Il voto alle donne
Donne elette, il caso di Bologna.
Le donne e i partiti nell'esperienza del Consiglio consultivo.
Le donne di Bologna non arrivano impreparate al voto amministrativo del 24 marzo 1946. Sanno per cosa votano. Riconoscono immediatamente nel comune il simbolo della città, il luogo dove fare convergere tutti gli sforzi e i problemi della ripresa della vita morale, civile, economica e istituzionale. È come se silenziosamente avvenga un passaggio delle consegne tra la prima amministrazione socialista del sindaco Francesco Zanardi (1914-1919) e il sindaco della Liberazione, Giuseppe Dozza. Il municipio diventa interlocutore privilegiato del dialogo politico e della nuova rappresentanza sociale.
Bologna esce dalla guerra stremata da venti mesi di occupazione tedesca. Una città in prima linea, ferita da bombardamenti che hanno sventrato case, strade e palazzi cambiandone il volto. Il patrimonio abitativo è in grandissima parte lesionato. Le fognature distrutte in molti punti, strade ridotte a campi arati in periferia, ancora ingombre di macerie in città, ponti distrutti, cumuli di immondizie e di letame, l'acquedotto con limitatissima quantità d'acqua, illuminazione e gas inesistenti, scuole distrutte, lesionate o occupate, profughi da sistemare, ospedali da riattivare, ecc. L'assessore Elio Vancini, socialista, nel consiglio consultivo del 22 dicembre 1945 descrive le condizioni dell'Ufficio tecnico al 21 aprile 1945 come disastrose: "non vi erano fondi disponibili, non vi erano mattoni, non vi era un solo progetto pronto". Le macerie sono ovunque, bloccano i transiti e la circolazione. Problemi enormi che pesano in gran parte sull'attività comunale, ma che non distolgono l'attenzione dalla necessità e dall'urgenza di libere lezioni. Angelo Senin, vice sindaco democratico cristiano, in consiglio afferma che la Liberazione della città ha messo quasi improvvisamente l'amministrazione di fronte al problema delle elezioni, "per una esigenza democratica vivamente sentita da tutti i suoi componenti".
Giuseppe Dozza è estremamente sensibile al problema della rappresentanza negli organi istituzionali del comune. Dopo la nomina della giunta - composta solo da uomini - dei partiti del Comitato di liberazione nazionale Emilia-Romagna, mette in primo piano la necessità e l'urgenza di una più larga convergenza politica condivisa a diversi livelli e con tutti gli interlocutori della città. Una delle prime decisioni riguarda infatti la formazione delle liste elettorali per permettere un rapido avvio delle consultazioni. Le operazioni iniziano già nell'estate 1945, negli uffici di via de' Pignattari con un organico di 20, poi 50, 100, fino a raggiungere il numero di 136 impiegati che stilano ex novo le schede separate per femmine e maschi.
Sempre su iniziativa del sindaco, in considerazione dell'attesa evidentemente troppo lunga delle prime elezioni, in accordo con il CRLN Emilia-Romagna e le autorità militari alleate, nell'estate 1945 si intensificano i rapporti con i partiti per la formazione di un'assemblea che, benché non elettiva, fosse rappresentativa di tutte le forze politiche. Quella che in un primo tempo è chiamata Consulta comunale, proprio per accentuare il suo carattere di organo meramente consultivo e non decisorio, viene poi già nominata Consiglio comunale, in attesa delle libere elezioni, anche se tale organo non è previsto dalla legge. In questo modo il sindaco risolve il problema della legittimazione di una giunta comunque fragile dal punto di vista del confronto, delle critiche eventuali e della dialettica fra le parti. E' un consiglio che fa da "ponte" per collegare organo esecutivo e cittadinanza in un momento di grande tensione sociale e di importanti decisioni da condividere. E' formato da 80 membri: dieci per ciascuno dei sei partiti della coalizione, oltre a sei membri nominati dall'ANPI, ai 13 assessori e al sindaco, giuridicamente eletto secondo le norme del Testo unico della legge comunale e provinciale del 1915.
