di Mario Capanna
dal libro di Mario Capanna,"Formidabili quegli anni", pag. 38
7 dicembre, sera. Verso le 19.30 ci presentiamo in piazza della Scala.
Saremo in 3/400. Una miseria rispetto alla nostra normale capacità
di mobilitazione. Ecco la prova che lo spontaneismo è « una
minchia piena d'acqua », bofonchia Salvatore Toscano. Fa un freddo
cane e l'umidità prende alle ossa. La nebbia è così
spessa che di quando in quando sembra trasformarsi in una pioggerellina
fitta fitta. Come se non bastasse, piazza della Scala è stata trasformata
in una piazza d' armi. Polizia e carabinieri dappertutto. Di fronte al
teatro, dirimpetto al palazzo del comune, all'imbocco delle vie adiacenti,
in galleria Vittorio Emanuele, in piazza Duomo.
Arrivano i primi «scaligeri», agghindatissimi. Gli uomini
sono lustri come manichini. Le signore impellicciate e ingiolellate per
centinaia di milioni. Uno schiaffo per milioni di poveri cristi. Per qualche
minuto non succede nulla. Si infittisce l'arrivo. Auto sontuose e lucide,
con autisti in livrea, depongono con grazia tirati melomani all'ingresso
del tempio. Uno studente solleva, alto sopra la testa, un cartello che
dice: « I braccianti di Avola vi augurano buon divertimento'».
Parte un coro: «Borghesi, ancora pochi mesi » (ecco che le
esigenze della rima costringono a svisare i tempi storici).
Una coppia, impeccabilmente addobbata, fende sinuosamente i cordoni
di polizia, a tre metri dagli studenti. Parte un uovo. Centro perfetto
sulla spalla dell'uomo. Schizzi giallastri massacrano di rimbalzo lo stupendo
abito della sua compagna. Per brevi minuti è tutto un via vai, in
aria, di uova e cachi. (A proposito: la mitologia giornalistica ha fatto
prevalere l'idea che si trattasse di uova marce. Sciocchezze faziose. Come
sanno tutti i cuochi, è rarissimo trovare uova marce.). I tiri sono
per lo più esatti. I bersagli colpiti,' numerosi. Elevata la percentuale
di smoking, toupé e pellicce messi fuori uso. La polizia mostra
segni di nervosismo rapidamente crescenti. E chiaro che dopo l'indignazione
popolare per l'eccidio di Avola ha ricevuto ordini di non intervenire fino
al limite del tollerabile. Si avverte che la corda sta per spezzarsi. Ci
vuole qualcosa che rompa la tensione, almeno la diluisca. Un ragionamento,
ecco quel che ci vuole. Che renda esplicitamente chiaro il messaggio magmatico
della protesta. Sì, un ragionamento può essere la chiave
di volta. Afferro il megafono, mi porto sotto il naso del più vicino
cordone di poliziotti e attacco. Non ce l'abbiamo con voi - questo il succo
del pistolotto - perché voi, come noi, siete figli di lavoratori
e di poveri. Riflettete: il 74 per cento di voi viene dal Sud e dalle isole.
Avete dovuto abbandonare le vostre case e vestire la divisa per il pane.
Sappiamo quanto la vostra vita è difficile. Quattro giorni fa vi
hanno fatto sparare su una folla di braccianti, dove magari c'era tuo padre
o tuo fratello (e segnavo a dito, pronunciando quelle parole). Adesso vi
fanno star qui per ore, al freddo, e per un salario misero, a proteggere
i ricchi, quelli che vi hanno costretto ad abbandonare il paese e affamano
le vostre famiglie. Bisogna finirla con questa situazione. Lottiamo insieme,
e insieme con i lavoratori, per avere giustizia. Noi siamo qui per questo.
Il primo esperimento funziona a meraviglia. Tutti i dimostranti si raggruppano
intorno al megafono. I lanci cessano. I poliziotti sono sorpresi. La tensione
comincia a calare. Bene. Abbiamo trovato il filone giusto. Lo utilizziamo
a fondo. Ci spostiamo vicino al cordone misto di poliziotti e carabinieri.
Solita musica. Si vede dalle facce che le parole entrano dentro. Mentre
do fiato al megafono, saranno le 20.15, gli Operatori della Rai-Tv, che
trasmettono in diretta il fasto scaligero, hanno l'idea, provvidenziale
per noi, di far sentire per un attimo le voci della piazza. Molti studenti
a casa, che non sapevano nulla della manifestazione, restano con il cucchiaio
della minestra a mezz' aria sentendo dal televisore la voce metallica del
megafono. Schizzano via come saette verso piazza della Scala. Un'ora dopo
siamo quadruplicati. Continuano i comizi volanti. Ci spostiamo nell'ottagono
della Galleria, tra la Scala e piazza Duomo, dov'è schierato il
maggior numero di agenti. Quando ridico dei braccianti di Avola, che lì
magari c'era tuo padre o tuo fratello, vedo un agente, rigido sull'attenti
nella fila, giovane, avrà 22 anni, alto e magro come uno stecco,
con le lacrime che gli scendono. Termino con il consueto invito alla lotta
e all'unità. Sono a due metri da quel giovane che piange. Lo abbraccio
forte. Mentre lo stringo, lo sento mormorare: « Sono di Lentini ».
Lentini è un grande centro agricolo, a un tiro di schioppo da Avola.
Chiedo scusa, ma, quando ripenso a quel fatto, mi commuovo ancora oggi.
E se qualcuno pensa che questa è ricostruzione romanzata dopo vent'anni,
sappia che ci sono decine di testimoni oculari di quell'episodio.
Questa è stata la contestazione alla Scala che, con mio grande
cruccio, ha finito col simboleggiare il '68 italiano. Va da sé che
non avevamo nulla contro il Don Carlos di Giuseppe Verdi messo in scena
quella sera. L' indomani il « Corriere» scriverà: «
Gazzarra davanti alla Scala » e « Tentativi sediziosi dei dimostranti
», ovvero la realtà diminuita e stravolta a tavolino.