Antonio Zannoni. La riattivazione dell'antico Acquedotto romano
Francisco Giordano, La riattivazione dell'Acquedotto romano
In un’epoca in cui il Comune di Bologna si distingue per il fiorire dell’attività edilizia anche a scala urbana, nel 1861 nel centro cittadino fu individuato quasi per caso, durante la realizzazione di alcuni lavori, un tratto di un antico condotto dell’acquedotto romano. Si presentava così l’occasione di abbellire la piazza del Nettuno portando a maggior fasto la fontana del Giambologna; l’idea era quella di arricchire gli zampilli d’acqua per creare maggiore effetto scenografico nella piazza del palazzo comunale. Veniva così incaricato l’ufficio tecnico del Comune di ripristinare il condotto costruito in età augustea, in disuso da tempo e del quale si erano quasi perse le tracce. Si interessò particolarmente al caso un giovane ingegnere da poco assunto dal Comune, Antonio Zannoni che, grazie all’appoggio dell’ingegnere capo Coriolano Monti, che lo volle al suo fianco nella struttura tecnica comunale, con ardore intraprese una lunga ricerca per rintracciare l’originale percorso del condotto romano. È proprio grazie a queste indagini che Zannoni comprese ben presto che l’antico manufatto avrebbe consentito la realizzazione di un moderno acquedotto dotando la città di acqua potabile e che il suo recupero non poteva essere inteso solo come un’opera di decoro urbano. Il lavoro di riattivazione avrebbe potuto avere rilevanti implicazioni positive per l’igiene urbana, un problema molto grave in quel periodo. Con zelo e tenacia Zannoni, incaricato delle indagini, riuscì ad ottenere risultati soddisfacenti già dal 1862 al 1864. In quest’ultimo anno pubblicò i primi risultati di una ricerca diventata assai complessa tradotta in un progetto di massima. Nel 1865, ottenuta l’autorizzazione del Consiglio Comunale, proseguì i suoi studi cercando anche il sostegno dei politici locali per la riattivazione dell’acquedotto. L’epidemia di colera del 1865, imputata alla mancanza di acqua buona in città, incoraggiò non poco l’amministrazione pubblica a proseguire nel progetto di riattivazione dell’acquedotto. Una seconda campagna di indagini, portata avanti da quel momento al 1867, diede la possibilità a Zannoni, forte del consenso della giunta comunale, di presentare al sindaco di allora, Carlo Pepoli, il progetto di ripristino già nella primavera del 1868, corredato del parere favorevole di alcuni professionisti di prestigio. Esso prevedeva la riattivazione dell’intera opera romana, la costruzione di un sistema di presa d’acqua nella confluenza del fiume Setta nel Reno e la distribuzione in città di un sistema idrico che alimentasse bagni, fontane ornamentali e fontanelle pubbliche. Il giovane ingegnere faentino ebbe il merito di aver compiuto un minuzioso lavoro archeologico rintracciando il percorso del cunicolo con una certa precisione passo per passo con dovizia di particolari.
Ma vi furono aspre critiche nei suoi confronti anche in sede consiliare dove vi furono prese di posizione di forte dissenso rispetto alla riapertura del condotto, contestando il calcolo di preventivo e di profitto spettante al Comune di Bologna ed a questo si aggiungevano perplessità riguardo alla qualità dell’acqua che si sceglieva di attingere dal fiume Setta rispetto a quella del Reno ed inoltre era contestata l’effettiva solidità del progetto.
Le accuse e i non pochi ostacoli non piegarono l’ardire dell’ingegnere, tanto che il Comune approvò nel dicembre 1871 la riattivazione dell’acquedotto la cui direzione lavori fu affidata proprio al faentino. Contemporaneamente viene avviata la costruzione di un buon numero di nuovi condotti di fognatura in sostituzione degli antigienici pozzi neri e delle antiche chiaviche e canalette. Il 5 giugno del 1881 l’acqua del rinnovato acquedotto tornava a scorrere dalla Val di Setta alla città di Bologna.
