Progetti di lavoro (2-3, dicembre 1995; 4-5, gennaio 1996)


[img 0]  PROGETTO DI LAVORO: Myrto Konstantarakos
Pasolini, Bachtin e il cinema

Non ci sono prove che Michail Bachtin e Pier Paolo Pasolini si conoscessero, ma i loro pensieri hanno sorprendenti elementi in comune. Alcuni sono ovvi e sono stati abbondantemente studiati. Si tratta innanzitutto del dialogismo bachtiniano di cui si trovano numerosi esempi nell'opera di Pasolini: dall'uso del discorso indiretto libero nella prosa, al modo di scegliere e doppiare gli attori nel cinema. Il secondo concetto che li accomuna è il carnevale. Durante la festa propriamente detta e nella versione letteraria che ne propone Rabelais, studiato da Bachtin, i marginali e gli oppressi diventano protagonisti e si ribellano contro l'autorità rovesciando l'ordine costituito. Se questo si può riconoscere come il comportamento prediletto di Pasolini nelle posizioni politiche e nella vita privata, nelle opere insulti, soprannomi e rappresentazioni di parti basse (l'accoppiarsi, il defecare, l'urinare e il mangiare identificati da Bachtin come gli elementi essenziali del carnevale popolare) caratterizzano in particolare i suoi film.
Ma l'assenza da parte di Bachtin di una riflessione articolata intorno al cinema è per lo meno sorprendente soprattutto quando si conosca il successo dei film sovietici dell'epoca e l'interesse che i suoi coetanei provavano verso il nuovo medium. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che Bachtin accomunava il cinema al teatro, a lui sospetto per l'esito monologico provocato dalla voce alta dello spettacolo. Mi pare che il cinema si avvicini invece piuttosto alla forma scritta a causa della sua natura «registrata». Anche se Bachtin non ha scritto sul cinema, le categorie da lui identificate sono state applicate al cinema per esempio da Gérard Genette, Julia Kristeva, Gilles Deleuze, Naomi Greene e Robert Stam, che si sono però concentrati principalmente sul dialogismo e sul carnevale. Pochi sembrano essersi invece preoccupati seriamente della nozione di cronotopo. Il cronotopo è la matrice spazio-temporale che dà forma a ogni tipo di narrazione e ne determina il genere perché indica sempre una visione ideologica del mondo. Corpi e luoghi di Giuseppe Perrella e Mario Mancini è l'unico lavoro che si proponga una riflessione di questo tipo, anche se, sfortunatamente, non ne tenta un'estensione oltre i film di Pasolini e non include una considerazione adeguata del crono, del tempo che, secondo Bachtin, non si può dissociare dal topos, dallo spazio.
Lo spazio e il tempo sono nozioni centrali nell'opera di Pier Paolo Pasolini. Egli oppone l'interno all'esterno, il centro della città alla periferia, e i luoghi chiusi alle strade. Questo contrasto provoca il movimento continuo dei personaggi, che deve essere lento perché essi sentano che cambiando luogo cambiano mondo. Le opposizioni spaziali sono accompagnate da quelle temporali: i personaggi viaggiano spesso la notte oppure nella calura del giorno quando non c'è nessuno in giro. La luce si oppone al buio, l'inverno all'estate. Ma Pasolini sembra alla ricerca della risoluzione di questi contrasti in un'unità ideale, che si manifesta in modo più vistoso forse nel suo ultimo romanzo incompiuto, Petrolio.

