La violenza politica a Bologna durante la prima guerra mondiale, Nazario Sauro Onofri
Bologna cominciò a conoscere il grave fenomeno della violenza politica all'inizio del 1900 quando la sinistra, rappresentata dal Partito Socialista Italiano, divenne - con libera e democratica scelta elettorale - classe dirigente della città e dell'intera provincia.
La violenza fisica fu lo strumento cui fecero ricorso alcuni partiti moderati e conservatori quando - dopo le vittorie del PSI nelle elezioni politiche del 1904, 1909 e 1913 - si resero conto che quello socialista non era un fenomeno passeggero, ma destinato a durare nel tempo.
Il punto di non ritorno era stato superato il 28 giugno 1914 quando il Psi, dopo oltre mezzo secolo di amministrazioni locali di destra, aveva conquistato sia il Comune di Bologna sia l'amministrazione provinciale.
Dino Zanetti - che fu organizzatore e dirigente delle squadre armate del Gruppo nazionalista bolognese nel 1919 e di quelle fasciste dopo - ha scritto che la reazione antisocialista a Bologna ebbe inizio subito dopo l'insediamento della prima amministrazione comunale a guida socialista (1).
Il giornalista nazionalista Concetto Valente, - che era il corrispondente da Bologna di alcuni quotidiani nazionali della destra politica - ha scritto che "la sera del 15 luglio 1914 (quando si insediò la prima amministrazione socialista, NdA) preconizza la giornata del 21 novembre 1920" quando si insediò la seconda amministrazione di sinistra e i fascisti assalirono la sede comunale provocando una strage (2).
Anche se avevano perduto la maggioranza su scala provinciale nelle elezioni del 1904 - quando il Psi aveva conquistato cinque deputati su 8, mentre in quelle del 1913 era passato a sei - i partiti politici della destra ritenevano che la presentazione di una lista elettorale socialista rappresentasse "una sfida alla città" sulla quale, come scrisse il quotidiano cattolico, incombeva una "una tirannide plebea" (3).
Fu in occasione della competizione elettorale amministrativa del 1914 che, all'interno dei gruppi politici di destra - quello nazionalista in particolare - cominciò a essere presa in seria considerazione l'uso della violenza, dal momento con il libero e democratico voto la sconfitta era sicura.
Anche se i famigerati "pattuglioni antisindacali" avevano fatto la loro apparizione da qualche anno, per piegare gli scioperanti che avevano sospeso il lavoro nei servizi pubblici, fu in occasione delle manifestazioni per la "settimana rossa", nella primavera del 1914 - proprio alla vigilia del voto amministrativo - che si ebbero le prime manifestazioni di vera e propria violenza politica organizzata.
Il quotidiano cattolico, da sempre fautore di una dura linea politica contro il Psi, 10 giugno 1914, in occasione di uno sciopero sindacale, scrisse che a Bologna "Alcuni (operai) che fischiavano furono fermati dal pubblico e consegnati ai carabinieri", mentre altre persone "furono malmenate dai borghesi". Lo stesso giorno, sempre secondo il quotidiano cattolico, altri elementi della sinistra partecipanti a una manifestazione furono dispersi dai nazionalisti spalleggiati dalla polizia.
Ma fu il voto elettorale che fece precipitare la situazione politica. La sera del 29, quando in città si sparse la notizia - ancora ufficiosa - che dalle urne era uscita una maggioranza socialista, un gruppo di militanti del Psi entrò nella sede comunale e depositò una bandiera rossa accanto alla statua di Gregorio XIII nel balcone di Palazzo d'Accursio.
"Fu un'onta inflitta alla città" scrisse il giorno dopo il quotidiano cattolico, perché la bandiera rossa è "simbolo di incendio e di sangue". I socialisti, aggiunse, "hanno invaso la casa del Comune, compiendo così il primo atto di pirateria". La teppa comanda, recitava il titolo dell'articolo. Pesantissimo il tono del titolo a tutta pagina che annunciava la vittoria socialista: Bologna, dotta, liberale e turrita sotto l'egemonia della camera del lavoro dell'analfabetismo.
