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Letti per voi | Tutti i particolari in cronaca di Antonio Manzini

Antonio Manzini è noto per i suoi romanzi il cui protagonista è Rocco Schiavone, vicequestore romano in forza ad Aosta che ha il volto televisivo dell’attore Marco Giallini.

Non è questo il caso. La storia si sviluppa qui su piani paralleli, con due protagonisti che si fronteggiano e si raccontano attraverso i rispettivi sguardi e pensieri, narrati in prima persona e individuabili dal diverso carattere di stampa, con e senza grazie.

Ne parliamo qui perché il teatro di questa storia, anche se non è subito chiaro, è proprio la Bologna dei portici, citati in qualche luogo del libro con valenze inedite, ma comprensibili trattandosi di un poliziesco. Manzini inquadra dei portici il lato oscuro, notturno e respingente, l’aspetto terrifico e spaventoso, lontano da ogni retorica pittoresca e turistica.

Intanto i portici sono la scenografia ideale di pedinamenti: ci può riparare all’ultimo momento, nascondendosi dietro il fusto di un pilastro o di una colonna (p. 68).

Torri e portici, poi, e il clima talvolta inospitale di Bologna fanno da sfondo alle azioni di uno dei due protagonisti: 

“Fu sotto le torri che gli venne l’idea. Era semplice, fredda, rapida e decisa, come il vento che serpeggiava fra i portici e la piazza. Calzò il berretto di lana e allungò il passo verso la stazione” (p. 103).

Si cambia stagione, fa caldo e la città restituisce un paesaggio altrettanto inospitale, questa volta nella percezione dell’altro protagonista che ha un’opinione di Bologna molto lontana dalla consueta bonomia e comfort attribuite alle sue architetture:

 “Vado alla finestra a guardare la strada. Sudo. [...] Quant’è buia questa città di notte, come se avessero montato le lampadine da 10 watt sui lampioni. E’ tetra, può mettere paura se non ci sei abituato, se non ci sei nato. C’è troppa storia abbarbicata ai muri e fra i mattoni di queste vie sotto i portici. E troppi fantasmi. Si sentono camminare in su e in giù sui marmi e il selciato, non la lasciano, si sono affezionati a queste mura, torri e finestre. Forse è il motivo per cui tengono le luci basse e arancioni, per non infastidirli...”, (p. 188).

Infine, i portici e i loro chiaroscuri diventano il fondale perfetto di un addio: 

“Guardo la strada dalla vetrina e la vedo attraversare la piazza, l’ennesima occasione persa della mia vita sparisce dietro le colonne di un portico” (p. 283).

La caratteristica accoglienza dei passaggi coperti bolognesi, dunque, si converte in questo bel giallo in una macchina teatrale scostante e respingente, l’eccezione che conferma la regola.


 

Dal risvolto di copertina:

“La corsa all’alba, la colazione al bar, poi nove ore di lavoro all’archivio del tribunale, una cena piena di silenzi e la luce spenta alle dieci: Carlo Cappai è l’incarnazione della metodicità, della solitudine. Dell’ordinarietà. Nessuno sospetta che ai suoi occhi quel labirinto di scatole, schede e cartelle non sia affatto carta morta. Tutto il contrario: quei faldoni parlano, a volte gridano la loro verità inascoltata, la loro richiesta di giustizia. Sono i casi in cui, infatti, il tribunale ha fallito, e i colpevoli sono stati assolti “per non aver commesso il fatto” – in realtà per i soliti, meschini imbrogli di potere. Cappai, semplicemente, porta la Giustizia dove la Legge non è riuscita ad arrivare – sempre nell’attesa, ormai da quarant’anni, di punire una colpa che gli ha segnato la vita. Walter Andretti è invece un giornalista precipitato dallo Sport, dove si trovava benissimo, alla Cronaca, dove si trova malissimo. Quando il capo gli scarica addosso la copertura di due recenti omicidi, Andretti suo malgrado indaga, e dopo iniziali goffaggini e passi falsi comincia a intuire che in quelle morti c’è qualcosa di strano. Un legame. Forse la stessa mano…

 

Antonio Manzini

Tutti i particolari in cronaca

Milano, Mondadori, 2024

 

copertina del libro
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