Bibliografia


PROGETTO DI LAVORO: Monica Jansen
Il dibattito sul postmoderno in Italia

Sto preparando presso l'Università di Utrecht una tesi di dottorato sull'introduzione nel dibattito italiano della categoria del postmoderno, concetto formulato in un primo tempo all'estero da pensatori come Hassan, Lyotard, Habermas e Jameson. Attraverso una descrizione analitica di alcune polemiche e della ricezione di autori italiani come Eco e Calvino, cercherò di stabilire l'importanza della categoria del postmoderno sia nel dibattito teorico che nella produzione letteraria.
L'introduzione del postmoderno in Italia viene spesso descritta come un processo interdisciplinare che coinvolge una pluralità di voci che vanno dall'architetto Paolo Portoghesi al critico d'arte Achille Bonito Oliva al filosofo Gianni Vattimo. Mentre gli «esponenti» appena nominati si mostrano, se non del tutto favorevoli, in ogni caso aperti ai vari contenuti del postmoderno, nel campo della letteratura i critici sembrano invece molto più restii ad accogliere in mezzo a loro il «cavallo di Troia» del postmoderno. Romano Luperini, per esempio, considera il postmoderno come una reale minaccia per ogni tipo di ragione critica e lo identifica tra l'altro soprattutto con il «pensiero debole» di Gianni Vattimo. Generalizzando si può supporre che il dibattito sul postmoderno in Italia rimanga segnato da una opposizione fondamentale nata dalla crisi del marxismo, che è quella fra (neo)marxisti, che provano a ripostulare una nuova razionalità critica e dialettica, e (neo)ermeneutici, che, come Vattimo, ritengono che l'ermeneutica sia l'unica via non metafisica per comprendere l'esistenza in una realtà pluralistica.
Per poter analizzare l'ipotesi che questo panorama variegato sia comunque dominato da una più forte voce marxista, verrà esaminata in primo luogo una rivista che sembra corrispondere perfettamente a tutte le condizioni enumerate prima, ovvero «Alfabeta» (1979-1988), che si rivolge esplicitamente a un pubblico post-sessantottesco, che è edita da una redazione composta da diverse correnti intellettuali (neoavanguardia, semiotica, ermeneutica e neomarxismo) garantendo così una molteplicità di voci, e che con una serie di interventi su un argomento specifico dedica anche attenzione alla dimensione internazionale del dibattito sul postmoderno (si veda la partecipazione di Habermas e di Lyotard). Questa rivista poi ha terminato di esistere nel 1988 in seguito a una controversia tra ermeneutici e neomarxisti. Questa polemica che all'interno di «Alfabeta» ha causato una scissione della redazione, forse non è rimasta limitata alla rivista ma è sintomo di una scissione anche nel campo della produzione e della critica letteraria.
Ho detto all'inizio che l'intento di questa ricerca è duplice: l'introduzione e la possibile assimilazione di un concetto che viene importato dall'estero verranno studiate sia sul piano del dibattito teorico sul postmoderno che su quello della produzione e della critica letteraria. L'indagine si divide pertanto principalmente in due componenti. La prima parte verte su tre polemiche che rendono esplicite le interazioni al livello nazionale e internazionale, ossia la polemica tra Habermas e Lyotard, la polemica intorno al pensiero debole di Vattimo e infine quella sull'eredità letteraria e culturale della neoavanguardia del Gruppo 63.
La seconda parte, quella di maggior rilievo per questa ricerca, riguarda l'effetto che questa discussione complessa sul postmoderno potrebbe avere sulla critica e sulla produzione letteraria. Si studieranno alcuni casi interessanti di ricezione (Eco, Calvino e i «giovani narratori») rispetto ai quali la critica letteraria all'estero (specialmente negli Stati Uniti) ha giocato un ruolo di rilievo. Vengono analizzati anche alcuni casi di produzione letteraria che denotano forse uno sviluppo verso tematiche o stili postmoderni (Tabucchi e Vassalli). In conclusione vorrei fare anche alcune osservazioni su come questo quadro si potrebbe sviluppare nel futuro riferendomi soprattutto alle nuove proposte poetiche del Gruppo 93. [Monica.Jansen@let.ruu.nl]


PROGETTO DI LAVORO: Daniela Baroncini
Per un'arte nuova classica
Parte seconda: Ungaretti e "Valori Plastici".

Una parte del progetto di ricerca sull'idea ungarettiana del classico è dedicata alla rivista "Valori Plastici" (1918-1922), che Ungaretti annovera tra i protagonisti europei del nuovo classicismo, insieme a Apollinaire, Valéry, Picasso, Stravinskij, Carrà e "La Ronda". Per l'esigenza di misura, equilibrio e serietà del mestiere "Valori Plastici" può infatti essere considerata un'espressione particolarmente significativa e originale del rappel à l'ordre che nel dopoguerra coinvolge anche le arti figurative. I collaboratori della rivista, soprattutto De Chirico, Savinio, Soffici e Carrà, indicano concordemente nel recupero della figuratività tradizionale la via per realizzare il connubio tra la modernità e la tradizione, creando così un'arte nuova attraverso il ritorno ai classici. Essi ripudiano il disordine e l'anarchia degli sperimentalismi avanguardistici, contrapponendovi il recupero dei valori stilistici tradizionali e l'equilibrio della composizione. Carrà propone un ritorno alla pittura di Giotto, della quale ammira peraltro "l'ossatura cubistica", ma nello stesso tempo condanna il classicismo accademico e reazionario, in perfetta sintonia con l'amico Ungaretti, mentre Savinio difende la ricostruzione dei valori artistici tradizionali, da attuarsi con l'ausilio di una sorta di religio della memoria. L'esperienza di "Valori Plastici" si distingue dunque per un classicismo profondamente rinnovato, che non rinnega la modernità a favore di un'inerte archeologia del passato, ma al contrario la interpreta attraverso il recupero della tradizione. Tale tendenza è incarnata nell'opera di De Chirico, il pictor classicus che negli anni Venti unisce in una sintesi originale il classico e il moderno. Da questo classicismo temperato dall'ironia sorge la pittura nuova classica.
La linea di "Valori Plastici" viene giudicata con favore da Ungaretti, il quale aspirava a un'arte che restituisse vitalità ai miti antichi, considerati non come "modi neoclassici d'imitazione oziosamente accademica", ma "figure di una giovinezza spirituale ritrovata".
In questo senso si può affermare che il movimento legato a "Valori Plastici" rifletta in maniera speculare una tendenza europea che raggiunge con Ungaretti un'espressione particolarmente intensa.
Parte prima - Parte terza