Il cunicolo, che presenta una sezione trasversale di 60cm x 190cm, inizia il suo tragitto ad 850m s.l.m. corrispondenza della confluenza del Setta nel Reno, che costeggia sulla riva destra della valle fino al Rio della Fossaccia, punto in cui devia entrando nella valle del torrente Ravone. Lì prosegue fino al Rio Paradisi, per poi portarsi all’interno della Val d’Aposa e concludere il proprio cammino nella centrale sita in Viale Aldini. Le ricerche condotte dalla Società Nazionale Gasometri ed Acquedotti, incaricata ad eseguire la riattivazione dell’acquedotto, permisero nel 1881 anche la scoperta di due tratti di condotto sfuggiti alle ricerche di Zannoni: l’uno, non databile con precisione ma sempre realizzato in epoca romana, camminava parallelo a quello augusteo nel tratto che va da Ziano di Sotto al Molino d’Albano e veniva riattivato con lo scopo di condurre acqua al Molino d’Albano; l’altro, parallelo a quello conosciuto, che collegava il Rio Conco con il Rio dei Rii.
Le differenti formazioni geologiche incontrate dal condotto lungo tutto il suo percorso resero necessario l’impiego di diverse tecniche costruttive. Il tracciato della galleria, infatti, in Val di Setta attraversa i conglomerati e le arenarie della successione pliocenica che fanno transizione ad argille grigie nella zona del Cippo di Sabbiuno. In corrispondenza del Monte di Sabbiuno affiorano per un buon tratto sino al Monte grana, le argille scagliose; segue poi, dai dintorni della Chiesa di Casaglia, la cosiddetta Successione Epiligure costituita da marne ed arenarie. Sopra queste ultime seguono ancora le argille plioceniche e le sabbie quaternarie poco cementate, che costituiscono le ultime propaggini collinari a sud di Bologna (Istituto Rizzoli). Di conseguenza, la presenza di litologie argillose rese necessaria l’armatura del cunicolo con un supporto murario in mattoni o in sasso, mentre in corrispondenza delle arenarie plioceniche lo scavo procedette senza particolari inconvenienti, anche per la scarsità di piani di faglia e fratture. Tali discontinuità sono invece frequenti nella successione epiligure e possono aver dato qualche problema, come venute di acqua, che possono essersi verificate anche quando sono stati attraversati contatti geologici tra formazioni così diverse come le argille e le arenarie, dotate di permeabilità e porosità molto diverse. Nei tratti di condotto in cui Zannoni riscontrò incoerenze strutturali, la Società Nazionale procedette con interventi di ristrutturazione che cancellarono l’antica testimonianza romana. La presenza lungo il tracciato del condotto di pozzi e gallerie è dovuta all’intervento della stessa Società che, valutata la portata totale d’acqua dell’acquedotto ampiamente inferiore a quella stimata necessaria, riuscì in tal modo ad ottenere una portata idrica giornaliera superiore. Il tratto finale dell’acquedotto, nell’attraversare la dorsale tra Ronzano e l’Osservanza, termina in un serbatoio di carico, mentre nei pressi della chiesa dell’Osservanza, una scala di 324 gradini che porta dal piano di campagna al piano del cunicolo, costituisce un riferimento importante nello studio dell’andamento dell’antico condotto. Poco più a valle, a Valverde, un’antica conserva omonima datata 1563 e realizzata con lo scopo di conservare l’acqua destinata all’alimentazione delle fontane pubbliche, testimonia il collegamento dell’ultimo tratto di condotto tra la collina e la città. L’acqua raccolta veniva fatta decantare e cadere in un pozzo collegato con un condotto alla cisterna sita nei pressi della Chiesa dell’Annunziata. Poco lontano, la Fonte Remonda, ubicata sul versante settentrionale del colle di San Michele in Bosco, fin dall’antichità era nota come la sorgente più vicina al centro urbano, e l’acqua che ne sgorgava, con un sistema di quattro gallerie di captazione, era in parte sfruttata dai monaci, in parte confluiva in un deposito che si trovava, appunto, presso la Chiesa dell’Annunziata. Prevedendo che il fabbisogno della città di Bologna, coi suoi centomila abitanti, fosse pari a 60 litri pro-capite, per un totale di 6.000 litri nelle ventiquattro ore, la cisterna fu realizzata in grado di accogliere 2.300 mc di acqua. Essa vi giungeva da un pozzetto situato all’estremità del cunicolo romano mediante un tubo di ghisa di 600 mm di spessore. La distribuzione dell’acqua in città (1881) fu fatta tramite un primo tubo del medesimo spessore che si biforcava in due tubi di 425 e 550 mm di spessore; il primo destinato al rifornimento della parte alta della città, a sud della via Emilia, mentre l’altro destinato alla parte bassa.
