LINEE
DI INTERVENTO PER IL RIORDINO DEGLI ISTITUTI TECNICI
L’ACTION
PLAN PER L’ISTRUZIONE TECNICA, elaborato da Confindustria
con la collaborazione di un gruppo di esperti e di dirigenti di qualificati
Istituti tecnici di tutta Italia nel corso del 2007 e suddiviso in tre sezioni:
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Contenuti
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Governance
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Risorse umane
Questa
proposta va realizzata attraverso alcune azioni immediate.
Contenuti
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contenimento nel numero delle materie
Il
numero delle materie deve essere ridotto e gli orari di ciascuna di esse devono
essere significativi negli istituti tecnici. Il limite di 32 ore settimanali
non deve essere superato e deve includere spazi per l’autonoma progettazione
delle scuole.
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spazio per l’autonomia delle scuole
Le 32 ore non devono essere tutte predefinite nei
quadri orario. Alle scuole, dentro le 32 ore, deve essere affidato
uno spazio (2-3 ore, circa il 10%) che esse devono organizzare in
autonomia, per rispondere ai bisogni individuati in sede locale;
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istituzione dell’insegnamento di Scienze integrate
che
riunisca tutti gli insegnamenti a carattere scientifico. Non occorre a questo
livello di età un approfondimento specialistico, ma una visione di insieme ed
una metodologia di base; tale insegnamento comprende chimica, fisica, biologia
e scienze della terra e può essere attribuito attraverso il ricorso alle
“classi atipiche” per evitare le rigidità delle attuali classi di concorso che
vanno riformate e semplificate;
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insegnamento in lingua inglese
possibilmente,
oltre all’insegnamento della lingua inglese in quanto tale, un altro
insegnamento dovrebbe essere svolto in lingua inglese;
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una sola lingua straniera
non è
realistico prevedere l’insegnamento di una seconda lingua straniera.
Governance
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istituire (solo per gli Istituti tecnici) un
Consiglio di Amministrazione,
in cui
vi sia una presenza significativa di soggetti esterni alla scuola, espressione
del mondo della produzione e/o dei servizi, in relazione agli indirizzi di
studio;
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attribuire al Consiglio poteri effettivi di governo
tale
organo deve affiancare il dirigente (i cui poteri non vanno ridotti) e deve
avere la responsabilità complessiva per l’indirizzo generale, il piano di
sviluppo pluriennale della scuola, il programma annuale ed i rapporti con le
imprese e le aziende che
costituiscono i naturali interlocutori di ciascun Istituto;
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separazione dei compiti di partecipazione da quelli
di governo
il
Consiglio di Amministrazione non sostituisce gli organi di partecipazione
democratica; ma la partecipazione deve essere tenuta distinta dalla gestione,
dall’indirizzo tecnico e dal governo;
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il problema non sta nel nome
se il
termine Consiglio di Amministrazione “disturba”, se ne può trovare un altro, ma
non si può prescindere da uno specifico
modello di governo degli Istituti tecnici, data la loro precisa missione
(che non è uguale a quella dei licei): formare i quadri intermedi che devono
contribuire allo sviluppo delle aziende di produzione e servizi.
Risorse umane
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scelta del personale docente e tecnico
gli istituti
tecnici debbono poter scegliere in autonomia (ed in raccordo con le imprese di
produzione e servizi più vicine al proprio indirizzo di studi) almeno il
personale che deve svilupparne la missione specifica: insegnanti di materie
tecniche, tecnici di laboratorio, ufficio tecnico. Questo personale deve essere
svincolato dalle classi di concorso e dall’assegnazione centralizzata;
-
autonomia reale nella gestione della quota di
flessibilità
perché
la flessibilità ipotizzata (fra il 20% ed il 35%) abbia un senso, il personale
destinato a coprirla non deve essere già predeterminato nei quadri orari e
negli organici. Sono gli istituti tecnici che devono individuare il fabbisogno
di materie/attività corrispondenti e scegliere se richiedere agli uffici
scolastici insegnanti “tradizionali” o se chiamare esperti esterni qualificati,
con procedure trasparenti ma libere.
