio), Amanda Sandrelli (Pia), Iris Peynado (Astriah), Paolo Bonacelli (Leonardo da Vinci), Carlo Monni (Vitellozzo), Elisabetta Pozzi (la ragazza che apre la porta), Fiorenzo Serra (Fiorenzo), Jole Silvani (Parisina). Produzione: Mauro Berardi, Ettore Rosboch per Yarno Cinematografica, Best International Film.
Versione originale con sottotitoli inglesi
Copia proveniente da Istituto Luce Cinecittà per concessione di Melampo Cinematografica

Il viaggio nel passato, per effetto di un sogno o di un cortocircuito temporale, costituisce un canovaccio classico del cinema comico, da Chaplin (His Prehistoric Past, 1914) e Keaton (L’amore attraverso i secoli, 1923) a Totò (Totò all’inferno, 1955). Quasi a metà degli anni Ottanta, reduci rispettivamente dal primo e dal secondo film come attori-registi, Roberto Benigni e Massimo Troisi si misurano senza complessi con questa tradizione, aiutati da Giuseppe Bertolucci sceneggiatore. Scelgono l’ambientazione degli ultimi anni del Quattrocento e una Toscana luminosa e verdeggiante, rendono omaggio a Totò e Peppino (la dettatura della lettera di Totò, Peppino... e la malafemmina), senza altre pretese che divertire e divertirsi. La complicità fra Benigni e Troisi appare evidente fin dalle prime sequenze, con una sorpresa: a differenza delle più ovvie aspettative, non è il napoletano a subire l’irruenza del toscano ma è quest’ultimo a dover sopportare il candido egoismo del primo e a fargli perfino da spalla in un intermezzo buffonesco-sentimentale. La regia latita, la narrazione è allegramente sconclusionata perché in buona parte frutto di improvvisazioni del momento ma proprio l’estemporaneità giova alla leggerezza di un film goliardico senza grevità, tenuto insieme dal perfetto affiatamento delle due maschere e dalla loro complementare diversità. (Roberto Chiesi)

A Massimo Troisi
Non so cosa teneva “dint’a capa”, / intelligente, generoso, scaltro, / per lui non vale il detto che è del Papa, / morto un Troisi non se ne fa un altro. Morto Troisi muore la segreta / arte di quella dolce tarantella, / ciò che Moravia disse del Poeta / io lo ridico per un Pulcinella. La gioia di bagnarsi in quel diluvio / di “jamm, ‘o saccio, ‘naggia, oilloc, ‘azz!” / era come parlare col Vesuvio, / era come ascoltare del buon jazz. “Non si capisce”, urlavano sicuri, / “questo Troisi se ne resti al Sud!” / Adesso lo capiscono i canguri, / gli Indiani e i miliardari di Hollywood! Con lui ho capito tutta la bellezza / di Napoli, la gente, il suo destino, / e non m’ha mai parlato della pizza, / e non m’ha mai suonato il mandolino. O Massimino, io ti tengo in serbo / fra ciò che il mondo dona di più caro, / ha fatto più miracoli il tuo verbo / di quello dell’amato san Gennaro. (Roberto Benigni)

Miseria e nobiltà

Gio, 07/26/2018 - 16:15

(Italia/1954) di Mario Mattoli (94')

Soggetto: dalla commedia omonima di Eduardo Scarpetta. Sceneggiatura: Ruggero Maccari. Fotografia: Karl Strauss. Montaggio: Roberto Cinquini. Musica: Pippo Barzizza. Interpreti: Totò (Felice Sciosciammocca), Dolores Palumbo (Luisella), Sophia Loren (Gemma), Valeria Moriconi (Pupella), Enzo Turco (Pasquale), Gianni Cavalieri (don Gaetano), Carlo Croccolo (Luigino), Franca Faldini (Nadia, la modista), Liana Billi (Concetta), Franco Sportelli (Vincenzo, il maggiordomo), Franco Pastorino (marchesino Eugenio). Produzione: D.D.L.
Versione originale con sottotitoli inglesi
Per concessione di Movietime

Miseria e nobiltà, è il migliore della trilogia scarpettiana di Mattoli, e anche uno dei più divertenti della carriera di Totò. Stavolta gli autori scelgono di attenersi molto di più al testo della commedia originaria (1887), aggiungendo solo il personaggio di Nadia, affascinante modista piemontese (Faldini), una scena all'interno del teatro San Carlo (con le piroette di una Loren in verità poco aggraziata) e un paio di gag di Totò (la seduta fotografica con gli sposini e la scrittura della lettera dettata da un cafone squattrinato). Si gira all'inizio del 1954, con la presenza nel cast di due fuoriclasse provenienti dalla compagnia di Eduardo, Dolores Palumbo ed Enzo Turco. Diventerà una scena topica la mangiata degli spaghetti, anche grazie a una delle improvvisazioni più geniali di Totò, quegli spaghetti messi in saccoccia quasi a costituire una riserva per la fame a venire. Dell'improvvisazione è testimone tra gli altri la giovanissima Valeria Monconi, la Pupella del film: "Il regista ci aveva spiegato che l'avvicinamento delle sedie doveva essere fatto un po' per volta e che poi dovevamo buttarci tutti sopra la pasta; è chiaro che poi tutte le scene andavano ad libitum, non era detto che si dovesse smettere finite le battute, perché Totò ne inventava di tutti i colori e Mattoli lasciava andare. Mentre si stava girando (eravamo già arrivati sopra gli spaghetti) vidi con la coda dell'occhio il tecnico del suono che si tappava la bocca. Poi mi giro ancora meglio, vedo gente cianotica perché non poteva ridere, alzo lo sguardo e vedo che Totò si era alzato, era salito sopra il tavolo e s'era inventato di mettersi gli spaghetti nelle tasche. Chissà la scena quanto sarebbe andata avanti, e invece il regista fu costretto a dare lo stop perché mentre infilava questi spaghetti dentro le tasche, Totò aveva preso anche uno zampirone messo dentro la pasta per fare del fumo, e questo zampirone gli stava bruciando la tasca". (Alberto Anile)