PROGETTO DI LAVORO: Eleonora Conti
Da Marinetti a Bontempelli: la mediazione culturale tra la Francia e l'Italia all'inizio del XX secolo.

Agli albori del Novecento, Parigi costituisce nel panorama artistico internazionale un mito senza rivali. La meta deputata per un «salto vitale» sinonimo di modernità, aggiornamento, vitalità. Anche numerosissimi intellettuali italiani scelgono di recarsi in pellegrinaggio artistico nella ville-lumière, pur se con modalità differenti e perseguendo diversi risultati.
Da Marinetti a Bontempelli, attraverso Papini, Soffici, Ungaretti, Savinio, seguendo il filo privilegiato delle riviste che si propongono di essere ponte di scambio e mediazione tra Francia e Italia, la ricerca, che sto svolgendo presso l'Université de Paris-Sorbonne, intende ricostruire con quali contenuti e modalità tale mediazione si attui, abbracciando il periodo che va dal 1905, data di nascita di «Poesia», la rivista fondata a Milano da Marinetti, al 1929, anno di morte di «900», espressione del singolare progetto bontempelliano di apertura dell'Italia all'Europa, in tempi ormai di piena chiusura e restaurazione nazionalistica e classicistica.
La gamma dei mediatori scelti a rappresentare una campionatura significativa dei modi della mediazione italo-francese, vuole dare ragione delle varie modalità in atto e del mutare della prospettiva nel trascorrere dei decenni. Dai primi anni marinettiani, testimoni di un milieu culturale ancora impregnato di umori simbolisti e segnati, sul versante italiano, dalla presenza di tre numi tutelari indiscutibili (Carducci, D'Annunzio, Pascoli), attraverso l'avventura del futurismo (Marinetti, Papini, Soffici) e dei suoi punti di contatto col cubismo e con le avanguardie francesi (in primo luogo Apollinaire) si giunge al nodo centrale e privilegiato rappresentato da Ungaretti, il cui progetto di mediazione si dispiega dagli anni precedenti la prima guerra mondiale attraverso il dopoguerra e per tutta la vita, costante negli intenti e mutevole nella prospettiva dettata dai diversi momenti storici: dalle prime avanguardie al surrealismo a una nuova complessa e mai scontata concezione di classico. Dalla asistematica posizione di Savinio, sospeso tra avanguardia e esigenza di dare «forma all'informe», si approda infine a Bontempelli, in un'epoca in cui un progetto di apertura all'Europa non rappresenta più una soluzione pacifica e scontata, poiché alla necessità per le lettere e le arti italiane di confrontarsi con la Francia per attingerne modernità, subentra l'idea, più in sintonia con il nuovo momento storico, della necessità di un'espansione italiana all'estero mirante ad una valorizzazione del patrimonio culturale nostrano.
La ricostruzione di un quadro così ampio, che meglio si esplicherà col procedere delle ricerche, nell'individuazione di alcune linee significative, ha per fine ultimo quello di definire quanta modernità sia passata in Italia attraverso la Francia e come si sia concretizzata nelle opere dei mediatori presi in esame: quali sono gli autori che essi fanno conoscere in Italia, quali i risultati propriamente letterari nati da tale mediazione e quali le ragioni storiche e culturali di tali scelte.


nn. due-tre, dicembre 1995 e quattro-cinque, maggio 1996



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