A LIVELLO LEGISLATIVO:
-
emanare un provvedimento normativo specifico (questa seconda soluzione è
considerata dall’On. Aprea più realistica rispetto
alla prima)
che preveda:
-
istituzione del
Consiglio di Amministrazione (o denominazione alternativa) solo per gli
Istituti tecnici
-
rinvio a
successivi decreti (da emanare in tempi brevi) per quanto riguarda la
definizione di struttura, poteri e raccordo con gli altri organi collegiali
degli Istituti in questione
-
criteri generali
cui devono ispirarsi i decreti in questione (vedi scheda 1 e Action Plan per
l’Istruzione Tecnica)
oppure:
-
attribuzione
agli Istituti tecnici di autonomia
statutaria
-
rinvio allo statuto
dei singoli istituti dell’istituzione dei propri organi di governo
-
criteri generali
cui gli statuti dovranno ispirarsi (fra cui la presenza di un organo come il
Consiglio di Amministrazione, comunque denominato – per il resto vedi scheda 1
e Action Plan)
oppure, in ulteriore subordine:
-
sperimentazione
nazionale di autonomia statutaria per quegli Istituti tecnici che si colleghino
con il mondo della produzione e dei servizi ed il territorio e promuovano
intorno al proprio progetto di qualità formativa una fondazione dotata di
risorse “esterne” per un importo minimo predefinito (ad es. 50.000 euro). Il
riferimento è al modello delle Foundation schools inglesi
A LIVELLO DEL REGOLAMENTO
(di cui all’art.13 della legge 40/2007)
Le
proposte seguono lo schema della bozza di regolamento predisposta dal MIUR e
sono raggruppate sotto i titoletti del documento MIUR
intitolato “Documento di base per la discussione”.
Identità degli istituti tecnici
I profili attualmente individuati sono definiti in
modo generico. Modificarli coinvolgendo nella loro riscrittura
esperti dei settori economici e produttivi interessati (è quanto già stiamo
realizzando).
I profili vanno associati alla chiara definizione di
standard minimi irrinunciabili di competenze chiave.
Non sono noti il numero e l’articolazione dei
sotto-indirizzi. Si ribadisce che non deve esservi proliferazione di micro-piani di studio, tutti definiti in modo rigido dal
centro e differenziati solo da uno o due insegnamenti.
Le opzioni che “specificano ulteriormente gli
indirizzi” non vanno determinate dal centro. Vanno individuate dalle scuole, in
raccordo con le realtà economiche e produttive del territorio. Se mai, possono
essere previste linee guida generali di coerenza per l’equivalenza sostanziale
dei percorsi e dei titoli di studio finali.
Non sono noti i quadri orario. Ferme restando le 32
ore complessive, al loro interno va ricavato uno spazio di autonomia effettiva
per le scuole (2-3 ore non devono essere predefinite dal centro).
Organizzazione dei percorsi
Il numero complessivo delle materie va contenuto al
massimo. Si deve pensare nel primo biennio ad un insegnamento di Scienze integrate, che riunisca tutti
gli insegnamenti scientifici.
Si deve esplicitamente indicare fin dal primo biennio
l’uso sistematico del laboratorio e di metodologie problem solving, sia per l’insegnamento che per
le verifiche.
I laboratori devono essere adeguatamente attrezzati e
dotati di un tecnico di laboratorio che affianchi il docente e che sia in
possesso di comprovata esperienza di lavoro nell’ambito relativo. Va eliminato
il doppione costituito dall’insegnante tecnico-pratico, che è quasi sempre un
generico diplomato privo di esperienze concrete.
Si deve prevedere fin dal primo biennio il raccordo
con il mondo esterno tramite incontri con le aziende del territorio, visite di
esperti e visite aziendali.
La ripartizione oraria indicata per il primo biennio
(65% materie generali comuni – 35% materie di indirizzo) può andar bene.
Sarebbe auspicabile che per il secondo biennio le materie
di indirizzo salissero dal 55% (circa) attualmente indicato al 60%.
Per il quinto anno, le materie di indirizzo non
possono essere inferiori al 65% del totale orario. Non ha senso articolare il
triennio finale in 2+1 se poi la struttura degli insegnamenti non si
differenzia in alcun modo. Il quinto anno deve preparare in modo mirato
all’inserimento lavorativo o alla prosecuzione di studi ben individuati. La
reversibilità delle scelte – a questo livello – è solo uno spreco di tempo e di
risorse.
Per il secondo biennio e soprattutto per il quinto
anno dovrebbe essere prevista una soglia minima di ore da destinare ad attività
di stage e tirocini.
