Pochi mesi dopo l’uscita di un dettagliato libro sulle origini e la
vita pubblica e privata del trotskismo italiano negli anni Trenta (Eros
Francescangeli, "L’incudine
e il martello. Aspetti pubblici e privati del trockismo italiano tra antifascismo
e antistalinismo. 1929-1939"), Sara Galli aggiunge nuove interessanti
ricostruzioni e interpretazioni su questo passaggio della storia dei comunismi
italiani. La sua ricerca era partita da uno studio sulle donne nell’emigrazione
antifascista, lungo quel percorso si è imbattuta nel caso delle
“tre sorelle” e, affascinata dalla storia di queste tre donne, ha deciso
di farne l’oggetto della ricerca. Le tre sorelle Seidenfeld, in ordine
di nascita Gabriella, Barbara e Serena, furono protagoniste di una storia
memorabile ed esemplare della condizione femminile all’interno dell’emigrazione
antifascista e, più in generale, della presenza della donna nel
mondo della politica. Di origine ebraica ungherese erano arrivate in Italia
con la famiglia nei primissimi anni del novecento. Negli anni venti aderirono
al PCd’I sull’onda dell’entusiasmo per la rivoluzione Russa e per il nuovo
partito. Tutte e tre svolsero il ruolo di funzionarie comuniste, prima
in Italia e poi all’estero. In questo “viaggiare” per la politica e per
il partito due di loro conobbero i loro compagni di vita. Entrambi militanti
e dirigenti comunisti, unirono le loro vite e le loro sorti alle due sorelle:
Barbara divenne la compagna di Pietro Tresso, Gabriella di Ignazio Silone.
L’avvento della dittatura fascista costrinse all’esilio in Francia
Barbara e Gabriella con i rispettivi compagni, mentre Serena, nel 1928,
emigrò in URSS continuando a lavorare per il partito. Come
tante altre antifasciste fuggite dall’Italia assieme ai propri cari, dovevano
svolgere un ruolo molto importante nel costruire e mantenere quella fitta
rete di rapporti politici, familiari e amicali che costituì il nerbo
che permise la sopravvivenza, materiale e affettiva, dell’antifascismo
in esilio. Svolsero, insomma, un ruolo importante, forse decisivo su un
terreno che non era immediatamente quello politico e pubblico, che stava
dietro le quinte, nelle case, dietro le macchine per scrivere negli uffici
del partito e del giornale, nel disbrigo della corrispondenza quotidiana,
nell’accoglienza dei compagni appena giunti, da ricoverare e sfamare. Un’attività,
la loro, poco conosciuta e poco considerata che godeva di scarsa visibilità
dentro i partiti e gli organismi nei quali, al pari dei loro compagni,
si dedicarono con abnegazione.
Una sorta di zona oscura percepita immediatamente dalla ricercatrice
storica per la difficoltà a reperire documentazione che riguardi
le compagne, perché è tutta una storia al maschile, fin da
come si presentano le carte d’archivio. La poca documentazione esistente,
scrive, è reperibile in fascicoli destinati ai loro compagni: Ignazio
Silone o Pietro Tresso, sovente raccolti da loro stesse. Anche il carteggio,
come nel caso di quello conservato da Barbara, appare prevalentemente incentrato
sulle circostante inerenti Pietro Tresso e la sua tragica fine.
L’unità affettiva, famigliare e di condivisione ideologica che
univa le sorelle, i loro compagni e la comunità di esuli comunisti
italiani si spezzava all’inizio degli anni trenta. A partire dal dicembre
1929 ai vertici del PCd’I in esilio in Francia si sviluppava un acceso
dibattito relativo al riorientamento del lavoro politico in Italia; sulla
base della considerazione che il regime fascista fosse sull’orlo di una
grave crisi economica e sociale, a seguito della crisi del ’29, si ritenne
che occorresse impegnare un maggior numero di quadri nel paese per preparare
la rivoluzione che stava per venire. Una scelta avventurista per i “tre”
(Pietro Tresso, Alfonso Leonetti, Paolo Ravazzoli), frutto di un’analisi
politica affrettata e superficiale, adottata per compiacere la svolta in
atto nell’Internazionale comunista.
I “tre”, come si conveniva all’epoca, furono espulsi dal partito, stessa
sorte toccò a Barbara che condivideva le critiche del suo compagno.
