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Piazza Cavour

E’ parte integrante della componente che si connota per una marcata identità postunitaria e deve il suo nome alla morte dello statista Camillo Benso concomitante con la progettazione della piazza.
Dal suo sorgere considerata il salotto buono della città, la piazza è frutto di trasformazioni che si consolidano fra il 1859 e il 1866, sotto l’egida del primo Ufficio tecnico di Bologna nell’Italia unita, guidato dall’ingegnere Coriolano Monti.
La genesi rimonta in verità agli ultimi momenti della gestione pontificia e alle mire di grandeur del conte Grabinski, proprietario del Palazzo Ruini Ranuzzi desideroso di ampliare la strada di accesso alla sua proprietà e collegarla al nucleo pulsante del centro storico. Le difficoltà incontrate una volta insediatosi il Monti lo spingono a velocizzare il processo, cominciando nottetempo l’atterramento di uno degli edifici che ostruivano l’avvio della nuova strada. A quel punto i due edifici al centro del dibattito sono definitivamente sacrificati con grande danno per le memorie cittadine. Infatti, all’interno di uno dei due, la casa Benati, vi era un notevole ciclo di affreschi di Lodovico Carracci che viene staccato in gran velocità ma di cui ora si sono per lo più perse le tracce: solo un riquadro oggi è visibile nella sala Reference della Biblioteca dell’Archiginnasio.
Nel nuovo slargo che si costituisce, dal 1861 cominciano a prendere forma gli edifici che tutt'oggi lo circondano: da est Palazzo Guidotti (già esistente ma rifilato per regolarizzarne la facciata), le palazzine Bottrigari, Palazzo Silvani sul fronte sud, il Palazzo della Banca d’Italia a ovest e, a nord, l’edificio che poi nel 1927 diverrà il Banco di Napoli.
Infatti, insieme alla non distante Cassa di Risparmio, questo comparto urbano si caratterizza proprio per la presenza di numerosi istituti bancari, destinazione che ne ha connotato nel tempo il tono di decoro e di sobria monumentalità.

vista della piazza cavour
Fonti


E. Gottarelli, Urbanistica e architettura a Bologna agli esordi dell’Unità d’Italia, Bologna, Cappelli, 1978, pp. 75-87, ma passim.

Foto: Wildlab per Bologna Welcome