Avendo avuto l'onore di conoscerlo, posso dire che il re dei comici recitava sempre, anche fuori dal set, e avrebbe dato la vita per una battuta. [...] In Miseria e nobiltà, tratto da una farsa di Eduardo Scarpetta, è Felice Sciosciamocca, scrivano squattrinato il cui nome è già tutto un programma, che viene assoldato con la sua famiglia da un marchesino perché recitino davanti ai suoi la parte dei parenti aristocratici della fidanzata Gemma (la sottoscritta!), che lui vorrebbe sposare. "Alla faccia di Cartagine e di tutti i cartaginesi" esclama Totò quando mi vede nelle vesti della futura sposa. "Noi ti accoglieremo nel seno della nostra famiglia, e tu accoglici sul tuo seno...". Il Principe era irresistibile, stargli al fianco scioglieva qualunque paura e qualunque imbarazzo. Anche perché si inventava al momento metà del copione, e nessuno riusciva a trattenerlo. Così accade nella famosa scena in cui si infila in tasca gli spaghetti, che è entrata a far parte della storia del cinema e che parla della fame del nostro popolo. Una fame che si può combattere soltanto con l'arma del sorriso, con quella leggerezza piena di spirito di cui siamo intrisi noi napoletani. (Sophia Loren)

Il cittadino illustre

Gio, 07/26/2018 - 15:40

(El ciudadano ilustre, Argentina-Spagna/2016) di Gastón Duprat e Mariano Cohn (118')

Fotografia: Gastón Duprat, Mariano Cohn. Sceneggiatura: Andrés Duprat. Montaggio: Jerónimo Carranza. Scenografia: María Eugenia Sueiro. Musica: Toni M. Mir. Interpreti: Oscar Martínez (Daniel Mantovani), Dady Brieva (Antonio), Andrea Frigerio (Irene), Belén Chavanne (Julia), Nora Navas (Nuria), Marcelo D’Andrea (Florencio Romero), Gustavo Garzón (Gerardo Palacios), Emma Rivera (Emilse). Produzione: Fernando Sokolowicz per Arco Libre, Televisión Abierta, Magma Cine, A Contracorriente Films.
Versione originale con sottotitoli italiani e inglesi

Che cosa preferirebbero gli accademici svedesi alla cerimonia di conferimento del Nobel per la letteratura? Un cortese rifiuto come quello che hanno ricevuto da Bob Dylan o un discorso di ringraziamento acido e fortemente critico come quello che legge Daniel Mantovani, lo scrittore argentino inventato da Mariano Cohn e Gastón Duprat (e da suo fratello Andrés Duprat, sceneggiatore) per il film Il cittadino illustre? Interpretato da un magistrale Oscar Martínez – che per questo ruolo ha vinto a Venezia con la Coppa Volpi – il protagonista del film dice davanti al re di Svezia e agli accademici quello che in tanti pensano (anche per il vero Nobel a Dylan), che il riconoscimento arriva sempre tardi, quando ormai la sua vena creativa si è inaridita e che quell’onore finirà per chiuderlo definitivamente in un museo, tra i ‘morti’ della letteratura. Come argentini, i due registi avevano forse qualche sassolino da togliersi visto che nella realtà nessun loro compatriota ha mai ricevuto la massima onorificenza letteraria, nemmeno Borges, ma cinematograficamente quel discorso nemmeno tanto sorprendente serve per introdurre il carattere del loro protagonista, ispido e spigoloso, che sembra farsi un vanto nel rifiutare ogni altro tipo di riconoscimento o di invito, chiuso nella sua casa di Barcellona. Solo per uno fa eccezione, spinto da una motivazione quasi inconscia, quello che gli arriva da Salas, la cittadina argentina che gli aveva dato i natali e da cui era fuggito ventenne, ma dove aveva ambientato i suoi romanzi, traendo ispirazione da persone e fatti locali. […] Se l’incontro di Salas con il suo ‘figliol prodigo’ offre l’occasione ai due registi per dar prova di tutta la loro sarcastica ironia nello stigmatizzare il provincialismo piccolissimoborghese della provincia argentina, il film rivela da subito altre ambizioni quando costruisce delle situazioni – le ‘lezioni di poesia’, il confronto con gli inevitabili questuanti o con gli aspiranti scrittori – che aprono il film verso discorsi più alti e complessi. Senza mai dare l’aria di voler salire in cattedra, Daniel Mantovani si trova a ‘spiegare’ gli spunti reali da cui ha tratto i suoi personaggi, il legame che unisce esperienza e fantasia, l’importanza della creatività e della pratica letteraria, arrivando così a tracciare un quadro della complessità del lavoro artistico che parte dalla letteratura e finisce per abbracciare anche il cinema. (Paolo Mereghetti)