Poco dopo, per altre ragioni e con altre modalità, uscirono dal
partito anche Ignazio Silone e Gabriella. Barbara a Parigi aveva preso
a militare nel movimento trotskista, Gabriella si era inserita nel circuito
dell’antifascismo di Zurigo di indirizzo socialista. Serena, invece, che
viveva in URSS, ai tempi della rottura scrisse a Gabriella una lettera
nella quale le domandava di recidere i rapporti con Barbara, perché
attiva nel movimento trotskista e di chiarire la propria posizione con
il partito (probabilmente lo fece anche per tutelarsi, rispetto alle possibili
conseguenze che la sua parentela poteva provocarle); dopo il rifiuto di
Gabriella, Serena cessò comunicare con lei.
Pietro e Barbara, come gli altri dissidenti, considerati avversi al
partito, pagarono prezzi salatissimi sia nella sfera pubblica (militanza
politica) sia in quella privata (vita quotidiana, attività lavorativa,
affetti). Usciti dal partito affrontarono un periodo caratterizzato da
un profondo senso di disorientamento e furono costretti a ridefinire i
termini del loro esilio, i rapporti d’amicizia, la situazione lavorative
e la sopravvivenza stessa. Certo l’uscita dal PCdI era stata dolorosissima
anche sul piano dei rapporti di amicizia e di solidarietà che si
erano rescissi, entrambi però –rileva l’autrice- avevano potuto
accedere, dopo la rottura di quei rapporti, a una dimensione più
ricca e sfaccettata, nella quale trovava spazio il confronto tra idee,
esperienze e modalità espressive diverse, erano entrati, ad esempio,
in contatto col vivace contesto del surrealismo parigino. Entrambi si immersero
nell’attività del movimento trotskista francese, conobbero Trotsky
quando giunge esule in Francia. Barbara, che una volta la settimana si
recava nella casa del “vecchio” ad aiutare nei lavori di riordino della
casa, fu soprannominata Blascotte, da Blasco che era lo pseudonimo di Tresso.
In generale, nota l’autrice, la componente femminile trotskista, era
apparentemente relegata a compiti tradizionali. Dotate di un marcato profilo
politico, le donne che gravitavano nell’orbita del trostkismo paiono acquisire
una certa visibilità solo in virtù dei legami affettivi con
esponenti del movimento. Se rievocando gli anni della militanza comunista
Barbara si concedeva taluni istanti di protagonismo politico, il ricordo
del periodo trotskista sembrava maggiormente incentrato su esperienze di
carattere personale.
Intanto la situazione precipitava, alla vigilia delle seconda guerra
mondiale fu fondata la Quarta Internazionale, nel settembre a Parigi, Tresso
vi partecipò in qualità di delegato. L’anno dopo scoppiò
la guerra. Nel 1940 la Francia fu invasa dai tedeschi. Nel giugno del 1942
Tresso, Barbara e altri, che si erano rifugiati a Marsiglia, furono arrestati.
Barbara fu presto liberata, Tresso invece fu condannato a diversi anni
di carcere. Liberato da un gruppo di partigiani comunisti, fu ucciso dai
suoi liberatori nell’ottobre del 1943. Sono, evidentemente, questi anni
quelli più drammatici, vissuti dal Barbara; di essi rimangono le
lettere che Tresso gli inviava dal carcere e la corrispondenza che ella
mantenne con la sorella Gabriella. La tragica morte del compagno la convinse
a dedicare la sua vita alla ricerca della verità dei fatti e alla
denuncia
dell’accaduto.
Il libro si conclude col rientro, in tempi diversi, delle tre sorelle
Italia al termine della Seconda Guerra Mondiale. Mentre Barbara, in un’intervista
e in altre (poche) occasioni ritornerà a ricordare la sua vita politica
e sentimentale e il legame forte che la unì a Pietro Tresso, e Gabriella,
scriverà una sua memoria dal titolo significativo Le tre sorelle,
un dattiloscritto di 64 pagine, a quanto pare ancora inedito, Serena, morta
nel 1961, non lascerà di sé alcuna traccia biografica e documentaria,
lasciando, forse volutamente, che la sua storia si confondesse con quella
del partito nel quale aveva militato fino alla fine.