La donna nella letteratura

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Nel panorama della nostra lirica cinquecentesca spiccano i nomi di tre poetesse: Veronica Gambara (1485-1550), Vittoria Colonna (1492-1547) e Gaspara Stampa (1523-1554); ma se la tradizione le accomuna nella fama, oggi si propende a stabilire una graduatoria quanto al loro reale valore poetico.

La nobildonna bresciana Gambara, moglie di Gilberto X, signore di Coreggio e, dopo la morte del marito, savia reggitrice del piccolo Stato, nelle rime amorose, politiche, religiose segue troppo da vicino il Petrarca e il Bembo; il suo mondo manca di vivi sentimenti. Questi invece ispirano la romana Colonna, a diciassette anni sposa del celebre capitano don Ferrante d’Avalos, marchese di Ferrara, a venti vedova, che nei versi idealizza il perduto compagno, esaltandone le virtù spirituali, ma d’altra parte indulge troppo all’astrattezza. In fondo, neppur lei conosce ed esprime la veemente passione d’amore; anzi, sulla cinquantina, cerca rifugio nella fede e nel ritiro dei chiostri; la seconda parte, che è anche la seconda parte,  la più vasta del suo canzoniere, svolge argomenti religiosi, con abbondanza di sottigliezze teologiche. Tuttavia non si stenta a comprendere l’ammirazione dei contemporanei per la vigoria del suo pensiero, nel quale si annulla ogni traccia di femminilità.

Una donna appassionata freme invece nella padovana Stampa che amò follemente il conte Collalto, abbandonata chiese conforto nella religione e morì trentenne. Nel suo canzoniere minima è l’imitazione petrarchesca, la forma ha movenze persoali spesso rudi, la materia palpita come in un diario intimo; persino i sonetti sacri riflettono il tumulto dell’anima, che non riesce a staccarsi dalle cose terrene. La poetessa invita l’amato (sonetto "Deh, lasciate, signor, le maggior cure") a non curare vani onori, a differire la partenza per la corte di Francia, gli propone la prospettiva di una vita "alma e gradita" nella quiete delle campagne, nelle gioie dell’amore:

"Qui coglieremo a tempo e rose e fiori
ed erbe e frutti, e con dolci contenti
canterem con gli uccelli i nostri amori".

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La tenera preghiera non è ascoltata; alla fanciulla non resta che la rassegnazione, espressa in un soave madrigale:

"Il cor verrebbe teco,
  nel tuo partir, Signore,
  s’egli fosse più meco,
  poi che con gli occhi tuoi mi prese Amore.

"Dunque verranno teco i sospir miei
che sol mi son restati,
fidi compagni e grati,
e la voci e gli omei;
e, se vedi mancarti la lor scorta,
pensa ch’io sarò morta".

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Il bel sogno è finito, la sconsolata si volge a Dio, ma in lei fiammeggia ancora la passione:

"Volgi a me, peccatrice empia, la vista, "si mi trasforma amor empio e contrista,
mi grida il mio Signor che ’n croce pende; e d’altro foco il cor arde ed accende;
e dal mio cieco senso non s’intende sì l’alma al proprio e vero ben contende
la voce sua di vera pietà mista: che non si perde mai poi che s’acquista.

"La ragion saria facile e pronta "Dunque apparir non può la luce mia
a seguire il suo meglio; ma la svia se ’l sol della sua grazia non sormonta
questa fral carne che con lei s’affronta. a scacciar questa nebbia fosca e ria".

Gaspara Stampa è la meno letteraria, la più personale delle nostre poetesse e rimatrici; fa sentire giubili ed ansie, sconforti e grigiori, tutto il dramma della sua femminilità colma e sprezzata.

 

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