Il film ci mostra l’incontro di due visioni del mondo, una popolare e una più sofisticata. Il protagonista torna al suo pueblo natale. Arriva quindi non in un luogo estraneo, ma in un luogo che conosce, che gli appartiene. Ora, però, Daniel Mantovani è un’altra persona, più raffinata: ha riflettuto molto e ha trasformato questo pueblo in una realtà letteraria, ha romanzato le sue esperienze. Ritornando in questa realtà, all’inizio non la trova tanto malvagia. Via via, però, emergono i problemi. Le sue azioni e le sue opinioni diventano sempre più controverse. Le differenze tra lui e il suo paese d’origine, quelle che lo avevano fatto andar via, si ritrovano intatte. In termini psicoanalitici, si può dire che non ha lavorato su queste differenze, e questo fa sì che i problemi si ripresentino identici. (Andrés Duprat)

La Gatta Cenerentola

Gio, 07/26/2018 - 15:37

(Italia/2017) di A. Rak, I. Cappiello, M. Guarnieri e D. Sansone (86')

Soggetto: dalla fiaba omonima di Giambattista Basile e dall'opera teatrale di Roberto De Simone. Sceneggiatura: Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone, Marianna Garofalo, Corrado Morra, Italo Scialdone. Montaggio: Marino Guarnieri, Alessandro Rak. Musica: Antonio Fresa, Luigi Scialdone. Voci: Massimiliano Gallo (Salvatore Lo Giusto), Maria Pia Calzone (Angelica Carannante), Alessandro Gassmann (Primo Gemito), Mariano Rigillo (Vittorio Basile), Renato Carpentieri (commissario). Produzione: Luciano Stella, Maria Carolina Terzi per Mad Entertainment, Big Sur, Sky Dancers, Tramp Ltd., O' Groove in collaborazione con Rai Cinema.
Versione originale con sottotitoli italiani e inglesi

È il film italiano più sorprendente di questa stagione, e non solo per la tecnica. Il gruppo (sottolineo ‘gruppo', è importante insistere sui gruppi) di giovani e spericolati napoletani che lo ha realizzato - Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Dario Sansone e Marino Guarnieri assistiti da cento altri e altre con Luciano Stella alla produzione - ha infatti dimostrato come, in un ramo tra i più difficili e conformisti come quello del disegno animato, si può riuscire a dire cose molto importanti e necessarie [...]. Molte suggestioni vengono, è ovvio, dal cinema dei supereroi e dai fumetti alla Marvel, ma... Ma, per l'appunto, perché siamo a Napoli, ci si racconta Napoli, e si dispiega per farlo un immaginario fatto di ieri e di oggi e di domani, che mescola in modo ardito e sapiente le vecchie canzoni ultranote (quanto meno ai napoletani) e altre scritte ad hoc, un paesaggio riconoscibile e bensì violentato e mutato, la misera lingua italiana dell'oggi giornalistico e il dialetto dello sfogo affettivo o volgare. Un grande lavoro di invenzione, riflessione, elaborazione e rielaborazione per affrontare, di fatto, con santa ambizione, i problemi di una città e di una identità (di una cultura, in senso antropologico) in mutazione, in crisi. [...] Gli autori del film sanno di cosa parlano, hanno ben chiara la storia della loro città, ne apprezzano il lascito e ne sognano il riscatto. Giocano con i luoghi comuni e sanno usarli con aggressiva libertà. Non è poco. Non è poco per Napoli - la Napoli di oggi, con le sue pulsioni distruttive, autodistruttive. Non è poco per il cinema di animazione, che diventa finalmente anche cinema ‘politico'. Non è poco per un cinema italiano che ha bisogno di narrazioni non superficiali e compiacenti, [...] di libertà d'invenzione e di sguardo. (Goffredo Fofi)

I più ignorantelli, non napoletani, fermi al vecchio cartoon Disney, si chiederanno: perché Gatta Cenerentola, cosa c'entra il felino? Dovrebbero andare a ristudiarsi la storia della letteratura europea, perché Giambattista Basile è un pezzo da novanta. E poi quella del teatro: Roberto De Simone nel '76 con la sua Gatta Cenerentola rivoluzionò la scena, non solo italiana. Si trattava di un tema che ci pareva già perfetto com'era nella declinazione di De Simone, il top della messa in scena per la mia generazione. Dopodiché, piano piano, prese corpo un progetto più definito e così abbiamo accettato la sfida. Enorme rispetto per la tradizione e insieme desiderio di innovarla. Vedrete una Napoli senza tempo con un habitat futuribile ma pure tanta oscurità. La cenere, per esempio, è un elemento sempre presente. Infatti il clima è post eruzione del Vesuvio. Il maggior punto di riferimento è stato il testo originale di Basile. Che per chi non lo sapesse è abbastanza pulp. (Dario Sansone)

Man on the Moon

Gio, 07/26/2018 - 14:02

(USA/1999) di Milos Forman (118')

Sceneggiatura: Scott Alexander, Larry Karaszewski. Fotografia: Anastas Michos. Montaggio: Adam Boome, Lynzee Klingman, Christopher Tellefsen. Scenografia: Patrizia Von Brandenstein. Musica: R.E.M. Interpreti: Jim Carrey (Andy Kaufman), Danny DeVito (George Shapiro), Courtney Love (Lynne Margulies), Paul Giamatti (Bob Zmuda), Vincent Schiavelli (Maynard Smith), Gerry Becker (Stanley Kaufman), Michael Kelly (Michael Kaufman). Produzione: Danny DeVito, Michael Shamberg, Stacey Sher per Jersey Films, Cinehaus.
Versione originale con sottotitoli italiani
Copia proveniente da Universal Studios