Il sistema di presa dell’acqua del Setta consisteva in una galleria trasversale che, attraversando l’alveo del fiume, drenava l’acqua che filtrava nella ghiaia del torrente ad una profondità di 5 m sotto il letto del fiume. Le indagini di quegli anni permisero dunque la scoperta di tutto il tracciato dell’acquedotto, che nel suo aspetto definitivo misurava 18,253 km in lunghezza fra l’incile posto sul Setta ed il serbatoio costruito su viale Aldini, di cui 7,15 km di cunicolo vecchio e 11,1 km di cunicolo nuovo o ristrutturato completamente.
L’inaugurazione dell’antico acquedotto del 5 giugno 1881, vedeva la Gazzetta Emiliana scrivere: “Il sindaco ha percosso la pietra (no, prego, il vero Mosè della faccenda fu l’ing. Zannoni) dove il fiume Setta si vuota nel Reno, e ha riaperto l’acquedotto che 2000 anni or sono portava le acque limpide e pure dai monti all’antica Felsina. Dopo quindici secoli Bologna ritrova l’acqua romana e cento fontane improvvisate nelle sue piazze danno alla festa dello Statuto un insolito brio coi freschi zampilli del benefico elemento”.
Nonostante l’entusiasmo con cui fu accolta la riattivazione dell’acquedotto, sogno che diveniva realtà, l’amministrazione comunale rimaneva restia a dotare le abitazioni con l’acqua dell’acquedotto pubblico, considerando assurdo il pagamento dell’erogazione dell’acqua. Fu l’avvento di un’epidemia di colera che portò alla chiusura dei pozzi privati di cui erano dotate le abitazioni, facendo sì che Bologna si distinguesse tra le più importanti città italiane, come Milano e Firenze, che non erano ancora dotate di un sistema idrico urbano che fornisse acqua potabile alla città.
Il periodo florido che conobbe Bologna negli anni a seguire vide un incremento della popolazione tale da rendere insufficiente la portata del vecchio acquedotto. Infatti, all’attuale fabbisogno giornaliero provvedono le opere ausiliarie realizzate in seguito per sopperire alle carenze del vecchio sistema idrico, quali i pozzi di Borgo Panigale, le vasche delle acque sopralveo del Setta ed i relativi impianti di elevazione coi serbatoi di carico.
Francisco Giordano
Un ringraziamento particolare a Ginevra Selli per la preziosa collaborazione.
Bibliografia essenziale
Antonio Zannoni, Sulle indagini dell'acquedotto bolognese, con abbozzo di progetto per condur acqua dal fiume Reno, Bologna, Tip. Fava e Garagnani, 1864.
Antonio Zannoni, Progetto di riattivazione dell'antico acquedotto bolognese esposto al n. u. signor marchese commendatore Gioachino Napoleone Pepoli senatore del Regno e sindaco della città di Bologna dall'ingegner architetto Antonio Zannoni, Bologna, Regia Tipografia, 1868.
Antonio Zannoni, Alla critica del signor Paolo Bovi sul progetto di riattivazione dell'antico acquedotto bolognese, Bologna, Regia Tipografia, 1869.
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- 1928 (29.12.1933) vedi