Infatti, il Comune, in accordo con la Soprintendenza, ha uniformato i corpi luce sotto i portici, eliminando la pletora di soluzioni illuminanti che si era accumulata nel tempo, ma anche cavi e punti luce fastidiosi alla vista, come nel caso di Piazza Santo Stefano, restituita ad un metafisico nitore.
Il lavoro, condotto dallo studio di progettazione I-DEA Luce e architettura dell'architetto Lorenza Golinelli e dell'ingegnere Alberto Ricci Petitoni, è stato documentato dal fotografo OSCAR FERRARI, in una mostra aperta fino al 25 giugno presso la Biblioteca Salaborsa (Scuderie, piazza Nettuno 3) dal titolo La luce di Bologna.
Abbiamo rivolto qualche domanda all’autore delle immagini. Ferrari, specializzato nella fotografia d’architettura, vive e lavora a Bologna.
In che cosa è diverso questo ciclo di fotografie rispetto alla sua produzione consueta?
Fotografo l'architettura da diversi anni ma questo lavoro presenta alcuni aspetti di novità e originalità rispetto a tutta la mia precedente esperienza professionale. In particolare la scala e la materia del progetto.
In che senso?
E' il primo lavoro fotografico commissionato che riguarda un ambito urbano, e sono piuttosto rari per non dire inesistenti oggi le richieste volte a documentare un intero ambito urbano seppure limitato al centro storico, anche nel caso di interventi urbanistici è difficile avere come sviluppo un'estensione così ampia. A memoria ricordo due esempi emblematici su tutti: i fotografi incaricati dal Comune di Parigi per documentare - prima e dopo - le grandi trasformazioni urbane dirette da Haussmann negli anni 50-70 dell'800 e l'indagine sul centro storico condotta da Paolo Monti su incarico del Comune di Bologna nel 1970.
Nel mio caso la richiesta di eseguire la documentazione non deriva dalla municipalità ma dal progettista privato che ha avuto l'incarico di effettuare il rinnovamento dell'illuminazione urbana di Bologna, lo studio di progettazione I-dea di Imola, da anni operante in questo ambito specifico.
Riguardo alla materia invece?
E’ il primo lavoro in cui l'oggetto della progettazione è immateriale. Ho fotografato una gran varietà di architetture, case uffici chiese ospedali palestre o cimiteri etc... qui non c'è l'architettura ma solo il modo di illuminarla, la luce è il vero e unico protagonista del progetto. Inizialmente non sapevo come affrontare un lavoro così ampio. Fotografare un progetto di illuminazione non vuol dire mostrarne i corpi illuminanti, restaurati o riprogettati, quello sarebbe un lavoro relativamente semplice di documentazione industriale, ma al contrario far vedere la luce che si diffonde su architetture portici e piazze senza avere la precisa percezione di dove venga. La luce che accentua o nasconde a seconda della sensibilità del progettista
Come ha lavorato ‘in notturna’? E come il suo lavoro si differenzia rispetto alle fotografie riprese con la luce naturale?
Non voglio fornire informazioni tecniche da manuale fotografico ma piuttosto una riflessione utile per chi lavora con la luce, o per chi semplicemente si trova per diletto a fare fotografie notturne senza mai avere pensato a cosa comporta. Possono sembrare ovvie e banali, ma tra luce naturale e artificiale vi sono differenze tutt'altro che banali se viste dal punto di vista del fotografo.
Non luci e ombre ma luce e buio, forse?
La luce naturale dipende ovviamente dal sole che nella sua “rotazione” (il fotografo attende che il sole “giri” per avere diverse luci-ombre) illumina in maniera diversa ogni elemento architettonico, poniamo ad esempio una porta cittadina. La porta, nelle diverse ore del giorno, è sottoposta a diverse situazioni luminose trovandosi con lo stesso lato a favore o contro luce e in questo arco di tempo si generano ombre proprie e portate via via diverse. La luce artificiale non produce questo effetto ma si diffonde in maniera uniforme sul volume da illuminare rimanendo costante in qualunque ora della notte.
La luce artificiale sottrae al buio la parte illuminata, non ci sono zone in ombra ma zone via via più al buio man mano che ci si allontana dalla sorgente luminosa diventando sempre più nere e meno leggibili. Scomodare Caravaggio aiuta a capire il concetto dei corpi sottratti al buio.
Sembrerebbe un lavoro completamente diverso...
Il sole offre un punto di illuminazione unico, più o meno forte a seconda se il cielo è coperto o meno ma la fonte luminosa da tenere sotto controllo è una sola, mentre in una città di notte le fonti luminose sono infinite. Oltre a quelle progettate e disposte con cura per non abbagliare, ce ne sono tante altre che sembrano fatte apposta per disturbare entrando in conflitto con le prime e soprattutto col fotografo, ad esempio: vetrine, insegne, illuminatori stradali, semafori fari di automobili etc...ognuno disposto più o meno casualmente e quasi impossibile da governare fotograficamente.
La luce diurna non produce scherzi. Per quanto variabile è molto più gestibile da parte del fotografo perché se non si mette completamente col sole contro (ma chi lo fa?) difficilmente incontra riflessi indesiderati. La fotografia notturna al contrario sottopone il fotografo ad un'infinità di elementi avversi. La miriade di stelle a 8 -10 punte a seconda dell'otturatore che si generano in presenza di fonti luminose puntuali, scie colorate di rosso o bianco prodotte dai fari di auto e biciclette in movimento, riflessi prodotti da illuminatori stradali a palo o tesata. Questi ultimi sono i più difficili da gestire perché se la lampada che li genera è nel campo da inquadrare non si può certo attendere che il riflesso si sposti come farebbe il sole, o si tengono i riflessi o non si fa la fotografia.
Lo spazio a questo punto come viene percepito? I nostri portici come si comportano?
L'alternanza luce naturale-artificiale modifica chiaramente la percezione dello spazio, e gli effetti di questa variazione a mio parere sono maggiormente avvertibili nel particolare e caratteristico spazio del portico.
Di giorno, illuminato esclusivamente dall'esterno, raccoglie luci e ombre portate disegnando a terra la tipica alternanza ritmica che si distende in prospettiva. Di notte avviene l'esatto contrario, la luce che proviene esclusivamente dall'interno, perlopiù diffusa dalle volte, fa percepire lo spazio che è pubblico, come un ambiente intimo e privato, un corridoio domestico, una stanza o una navata di chiesa.
Le foto sono di Oscar Ferrari, tutti i diritti riservati