Man on the moon’ è un’espressione che si ritrova già al tempo di Shakespeare e indica un matto, un suonato. Anche Andy Kaufman c’era già al tempo di Shakespeare: con sfrontatezza e con una maschera, fissata all’estremità di un bastone che si alzava sul viso, intratteneva la corte in un modo insolente che a chiunque altro sarebbe costata la vita, od almeno il favore del protettore. Si chiamava ‘fool’ ed era il buffone. Solo che il termine ‘fool’ non gli rende giustizia: intanto perché ci vuole molta intelligenza per far ridere (soprattutto chi si crede superiore, e magari socialmente lo è davvero), e poi perché l’umorismo del ‘fool’ è spesso di marca sofisticatissima, come dimostra King Lear. E come dimostra Andy Kaufman, che peraltro ne è la versione aggiornata ai nostri tempi senza corti e protettori (ma ne siamo sicuri?) e senza alcun senso del limite. L’apertura del film di Forman non poteva essere più aderente al suo personaggio, e Jim Carrey più calato nella parte: vi sono momenti in cui l’attore assomiglia davvero a Kaufman […]. Nel caso di Kaufman il rapporto fra le aspettative del pubblico e l’opera del performer salta in aria, ché Andy spiazza continuamente chi lo vede e ascolta rifiutando ogni ritmo e frustrando ogni aspettativa […]. Kaufman opera fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, la sua concezione dello spettacolo non tiene minimamente in considerazione mentalità e comportamenti sociali del suo pubblico […] e ogni preoccupazione sia psicologica che morale gli è estranea. L’unico suo interesse è la ricostruzione della realtà non in termini parodistici o ironici, ma iperreali. La cosa più strana è che il film di Forman sceglie proprio la strada dell’iperrealismo. Non in termini figurativi, certo, ma come impostazione della ricostruzione. (Franco La Polla)

Questo progetto non è nato per caso, ho pensato a Andy Kaufman dalla prima volta in cui l’ho visto, all’inizio degli anni Settanta, quando cominciava a fare i suoi spettacoli. Da allora ho seguito la sua carriera, perché aveva qualcosa di magnetico senza che sapessi esattamente cosa. Di volta in volta era un’esperienza eccitante e irritante, cosa che mi lasciava sempre perplesso. Dopo aver sentito un sacco di storie su di lui, mi sono reso conto che adoravo raccontarle agli amici. Dopo qualche tempo mi sono chiesto perché non fare un film su di lui visto che mi interessava tanto. […] L’arte e la vita sono senza soluzioni di continuità per Andy Kaufman. Non smette mai di recitare, è sempre il suo personaggio. […] Mi sono reso conto che era totalmente inutile cercare di decifrare Andy Kaufman, sapere chi era veramente. Per me, ancora oggi, resta un mistero. (Miloš Forman)

Amadeus

Gio, 07/26/2018 - 14:00

(USA/1999) di Milos Forman (118')

Introduce Enrico Tabellini (Museo internazionale e biblioteca della musica)
Soggetto: dalla pièce omonima di Peter Shaffer. Sceneggiatura: Peter Shaffer. Fotografia: Miroslav Ondrícek. Montaggio: Nena Danevic, Michael Chandler. Scenografia: Patrizia Von Brandenstein, Karel Cerný. Interpreti: F. Murray Abraham (Antonio Salieri), Tom Hulce (Wolfgang Amadeus Mozart), Elizabeth Berridge (Constanze Weber), Simon Callow (Emanuel Schikaneder), Roy Dotrice (Leopold Mozart), Christine Ebersole (Katherina Cavalieri), Jeffrey Jones (imperatore Giuseppe II), Charles Kay (conte Orsini-Rosenberg), Barbara Bryne (madre di Costanze), Nicholas Kepros (arcivescovo Colloredo). Produzione: The Saul Zaentz Company.
Versione originale con sottotitoli italiani

Amadeus è un film sul talento e sulla libertà, sulla loro incompatibilità con la società che li distrugge in nome dell’ideologia. (Miloš Forman)