Le donne nel consiglio sono otto, tutte nominate dai partiti:
1. Nerina Bassi per il Partito liberale
2. Antonia Becca per il Partito repubblicano
3. Pia Ellero Pezzoli per il Partito liberale
4. Elda Magagnoli per la Democrazia cristiana
5. Novella Pondrelli per il Partito comunista
6. Amorina, detta Rina, Testoni, vedova di Armando Quadri, per il Partito d'Azione (in seguito sostituita da Valeria Jacchia)
7. Penelope Veronesi per il Partito comunista
8. Aurelia Zama per il Partito socialista
Sono poche, esattamente il 10 per cento, ma, anche se non elette, sono le prime donne a entrare nell'aula di consiglio. La socialista Aurelia Zama, nata nel 1903, è militante del PSI e pubblica tra il 1944 e il 1945 il foglio clandestino "Compagna"; partigiana, è segretaria del movimento femminile socialista bolognese. Partigiane sono anche Novella Pondrelli e Penelope Veronesi. Elda Magagnoli è già dirigente sindacale democratico-cristiana nella Camera del lavoro. Delle altre, si può supporre che la scelta sia stata determinata da ragioni di livello culturale e professionalità: Nerina Bassi è infatti professoressa, Antonia Becca e Pia Ellero sono avvocate.
La prima seduta di questo consiglio "provvisorio" si svolge il 19 dicembre 1945. La sala è collegata alla piazza attraverso gli altoparlanti. La cerimonia diventa così corale e assume un forte significato di unione fra il Palazzo e la città. Ricorda Elda Magagnoli che quando si presenta in consiglio il capo degli uscieri, "tutti in alta uniforme col bastone e annunciava nome, partito, e ti indicava la scranna dove dovevi sederti, e allora, quando io arrivai mi annunciò dicendo che ero la prima donna che metteva il piede nel Consiglio comunale di Bologna, e lì ci fu un'ovazione in tutta la piazza che applaudì". Nel ricordo, Elda Magagnoli non dimentica le altre consigliere, ma le resta l'emozione di essere stata la prima, di avere vissuto un momento indimenticabile.
Il sindaco, in apertura di una seduta che definisce come "storica", sottolinea l'importanza dell'avvenimento e dedica un saluto particolare "alle signore e alle compagne che per la prima volta rappresentano in questa assemblea tanta parte della cittadinanza, che troppo a lungo fu ingiustamente esclusa da ogni intervento nell'attività pubblica del paese, dalla quale dipendeva e dipende la sorte dei suoi figli". Risponde la consigliera Antonia Becca che ringrazia anche a nome delle colleghe "nonché, starei per dire, a nome di tutte le donne" per le cortesi parole di augurio e di benvenuto e aggiunge: "Senza fare dello sciocco femminismo, ritengo fondamentale che, oggi, caduti ad uno ad uno tutti i vieti pregiudizi che precludevano alla donna, nel passato, la via della conquista del pensiero e della indipendenza, la nostra partecipazione alla vita amministrativa e politica possa dare utili risultati." Si associa Penelope Veronesi, del PCI, che ringrazia "per averci permesso di partecipare alla vita amministrativa e politica della nostra città" ed esprime pubblicamente un sentimento che ritroviamo spesso nei discorsi e nelle testimonianza delle donne: la speranza di non deludere le aspettative e di essere all'altezza del compito loro affidato. Si sconta in questo stato d'animo l'assenza storica delle donne dalla scena politica istituzionale e soprattutto l'impossibilità di confrontarsi con un modello anche ipotetico di comportamenti e di iniziative da prendere. C'è una nuova identità tutta da creare, un compito che ricade sulle spalle di chi, per la prima volta, si misura con la realtà della partecipazione al governo della città.
I compiti non tardano ad essere concretizzati, grazie al "buon senso e alla praticità", ai caratteri positivi che connotano le donne nella risoluzione dei problemi "grandi e piccoli che da ogni parte ci assillano". Sempre la consigliera Antonia Becca rimprovera ai colleghi maschi "le risonanti parole di cui oggi, nell'euforia della riconquistata libertà, talvolta ancora si abusa" e la mancanza invece di praticità nel risolvere i problemi. E invece sono tanti i problemi da affrontare con urgenza e concretezza. Così la giunta, nella seduta del 19 gennaio 1946, in via d'urgenza, delibera la costituzione di commissioni consultive di consiglieri con l'incarico di coadiuvare gli assessori nelle materie delegate, che corrispondono, secondo l'organizzazione degli uffici del tempo, alle ripartizioni: Personale, Stato Civile, Servizi tecnici, Ragioneria, Tributi, Igiene, Polizia, Istruzione, Economato, Alimentazione, Assistenza.
Troviamo la maggiore concentrazione di consigliere nella ommissione consultiva all'assistenza dove vengono nominate: Penelope Veronesi, Elda Magagnoli, Pia Ellero Pezzoli e Aurelia Zama. Le altre sono così incaricate: Valeria Jacchia alla commissione Polizia, Nerina Bassi all'Istruzione, Antonia Becca all'Economato e Novella Pondrelli all'Alimentazione.
