Sara Galli, "Le tre sorelle Seidenfeld. Donne nell’emigrazione politica antifascista", Firenze, Giunti, 2005, pp. 311, euro 10.00
 

Pochi mesi dopo l’uscita di un dettagliato libro sulle origini e la vita pubblica e privata del trotskismo italiano negli anni Trenta (Eros Francescangeli, "L’incudine e il martello. Aspetti pubblici e privati del trockismo italiano tra antifascismo e antistalinismo. 1929-1939"), Sara Galli aggiunge nuove interessanti ricostruzioni e interpretazioni su questo passaggio della storia dei comunismi italiani. La sua ricerca era partita da uno studio sulle donne nell’emigrazione antifascista, lungo quel percorso si è imbattuta nel caso delle “tre sorelle” e, affascinata dalla storia di queste tre donne, ha deciso di farne l’oggetto della ricerca. Le tre sorelle Seidenfeld, in ordine di nascita Gabriella, Barbara e Serena, furono protagoniste di una storia memorabile ed esemplare della condizione femminile all’interno dell’emigrazione antifascista e, più in generale, della presenza della donna nel mondo della politica. Di origine ebraica ungherese erano arrivate in Italia con la famiglia nei primissimi anni del novecento. Negli anni venti aderirono al PCd’I sull’onda dell’entusiasmo per la rivoluzione Russa e per il nuovo partito. Tutte e tre svolsero il ruolo di funzionarie comuniste, prima in Italia e poi all’estero. In questo “viaggiare” per la politica e per il partito due di loro conobbero i loro compagni di vita. Entrambi militanti e dirigenti comunisti, unirono le loro vite e le loro sorti alle due sorelle: Barbara divenne la compagna di Pietro Tresso, Gabriella di Ignazio Silone.
L’avvento della dittatura fascista costrinse all’esilio in Francia Barbara e Gabriella con i rispettivi compagni, mentre Serena, nel 1928, emigrò in URSS continuando a lavorare per il partito.  Come tante altre antifasciste fuggite dall’Italia assieme ai propri cari, dovevano svolgere un ruolo molto importante nel costruire e mantenere quella fitta rete di rapporti politici, familiari e amicali che costituì il nerbo che permise la sopravvivenza, materiale e affettiva, dell’antifascismo in esilio. Svolsero, insomma, un ruolo importante, forse decisivo su un terreno che non era immediatamente quello politico e pubblico, che stava dietro le quinte, nelle case, dietro le macchine per scrivere negli uffici del partito e del giornale, nel disbrigo della corrispondenza quotidiana, nell’accoglienza dei compagni appena giunti, da ricoverare e sfamare. Un’attività, la loro, poco conosciuta e poco considerata che godeva di scarsa visibilità dentro i partiti e gli organismi nei quali, al pari dei loro compagni, si dedicarono con abnegazione.
Una sorta di zona oscura percepita immediatamente dalla ricercatrice storica per la difficoltà a reperire documentazione che riguardi le compagne, perché è tutta una storia al maschile, fin da come si presentano le carte d’archivio. La poca documentazione esistente, scrive, è reperibile in fascicoli destinati ai loro compagni: Ignazio Silone o Pietro Tresso, sovente raccolti da loro stesse. Anche il carteggio, come nel caso di quello conservato da Barbara, appare prevalentemente incentrato sulle circostante inerenti Pietro Tresso e la sua tragica fine.
L’unità affettiva, famigliare e di condivisione ideologica che univa le sorelle, i loro compagni e la comunità di esuli comunisti italiani si spezzava all’inizio degli anni trenta. A partire dal dicembre 1929 ai vertici del PCd’I in esilio in Francia si sviluppava un acceso dibattito relativo al riorientamento del lavoro politico in Italia; sulla base della considerazione che il regime fascista fosse sull’orlo di una grave crisi economica e sociale, a seguito della crisi del ’29, si ritenne che occorresse impegnare un maggior numero di quadri nel paese per preparare la rivoluzione che stava per venire. Una scelta avventurista per i “tre” (Pietro Tresso, Alfonso Leonetti, Paolo Ravazzoli), frutto di un’analisi politica affrettata e superficiale, adottata per compiacere la svolta in atto nell’Internazionale comunista.