Amadeus è una sorta di cerniera tra il passato e il presente: aria di casa, di Mitteleuropa, ma anche capacità di confezionare un prodotto di tutto rispetto capace di attrarre il grande pubblico; accentuato senso del grottesco, delle ‘caricature’ nobili e popolari (soprattutto la corte dell’imperatore Giuseppe II, ma anche guitti, artisti e servi), ma senza dimenticare la centralità dell’eroe (o meglio, degli ‘eroi’ contrapposti); una strizzata d’occhio alla cultura alta, ma raccontata secondo l’affabulazione che piace a Hollywood. Infatti, il film vince otto Oscar, tutti i maggiori praticamente, tranne quello a Tom Hulce, che l’avrebbe comunque meritato, al quale l’Academy preferisce F. Murray Abraham, che interpreta Salieri. Ed è infatti Antonio Salieri, l’uomo maturo, il musicista di corte, accorto diplomatico e suadente bugiardo, il vero ‘antieroe’ del film di Forman, segnato dalla drammatica consapevolezza della propria insanabile mancanza di talento. Ma Salieri conosce bene la musica e capisce subito da che parte stanno genio e mediocrità, senza nemmeno il bisogno di arrivare alla ‘controprova’ degli spartiti del rivale buttati giù di getto senza una cancellatura, delle sue improvvisazioni o addirittura della dettatura del Confutatis e del Lacrimosa del Requiem K. 626 che Mozart morente fa a lui, che non riesce nemmeno a stargli dietro con la trascrizione. Se il giovane, travolgente e autodistruttivo Wolfgang Amadeus è il centro mercuriale del film, il cauto, tormentato Salieri è il suo cuore oscuro, il personaggio narrativamente più interessante. Amadeus è uno dei tanti giovani di Forman; negli anni Sessanta del Novecento avrebbe fatto l’hippie al Central Park; e non bastano i sensi di colpa per la morte del padre, ostinatamente insoddisfatto di lui e minaccioso, a conferirgli i risvolti oscuri di McMurphy. Salieri, invece, è qualcosa di nuovo nella filmografia dell’autore: non è la raffigurazione a tutto tondo dell’Istituzione, il ‘cattivo’, come la capoinfermiera Ratched, né lo sprovveduto, maldestro borghese che non riesce a entrare in sintonia con i propri figli, come tanti dei genitori che ha descritto. Salieri è un uomo di cultura, che capisce fin troppo bene sia l’arte sia la psicologia dello sfrenato ribelle con cui si trova a fare i conti, che lo detesta perché è tanto più bravo di lui, ma che non può fare a meno di invidiarne e desiderarne le caratteristiche. È un personaggio molto fine e sfaccettato, disperatamente a corto di ‘doni’ e molto solo. Non si può né odiarlo né amarlo. (Emanuela Martini)

Jackie

Gio, 07/26/2018 - 13:57

(USA-Cile/2016, 100’) di Pablo Larraín 

Sceneggiatura: Noah Oppenheim. Fotografia: Stéphane Fontaine. Montaggio: Sebastián Sepúlveda. Scenografia: Jean Rabasse. Musica: Mica Levi. Interpreti: Natalie Portman (Jacqueline Kennedy), Peter Sarsgaard (Robert Kennedy), Greta Gerwig (Nancy Tuckerman), Billy Crudup (il giornalista), John Hurt (il prete), Richard E. Grant (Bill Walton), Max Casella (Jack Valenti), Beth Grant (Lady Bird Johnson), John Carroll Lynch (Lyndon B. Johnson) Caspar Phillipson (John Fitzgerald Kennedy). Produzione: Juan de Dios Larraín, Darren Aronofsky, Mickey Liddell, Scott Franklin, Ari Handel per Jackie Productions Limited.
Versione originale con sottotitoli italiani

All’indomani della morte del marito, Jacqueline Lee Bouvier in Kennedy rilascia un’intervista per raccontare il presidente e per costruirne il mito nazionale. La sua opera di creatrice d’immagine è culminata nel solenne funerale, in processione a Washington davanti ai potenti della Terra.
Per Larraín e il suo sceneggiatore Noah Oppenheim, Jackie è la vera artefice del mito di Kennedy. Un personaggio postmoderno, della società dello spettacolo. Mentre Bob Kennedy si interroga sul fallimento o almeno sull’incompiutezza dell’esperienza presidenziale (Cosa abbiamo fatto davvero? Cosa abbiamo lasciato in eredità?), Jackie vive paradossalmente, in questa tragedia che la travolge, il trionfo della propria missione. “Sto solo facendo il mio lavoro” dice, e il suo lavoro è creare una nuova regalità (“majesty”, dice in originale), inventare una tradizione.
Colpisce, del film di Larraín, non solo l’eleganza della regia o la bravura degli interpreti (Natalie Portman virtuosistica), ma la sottigliezza politica. I giorni del lutto sono intarsiati di flashback, e in fondo questa trasferta americana rende più limpido il discorso disincantato di Larraín sul potere, la verità, i media. In No il pubblicitario batteva Pinochet con una campagna spregiudicata, puntando su un mondo roseo d’evasione. In Neruda il poeta-esteta trionfava idealmente sulla dittatura grazie all’arte del trasformismo e della menzogna (artistica). Jackie crea quella che oggi si chiamerebbe una ‘narrazione’ (o, come dice lei, “un grande spettacolo”) […]. Il nuovo corpo del sovrano democratico e di massa, ci racconta Larraín, è fatto di stoffa pop. La morte catturata da una cinepresa può essere ri-consacrata da un funerale in diretta televisiva. (Emiliano Morreale)

Piena di stile, desiderabile, sofisticata, Jacqueline Kennedy è stata una delle donne più fotografate e presenti nella cronaca del XX secolo. Eppure sappiamo poco di lei. Estremamente discreta e imperscrutabile, è forse la donna famosa meno conosciuta dell’era moderna. Mi piace pensare che non avremo mai certezze su di lei. Non conosceremo mai il suo profumo, o che luce avesse negli occhi quando la incontravi. Tutto ciò che possiamo fare è cercare. E mettere insieme un film fatto di frammenti. Brandelli di ricordi. Luoghi. Idee. Immagini. Persone. Il Presidente Kennedy morì giovane – il tempo in cui rimase in carica venne interrotto bruscamente, i pochi successi conseguiti rischiavano di essere presto dimenticati. Persino mentre era offuscata dal dolore della perdita, Jacqueline Kennedy sapeva che qualcuno avrebbe dovuto portare a compimento la sua storia. Nel corso di pochissimi giorni riuscì a trasformare suo marito in una leggenda. Definì la sua immagine e rafforzò quella che sarebbe stata la sua eredità politica. E facendo questo divenne lei stessa un’icona, conosciuta per sempre in tutto il mondo con il solo nome di battesimo… Jackie. (Pablo Larraín)

Cidnewski Kapelye

Gio, 07/26/2018 - 12:52

concerto per la XI edizione del Festival Klezmer & Dintorni

Per la rassegna "Klezmer & Dintorni” si esibisce al Battiferro il gruppo Cidnewski Kapelye con il suo ultimo album KOILEN - VIAGGIO AI CONFINI DELL'IMPERO. Viaggio ai confini dell’ impero ed è dedicato a musiche provenienti dai confini orientali dell’ impero asburgico. Musiche di confine in senso lato e in senso letterale quindi.

