Chi ha creduto nella rivoluzione sandinista e speso anni della propria
vita nella solidarietà con il Nicaragua non può non emozionarsi
sfogliando "Que linda Nicaragua!" (Fratelli Frilli Editori, pp. 348 €.
17,50), un "omaggio alla rivoluzione fatta nel nome di Sandino ma con l'aiuto
di Cristo e Marx", come si legge nel-la prima di copertina. Un libro realizzato
da quell'Associazione di amicizia e solidarietà con il Nicaragua
nata subito dopo il 19 luglio del 1979, data della vittoria sandinista
contro la dittatura di Somoza, ma più concretamente nel 1980, con
l'organizzazione e la partenza, avvenuta il 3 luglio da Genova, della prima
nave della solidarietà, piena di aiuti per una popolazione stremata
da anni di guerra e povertà.
Un lavoro auspicato da Luisa Morgantini, parlamentare europea di Rifondazione
e coordinatrice nazionale dell'Associazione alla fine degli anni '80. Una
pubblicazione importante per chi vuole mantenere viva la memoria di quell'esperienza.
Un volume ricchissimo di analisi, ricordi, testimonianze dirette, una vera
e propria miniera, utilissima per chi, per ragioni anagrafiche, ha solo
sentito parlare della rivoluzione nica-raguese, o, peggio ancora, non ne
ha sentito parlare affatto, visto il silenzio mediatico che da anni è
ca-lato sui poveri paesi centroamericani.
Di grande livello il prologo scritto da Saverio Tutino e Alessandra
Riccio. Il noto giornalista e scrittore, conoscitore di Cuba e dell'America
latina e già inviato de L'Unità e Repubblica, alla richiesta
di Cesare Ciacci e Angela Di Terlizzi, curatori del libro, di scrivere
l'introduzione, ha preferito venisse pubblicato un suo scritto realizzato
allora per la casa editrice Clup di Milano. Una testimonianza storica di
un viag-gio che ognuno di noi avrebbe voluto fare, quando negli ultimi
giorni di luglio Titino arrivò a Managua, con un rocambolesco volo
da San José di Costarica, accolto da due giovani e provati guerriglieri,
"con i mitra che gli piegavano in giù la spalla gracile" e "la magrezza
di chi aveva corso molto mangiando poco, negli ultimi mesi". Il noto reporter,
che scrisse questo ricordo il primo novembre del 1983, era allora ottimi-sta:
"Da quel luglio famoso - commentava - sono passati quattro anni e più.
Nonostante gli attentati e i sabotaggi organizzati dagli Stati Uniti niente
si è spezzato di quel miracoloso prodigio rivoluzionario".
Purtroppo le cose non andarono così e lo ricorda bene, nell'altra
introduzione a "Que linda Nicaragua!", Alessandra Riccio, docente presso
l'Istituto universitario orientale di Napoli, e fondatrice, proprio nel
1979, della rivista "Latinoamerica", insieme a Gabriella Lapasini e Bruna
Gobbi. In un articolo pubblicato nel 2004 dalla rivista "L'Ernesto", ripreso
appunto dal testo, la studiosa stigmatizza, nel ripercorrere l'esperienza
della rivoluzione nicaraguese, il ruolo negativo giocato dagli Stati Uniti:
"La pesantissima in-gerenza nel piccolo paese dei laghi e dei vulcani,
aver contribuito ad una tragica storia di massacri e di sfruttamento rende
trasparente la pratica neocoloniale sulla quale gli Stati Uniti hanno fondato
la loro storia, riuscendo a trarre sostanziali dividendi dalla sua stessa
rivoluzione contro il colonialismo inglese, assai presto tradita e sostituita
dalla legge del più forte, una legge che, come è noto, non
ricorre ad al-tra legalità che a quella della forza".
Dicevamo delle belle testimonianze presenti nel libro. Impossibile
in poche righe darne conto. Tra le tante non possiamo non citare quelle
di uomini che hanno fatto la rivoluzione, come il comandante ed ex ministro
degli interni Tomàs Borge e l'ex ministro degli Esteri Miguel D'Escoto,
e di intellettuali che l'hanno appoggiata, come Gerard Lutte ed Ettore
Masina. Ma appare doveroso, in un volume che intende ricordare la bella
realtà di un organismo solidale che ha resistito alle intemperie
della storia, il ricordo di Bruno Brevetti, primo coordinatore dell'Associazione
fino al 1986, quando passò il testimone a Luisa Morgantini. Il suo
non fu un lavoro facile. La diffidenza della sinistra italiana, soprattutto
quella storica della quale lo stesso Brevetti faceva parte, rese arduo
il compito di chi voleva organizzare la solidarietà con quel popolo
così provato.
Si deve appunto alla testardaggine di Bruno, oltre che del vasto universo
del cattolicesimo del dissenso - d'obbligo ricordare padre Bernardino Formigoni
- se poi anche il Pci e addirittura settori della Dc, ol-tre a naturalmente
all'allora "nuova sinistra", cominciarono a lavorare per la "nueva Nicaragua".
Ricorda Brevetti: "È il 19 luglio, la televisione annuncia che il
Fronte sandinista di liberazione nazionale ha cac-ciato l'ultimo dei Somoza.
Managua è libera e si apre un'epoca nuova per il Nicaragua (…) Dopo
qualche giorno leggo su L'Unità un appello del Fsln alla solidarietà
politica e materiale, telefono a Renato Sandri che, nella Direzione del
Pci, si occupa di America latina e scopro che il partito nulla ha in programma".
Nel giro di pochi mesi tuttavia gli amici del Nicaragua aumentarono a vista
d'occhio e nacquero mille al-tre iniziative, dalle brigate di lavoro ai
gemellaggi, dall'attività di controinformazione all'invio di volonta-ri
e cooperanti, tutti desiderosi di dare una mano.
Ora lo scenario è totalmente altro: il Nicaragua, dove governa
la destra da oltre quindici anni, è schiac-ciato dalle politiche
neoliberiste, che hanno scavato un vero e proprio fossato tra i pochi ricchi
e i milio-ni di poveri. Dunque l'impegno dell'Associazione è rivolto
proprio a sostenere chi si batte per "limitare i danni". Dall'appoggio
no global contro il Plan Puebla Panama e l'Alca, intese economiche internazionali
fi-nalizzate a privilegiare gli interessi nordamericani e delle multinazionali,
al sostegno alla sindacalizzazio-ne delle "zone franche" e alla battaglia
dei "bananeros", uccisi e deformati dall'impiego di un terribile pesticida,
naturalmente di produzione statunitense. In questo contesto il ruolo sempre
più difficile di una sinistra, come quella sandinista, che pur godendo
ancora oggi di un discreto appoggio, ha perso tutti gli appuntamenti elettorali
ma soprattutto ha perso quella credibilità etica che aveva avuto
negli anni '70 e '80.
Scrive Giulio Girardi, appassionato sostenitore della rivoluzione e
teologo della liberazione, nel bel epilo-go del libro: "La cosa più
urgente per il Fronte sandinista, mi sembra non sia tornare al potere,
bensì allo spirito delle sue origini, riscattando le opzioni etiche,
politiche e geopolitiche dei suoi fondatori e ispi-ratori". Insomma, dice
Girardi, riprendere la strada indicata da Sandino e Carlos Fonseca, per
abbatte-re oggi una dittatura più presentabile di quella somozista
ma non per questo meno pericolosa.