La pacifica invasione - che era e restava non legale - fu ritenuto un atto politico normale da "il Resto del Carlino", il quotidiano di proprietà di un gruppo di agricoltori e zuccherieri bolognesi. Mario Missiroli, che dirigeva sia pure non ufficialmente il giornale, non aveva approvato la nascita della coalizione di destra che aveva messo in campo quella che fu chiamata la "grande armada", poi sconfitta dal Psi. In un rapporto al governo, il prefetto scrisse che il quotidiano bolognese aveva assunto un "contegno indifferente" e che era "quasi estraneo alla lotta" elettorale (4).
Quella competizione, una delle più importanti e significative del XX secolo - svoltasi in un clima assolutamente calmo e tranquillo, come confermano le relazioni del prefetto al governo e i resoconti giornalistici - aprì a Bologna un capitolo nuovo nella vita politica.
La sera del 18 luglio - il nuovo sindaco socialista si era insediato meno di tre giorni prima - mentre stavano preparando l'impasto del pane che sarebbe stato messo in vendita la mattina dopo, i padroni dei forni ebbero una visita tanto inattesa quanto sgradita. Dopo avere esibito un decreto del sindaco, gli ispettori del comune prelevarono campioni di pane crudo per sottoporli ad esame chimico. A nulla servirono le proteste dei padroni dei forni e i controlli divennero periodici. Protestarono anche i pastai - parenti prossimi dei fornai - quando dieci giorni dopo furono convocati dal sindaco per cercare di trovare - nella sede municipale - una soluzione alla vertenza in atto da tempo con i dipendenti.
La protesta degli addetti al settore commerciale divenne generale il 26 agosto quando il Municipio - in un negozio sotto il Portico del Podestà e servendosi di proprio personale, anche se in barba ai contratti di lavoro - iniziò a vendere uva a basso costo. Le proteste dei "bottegai" aumentarono in ottobre quando, in quello che i bolognesi avevano subito chiamato il "negozio di Zanardi", iniziò la vendita del pane e, qualche giorno dopo, di pasta e di altri generi alimentari.
Le proteste - dei proprietari di case, questa volta - aumentarono quando fu reso noto il nuovo contratto d'affitto, secondo il quale i pagamenti non avvenivano più con rate annuali, ma mensili.
Un vero e proprio attentato alla "proprietà" fu considerato il nuovo regolamento comunale d'igiene che dava due anni di tempo ai proprietari di case per montare un rubinetto di acqua potabile in ogni appartamento e così pure un "water a cacciata d'acqua". La maggior parte delle case bolognesi, all'inizio del Novecento, erano prive di questi essenziali servizi.
I primi provvedimenti dell'amministrazione socialista bolognese provocarono clamori sui giornali e nelle piazze, ma, tutto sommato, non si ebbero scontri fisici tra le parti, anche se, soprattutto i "bottegai" facevano scrivere sui giornali che era ora di "sbolognarla" da Palazzo d'Accursio.
L'occasione che fece fare un salto di qualità alla contesa politica fu l'inizio della guerra mondiale nell'estate 1914. I pochi partiti interventisti - nazionalisti e repubblicani, mentre liberali e cattolici, almeno inizialmente, erano neutralisti come i socialisti - ritennero che fosse opportuno servirsi della guerra per pareggiare i conti con il Psi. Fu un processo lento e non facile, che ebbe inizio il 29 settembre 1914. Quel giorno davanti alla sede comunale si tennero due manifestazioni spontanee pro e contro il conflitto. Nazionalisti e socialisti vennero alle mani, subito divisi dalla polizia. Concetto Valente ha scritto: "Il sindaco Zanardi conobbe i primi pugni nazionalisti - e pugni di un eroe, di Pompeo Tumedei" (5). Zanardi, come scrissero i giornali, era intervenuto per dividere i contendenti.
Quella fu la prima di una lunga serie di aggressioni contro esponenti socialisti. Vediamo le principali.