La musica klezmer è la musica tradizionale sviluppatasi nelle comunità ebraiche askenazite dell’Europa centro-orientale. Suonato da musicisti professionisti chiamati klezmorim, questo genere comprendeva in origine principalmente brani strumentali e danze eseguite in occasione di matrimoni ed altre celebrazioni. Negli Stati Uniti questo genere si è diffuso tra gli immigrati delle comunità di lingua Yiddish arrivati tra gli ultimi decenni del XIX secolo e i primi del XX, subendo l’influenza delle musiche del nuovo continente, in particolare lo swing e il nascente jazz.

Ingresso al Battiferro libero con prima consumazione richiesta (€ 5,00)
informazioni: tel. 3293659446 - associazione.vitruvio@gmail.com

Stelle cadenti (io metto dentro la macchina!)

Gio, 07/26/2018 - 12:47

speciale notte di San Lorenzo

​Un modo speciale per trascorrere la notte di San Lorenzo: spettacolo Stelle cadenti (io metto dentro la macchina!) con il professor Leporello e l'assistente Faldoni.

La notte di San Lorenzo è una notte magica! Da sempre.
A tutti è capitato, almeno una volta, di guardare il cielo e di cercare di vedere la scia luminosa di una stella cadente per esprimere un desiderio...
D'altronde, da sempre, tutto è legato alle luna ed alle stelle: tradizione, fantasia, orientamento, superstizione, calcolo, navigazione, orizzonte, futuro.

Il professor Rambaldo Leporello (Eugenio Maria Bortolini) e il suo fedele assistente Faldoni (Gabriele Baldoni), ci porteranno, a loro modo, proprio lassù, tra gli astri luminosi
Da una parte, la precisione tecnica del Professore e la sua pedanteria accademica, dall'altra, le continue folkloristiche incursioni di Faldoni: una miscela comica esplosiva che, tra risate e sghignazzate, rivelerà un enorme bagaglio di curiosità, notizie incredibili ed affascinanti, verità sul cielo e le sue luci.
Una serata imperdibile, non solo per gli inguaribili romantici, ma per tutti coloro che vorranno guardare il cielo con occhi diversi, guidati dall'irresistibile coppia comica, continuamente in bilico tra scienza e romanticismo, verità e menzogna, tra il serio ed il faceto (e non manca, ovviamente l'oroscopo e la lettura dei tarocchi…)

Ingresso al Battiferro libero con prima consumazione richiesta (€ 5,00)
informazioni: tel. 3293659446 - associazione.vitruvio@gmail.com

Fallocidio

Gio, 07/26/2018 - 12:39

uno spettacolo di e con Fabio Saccomani per la rassegna "EROSo"

Satira performativa e grottesca che culmina con l'uccisione del fallo come simbolo del potere maschile e oppressivo (v.m. 18 anni).

Di e con Fabio Saccomani, lo spettacolo Fallocidio è una satira performativa e grottesca che culmina con l'uccisione del fallo come simbolo del potere maschile e oppressivo. Scegliendo la satira grottesca e performativa, Fabio Saccomani si inserisce ancora nella tradizione dei giullari che utilizzano l'arte come mezzo di lotta contro il potere oppressivo fallocentrico, fascista, colonialista, razzista.
Lungi da fare intrattenimento, Fallocidio è uno spettacolo schierato, che utilizza la comicità come mezzo per attaccare e smascherare le ideologie sottaciute che fanno da base legittimante di praticamente ogni forma di oppressione.

Comico, sarcastico, tagliente. Si tratta di uno spettacolo iconoclasta che rinuncia allo sproloquio pedante e invece proietta immagini e simboli: la distruzione del fallo arriva dopo una serie di momenti esilaranti e leggeri.

Adatto a tutti i tipi di pubblico, ma capace di suscitare reazioni di ogni genere, questo spettacolo vanta di aver fatto arrabbiare molti maschilisti.

Ingresso al Battiferro libero con prima consumazione richiesta (€ 5,00)
informazioni: tel. 3293659446 - associazione.vitruvio@gmail.com

Salsa en vivo live

Gio, 07/26/2018 - 12:34

concerto, con Jairo Y Su Tribù Tayrona Bolaños

Sette fantastici musicisti suoneranno per voi musica latino americana al BATTIFERRO nella suggestiva cornice del Canale Navile a Bologna (via Beverara 123/a - via de Navile 29/5 di fianco al Museo del patrimonio Industriale). Il gruppo italo-colombiano di Latin Jazz è guidato da Jairo Bolaños, un'artista che fu tra i primi a portare la musica "salsa" e la Cumbia colombiana in Italia. Insieme a lui ci saranno 6 elementi del panorama musicale sudamericano per una serata carica di ritmo.

