La monaca di Monza

 

La monaca di Monza è uno dei personaggi di primo piano de I Promessi Sposi: entra in scena nel cap. IX e la digressione, che narra la sua storia, occupa tutto il capitolo successivo; nella prima stesura del Romanzo le erano dedicati ben sei capitoli.

Gertrude viene descritta con dovizia di elementi fisici, molti dei quali rivelano lati del suo carattere. Alcuni particolari dell’abbigliamento (il saio attillato, la ciocchettina di neri capelli che esce dal velo), così come certi suoi atteggiamenti (la fronte si raggrinzava spesso, i movimenti delle labbra improvvisi, la mano appoggiata languidamente alla grata) sono rivelatori di una situazione di tormento, di contrasto tra forze opposte, in lotta fra loro, che la fanno apparire stanca e più vecchia (una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta).

Il flashback che ne racconta l’infanzia e l’adolescenza mostra la volontà debole e suggestionabile della fanciulla, condannata alla clausura per realizzare i progetti di potere del padre-padrone. Così, per evadere da una realtà che non accetta, la giovinetta si rifugia nella fantasia, oscillando continuamente fra atteggiamenti opposti, fra orgoglio e bisogno d’affetto, fra pentimenti e ripentimenti (un vagar faticoso dietro a desideri che non sarebbero mai soddisfatti).

Quando entra definitivamente in convento, Gertrude potrebbe essere una monaca santa e contenta, ma è capace solo di odio verso la propria condizione; mostra negli sfoghi un‘indole bisbetica e leggiera, ostenta disprezzo nei confronti delle consorelle: la vista di quelle monache che avevano tenuto di mano a tirarla là dentro, le era odiosa […] Qualche consolazione le pareva talvolta di trovare nel comandare […] nel sentirsi chiamar la signora; ma quali consolazioni!

La sua totale mancanza di forza morale e quindi l’incapacità di ribellarsi al male, la conducono, infine, al rapporto con lo scellerato Egidio (la sventurata rispose) e all’assassinio della conversa.

Il personaggio di Gertrude appare pertanto come una vittima, ma, al tempo stesso, come una persona che sceglie liberamente l’iniquità; il narratore esprime per lei biasimo e, al tempo stesso, comprensione e pietà. Alla monaca infatti manca la dimensione della fede: [La religione cristiana] è una strada così fatta che, da qualunque labirinto, da qualunque precipizio, l’uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d’allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine, nonostante la dolorosa storia della monacazione forzata.

La vicenda tragica della giovane, con un finale che suggerisce l’abisso di degradazione in cui la sventurata precipita, lascia nella memoria del lettore una traccia destinata a durare. La ‘malattia della volontà’ e la solitudine che la caratterizzano, infatti, la fanno sentire ‘contemporanea’, poiché sono tratti distintivi di tanti personaggi della letteratura del Novecento.