Questo è dunque il quadro istituzionale che precede di pochissimo il voto: sindaco, giunta, consiglio consultivo e commissioni. Sono questi gli embrioni di democrazia municipale che garantiscono un'ampia rappresentatività politica e una pratica amministrativa caratterizzata da una forte collaborazione tra gli organi.
Le donne sono poche e sono nominate dai partiti, ma cominciano ugualmente una faticosa strada verso la conquista del loro ruolo pubblico nella pratica politica dell'amministrazione, soggetto attivo perché - nelle parole di Vittorina Tarozzi- "imponiamo una nostra volontà contro le tradizioni che ci sono, i costumi, che in una sola generazione tu non li superi, ma passano anche molte altre generazioni perché siano passate nelle famiglie nostre".
Le elezioni avvengono in un contesto in cui si percepisce che poco o nulla possa cambiare. In effetti, se l'esordio delle donne nella politica cittadina subito dopo la Liberazione avrebbe potuto fare immaginare una crescita continua di ruolo e peso, si vedrà ben presto che si tratta di processi assai lenti.
Le donne e l'elettorato. Le prime elette in Consiglio comunale.
La conquista del voto e della eleggibilità delle donne nelle elezioni amministrative comunali del 1946 non si traduce in una rappresentanza significativa della componente femminile nelle liste. Si registra in generale una certa parsimonia a parlare del voto femminile nei luoghi della politica, nei comizi, nel linguaggio dei manifesti e nella retorica degli appelli. Come scrive con un certo cinismo un giornale locale, "il voto alle donne passò come una lettera alla posta, senza riserve". Oppure - si dice - passa attraverso le "sue [della donna cioè] stesse capricciose caratteristiche" e ancora: "voterà la lista che il marito o l'amante le raccomanderanno, ma nel segreto della cabina farà la croce nella casella del candidato che le è più simpatico". L'interrogativo è lasciato in sospeso: "E chissà quando si è simpatici alle donne!".
La massa femminile è di volta in volta vista come "massa grigia", grande enigma, con alcuni cenni anche alla preoccupazione di una maggioranza dell'elettorato femminile su quello maschile, incognita e "nemmeno tanto grande", ma non timore. Per esempio, si legge su "Il Giornale dell'Emilia" del 18 marzo 1946: "Certo, se noi fossimo un paese d'utopia in cui le donne costituissero un partito a parte, gli uomini sarebbero battuti prima di impegnarsi, ma qui i sessi non sono antagonisti, le donne accoppiate votano come i loro uomini, i numeri si gonfiano, ma i risultati rimangono gli stessi".
Il voto delle donne non appare quindi destinato a incidere sull'andamento delle elezioni, non è considerato determinante. Questo può forse spiegare il numero esiguo di candidate nelle liste del Comune di Bologna.
In alcuni casi, è l'ostinazione tenace ad ottenere il risultato. Sempre Elda Magagnoli ricorda che nella riunione del consiglio direttivo della DC per la formazione delle liste elettorali non era stata inserita nessuna donna, "volevano mettere tutti uomini". Alla fine riesce a conquistare il posto delle donne in lista, ma solo per il suo accanimento. Lo fanno solo per accontentarla: "basta che la pianti, ti inserisco nella lista", così le dicono.
Certamente, i partiti non considerano quelle delle donne come candidature di richiamo. In ordine alfabetico o di importanza, le candidature femminili sono nascoste tra le pieghe dei nomi maschili dei sei partiti che concorrono alla formazione del primo consiglio dopo il fascismo. Primi in lista sono il sindaco Giuseppe Dozza per il PCI e Francesco Zanardi, per il PSI.
Nell'ordine di presentazione del tabellone elettorale: Partito comunista, Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito repubblicano, Partito d'Azione (Giustizia e Libertà), Partito liberale, sotto i rispettivi simboli le donne in lista sono:
PCI, 51 candidati secondo un ordine già di preferenza, non alfabetico: 11. Novella Pondrelli; 14. Ester Capponi; 19. Vittorina Tarozzi; 35. Penelope Veronesi.
DC, 60 candidati in ordine alfabetico, le candidate sono 10 tra cui Elda Magagnoli che non verrà eletta; Anna Serra e Giovanna Gardini, che invece verranno elette.
PSI, 52 candidati non in ordine alfabetico, di cui 4 sono donne; Aurelia Zama già presente nel consiglio consultivo, è la prima, al 25° posto.
PRI, 54 candidati in ordine alfabetico, di sui 4 sono donne, fra cui Antonia Becca, già presente nel consiglio consultivo.
