Al Ministro della Pubblica Istruzione
e p.c. all’opinione pubblica
Gentile Signora Ministro,
presa visione del D.L. 137/2008,
sentiamo l’obbligo morale, che deriva dalla nostra professionalità e competenza
docente ed educativa, di trasmetterLe alcune considerazioni, nella speranza che
il dibattito parlamentare che porterà alla discussione del citato decreto possa
tenere in considerazione le opinioni di chi quotidianamente opera per la
formazione e l’istruzione delle nuove generazioni.
Ci limiteremo a due aspetti che riguardano il nostro ambito
professionale:
·
l’insegnante unico e le 24 ore nella scuola primaria (art. 4) e
·
la valutazione finale nella scuola secondaria di primo grado (art.3).
1. Insegnante
unico e 24 ore nella scuola primaria
Questo modello scolastico è ben presente nei nostri ricordi
sia personali che professionali. Era forse già
deficitario in una società, come quella di quarant’anni fa, che non conosceva
l’immigrazione comunitaria ed extracomunitaria, le separazioni ed i divorzi,
l’esigenza di fornire l’occasione di un riscatto sociale a chi era in
situazioni di svantaggio socio-culturale, e che relegava i bambini certificati
o difficili nelle classi differenziali. Ventiquattro ore con un solo insegnate
“tuttologo” erano forse già non sufficienti quando si
insegnava solo “a leggere, scrivere e far di conto” e non si parlava ancora di
inglese, informatica, educazione all’affettività, alla cittadinanza,
ambientale, stradale, ecc. ecc.
Lei ha recentemente affermato che la reintroduzione del
maestro unico “risponde a una scelta pedagogica
precisa, il fatto di avere un unico punto di riferimento” e che “è uno spreco
pagare tre insegnanti quando uno è sufficiente”.
Vorremmo ricordarLe che la scelta
pedagogica del gruppo docente e della pluralità delle figure educative ha una lunga storia e forti motivazioni, legate ai
cambiamenti epocali da allora intercorsi, è il risultato di un dibattito
costruttivo, avviato dall’inizio degli anni Ottanta, che vide una intensa
partecipazione di pedagogisti, del mondo accademico, delle associazioni
professionali degli insegnanti, delle riviste didattiche,
delle forze politiche e sindacali. A conclusione di questo percorso
sperimentale, assistito e monitorato, si constatò che la collaborazione e
suddivisione dei compiti tra docenti limitava
l’insuccesso scolastico e migliorava la qualità dell’insegnamento. Si decise
conseguentemente che il modello del team di docenti, con la suddivisione degli ambiti
disciplinari, fosse meglio dell’insegnante costellato (un insegnante titolare
di classe affiancato da alcuni docenti specialisti). Nel 1990 venne approvata la legge di riforma n.148 che estese a tutto
il territorio nazionale la contitolarità e l’espansione dell’orario, sia con
l’organizzazione a modulo sia a tempo pieno. Del resto, la grande e
pressante richiesta delle famiglie per il tempo pieno che, nonostante le
restrizioni di organico e modifiche normative varie,
ha continuato a espandersi, senza interruzione
(toccando ora il 25% e i 700 mila alunni), dimostra che le famiglie richiedono
alla scuola più e non meno tempo educativo e didattico.
I moduli e il tempo pieno (e conseguentemente il numero dei
docenti e il loro organico) hanno dunque alle spalle la migliore cultura
pedagogica e le esperienze didattiche più avanzate, che hanno dimostrato in
questi anni di funzionare: non è infatti un caso che tutti gli indicatori
internazionali riconoscano la nostra scuola primaria come una tra le più
qualificate del mondo.
Il maestro unico, la fine delle compresenze e la riduzione
del tempo scuola (nell’arco dei 5 anni si perderebbero dalle 990 ore per il
modulo alle 2640 ore per il tempo pieno) porterebbero
a conseguenze gravissime:
§
dequalificazione dell’istruzione, superficialità della didattica,
impoverimento culturale, ovvero meno ore disponibili per affrontare ed
approfondire i contenuti disciplinari, meno competenze specialistiche data
l’impossibilità per un solo docente di essere in grado di riassumere in sé la
complessità dei saperi, delle discipline e delle nuove tecnologie;
§
impossibilità di individualizzare gli insegnamenti, sia per i bambini in
difficoltà sia per le eccellenze; di attivare laboratori, recuperi, gruppi di
livelli, con l’inevitabile ritorno ad una scuola impossibilitata a limitare la
dispersione scolastica;
§
impossibilità di favorire l’apprendimento in tempi distesi nel rispetto
dei processi cognitivi di tutte e tutti;
§
impoverimento dell’offerta formativa (ad esempio, non poter effettuare
uscite didattiche a musei, teatri, cinema, manifestazioni sportive, ecc.).
Riteniamo che una scuola pubblica e di qualità debba essere
per tutti e per ciascuno. Riteniamo inoltre che una scuola così “riformata” non
sia in grado di adempiere pienamente a quanto sancito
dalla nostra Costituzione, cioè di concorrere a “rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Siamo convinti che il grado di civiltà e di
democrazia di un Paese si misuri anche sulla scelta di indirizzo di risorse e
tagli e che togliere fondi alla formazione delle nuove generazioni, come ormai
da troppi anni viene fatto, risulti una scelta miope ed improduttiva.
2. Valutazione
finale nella scuola secondaria di primo grado
L’articolo 3 del decreto 137/2008 abroga la collegialità
del Consiglio di classe nel “bocciare” uno studente, dando individualmente al
singolo docente di ogni disciplina la possibilità di
farlo.
E’ nostra convinta opinione che, se il decreto fosse convertito alla lettera così com’è ora, sancirebbe la
fine della collegialità: questa importante decisione relativa al percorso
scolastico di un alunno ci pare profondamente sbagliata.
Se fino ad oggi infatti tutti gli
insegnanti della classe sono corresponsabili di una decisione così delicata e
possono promuovere collegialmente un alunno, anche in presenza di una o più
insufficienze, da domani anche un solo 5 porterebbe automaticamente alla
bocciatura.
Nella scuola media, oltretutto, non è neppure prevista come
per le superiori, la possibilità di riparare a settembre, per
cui si potrebbe avere il caso limite di un ragazzo che deve ripetere per
un anno il programma di tutte le materie anche se si è dimostrato inadeguato in
una soltanto.
Un insegnante che ritiene ingiusto o non produttivo fermare
un ragazzo perché ha l’insufficienza solo nella sua disciplina dovrebbe falsare
il proprio giudizio disciplinare trasformando le insufficienze in itinere in
un 6 finale? Tale comportamento (del resto facilmente desumibile dal registro
individuale e dai compiti in classe) non configurerebbe un reato di falso in
atto pubblico?
E’ nostra convinzione che le singole discipline (con le diversificate attitudini e capacità che uno studente
dimostra per ciascuna) siano solo uno dei
tanti punti di osservazione e giudizio del singolo alunno e che vadano
confrontate tutte insieme. Solo l’osservazione integrata e collegiale di tutti
i docenti coinvolti nel percorso didattico ed
educativo può garantire al ragazzo ed ai docenti stessi una valutazione equa,
produttiva e formativa, che non sia solo un parziale “punto di vista”.
La collegialità, il dialogo, il confronto (ed anche lo
scontro) nella programmazione, nella conduzione della classe e nella
valutazione dei ragazzi, sono per noi un valore fondante, qualificante ed
irrinunciabile della nostra professione, nonché un’occasione
di crescita umana e professionale.
I Docenti dell’IC 9 di Bologna
Bologna,
11 settembre 2008