calendario d'avvento 2024 |'L'arte di non scoprirsi troppo' di Riccomini

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en peu partout

Il giorno di Natale di un anno fa se ne andava Eugenio Riccomini, professore e storico dell'arte, uno dei divulgatori più efficaci di cose d'arte che Bologna abbia mai avuto. Una decina di anni or sono, nel 2013 per l'esattezza, lo studioso ha pubblicato un maneggevolissimo libriccino quadrato con alcuni itinerari sotto i portici, illustrati dalle fotografie di Giampaolo Zaniboni.

La sua prosa, poetica e sognante, chiosa le belle immagini dove prevalgono le tinte calde dei cotti e gli ocra degli intonaci.

L'arte di non scoprirsi troppo è il titolo dello scritto che scorre lungo il volume e che, naturalmente, racconta i portici visti da Eugenio Riccomini.

E' una tentazione troppo forte quella di leggere le architetture tipiche di Bologna come responsabili del 'carattere' dei bolognesi o, viceversa, evidenziare come solo dai bolognesi poteva sortire un'invenzione architettonica come il portico. Il solito dilemma dell'uovo e della gallina. Nello scritto di Riccomini, tuttavia, queste argomentazioni si fanno più argute e vale la pena di seguirle per un breve tratto:

Ci sarà anche qualche nesso, si immagina, tra questa nostra secolare assuefazione ad aggirarci sempre coperti e protetti e difesi dalle intemperie, e il vezzo tutto bolognese di non scoprirsi mai troppo, di moderare le opinioni, di aver sospetto e diffidenza d'ogni affermazione radicale; dando sempre una sottaciuta ma in fondo convinta preferenza per quella virtù che Guido Bacchelli aveva così bene individuato nel costume petroniano, cui aveva dato il nome di medietà: l'arte cioè, di non prendere parte troppo scopertamente, anche a scanso di possibili danni futuri, di possibili smentite della storia. 

E ancora, spigolando qua e là:  se del portico normalmente colpiscono le arcate o i capitelli, Riccomini sofferma il nostro sguardo sul pavimento:

Non ci si fa mai caso, se non quando si incontrano due o tre gradini [...] Ma anche i pavimenti, a volte possono attrarre l'attenzione. Siamo per la strada, fuori di casa; ma il portico è da sempre considerato come l'estensione di un interno. E infatti i portici mica sono asfaltati, né a cubetti di porfido né a ciottoli; sono invece i più vecchi, lastricati a mattoni, o più spesso rivestiti di un bel pavimento alla palladiana, [...], magari con qualche ornato a cornice, che talora reca la data di esecuzione, perlopiù ottocentesca.

 E a guardare avanti, nemmeno così si rischia la monotonia, dice, infatti il Nostro:

ogni percorso di raccordo fra le strade principali è in curva, più o meno marcata; e anche le vie maestre, tracciate in età medievale, non sono mai del tutto rettilinee. E non capita mai, quindi di scorgere, camminando, la fine di un portico come in un'esatta prospettiva rinascimentale o in un libro di geometria. Tutto è sempre visto e percepito in scorcio, in fuga variata; così come, procedendo, non è mai possibile afferrare in un'occhiata l'architettura del palazzo che ti scorre a lato, perché la vista intera è preclusa dallo scandire delle colonne, dei pilastri, e ciò che vedi è tutto di sguincio...

Tanti altri punti di vista offre la lettura che dei portici fa Riccomini, ai cui testi rimandiamo, con gratitudine.

 

Fonti

I portici di Bologna di Eugenio Riccomini, foto di Giampaolo Zaniboni, Bologna, L'inchiostro blu-Pendragon, 2013.