PdA, 45 candidati di cui 3 donne.
PLI, 53 candidati di cui 4 donne.
In totale sono 315 candidature di cui 29 donne, pari al 9,2%.
Non si vuol fare filologia elettorale, ma certamente questi numero ci fanno capire come le donne spariscano di fatto dalla competizione. A Bologna l'elettore ha la possibilità di indicare quattro voti di preferenza ed in assenza di una precisa volontà dei partiti di portare in consiglio le donne, resta solo l'iniziativa delle singole candidate. Quelle con più esperienza, come Aurelia Zama, organizzano riunioni e intervengono ai comizi. Ma la maggioranza delle donne resta fuori dalla pratica elettorale.
La propaganda è vivace, ma non invasiva, senza picchi o scontri frontali. L'immagine della donna è legata al dolore per i figli caduti in guerra oppure alle preoccupazioni per il futuro, simboleggiate dalla giovane madre con il capo chino nascosto nell'abbraccio al suo bambino. A lei il compito di badare alla famiglia e ai figli. Il ruolo è ribadito anche quando le donne sono invitate all'impegno nelle elezioni comunali, si legge infatti che "della politica ci si può disinteressare, ma della propria casa no, e Bologna è la nostra casa".
Il clima comunque è sereno, disteso e tutto si svolge nel rispetto dell'unità nazionale.
A contrastare la visione del voto femminile come il voto di una massa "grigia", facilmente influenzabile e manovrabile, interviene un articolo di Angiola Sbaiz su "La Patria", organo del PLI, dal significativo titolo Voto femminile, voto cosciente: "Ora la donna deve saper dimostrare che questo [si riferisce alla massa grigia] è un infondato timore, che essa sa compensare il riconoscimento del diritto di parità all'uomo in campo politico che le è stato finalmente accordato, con una personale contribuzione effettiva alla formazione di quella che si chiama la volontà popolare e che per esser veramente tale deve risultare la somma delle volontà individuali, cioè una somma di unità." Angiola Sbaiz, sarà consigliera nel 1956, eletta nelle liste della DC su iniziativa personale dell'amico allora non ancora sacerdote Don Giuseppe Dossetti.
Pochi giorni prima del voto il sindaco Giuseppe Dozza si rivolge ai cittadini con un manifesto dove ricorda tra l'altro che "per la prima volta nella storia d'Italia tale diritto è riconosciuto anche alla donna" e che tutti sono chiamati per portare all'amministrazione del "vostro Comune quegli uomini e quelle donne che voi stessi giudicherete più idonei ad affrontare e risolvere i gravi problemi che incombono sulla città".
Gli elettori iscritti sono: Maschi 101.057 - Donne 121.729 per totale 222.786. Le Sezioni sono 246. Si vota domenica 24 marzo 1946 e sono 101.870 le donne bolognesi protagoniste di questa nuova e fondamentale conquista democratica. Insieme all'elettorato maschile (87.100) votano in 188.970 con una percentuale del 84,83%.
I risultati vedono il PCI con il 38,28% con 24 seggi; DC 30,33 % 19 seggi; PSI 26,30% con 16 seggi; PRI 2,87% con 1 seggio; nessun candidato per il Partito d'Azione e per il PLI.
Le donne elette sono quattro su sessanta consiglieri, il 6,6%. Sono i due partiti maggiori ad avere la rappresentanza femminile: due elette su 24 consiglieri per il Pci e sempre due su 19 per la DC. Sono: Ester Capponi, PCI, insegnante, nata nel 1890; Giovanna Gardini, DC, maestra, nata nel 1892; Anna Serra, DC, maestra, nata nel 1894 (queste prime tre hanno il diploma di abilitazione magistrale); Vittorina Tarozzi, PCI, commessa, nata nel 1918.
Le prime tre appartengono ad una generazione che vive la Resistenza in età matura. Il loro livello di scolarizzazione e il bagaglio di esperienze garantisce una presenza solida e consapevole. Ester Capponi ha alle spalle una storia di attivista all'interno della corrente comunista del sindacale magistrale nei primi anni venti. Per la sua attività antifascista è costretta a lasciare l'insegnamento e ad emigrare in Francia, in Belgio, in Russia e in Svizzera. Rientra a Bologna nel luglio 1945.
Vittorina Tarozzi, nome di battaglia "Gianna", partigiana della 63a Bolero Garibaldi è quella che rappresenta il nuovo, la generazione giovane che non ha conosciuto il periodo precedente il fascismo e che si forma nella lotta di Liberazione. Lei si dice arrabbiatissima perché non ci doveva essere, e invece "vengo eletta io e l'Ester Capponi, mentre erano candidate la Veronesi e la Pondrelli che però non vengono elette".
