Recensione di Diego Giachetti su http://www.cassandrarivista.it/
Nel novantesimo anniversario della fondazione del PCI e nel ventennale
della sua autocancellazione (1921 – 1991), “celebrati” tra nostalgia di
alcuni per ciò che non c’è più e voglia di dimenticare
da parte di molti, questo libro rompe il bon ton di un presente piccolo
e angusto che pretende di ridurre a soap opera il passato, soprattutto
quello più recente, riducendolo a narrazione minuta e frammentata,
debole. Ripropone il tema forte della storia politica e sociale, che fa
i conti con le fonti, le testimonianze, i contesti e i soggetti. Gambetta
delinea subito la cornice che inquadra Democrazia Proletaria - formazione
politica costituitasi nel 1978 e scioltasi nel 1991 per confluire nel Partito
della Rifondazione Comunista - e cioè la nascita di una nuova sinistra
in Italia dopo le lotte operaie e studentesche del biennio 1968-‘69. Si
tratta di energie intellettuali e generazionali, di soggetti dinamici,
tumultuosi e magmatici che nel primo quinquennio degli anni ’70 riescono
a produrre ben tre giornali quotidiani (il manifesto, Lotta continua, Quotidiano
dei lavoratori) ed una miriade di pubblicazioni periodiche di vario genere
e appartenenza.
La nuova sinistra dovette subito affrontare il tema (eterno!) della
partecipazione elettorale. Alcune formazioni (come il Manifesto) si presentarono
alle elezioni politiche del 1972, altre no: comunque, fu un totale insuccesso.
Attualmente, come sappiamo, ciò costituisce un “dramma”; ma allora,
riconosciuta la sconfitta, si ripartì dal movimento, che non deluse
e rivelò una società civile più avanzata dei partiti
storici: valga l’esempio della vittoria al referendum sul divorzio nel
1974.
Si sviluppò un intenso dibattito su come interpretare e definire
il “processo rivoluzionario” in una società occidentale a capitalismo
avanzato e nel 1976 si arrivò, tra distinguo e diffidenze, alla
costruzione del cartello elettorale Avanguardia operaia - Pdup per il comunismo
- Democrazia Proletaria - Lotta continua.
DP nacque, dunque, come sigla elettorale e soltanto nel 1978, negli
anni più difficili per la sinistra italiana, stretta tra le politiche
di austerità e di sacrifici invocate dal Pci e il tragico avvitamento
su se stesso del terrorismo dei gruppi della lotta armata, diventerà
Partito. Alle elezioni politiche del 1979 partecipò con Avanguardia
operaia e Lotta continua al cartello di NSU (Nuova Sinistra Unita): un’altra
dèbacle ,nessuno eletto (il Pdup, che si presentò da solo,
ebbe 6 deputati). Non era facile resistere e continuare. Si persero pezzi,
ci furono abbandoni. DP, però, sopravvisse per oltre un decennio,
apprestandosi a “fronteggiare” gli anni ’80 ormai incombenti. Non fu, la
sua, soltanto una resistenza: soprattutto, fu un tentativo di riformulare
la concezione di partito, inteso come strumento e non come fine ossificato
nella storia. Un partito che ebbe un suo radicamento, e quindi una ragione
sociale, nei movimenti e nelle organizzazioni di massa, articolato e diffuso
sul territorio nazionale, con una sua identità collettiva e un personale
politico che ne rifletteva anche la composizione sociale (nelle elezioni
del 1983 ottenne 541mila voti e 7 deputati). Sono, tutti questi, argomenti
ai quali l’A.dedica analisi e riflessioni, frutto di una ricerca sul campo
che non si limita ad una mera storia politica, ma attinge agli aspetti
sociali e culturali che caratterizzarono quell’esperienza.