Agli interconnessi (1) |
Il porcello, venuto nel morir la state alle querci, appié la reina loro v'incontrò un boleto tutto ritto e scarlatto: perlocché accostati a quella invereconda porpora i duo buchi del grifo gli bofonchiò a livello:«io vo a tartufi». Questa favola ne ammonisce: che ad esercitare la critica, il buon critico deve prendere esempio dal porcello.
C.E. Gadda
L'esperienza quotidiana, il contatto con il mondo reale ci mostra che negli ultimi trent'anni la letteratura sembra aver perso molte delle sue ragioni vitali, si è congedata dall'immaginario collettivo, si è separata dal linguaggio. I ceti "colti" la considerano sempre più spesso un elemento ornamentale o, nella migliore delle ipotesi, un passatempo secondario. D'altro canto le accademie spesso fan mostra di essere circoli segreti che producono una scrittura criptata e senza scopo. Sembra prevalere in ogni caso l'idea che l'arte, la letteratura, l'italiana in particolare, non sia un luogo dove affrontare problemi, capire qualcosa, attivare processi di trasformazione. Chi la fa, ma anche chi la legge, rischia sempre di essere gettato agli estremi, o del consumo o dell'estasi, quando non si accontenti della semplice autosussistenza del discorso; la vita letteraria sembra scindersi tra l'esistenza breve e mediana dei suoi prodotti, appartenenti alla grande categoria indistinta del genere-libro, e la tautologia della ricerca individuale. E con ciò si assiste anche a una apparente perdita di spazio della critica.
Può essere che ci si debba rassegnare a questa situazione, pur colma di controtendenze e rigurgiti, e riconoscerla come grande o medio ciclo, o come fase di transizione. In realtà una simile consapevole deriva, con le sue alterne pulsazioni, ci viene dal cuore stesso della modernità, anche se ora, nella nostra condizione ipermoderna, le conseguenze e i caratteri sono forse trasformati. Alla contraddizione permanente tra normatività inconscia della sfera pubblica e fluidità esteriore delle istanze esegetiche, che ha contraddistinto l'onda corta del post-modernismo, si aggiungono ora altri segni, altre manifestazioni che fanno riflettere. Innanzitutto, al diffondersi di una dimensione allegorica, convenzionalista o mitica della letteratura non corrisponde sempre la presenza di comunità umane che sorreggano, incarnino, rielaborino quella dimensione. Ma se entriamo in un'era in cui il legame sociale dovrà essere continuamente creato e ricontrattato, o addirittura reinventato, come affermano sociologi e antropologi, ciò non può non far pensare a un radicale cambiamento anche delle funzioni della letteratura, e a un suo investimento obliquo, semantico o simbolico, nelle dinamiche sociali del riconoscimento e della coordinazione della distanza. Indubbiamente, e questo è un altro segno, la letteratura e la poesia si continuano a fare, nel sottobosco come nelle fiere, anche se va mutando la posizione assiologica che esse occupano nella pragmatica delle attività umane. Ma quel che a poco a poco sta cambiando forse più significativamente è la stratificazione, la distribuzione del letterario, che impone, di là dalla metafisica dell'Ecriture e dalla mitologia dell'oralità, una considerazione nuova della scrittura stessa, come luogo dello scambio e della pluri-appartenenza. E c'è un lieve aumento e differenziazione delle vie d'espressione, dei canali, e dei mezzi.
Il gruppo '93 ha insistito, più o meno efficacemente - ma quel che conta qui è il problema - su un ampliamento, una trasformazione del letterario, dal centro ai margini; forse a questo elemento va aggiunto un altro passaggio fondamentale, mostrato da Jauss: dall'esoterico all'essoterico. La marginalità tende a coordi nare la sua compresenza laterale, il suo incorniciamento, e a mettere in mostra la sua negoziazione dei canoni. Da un altro punto di vista, a un modello di registri "alto" e "basso", pare sostituirsi, più che la conclamata "ibridazione" generalizzata, la "collateralità" nascosta degli stili. Si tratta dunque di un essoterico paradossale, che va decifrato, ricostruito e messo in luce ricomponendo le sue manifestazioni esplicite ma non-comunicanti. Anche la critica sembra allora doversi esercitare sottopelle, in un lavoro di lettura, innanzitutto, e di comparazione, per provare e riprovare il "montaggio" di quelle collateralità, la loro reciproca messa alla prova. E per ritrovare i luoghi dove questo confronto si attui. Quindi è essenziale anche ricapire in primo luogo i generi letterari.
Un primo dato su cui riflettere a questo proposito è l'estrema mobilità e indeterminazione dei generi canonici, se si esclude, in parte, la commedia. Un testo del Novecento può essere rubricato quasi sempre sotto molte diverse etichette di genere, e a un medesimo genere sono attribuiti caratteri e funzioni molto differenti. A questa situazione si è reagito o riapplicando forzatamente categorie, o dichiarando l'improbabile fine dei generi.
Forse da un lato bisogna cambiare livello, come aveva intuito Bachtin, e affrontare il piano dei generi del discorso, microcronotopi della sfera pubblica. Dall'altro costruire una geografia storica dei generi del Novecento, con le loro riprese, riaccentuazioni e travisamenti. Ma forse, più di ogni altra cosa, occorre una ricomprensione del concetto stesso di genere. Maria Corti diceva che un genere è il luogo dove un testo entra in relazione con altri testi. Tutto sta nel vedere se entra per delle affini caratteristiche solo morfologico-funzionali, o per delle affinità nel modo stesso di "entrare in relazione". Occorre una teoria dei generi basata sui tipi di connessioni, non dimenticando gli studi degli studiosi novecenteschi che si sono mossi in questa direzione, come N. Frye. I generi sono in realtà grandi cronotopie che costituiscono, si potrebbe dire, l'orizzonte di potenzialità di certi prodotti scrittorii.
Il "Bollettino '900" nasce intorno a questi e altri problemi, con il proposito, che for se ci differenzia dal porcello, di intraprendere una ricerca collettiva. La quale potrebbe intitolarsi: "Dialogicità, parodia, realtà". E' stato detto di recente che andrebbero disincentivate le pubblicazioni (Santagata), ma forse si tratta ancor più di differenziarne il grado, la destinazione "sociale", ampliando il livello intermedio della comunicazione accademica: bozze, ipotesi, documenti di lavoro. La scelta stessa del doppio mezzo di trasmissione, tradizionale ed elettronico, non è casuale, con tutto il lavoro che comporta e comporterà sulle forme di comunicazione.
La I sezione ospiterà discussioni, interventi, resoconti sul lavoro che si va svolgendo. Nella II sezione saranno presentate le ricerche individuali, estratti dei lavori e progetti. La III ospiterà brevi recensioni e segnalazioni di libri o di iniziative che ci sembrano utili alla nostra ricerca. La IV infine informerà sulle iniziative più importanti del Dipartimento, su conferenze, cicli di lezioni, seminari.
Federico Pellizzi