Le candidate preferite dai partiti appaiono quindi sconfitte. Delle otto rappresentanti femminili nel primo Consiglio consultivo nessuna viene eletta.
Antonia Becca, avvocata, sarà in seguito candidata nelle liste del PRI alle elezioni del 2 giugno perché repubblicana e perché come donna è in grado di "sentire da qual parte è possibile sperare l'avvento d'un mondo migliore".
Novella Pondrelli, sindacalista della Camera del lavoro, segue le categorie dei lavoratori della terra e verrà eletta in Consiglio provinciale nel 1951; Elda Magagnoli continuerà a lavorare nella corrente democratico-cristiana della Camera del lavoro come responsabile femminile.
Il nuovo consiglio comunale si riunisce il 9 aprile 1946 ed inaspettatamente nel saluto inaugurale il sindaco Giuseppe Dozza non fa alcun riferimento alle prime consigliere elette, nessun augurio di buon lavoro alle donne e al loro contributo di genere. Forse la nuova amministrazione, legittimata dal voto popolare, vuole superare velocemente la fase transitoria per dedicarsi all'opera intrapresa "con tutta l'autorità che le deriva dall'investitura ricevuta, fino al raggiungimento dell'obbiettivo della completa rinascita della Città, di una più giusta vita del popolo che lavora e soffre".
Inizia così in silenzio il percorso delle donne all'interno del consiglio comunale, segno di una modernità mancata nella politica delle istituzioni. E' vero che i problemi della città sono tanti e tutti urgenti e importanti. Ma è difficile considerare questa una giustificazione sufficiente, tanto più che la limitata partecipazione delle donne si conferma anche nei mandati successivi, quasi che le elezioni del 1946 fossero già una esatta fotografia dei suoi limiti. Dopo le elezioni del 27 e 28 maggio 1951 sono 5 (4 PCI e 1 DC); 27 e 28 maggio 1956 sono 6 (3 per il PCI e 3 per la DC).
Mirella Bartolotti è la prima assessora effettiva eletta in giunta il 30 giugno 1956 dopo le elezioni del 27 e 28 maggio 1956 con le deleghe all'Assistenza e alla Beneficenza nonché a quelle relative ai Problemi delle donne.
Un breve cenno sulla presenza e sull'attività delle elette. Dal 9 aprile al 23 dicembre 1946 il consiglio comunale si riunisce 30 volte e registra un'alta partecipazione delle consigliere. Ester Capponi è presente a 25 sedute; Giovanna Gardini 26, Anna Serra 25, Vittorina Tarozzi 28. Una presenza costante e attenta che segue i lavori del consiglio in un rapporto trasversale che rafforza la componente femminile, legate da una solidarietà che le accomuna e le sostiene di volta in volta quando intervengono. Di che cosa si occupano le consigliere? Ovviamente, in considerazione della loro professione, il campo preferito di attività è la scuola, che del resto come oggetto rientra nella sfera degli interessi tradizionali, legati alla famiglia, assegnati alla donna. E insieme si occupano di alloggi, di assistenza all'infanzia, della refezione scolastica a quei tempi vitale per tante famiglie, della istituzione del Patronato scolastico, che tarda ad essere costituito (Anna Serra nel 1947 lamenta in consiglio l'assegnazione di due soli quaderni all'anno per ogni alunno bisognoso), dei prezzi al consumo, delle colonie estive per i bambini, della costruzione di nuove scuole nelle periferie. In definitiva, è il lavoro di cura di cui le donne si occupano nella famiglia che si rovescia nella loro azione pubblica. Sul finire del mandato, però, con l'irrigidirsi del confronto tra i blocchi a livello internazionale, le donne assumono come proprio, in modo deciso, il tema della pace. Come rappresentanti delle donne bolognesi si rivolgono a tutto il consiglio perché "al di sopra di qualsiasi ideologia politica e fede religiosa" si esprima "la volontà di risparmiare un nuovo conflitto e nuove stragi".
paola furlan
Intervento tenuto al convegno nazionale di studi. "1946 I Comuni al voto. Partecipazione politica e ricostruzione nelle origini della Repubblica", Bologna, 18-19 maggio 2006.
Pubblicato in: 1946. I comuni al voto. Elezioni amministrative, partecipazione delle donne, Imola, Editrice La Mandragora, 2007, p. 207-228.
Questa storia attraversa i seguenti mandati elettorali
- 1975 (26.4.1976) vedi