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Jules e Edmond Goncourt

Jules e Edmond Goncourt, L’Italie d’hier. Notes de voyage, 1855-1856

"Locanda e osteria della Nova. La domenica c’è la festa da ballo alla locanda, sulla montagna. L’entrata costa cinque baiocchi. Per le scale i monelli dagli occhi tondi e neri mendicano un mozzicone di sigaro. Al botteghino sono seduti degli individui dagli enormi tricorni, tricorni così grandi che si vedono solo in testa ai gendarmi di cera in qualche scena criminale. La sala è un ambiente lungo spropositato. L’orchestrina è appesa a mezz’aria.
Gli uomini passeggiano a gruppi, le giacche a falde, i cappelli a cilindro o con grandi mantelli biancastri. Alle finestre della sala pendono dei tendaggi rosa ribes uniti a tendaggi azzurri ornati di galloni d’oro matto. Quattro grandi lampadari di vetro lavorato di Venezia portano candele da chiesa, ceri lunghissimi e sottili; alle parei delle lumiere dello stesso genere. Il maestro di ballo, in gilè bianco, apre le danze.
Ogni cinque passi ogni coppia si prende per mano, va e viene su se stessa, dividendosi e riavvicinandosi, poi si riprende per mano, riprende il via e si ferma più lontano. Questa passeggiata, intervallata da soste e da una specie di dondolii, dura un bel pezzo. Poi l’orchestra intona un valzer molto stridulo nel quale gli ottoni hanno la meglio. Le coppie ballano facendo sempre il giro della sala, con gli spettatori che stanno nel mezzo. Ballano e ballano senza sosta. Le donne tengono in mano dei fazzoletti che passano ai compagni di ballo. Questi li usano per avvolgere loro la vita e non sporcare il vestito. L’altra mano del ballerino ricade sul fianco. Il valzer gira e gira e le vesti spazzano le pareti. Le coppie danzanti si sfiorano, le vesti sbattono e si respingono e sembrano saltare sui muri e rimbalzare. Le gonne sono aperte sul fianco e il movimento oscillante lascia vedere la sottoveste, a triangolo, come un ventaglio bianco pendente dalla cintola. Trascinati nel vortice, coppie di uomini tarchiati e obesi si mettono a girare, individui in gilè di fustagno, girano, girano, girano meccanicamente e beatamente come le marionette di un organino. L’orchestra continua a suonare il valzer, come una banda, sulla medesima aria, mentre le coppie girano senza tregua e sembrano sciogliersi le une sulle altre senza rumore e senza fretta: un valzer lento, monotono, eterno.
Donne con la scriminatura su un lato della testa e riccioli tirabaci sulle tempie, con ciuffi che cadono loro sull’occhio sinistro; scialli a righe rosse attaccati alla cintola, più o meno come le nostre arlesiane.
E in questo valzer eterno e senza requie che un eterno ritorno di ottoni che strombazzano a perdifiato fa frullare e rifrullare, uomini e donne sembrano perdersi e spogliarsi di loro stessi. È come se in loro non vivesse e non pensasse altro che una molla girevole. Il loro sguardo si perde. I loro occhi sgranati si fanno ebeti e diventano fissi come quelli degli automi, mentre i loro tratti si distendono e si rasserenano sotto l’effetto di un piacere senza idee e senza sforzi, come i volti dei morti che si riposano cullati dal nulla”.

Ultimo aggiornamento: lunedì 20 giugno 2011