Recensione di Diego Giachetti pubblicata su
http://www.kathodik.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3963
Si tratta di un lavoro singolare, che andava fatto, che apre ad altre ricerche simili e induce a riflessioni di carattere metodologico. Il libro di Benci non è una comparazione, fatta in nome della globalità e della simultaneità dei movimenti del ’68, tra due “sessantotti”, quello italiano e quello francese, per segnalare le differenze e le caratteristiche comuni. Vuole essere, ed è, una analisi di come in Italia fu recepita in quei mesi dell’anno 1968, la suggestione indotta dagli avvenimenti del maggio francese. Come la lettura, l’interpretazione e la partecipazione al maggio francese incise sulla storia dei movimenti sociali e politici di allora, sulle loro elaborazioni, speranze, sul modo di rappresentarsi graficamente coi manifesti e con gli slogan. Il maggio francese accadde quando sostanzialmente il 68 italiano, inteso come protesta universitaria e nascita dei movimenti studenteschi, aveva già conosciuto il suo apice essendosi manifestato nel corso dell’anno accademico 1967-68. La Francia arrivò un po’ dopo e colse il movimento italiano in una fase interrogativa: che fare dopo aver “liberato” le università? Come continuare ad agire come movimento antisistema nella società? In quali altri settori intervenire, come intervenire, con quali prospettive? Domande impegnative, alle quali era quasi inevitabile seguissero risposte diverse. Il maggio francese, la sua virulenta e sorprendente ascesa e il suo altrettanto repentino rifluire, divenne uno degli elementi catalizzatori della discussione. Molte sue “parole”, coniate per rappresentarsi, divennero patrimonio della nuova lingua protestataria italiana. Per fare un solo esempio, da noi si coniò, per indicare il periodo post evento 1968, la nozione di “maggio strisciante”, per intendere un processo di lotta più lungo, dispiegato nella società italiana, destinato a durare, incontrandosi con le nuove ondate di lotta operaia che agitavano le grandi fabbriche e producendo un dibattito circa la necessità, da tutti riconosciuta, di passare dal movimento all’organizzazione politica, dividendosi però subito sulle caratteristiche che doveva avere l’organizzazione. Di leninismo, di avanguardia politica e operaia, di potere operaio, di spontaneità e organizzazione, di rivoluzione socialista, si discusse abbondantemente su riviste, giornaletti, documenti interni, con buona pace dei testimoni oggi dimentichi. Con una parola spesso abusata - immaginario - sparsa attualmente un po’ ovunque, l’autore fa i conti metodologici definendola per l’uso che intende farne e poi, soprattutto, misurandola coi fatti concreti per i quali ha costruito la sua categoria d’analisi. L’immaginario del ’68 in Francia e in Italia è ricavato tenendo conto di come realmente esso si espresse e delle motivazioni e ragioni di fondo che lo produssero. Insomma, è un immaginario reale, spesso diverso da quello successivamente evocato nelle testimonianze postume dei protagonisti, impietosamente segnate dal tempo trascorso, ridotto magari a suggestione personale, spoglio della sua ricchezza e articolazione.