L'11 novembre 1914, in occasione del compleanno del re, non fu esposto il tricolore nella sede comunale. I nazionalisti, guidati da Dino Zanetti, tentarono invano di invadere la sede comunale. Ha scritto Zanetti: "E poiché i nostri violentissimi tentativi per entrare nella residenza comunale, furono frustrati da una violenta reazione poliziesca, si elevarono grida di "Abbasso il sindaco...abbasso i rinnegati""(6).
Il 21 febbraio 1915 i socialisti bolognesi non poterono organizzare una manifestazione - regolarmente autorizzata - contro la guerra nel parco della Montagnola. Il giorno dopo "il Resto del Carlino" titolò: I neutralisti sonoramente picchiati. Il 23, quando gli interventisti si recarono nella Sala dei Notai, per una manifestazione a favore della guerra, la trovarono occupata da centinaia di socialisti i quali impedirono loro di entrarvi. Il 26, mentre conversavano in Piazza Maggiore (che all'epoca si chiamava Vittorio Emanuele II) furono aggrediti e bastonati gli assessori comunali Demos Altobelli, Luca Tosi Bellucci e Nino Bixio Scota. Zanardi non subì altre aggressioni fisiche, ma manifestazioni ostili furono organizzate davanti alla sua abitazione.
Se possibile, il clima politico si aggravò alla vigilia dello scoppio della guerra. Il 14 maggio davanti alla sede comunale si tenne una manifestazione interventista per invocare l'inizio del conflitto. Gli interventisti, trattenuti dalla forza pubblica, gridavano "" Viva la guerra" e "Abbasso la pace", e ancora "Socialisti beduini", "Abbasso Zanardi", "Abbasso i socialisti". Per tutta la giornata si ebbe una feroce caccia ai socialisti. Per questo la Giunta comunale rivolse un appello ai contendenti e li invitò ad "abbandonare ogni inutile violenza" (7).
La sera del 23 maggio, quando si sparse in città la notizia che la guerra all'Austria era stata dichiarata, davanti a Palazzo d'Accursio si svolse la solita manifestazione al grido di "Viva la guerra" e "Abbasso Zanardi". Solo che questa volta gli agenti di polizia non sbarrarono l'entrata e gli interventisti invasero la sede comunale al grido di "Va fuori stranier..." (8). Non si ebbero aggressioni fisiche contro persone solo perché gli uffici erano chiusi.
L'inizio del conflitto non restituì la pace a Bologna perché, come ha scritto il deputato socialista Giovanni Zibordi, nella regione, ma anche altrove, "La notizia di una sconfitta, come quella di una vittoria, valeva del pari a dare il pretesto di una dimostrazione contro il Comune rosso, cioè contro il pubblico potere tenuto dal proletariato" (9). Regolarmente, l'8 agosto 1916, quando l'esercito italiano liberò Gorizia, gli interventisti bolognesi tentarono invano di invadere la sede comunale (10).
Anche le vie legali furono battute per colpire l'amministrazione socialista. Nel 1917 il sindaco dovette comparire davanti al Tribunale militare per rispondere di tutta una serie di accuse che anonimi calunniatori avevano inviato ai magistrati con le stellette. Assolto Zanardi, i calunniatori ci provarono con l'assessore all'istruzione Mario Longhena, accusandolo di fare propaganda contro la guerra durante le lezioni all'Istituto per ragionieri dove insegnava. Longhena si autosospese e chiese la nomina di una commissione, la quale arrivò "a conclusioni negative, non essendo risultato alcun fatto che potesse valere come prova alla consistenza dell'accusa".
Quando "La Squilla", il settimanale del PSI, indisse una sottoscrizione in segno di solidarietà con Longhena, successe un fatto curioso. Nell'elenco dei sottoscrittori apparvero offerte semianonime con queste motivazioni: "Una tedesca nata in Italia cent. 20", "I due figli della tedesca nata in Italia cent.10", "Un senza patria cent.10", "Una maledicendo gli interventisti cent.10". Appena il giornale arrivò nelle edicole, una trentina di studenti presentarono una denuncia alla magistratura. Invano l'amministratore del settimanale sostenne che le frasi puerili non erano sfuggite solo a lui, ma anche alla censura militare. L'amministratore fu assolto, ma il gerente ebbe sei mesi e una multa di 500 lire.
