Recensione di Giuseppe Muraca pubblicata su http://ciaomondoyeswecan.myblog.it/media/01/01/3665852962.jpg
Quarant'anni sono tanti eppure non bastano a mettere la giusta distanza
tra noi e il '68, che malgrado tutto continua ancora a dividere e a provocare
contrapposizioni di carattere interpretativo e politico. Basta pensare
al confronto polemico che si è svolto di recente sulle pagine
del giornale "Il Manifesto" tra Guido Viale e Luigi Cavallari sulla natura
e la portata di quel movimento. Ma al di là delle divergenze, c'è
una nuova generazione di storici che si sforza di aprire nuove strade e
di superare letture e interpretazioni soggettivistiche e strumentali, che
guarda al sessantotto e alla stagione dei movimenti da nuove angolazioni
e prospettive diverse. E' il caso del giovane ricercatore veneziano Antonio
Benci che ha da poco pubblicato Immaginazione senza potere (Milano,
Il Punto Rosso, 2011, Euro 15.00) che sin dal titolo promette il giusto
distacco critico e che è da considerare uno dei contributi più
significativi degli ultimi anni sull'argomento. Benci ha dalla sua due
vantaggi: non è stato né un protagonista e né un testimone
ed è armato di una grande passione (un sentimento che tutti gli
storici dovrebbero possedere), suffragata da un'esperienza accumulata in
anni di lavoro e di infaticabile ricerca. Introdotto da Marco Grispigni
e con una Postfazione di Danielle Tartakowsky, il libro rappresenta un'analisi
dettagliata del maggio francese e dei suoi riflessi e della sua incidenza
sul nostro contesto politico, sull'immaginario e sulla memoria dei protagonisti
dei movimenti radicali della fine degli anni sessanta. Un viaggio per molti
versi suggestivo a ritroso nel tempo e nello spazio condotto con strumenti
metodologici agguerriti, su documenti di prima mano e sulle testimonianze
di alcuni dei protagonisti della generazione sessantottina. Un libro scandito
in maniera originale in quattro parti che analizza e attraversa le varie
tappe di un evento collettivo tra i più importanti del XX secolo
ed entra nelle pieghe più profonde di un percorso collettivo, della
storia di una generazione che ha sognato l'assalto al cielo e che è
stata sconfitta e travolta, suo malgrado, dagli eventi. Il maggio francese
è giunto dopo, rispetto alla realtà di altri paesi, ma per
le sue modalità di svolgimento ebbe sul movimento italiano un effetto
dirompente e un'influenza veramente profonda. Già da tempo il nostro
mondo universitario era in continua fibrillazione, ma in Francia nel corso
del mese di maggio era successo qualcosa di veramente straordinario: in
seguito alla rivolta degli studenti si erano mobilitati milioni di operai,
di intellettuali, di artisti, di cittadini francesi che si erano ribellati
al potere costituito mandando in tilt il sistema economico e la vita di
un intero paese e mettendo in fuga persino il generalissimo De Gaulle che
era stato costretto a riparare in una località ignota. Insomma,
si era realizzato una sorta di "miracolo" e per un mese la Francia era
stata sull'orlo di una nuova rivoluzione, attirando nuovamente l'attenzione
del mondo intero. Ma la vittoria del gollismo alle elezioni di giugno e
la sconfitta della contestazione e della sinistra francese spinsero i protagonisti
del movimento italiano ad avviare una profonda riflessione sugli esiti
delle lotte nel nostro paese e nel mondo e sulle prospettive future. Seguirono
mesi di intenso dibattito, furono organizzati incontri e scritti libri
e saggi a iosa. E con la ferma intenzione di imprimere al movimento stesso
un salto di qualità e di allargare l?area della contestazione coinvolgendo
altri soggetti sociali, innanzitutto la classe operaia, la via imboccata
fu quella della riproposizione di vecchie mitologie rivoluzionarie e di
un modello di partito di matrice leninista (e in alcuni casi di matrice
stalinista), cioè di un?avanguardia capace di organizzare e di guidare
un nuovo processo rivoluzionario che si riteneva già in atto. Ebbe
così inizio l'epoca dei gruppi extraparlamentari, che a volte assunse
nella prima metà degli anni settanta dei risvolti tragici
ma anche caricaturali, da non confondere però con le numerose esperienze
nate dalla cultura del marxismo critico ed eterodosso, dalla sinistra eretica
e libertaria. Ora, la ricostruzione effettuata da Benci è
senza dubbio molto più veritiera, più mossa e articolata
da quelle fin qui messe in atto dagli storici, un quadro che presenta peraltro
numerose conferme ma anche tante novità abbastanza significative
e sorprendenti.
In questo senso, una delle immagini più suggestive e delle icone
che hanno accompagnato il maggio francese nel corso del tempo e ne hanno
alimentato il mito è quello di una ragazza portata sulle spalle
da un giovane nel corso di una manifestazione per le vie di Parigi. Per
lungo tempo si è creduto che si trattasse di una studentessa ribelle
etichettata col nome "Marianne", ma non è così. In realtà,
come lo stesso Benci chiarisce nell'ultimo paragrafo del suo libro, è
una modella che al ritorno da Londra è stata conquistata dallo spirito
della contestazione. Ecco chiarito il mistero, e non c'è da rimanere
delusi. Ma il dettaglio più importante è che ella ha il volto
radioso e sembra fissare una meta lontana agitando in senso di liberazione
e di sfida la bandiera del Vietnam. Ecco: questo è l'aspetto più
entusiasmante del maggio parigino e del sessantotto che noi vogliamo ricordare.
In nessuna parte del mondo l'immaginazione è riuscita a conquistare
il potere ma il suo fuoco ha inciso profondamente nella mentalità
di una generazione che è riuscita improvvisamente a liberarsi di
antichi fardelli, a diventare protagonista del proprio destino, a prendere
la parola, ad esprimere una nuova soggettività, desideri, sogni,
speranze e illusioni che hanno messo perentoriamente e radicalmente in
discussione l'autorità e l'ordine costituiti, e in maniera pacifica
e non violenta. E proprio per questo motivo ritengo che il 1968 debba essere
considerata la sola, vera grande rivoluzione del novecento.
Ciò che la stagione dei movimenti ci ha lasciato in eredità
è un grande compito: quello di lavorare per costruire un nuovo pensiero
radicale, ripensando la stessa idea di rivoluzione così come si
è fissata nel corso del secolo scorso. Questo è il senso
che ricavo dalla lettura del libro di Benci e mi auguro che in futuro la
sua passione di storico sappia regalarci altri momenti così importanti
e significativi.