Progetti di lavoro (n. uno, agosto 1995)


PROGETTO DI LAVORO: Marco Antonio Bazzocchi
Pasolini, Calvino e la letteratura.

Il progetto si fonda sull'ipotesi che dalle opere di alcuni scrittori - in questo caso soprattutto, ma non solo, Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini - si possano ricavare figure simboliche capaci di dare un significato a quei fenomeni che poi, a livello critico, vengono intesi come «modernità». La letteratura, in altre parole, è vista come indagine antropologica in cui si proiettano forme concrete dell'immaginario. Per Pasolini, le analisi riguarderanno i continui tentativi di creare un rapporto tra le immagini della soggettività e il gruppo sociale a cui il soggetto appartiene, in un movimento alterno di fusione e distacco critico. I campioni di indagine provengono soprattutto dal primo e dall'ultimo Pasolini: da una parte il giovane intellettuale di Casarsa che teorizza la regressione linguistica come strumento di poesia, e dall'altra lo scrittore che progetta un'opera totale ed epocale, Petrolio, dove la fine dei tempi coincide con la trasformazione assoluta dell'individuo moderno. In questo caso il concetto conduttore sarà appunto quello mitico di «fine del mondo» (De Martino), che costituisce il sottofondo di tutta l'opera pasoliniana. Dell'opera di Calvino verranno privilegiati i racconti del dopoguerra, il progetto della Trilogia e il filone «cosmicomico». Il contesto culturale sarà quello della filosofia fenomenologica, che coinvolge soprattutto i primi racconti, e il modo in cui, in direzione diversa da quella di Pasolini, i fenomeni di regressione al mondo primitivo, di scissione della personalità e di recupero del mito emergono pur all'interno di un progetto razionale e illuminista.


PROGETTO DI LAVORO: Vitaniello Bonito
Gelo e sguardo in Cosimo Ortesta.

Partendo da alcuni inediti di Cosimo Ortesta (di prossima pubblicazione su «Gli immediati dintorni») nei quali ho cercato di mettere in luce alcune costanti della sua poesia, un diario di lavoro a seguire potrebbe interessare un'analisi più generale e articolata delle strategie concettuali e tematiche di questo straordinario poeta contemporaneo. Si tratterebbe di sondare a fondo una finora esigua produzione per quantità di testi, non certo per densità e qualità. Le tre raccolte pubblicate (Il bagno degli occhi, Milano, Società di poesia, Guanda, 1980; La nera costanza, Palermo, Acquario - La nuova Guanda, 1985; Nel progetto di un freddo perenne, Torino, Einaudi, 1988) attraversano un decennio ma, soprattutto per la prima, bisogna far riferimento al decennio che precede gli anni Ottanta. Da una poesia diffratta, decentrata, disgregata anche nella prosa vertiginosa che nega se stessa, Ortesta si è inoltrato in un'esperienza meno traumatica dal punto di vista delle strutture formali per concentrare nelle pulsazioni d'un verso respirato elementi d'una poesia riconoscibile e implacabile. La mia analisi vorrebbe giungere, dopo aver presentato alcuni temi costanti della sua poesia, a disegnare una mappa delle loro variazioni. Uno di questi temi è certamente rappresentato dal «gelo», dalla «neve», come elementi «progettati» di un «freddo perenne». Elementi che investono non solo il mondo, ma anche la percettività della poesia, l'occhio che queste cose guarda e da cui viene guardato, in una fissità che raggela i corpi esponendoli ad un «crudo splendore», medium feroce che li separa e li unisce allo stesso tempo. Si è in presenza di uno sguardo totale che coglie di soprassalto l'oggetto, lo definisce lo isola e lo immobilizza attraverso una luminosità fredda e sfolgorata che lo ingloba e lo rilancia nell'asfissiante verità del suo essere. La poesia di Ortesta così sembra disegnarsi come un'esperienza estrema della parola che si fa occhio, visione regressiva che attraversa il proprio spazio esistenziale radendolo con la lama di una luce affilata e inesorabile.


PROGETTO DI LAVORO: Daniela Baroncini
Per un'arte nuova classica. Parte prima: Ungaretti e Apollinaire.

Alla «crise de l'esprit», drammaticamente espressa da Valéry nel 1919, l'Europa del dopoguerra contrappone un ritorno all'ordine che si manifesta nelle arti e nella letteratura essenzialmente come un recupero della tradizione e del classico. Da questo tempo inquieto sorge allora l'idea di un classicismo «ironico e moderno», «vivente e attivo», come suggerisce Anceschi nelle pagine su Eugenio D'Ors e il nuovo classicismo europeo. In Francia Apollinaire, il protagonista e l'animatore della stagione delle avanguardie, moriva lasciando in eredità alla generazione giovane il nuovo sentimento del classico. La Jolie Rousse rappresenta infatti una sorta di testamento poetico in cui egli, senza rinunciare al fascino dell'«aventure», afferma il valore dell'«ordre». L'idea di una dialettica feconda e costruttiva tra invenzione e tradizione, tra ordine e avventura, compare poi anche nella conferenza del 1917 sull'Esprit nouveau e i poeti, dalla quale risulta riabilitato il «buon senso» dei classici e si delinea la nozione fondamentale della libertà raggiunta attraverso il rigore, la ricerca formale e la disciplina del mestiere. Questa lezione viene accolta da Ungaretti, il quale elabora a sua volta una definizione del classico come «raggiungimento della libertà espressiva per la precisione di regole e la loro esatta osservanza» (Immagini del Leopardi e nostre, 1943). Come nota in una lettera inviata nel '19 a Papini, Apollinaire «stava trovando il valore classico della libertà». A tale proposito appaiono particolarmente notevoli le riflessioni condotte in Esordio (1924), dove Ungaretti osserva che Apollinaire, «l'uomo d'ogni avventura», inseguiva per singolare paradosso il miraggio di «ritrovare radici nel suolo riconsacrato della tradizione». In seguito poi, riflettendo sul panorama del ritorno all'ordine e del nuovo classicismo europeo degli anni successivi alla guerra, egli riconoscerà nella Jolie Rousse il documento più emblematico di quel periodo. Analogamente al proprio maestro, Ungaretti avverte così l'esigenza di conciliare l'«abbandono» e l'«azzardo», le «tradizioni» e le «scoperte», come testimonia lo scritto del '19, Verso un'arte nuova classica, che definisce in maniera paradigmatica questa poetica della rilettura dei classici tra ordine e avventura, opportunamente sottolineata anche dalla Montefoschi a proposito delle lezioni brasiliane. Contemporaneamente all'Esprit nouveau appariva poi nel '17 Tradizione e talento individuale, in cui Eliot, luminoso rappresentante, a giudizio di Fernandez, del nuovo classicismo «sano, severo, autentico», sosteneva la necessità di restituire vitalità al passato, innestando il nuovo sul tronco della tradizione. E questo, tradotto nei termini della nuova poetica ungarettiana, significava attingere l'innocenza attraverso la memoria.
Parte seconda - Parte terza


n° uno, agosto 1995



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