DON ABBONDIO
“Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima ancor quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti che lo vollero prete”.
Così il narratore presenta il carattere dell’anziano curato, che “non era un cuor di leone”, ma era invece attaccato alle proprie abitudini e alla propria “neutralità disarmata”. Egli compare con frequenza nel romanzo ed ogni volta il suo quieto vivere viene stravolto da avvenimenti inaspettati e imprevedibili. Nel capitolo 1°, se ne tornava “bel bello” dalla passeggiata quando, alla svolta della stradicciola, gli si presentano alla vista i due bravi. Successivamente egli legge tranquillamente il suo libro e si pone domande circa quell’ignoto Carneade, quando Lucia e Renzo tentano il matrimonio a sorpresa.
Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione.
Al capitolo 23° il curato è tranquillo nel paese dove il cardinale Borromeo è in visita, quando viene fatto chiamare per andare a prendere Lucia al castello dell’Innominato, ma non si fida della conversione di quest’ultimo e rimane stupito davanti alle dimostrazioni di intesa tra il Cardinale e il potente signore:
Don Abbondio, a quelle dimostrazioni, stava come un ragazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo cagnaccio grosso, rabbuffato, con gli occhi rossi, con un nomaccio famoso per morsi e per ispaventi, e senta dire al padrone che il suo cane è un buon bestione, quieto, quieto.
Al capitolo 25° il curato sta preparando ogni cosa per il desinare, quando viene fatto chiamare dal cardinale Federigo, per la mancata celebrazione delle nozze tra i due promessi sposi. Il colloquio conferma ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, il carattere di don Abbondio, che conclude la prima parte della conversazione con la celebre frase: Il coraggio uno non se lo può dare.
Nel capitolo conclusivo egli cerca ancora di differire le nozze, ufficialmente a causa della “catturaccia” (ossia del bando di cattura che ancora pende sul capo di Renzo) e, solo quando apprende che don Rodrigo è morto, accetta di sposare lui stesso i due promessi e di fissare il giorno delle nozze. Le esperienze della vita non l’hanno cambiato.
(Caletti Gian Marco, 5^S2)