Dp, la rivoluzione che entrò a Palazzo
Recensione di Marco Severo, http://libri-parma.blogautore.repubblica.it/2011/01/26/dp-la-rivoluzione-che-entro-a-palazzo/
Ci fu un momento in cui la piazza si fece palazzo. In cui il furore
fluido dei movimenti provò a comporsi in istituzione allo scopo
di bilanciare quella stessa istituzione, il Parlamento, a cui ambiva. Ci
fu un momento in cui l’Italia votò Democrazia Proletaria. Dp: due
lettere in alternativa, forte e inconciliabile, a Dc. Due lettere come
la cruna di un ago, attraverso cui le organizzazione della sinistra rivoluzionaria
nata dal “lungo Sessantotto” intesero far passare le spinte e il caos creativo
dei movimenti di protesta. Dai cortei ai banchi di Montecitorio: è
la rivoluzione che si inietta nell’ordine costituito.
Quel momento fu il 1976. E, prima ancora con le elezioni regionali
e l’esordio di un cartello unitario postSessantotto, il 1975. Ce lo racconta
William Gambetta, 43enne storico parmigiano, con il libro Democrazia Proletaria,
La nuova sinistra tra piazze e palazzi (287 pagine, 15 euro, Edizioni Punto
Rosso). Il testo verrà presentato giovedì 27 gennaio a Bologna,
nella Libreria delle Moline (in via delle Moline 3/a) dall’autore e dal
segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Introduzione di Gianni
Paoletti dell’associazione Punto rosso di Bologna. Il libro, ricco di cospicui
rimandi bibliografici e d’archivio, offre anche 15 pagine di sezione iconografica:
dalla genesi del simbolo di Dp ai bellissimi ‘bianco e nero’ dei comizi
di piazza. Con la sua vita tormentata e la sua salute cagionevolissima,
Dp “rappresentò – scrive Gambetta – un’alternativa concreta per
avanguardie e delegati di fabbrica, settori sindacali e intellettuali,
collettivi giovanili e comitati di lotta, associazioni democratiche, periodici
e radio libere” che rappresentarono il ricco deposito della risacca del
Sessantotto (in questo caso inteso come preciso riferimento cronologico,
a fronte della tendenza a indicare invece con ‘il lungo Sessantotto’ l’intero
ventennio che mutò il volto dell’Italia e che è compreso
fra il 1958 e il 1978). Per tutti coloro, insomma, che non accettarono
l’aut aut della fine degli anni Settanta: da una parte il rientro nella
sfera privata dopo la scoperta della dimensione collettiva delle manifestazioni
di piazza, dall’altra la lotta armata.
Fu nel 1975 allora, per la prima volta alle elezioni regionali e un
anno dopo alle politiche, che sulla scheda elettorale gli italiani trovarono
quel simbolo, ruvido e per molti espiatorio: un pugno chiusissimo sullo
sfondo d’un globo marchiato con falce e martello, tutto cerchiato dalla
scritta Democrazia Proletaria. Dellla lista facevano parte le principali
organizzazioni che dopo il biennio 68-69 aspirarono a rappresentare politicamente
la conflittualità sociale – in maniera ora costante – dei movimenti:
Avanguardia operaia, Partito di unità proletaria, Lotta continua,
Movimento lavoratori per il socialismo. Il Sessantotto entrava così
nelle urne, le istanze anticapitalistiche erano a portata di crocetta.
Il 20 giugno 1976, poi, la festa: Dp riesce a far eleggere e a portare
in Parlamento 6 deputati, conquistando l’1,5 percento dei voti. Un corto
circuito storico-sociale? Un evento miracolistico di ordine e sintesi nella
rissosa vicenda della sinistra? Prova a spiegarlo Gambetta, con la collaborazione
del Centro studi movimenti di Parma (di cui è tra i fondatori) e
l’archivio storico della nuova sinistra ‘Marco Pezzi’. Lo storico ripercorre
minuziosamente le tappe della prima fase della storia di Dp, quella che
va dal 1975 – con l’importante antefatto del 1972 – al 1979. La fase cioè
della nascita di Democrazia Proletaria come partito, che ebbe il suo battesimo
nel momento forse più critico e – in termini non scientifici più
sbagliato – della nostra storia recente: l’aprile 1978, a cavallo fra il
rapimento e l’assassinio di Moro, con Roma – dove il partito venne fondato
– blindata e sorvolata dagli elicotteri delle forze antiterroristiche.
Entusiasmi inattesi, slanci, cadute. E poi scissioni, liti immancabili
nelle formazioni di sinistra. Nel volume Gambetta passa in rassegna tutti
gli snodi del periodo tirando fuori dal dimenticatoio storiografico una
pagina preziosa – in ogni caso – della nostra storia recente. Quella in
cui la rivoluzione parve rincorrere e raggiungere quel “sistema di potere
– come scrive Gambetta – deciso ad annichilire, a mettere a tacere, a isolare
socialmente, a censurare culturalmente” le istanze e “le tensioni anticapitalistiche”.
Quella in cui la storia parve passare per la cruna di un ago troppo piccolo.