Re Nudo, Fallo!, Puzz, i Gatti Selvaggi e ancora le Pantere Bianche,
“erba e fucile”, LSD e le sostanze psicotrope, pop-festival e ideologia
della festa: chi voglia saperne di più non potrà prescindere
da questo bel lavoro, fresco ed originale, firmato da Alessandro Bertante.
Protagonista del libro sono le gesta, confuse e contraddittorie, caotiche
ed affascinanti, di Andrea Valcarenghi e compagni che dopo l’esperienza
beat e provo degli anni Sessanta e le turbolenze della contestazione Sessantottesca
diedero vita ad una delle riviste più importanti e rappresentative
del panorama underground italiano: “Re Nudo”.
Era il 1970 quando Andrea Valcarenghi, dopo essere stato ospite delle
patrie galere per possesso d’erba, decise di pubblicare un periodico che
raccogliesse l’eredità delle riviste autogestite prodotte dai gruppi
beat italiani. La scelta del nome fu difficile: “Cappuccetto Rosso”, “Controgiornale”
o “Re Nudo”? La scelta, infine, cadde su quest’ultimo: come nella favola
omonima la rivista avrebbe dovuto «smascherare il potere».
Memore dell’insegnamento delle pratiche dei provo, Valcarenghi e soci pensarono
bene di lanciare la rivista tappezzando i muri di Milano con la domanda
«Re Nudo?». La bizzarra trovata pubblicitaria risultò
particolarmente felice: solo nella città lombarda furono vendute
ben 8000 copie del numero zero.
Iniziò così la storia di questo giornale che, tra scissioni
e colpi di mano, tra spaccature e continui cambi di posizione, cercò
di seguire la nascita, lo sviluppo e la crisi di quella che da più
parti è stata definita la stagione dei movimenti, una stagione che
nel nostro paese prese l’avvio nella seconda metà degli anni Sessanta
e che si concluse, travolta dal terrorismo rosso e nero e da una violenza
sempre più diffusa, alla fine del decennio successivo.
L’unico rimprovero che ci sentiamo di rivolgere a Bertante è
la scelta delle fonti: il suo lavoro sicuramente coraggioso – poiché
si propone di indagare un fenomeno, quello controculturale, che solitamente
la storiografia che si è occupata degli anni Sessanta e Settanta
ignora quasi completamente – avrebbe meritato un maggiore approfondimento.
Il bel libro di Primo Moroni e di Nanni Balestrini, 'L’orda d’oro', a cui
Bertante fa costante e continuo riferimento è sicuramente uno strumento
utile e prezioso per avvicinarsi a quegli anni e a quei movimenti ma esso
non è sufficiente per avere un’idea precisa della complessità
del periodo. Maggiori riferimenti alla stampa del tempo, una più
approfondita analisi dei quotidiani della sinistra extraparlamentare e
magari un’incursione tra le carte di polizia custodite presso l’Archivio
Centrale dello Stato avrebbero contribuito ad arricchire il già
notevole lavoro di Bertante e avrebbero meglio chiarito il contesto politico-sociale
in cui maturò il sogno di una rivoluzione controculturale al grido
di “cambiamo la vita prima che la vita cambi noi”.
Silvia Casilio