Formazione:
Leader timbales e voce- Jairo Bolañosù
Voce e percussioni- Christian David
Tromba-Ludovico Camozzi
Sax- Marco Polesinanti
Basso- Paolo Piccoli
Piano-Roberto Renesto
Congas- Antonio Gentile

Ingresso al Battiferro libero con prima consumazione richiesta (€ 5,00)
informazioni: tel. 3293659446 - associazione.vitruvio@gmail.com

Ceramics now. 60° Premio Faenza special edition

Gio, 07/26/2018 - 11:48

I grandi artisti della Ceramica Contemporanea

Compie 80 anni - per 60 edizioni - lo storico Concorso Internazionale della Ceramica d’arte contemporanea – Premio Faenza. La prima edizione nazionale fu realizzata nel 1938 e dal 1964 divenne internazionale.  Il concorso, tra i più riconosciuti al mondo, è stato fondamentale per traghettare il pubblico e il mondo dell’arte dalla concezione di ceramica come materia esclusivamente artigianale a materia “alta” per la scultura d’arte. Nel corso degli anni il Concorso ha visto protagonisti del calibro di Lucio Fontana, Leoncillo Leonardi, Angelo Biancini, Guido Gambone, Pietro Melandri, Carlo Zauli - e stranieri - Eduard Chapallaz, Sueharu Fukami - che hanno fatto non solo la storia della ceramica del XX secolo, ma anche quella della scultura e della pittura.

Per celebrare la 60esima edizione il MIC ha ideato una formula speciale: nel 2018 il concorso si trasforma in una Biennale della Ceramica Contemporanea Internazionale, su invito, curata da critici d’arte internazionali.
Fino al 7 ottobre, a Faenza, si potranno ammirare in mostra le ricerche d’arte contemporanea più innovative, realizzate da maestri internazionalmente affermati e da giovani talenti riconosciuti .

I 17 curatori coinvolti hanno selezionato 53 artisti di fama internazionale per mappare lo stato dell’arte ceramica internazionale oggi. Non solo scultura ma anche e soprattutto progetti installativi e performativi saranno i veri protagonisti di questa esposizione.

Biglietti

Intero 10€
Ridotto 7€ per gli abbonati Card Musei Metropolitani

Alphonse Mucha

Gio, 07/26/2018 - 11:24

mostra

Arriva per la prima volta a Bologna un’importante retrospettiva sull’opera di Alphonse Mucha, uno tra i più grandi interpreti dall’Art Nouveau. Dal 29 settembre 2018 al 20 gennaio 2019 le sale settecentesche di Palazzo Pallavicini faranno da cornice a 80 tra le più celebri opere dell’artista ceco, di cui 27 esposte per la prima volta in Italia.

La mostra, organizzata da Chiara Campagnoli, Rubens Fogacci e Deborah Petroni della Pallavicini srl in collaborazione con Mucha Foundation e con la curatela di Tomoko Sato, pone uno sguardo inedito sull’opera del grande artista.

Alphonse Mucha (1860-1939) fu uno dei più celebrati e influenti artisti della Parigi fin-de-siècle, conosciuto ai più per le sue grafiche, come i cartelloni teatrali realizzati per l’attrice ‘superstar’ Sarah Bernhardt e le sue immagini pubblicitarie con donne eleganti ed attraenti. Mucha creò un suo stile ben definito – le style Mucha – caratterizzato da composizioni armoniose, forme sinuose, riferimenti alla natura e colori pacati, che divenne sinonimo dell’emergente stile decorativo del periodo, l’Art Nouveau.

Nonostante il potente impatto del suo stile, però, poco si è mai saputo delle idee sull’arte e l’estetica all’origine del suo lavoro. Il percorso espositivo, dal titolo Alphonse Mucha, esamina gli aspetti teorici delle sue opere, soprattutto il concetto di bellezza, principio centrale della sua arte.

Con circa 80 opere, selezionate tra quelle della Fondazione Mucha, la mostra include alcuni tra i più iconici lavori dell’artista, poster e cartelloni del suo periodo parigino, e getta inoltre uno sguardo al linguaggio artistico con cui Alphonse Mucha espresse il suo nazionalismo una volta ritornato nella sua patria negli ultimi anni della sua vita.

Orari di apertura

Aperto da giovedì a domenica dalle 11.00 alle 20.00
Chiuso il lunedì, martedì e mercoledì.

La biglietteria chiude 1h prima (ore 19 ultimo ingresso)

Biglietto d'ingresso

Intero: euro 13,00 
Ridotto per gli abbonati Card Musei Metropolitani Bologna: 9 € anziché 13 €

I biglietti delle mostre con la riduzione Card Musei non possono essere acquistati online: vanno comprati direttamente presso le sedi delle mostre.

Arama live

Gio, 07/26/2018 - 11:18

concerto per “Klezmer & Dintorni”

Per la rassegna "Klezmer & Dintorni” si esibiscono al Battiferro gli Arama con un concerto dedicato alle musiche in diaspora.

