Gli incidenti di sabato con lo scontro a fuoco con la polizia ripropongono
con urgenza la necessità di aprire un dibattito all’interno dell’area
dell’autonomia.
La nostra posizione è, e lo è stata anche in passato,
notevolmente critica sul modo di operare di una serie di forze organizzate
all’interno dell’area, non certo sull’obbiettivo di tali proposte, cioè
passare dall’area a un movimento organizzato dell’autonomia, ma sul metodo
seguito. Si sta riproponendo infatti lo stile tipico del gruppo dalla critica
del quale numerosi collettivi autonomi avevano preso origine: le assemblee
formali convocate in statale in cui tutto era già da prima deciso,
il corteo in occasione dello sciopero generale, quello del 1 maggio, sono
esempi di come più che a un reale confronto con le varie situazioni,
le scadenze vengono usate a fini esclusivamente di organizzazione. Il porsi
appunto come gruppo dirigente, arrogandosi il diritto di definirsi “autonomia
operaia” è secondo noi politicamente perdente in quanto fonte di
atrofizzazione per la crescita del movimento per il quale il leaderismo
e l’espropriazione della elaborazione politica sono ferri vecchi.
Oltre tutto diventa politicamente suicida quando la stessa logica di
prevaricazione abbinata a una concezione insurrezionale dello scontro di
classe nella fase attuale viene applicata nelle scadenze di piazza in cui
tutto il movimento è coinvolto.
Lo Stato ha scelto, con la piena collaborazione dei revisionisti, il
terreno dell’ordine pubblico, della criminalizzazione, per isolare l’opposizione
che nelle fabbriche e nel territorio si sta organizzando contro il tentativo
di ricostruzione dei margini di profitto e produttività del sistema.
Lo Stato ha scelto: il terreno, la piazza, il momento, la grossa confusione
esistente all’interno del movimento, gli strumenti, la polizia e i C.C.
che sparano.
Accettare questo terreno di scontro che coinvolge l’intero movimento
quando ancora chiarezza non esiste sull’uso degli strumenti e più
in generale sul problema dell’autodifesa e secondo noi puro avventurismo
in quanto porta all’isolamento, in primo luogo del progetto dell’autonomia,
e favorisce lo stato nel processo di normalizzazione.
Nostro compito è la rottura del ghetto, attraverso l’intervento
politico nelle situazioni con una pratica della forza legata alla situazione
stessa che abbia ben presente i livelli di avanguardia e di massa per rompere
la falsa immagine di quelli della P38 che l’autonomia rischia di assumere.
A nessuno è più concesso decidere per il movimento né
praticare la politica del tanto peggio tanto meglio soprattutto quando
questo porta a bruciare e a travisare un patrimonio storico di esperienze,
analisi, organizzazione, di situazioni politiche che nessuno può
negare alle forze dell’area dell’autonomia, neanche chi, ormai ischeletrito
dalla incomprensione dei nuovi fenomeni sociali emergenti in questa fase
storica, pensa di esorcizzare o risolvere tutte le contraddizioni a colpi
di chiave inglese e di denunce delatorie.
Isoliamo chiunque seguendo una logica di prevaricazione attraverso
scelte avventuriste, oggettivamente si inserisce nel progetto di normalizzazione
portato avanti dal governo con la piena collaborazione dei revisionisti.
Milano, maggio 1976
Collettivi Comunisti Autonomi
C.S. Argelati
C.S. Panettone
Centro di Lotta Contro il Lavoro Nero “Carlo Sponta”
Compagni autonomi del Romano-Vigentina