ULISSE OMERICO

PROEMIO ODISSEA

L’ odissea inizia con il proemio nel quale Omero invoca la Musa Calliope  affinché gli parli di Odisseo. La figura dell’eroe emerge subito con le sue caratteristiche più rilevanti: uomo di “multiforme ingegno che città vide molte”.

Odissea 1, 1-15 [traduzione Ettore Romagnoli]
L’uomo ricco di astuzie raccontami , o Musa, che a lungo
errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi.
Ma non li salvò, benché tanto volesse,
per loro propria follia si perdettero pazzi!
che mangiarono  bovi del Sole Iperione,
e il Sole li distrusse il giorno del loro ritorno.
Allora tutti gli altri, quanti evitarono l’abisso di morte,
erano a casa, scampati dalla guerra e dal mare;
lui solo, che sospirava il ritorno e la sposa,
la veneranda ninfa Calipso, la splendida dea, tratteneva
negli antri profondi, volendo che le fosse marito.

POLIFEMO
Odisseo e i suoi compagni entrano nella grotta del ciclope Polifemo, figlio del dio Nettuno, e, con stupore misto a timore, osservano gli smisurati utensili e la grande quantità di formaggi e ovini.
I compagni consigliano di prendere del cibo e fuggire, ma Odisseo desidera aspettare per vedere chi abiti questo antro.

Odissea 9, 23-54 [traduzione Ippolito Pindemonte]

Racceso lo foco, un sagrifizio alli Numi
femmo, e assaggiammo del rappreso latte:
indi l’attendevam nell’antro assisi.
Venne, pascendo la sua greggia e in collo
pondo non un lieve di risecca selva,
che la cena cocessegli, portandogli.
Davanti all’antro gettò lo carco, e tale
levossene un romor, che sbigottiti
nel più interno di quel ci ritraemmo.
Ei dentro mise quelle feconde madri,
e gl’irchi e ciel scoperto e li montoni
in la corte lasciò. Poscia una vasta
sollevò in alto poderosa pietra,
che ventidue da quattro rote e forti
carri di loco non avriano smossa
e l’ingresso accecò dilla spelonca.
Fatto, le agnelle, assiso, e le belanti
capre mugnea, tutto serbando il rito,
e a questa i parti mettea sotto a quella.
Mezzo lo candido latte insieme strinse,
e sur i canestri d’intrecciato vinco
collocollo montato; e l’altro mezzo,
che dovea della cena esser bevanda,
il ricevero i pastorecci vasi.

 

L’incontro con il ciclope è dunque quello che meglio rappresenta una delle componenti dell’eroe: la voglia di conoscere anche a rischio la vita, poiché l’eroe ritiene il sapere la cosa più importante che eleva l’uomo dalle bestie.

Celebre il verso dantesco:”fatti non foste per vivere come bruti ma per seguire virtute e conoscenza” pronunciato da Ulisse posto dal poeta all’ inferno per la sua eccessiva smania di sapere.

 

IL CAVALLO DI TROIA

Odisseo riesce in una notte a ottenere il risultato che i sovrani micenei, in dieci anni di guerra, non hanno neppure sfiorato. L’idea del cavallo e dell’inganno stravolge il modo di pensare la guerra; nell’epoca micenea le battaglie non sono altro che mischie furibonde nelle quali ogni wanax si misura col suo nemico personale per ottenere maggiore gloria.

Ingannare è un’idea impensabile e quindi l’inganno, volto a  fare un numero minore di morti dalla propria parte, nota già uno spirito collettivo che considera un valore la vita in quanto tale.

Eneide 5, 7 [traduzione Giuseppe Rainolo]

All’aria li rende così lo caval dischiuso
e lietamente calando giù per una fune
balzano fuori dal cavo legno Tessandro e Stenelo duci
e Ulisse crudele e Acamente e Toante e Neottolemo,
Pelide Macaone, fra i primi Menelao e lo stesso Epeo
che dell’inganno era stato l’artefice

 

(Jacopo Cavazza Isolani, 5^S2)