Il trio Arama nasce nell’autunno del 2013 dal desiderio di raccontare attraverso la musica mondo complesso e variegato che si affaccia sul bacino del Mediterraneo. La parola turca arama, che in italiano si traduce con ricerca, sintetizza l’obiettivo del gruppo e insieme individua l’area dalla quale esso trae la gran parte del proprio repertorio: quel vasto e sfaccettato insieme multiculturale che fu l’Impero ottomano. E' possibile ritrovare un filo che colleghi realtà che oggi si presentano spesso distanti tra di loro sul piano culturale, linguistico, religioso, musicale? Sì, pensiamo noi, è possibile. Il filo è sottile, sotterraneo talvolta, ma esiste. E' nella storia di questi territori che per lungo tempo sono stati riuniti sotto il cappello dell'Impero ottomano. Proprio la presenza dei turchi ottomani ha fatto sì che usi e costumi (anche musicali) circolassero su un'area ampia che si estendeva dalle coste del nord Africa alle estreme propaggini della penisola arabica (Yemen), dalla pianura mesopotamica, attraverso la Siria, la Palestina e naturalmente l'Anatolia ai Balcani fino a lambire l'Ungheria, i principati rumeni, le pianure ucraine e il Caucaso. La circolazione delle musiche che possiamo definire turco-ottomane a dire il vero andò anche oltre i confini dell'impero interessando molte regioni confinanti, compresa la nostra penisola. Dall’iniziale nucleo di tre musicisti-ricercatori il gruppo ha allargato negli anni la propria attività collaborando anche con altri musicisti, alcuni dei quali sono ormai parte integrante del progetto. Nel 2017, dopo tre anni di attività concertistica e di ricerca vede la luce il primo cd del gruppo, Arama, Versoriente.

Musiche in diaspora
La dispersione o la semplice migrazione dei popoli più diversi attraverso la formidabile via di comunicazione che è il Mar Mediterraneo ha una storia antichissima. Ebrei, armeni, greci, fenici, arabi, romani, turchi e una miriade di popoli più piccoli viaggiarono, alcuni per commercio, altri in cerca di terre migliori o di fortuna, altri ancora in fuga dalle persecuzioni, dalle guerre o dalla fame. Viaggiarono, si dispersero, a volte ritornarono e ancora, come è noto, si muovono. Con essi viaggiarono anche i canti e musiche che appartenevano loro. E i popoli dispersi, nei nuovi territori vennero in contatto con nuove musiche che in breve divennero loro familiari. L'ensemble Arama con questo concerto ripercorre alcune tappe di questi viaggi, si sofferma su alcuni luoghi significativi dove gli incontri musicali furono particolarmente fecondi.

L’ensemble Arama è una formazione variabile

Ingresso al Battiferro libero con prima consumazione richiesta (€ 5,00)
informazioni: tel. 3293659446 - associazione.vitruvio@gmail.com

Marco Lobo Trio Featuring Daniella Firpo

Gio, 07/26/2018 - 11:11

concerto | Brasil Festival

Grazie a Rio è venerdì - Brasil Festival

Per molti anni il percussionista Marco Lobo ha collaborato con importanti nomi della MPB come Milton Nascimento, Maria Bethania, Caetano Veloso, Gilberto Gil, João Bosco, Ivan Lins e Marisa Monte. Con questo importante bagaglio e innegabile talento ha iniziato la sua carriera da solista in Brasile e all'estero.

Marco Lobo Trio è uno dei suoi progetti insieme a Walter Lang (tastiera) e Peter Cudek (basso), musicisti di altissima qualità che si sono esibiti in innumerevoli festival internazionali. In modo singolare uniscono l'anima del brasile alla musica Jazz e fusion rinnovandola e esaltando il patrimonio ancestrale e la cultura ritmica brasiliana. Il repertorio si concentra su dischi di Marco Lobo, oltre ai classici di compositori della MPB come Milton Nascimento. Il suono spazia tra Jazz, Maracatú, Samba, Baião e Balada.

Come Ospite Speciale della serata il Marco Lobo Trio avrà la partecipazione della cantante brasiliana Daniella Firpo che si unirà al Trio intonando canzoni della sua Bahia. Lo scorso mese Daniella ha partecipato, insieme a Marco Lobo e i musicisti, ad un tour in Germania.

Ingresso al Battiferro libero con prima consumazione richiesta (€ 5,00)
informazioni: tel. 3293659446 - associazione.vitruvio@gmail.com

Ocean's 8

Mer, 07/25/2018 - 16:43

(USA/2018) di Gary Ross (110') 

con Sandra Bullock, Cate Blanchett, Anne Hathaway, Rihanna

Debbie Ocean ha passato cinque anni in carcere a progettare il colpo del secolo. Il piano è ambizioso: rubare una collana di Cartier del valore di 150 milioni di dollari. Ma per portare a termine quel piano ha bisogno di alleate, tutte donne perché "un lui si nota e una lei si ignora". La prima componente della banda è la sua partner storica nel crimine, la biker Louise. Seguono un'esperta di gioielli, una hacker, una borseggiatrice, una stilista di moda e una ricettatrice. Riusciranno le nostre antieroine a mettere a segno la grande truffa?

"Prima c'è il piano e la storia di sfondo. (...). Subito dopo: l'assemblaggio del team (diversificato in abilità e, idealmente, multietnicità). (...) Il film prende ritmo lentamente, offrendo sempre maggiori piaceri, principalmente sotto forma di azioni illecite e commedia, mentre si avvicina al suo clou. (...) Durante il primo atto, Debbie (Sandra Bullock) spiega che non assumerà un uomo qualificato nel suo team perché gli uomini attirano troppa attenzione: "Un 'lui' interessa, una 'lei' viene ignorata", dice a Lou (Cate Blanchett), impostando così il sottotesto sovversivo del film che usa l'invisibilità femminile come strumento di legittimazione. (...) Non è esattamente un film polemico, ma anche se gioca secondo le regole, riesce comunque a segnare un punto politico. Otto punti, a dire il vero."
Michael O'Sullivan, "The Washington Post"

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