Al di là dei casi di dubbia ironia come quelli della sottoscrizione, la violenza era e restava al centro del pensiero e dell'azione degli interventisti i quali occuparono la Piazza 8 agosto il 16 giugno 1918 per impedire ai socialisti di tenere una manifestazione patriottica - debitamente autorizzata dal prefetto e dalle autorità militari - per onorare coloro che "seppero morire dissentendo". Quando giunsero nella piazza, i socialisti ebbero la sgradita sorpresa di trovare il palco occupato da numerosi mutilati in divisa militare. Zanetti ha scritto che lui e i suoi commilitoni erano "pronti a tutto: a menare le mani e peggio" (11). Per non avere uno scontro con i mutilati, i socialisti abbandonarono la piazza. Inutile dire che i militari - non erano tutti mutilati - salirono sul palco e cantarono vittoria.
L'ultimo scontro si ebbe il primo giorno di pace. La sera del 3 novembre 1918, quando in città si sparse la notizia che era stato firmato l'armistizio, gli interventisti invasero Palazzo d'Accursio, nonostante l'amministrazione avesse fatto esporre al balcone il Gonfalone municipale per esprimere la soddisfazione della città.
Dopo cena, quando al balcone di Palazzo d'Accursio si presentarono il comandante del presidio militare e Zanardi gli interventisti cominciarono a urlare e impedirono al sindaco di parlare. Quindi si recarono in via dell'Indipendenza e nel corso di un comizio chiesero all'amministrazione comunale di rassegnare le dimissioni.
La mattina dopo gli interventisti occuparono la piazza e aggredirono numerosi dirigenti socialisti compreso il sindaco Zanardi, il quale subì la seconda, ma non ultima bastonatura nella sua città. Nel corso di una pubblica manifestazione gli interventisti votarono un documento - subito consegnato al prefetto e alle autorità militari - con il quale si chiedevano nuovamente le dimissioni dell'amministrazione civica.
Come non bastasse, nel pomeriggio un gruppo di militari armati assalì la sede della Camera del lavoro in via Oberdan 20 (allora si chiamava Via Cavaliera) e cercò di penetrarvi nonostante la resistenza di alcuni lavoratori. Ha scritto Zanetti: "Picchiammo però di santa ragione e poiché volò per l'aria qualche pugnale, gli eroi volsero in fuga senza accettare il conflitto" (12).
La guerra era venuta e se n'era andata, ma il clima politico di violenza a Bologna era rimasto quello che si era formato nella primavera del 1914. Le gravi conseguenze politiche erano dietro l'angolo e si sarebbero manifestate molto presto.
Note
1) Dino Zanetti, L'anima nella bufera, Galeri, Bologna, 1936, p.58.
2) Concetto Valente, La ribellione antisocialista di Bologna, Cappelli, Bologna 1921, p.9.
3) "L'Avvenire d'Italia", 23 giugno 1914.
4) Archivio di stato di Bologna, Gabinetto di prefettura, categoria 5, fascicolo 1, 1914.
5) Concetto Valente, op. cit., p .23.
6) Dino Zanetti, op. cit., p. 94.
7) "Vita cittadina", n.5, maggio 1915.
8) "il Resto del Carlino", 24 maggio 1915.
9) Giovanni Zibordi, Critica socialista al fascismo, Cappelli, Bologna, 1922, p. 7.
10) Per l'operato dell'amministrazione socialista a Bologna negli anni della prima guerra mondiale cfr. Nazario Sauro Onofri, La grande guerra nella città rossa. Con una lettera autocritica di Pietro Nenni. Socialismo e reazione a Bologna dal '14 al '18, Edizioni del gallo, Milano, 1966, pp.435.
11) Dino Zanetti, op.cit., p.304.
12) Dino Zanetti, op. cit., p.344.
Questa storia attraversa i seguenti mandati elettorali
- 1914 (20.9.1914) vedi