I “tre”, come si conveniva all’epoca, furono espulsi dal partito, stessa sorte toccò a Barbara che condivideva le critiche del suo compagno. Poco dopo, per altre ragioni e con altre modalità, uscirono dal partito anche Ignazio Silone e Gabriella. Barbara a Parigi aveva preso a militare nel movimento trotskista, Gabriella si era inserita nel circuito dell’antifascismo di Zurigo di indirizzo socialista. Serena, invece, che viveva in URSS, ai tempi della rottura scrisse a Gabriella una lettera nella quale le domandava di recidere i rapporti con Barbara, perché attiva nel movimento trotskista e di chiarire la propria posizione con il partito (probabilmente lo fece anche per tutelarsi, rispetto alle possibili conseguenze che la sua parentela poteva provocarle); dopo il rifiuto di Gabriella, Serena cessò comunicare con lei.
Pietro e Barbara, come gli altri dissidenti, considerati avversi al partito, pagarono prezzi salatissimi sia nella sfera pubblica (militanza politica) sia in quella privata (vita quotidiana, attività lavorativa, affetti). Usciti dal partito affrontarono un periodo caratterizzato da un profondo senso di disorientamento e furono costretti a ridefinire i termini del loro esilio, i rapporti d’amicizia, la situazione lavorative e la sopravvivenza stessa. Certo l’uscita dal PCdI era stata dolorosissima anche sul piano dei rapporti di amicizia e di solidarietà che si erano rescissi, entrambi però –rileva l’autrice- avevano potuto accedere, dopo la rottura di quei rapporti, a una dimensione più ricca e sfaccettata, nella quale trovava spazio il confronto tra idee, esperienze e modalità espressive diverse, erano entrati, ad esempio, in contatto col vivace contesto del surrealismo parigino. Entrambi si immersero nell’attività del movimento trotskista francese, conobbero Trotsky quando giunge esule in Francia. Barbara, che una volta la settimana si recava nella casa del “vecchio” ad aiutare nei lavori di riordino della casa, fu soprannominata Blascotte, da Blasco che era lo pseudonimo di Tresso.
In generale, nota l’autrice, la componente femminile trotskista, era apparentemente relegata a compiti tradizionali. Dotate di un marcato profilo politico, le donne che gravitavano nell’orbita del trostkismo paiono acquisire una certa visibilità solo in virtù dei legami affettivi con esponenti del movimento. Se rievocando gli anni della militanza comunista Barbara si concedeva taluni istanti di protagonismo politico, il ricordo del periodo trotskista sembrava maggiormente incentrato su esperienze di carattere personale.
Intanto la situazione precipitava, alla vigilia delle seconda guerra mondiale fu fondata la Quarta Internazionale, nel settembre a Parigi, Tresso vi partecipò in qualità di delegato. L’anno dopo scoppiò la guerra. Nel 1940 la Francia fu invasa dai tedeschi. Nel giugno del 1942 Tresso, Barbara e altri, che si erano rifugiati a Marsiglia, furono arrestati. Barbara fu presto liberata, Tresso invece fu condannato a diversi anni di carcere. Liberato da un gruppo di partigiani comunisti, fu ucciso dai suoi liberatori nell’ottobre del 1943. Sono, evidentemente, questi anni quelli più drammatici, vissuti dal Barbara; di essi rimangono le lettere che Tresso gli inviava dal carcere e la corrispondenza che ella mantenne con la sorella Gabriella. La tragica morte del compagno la convinse a dedicare la sua vita alla ricerca della verità dei fatti e alla denuncia dell’accaduto.
Il libro si conclude col rientro, in tempi diversi, delle tre sorelle Italia al termine della Seconda Guerra Mondiale. Mentre Barbara, in un’intervista e in altre (poche) occasioni ritornerà a ricordare la sua vita politica e sentimentale e il legame forte che la unì a Pietro Tresso, e Gabriella, scriverà una sua memoria dal titolo significativo Le tre sorelle, un dattiloscritto di 64 pagine, a quanto pare ancora inedito, Serena, morta nel 1961, non lascerà di sé alcuna traccia biografica e documentaria, lasciando, forse volutamente, che la sua storia si confondesse con quella del partito nel quale aveva militato fino alla fine.

Diego Giachetti