Gli “spazi di autonomia” indicati (20%-30%-35%)
possono andar bene. Ma devono essere “reali”, cioè non occupati già nei quadri
orario da insegnamenti predefiniti rigidamente dal centro. Al massimo questi
spazi possono essere individuati come “ambiti di competenze” che gli istituti
tecnici devono riempire con insegnamenti ed attività scelti in accordo con il
mondo economico e produttivo di riferimento.
Gli insegnamenti ed attività individuati dalle scuole
nell’esercizio dell’autonomia di cui sopra devono essere affidati a personale
individuato dalle stesse (eventualmente, ma non necessariamente, anche
attraverso richiesta agli uffici scolastici territoriali, per le materie più
“tradizionali”). Le classi di concorso e le graduatorie non devono costituire
un vincolo in tale area.
Vanno bene i dipartimenti didattici, ma le
“linee-guida definite a livello nazionale” rischiano di burocratizzarne ed
irrigidirne il funzionamento.
Il comitato
tecnico-scientifico non può sostituire uno specifico organo di governo
(consiglio di amministrazione o simile) che restituisca agli istituti tecnici
la capacità di interpretare in modo efficace la propria missione fondamentale,
attraverso la collaborazione privilegiata con il mondo della produzione e dei
servizi.
Comunque, se deve esistere: a) gli esperti esterni non possono essere “in numero contenuto” e
cioè minoritario; e b) i docenti
interni non possono essere né in maggioranza numerica né “designati dal
collegio docenti”, per evitare logiche politiche o sindacali anziché la
valutazione delle loro competenze. La scelta va affidata al dirigente, su
criteri indicati dal consiglio di amministrazione (o organo equivalente, se
costituito). Se non c’è, al solo dirigente.
Agli esperti esterni individuati dal comitato
tecnico-scientifico debbono poter essere affidate anche attività didattiche curricolari, cioè facenti parte dei quadri orario e non
solo insegnamenti aggiuntivi o opzionali.
L’Ufficio Tecnico deve essere dotato di competenze e
risorse in misura adeguata ad assicurarne l’efficace funzionamento, anche in
raccordo con le imprese esterne di riferimento.
Le certificazioni finali devono indicare non solo le
materie seguite ma le competenze effettivamente acquisite in relazione
all’indirizzo tecnico di studi prescelto.
Della commissione d’esame deve far parte anche un
rappresentante designato dalle realtà economiche e produttive del territorio
con comprovata esperienza di lavoro nell’ambito cui si riferisce il titolo
finale.
Le prove di esame devono includere: a) prove pratiche che dimostrino le
competenze operative e b) la
presentazione di un progetto applicativo che dimostri la capacità di utilizzare
il complesso delle conoscenze acquisite per la risoluzione di un problema
concreto.
Fare esplicito riferimento alla collaborazione nei
poli anche con gli Istituti professionali, oltre che con le strutture formative
accreditate dalle Regioni.
Superare per gli Istituti Tecnici Superiori il
vincolo dei sei ambiti attualmente indicati e quello della struttura
obbligatoria come fondazioni di partecipazione.
Non si ravvisa la necessità di definire in sede
contrattuale i profili professionali delle figure da utilizzare nell’Ufficio
Tecnico. Si tratta di competenze tecniche che vanno individuate dal dirigente e
dai docenti dell’area di riferimento.
“Ambiti, criteri e modalità per l’articolazione degli
indirizzi in opzioni, nonché per l’utilizzazione degli spazi di autonomia
previsti” vanno lasciati appunto all’autonomia degli istituti, entro
linee-guida molto generali. Altrimenti, non ha senso parlare di autonomia e di
raccordo con il territorio per il supporto allo sviluppo delle realtà
economiche e produttive ivi esistenti.
Il costituendo Comitato
nazionale per l’Istruzione tecnica, per adempiere efficacemente agli
obiettivi indicati, deve essere costituito (o almeno operare) per
sotto-comitati, corrispondenti agli indirizzi di studio. Altrimenti finirà con
il limitarsi a generiche raccomandazioni prive di incidenza e significato
reale. L’aggiornamento periodico non deve riferirsi genericamente “ai percorsi”
ma concretamente agli “standard professionali e formativi” Del Comitato e dei
sotto-comitati debbono far parte esponenti del mondo economico e produttivo.
Va bene la valutazione esterna, ma:
- richiamare per gli istituti tecnici l’obbligo di
una propria autovalutazione, svolta in raccordo con
il mondo economico e produttivo del territorio coerente con l’indirizzo di
studi;
- richiamare la necessità che di tale autovalutazione faccia parte il monitoraggio degli esiti
post-diploma dei propri studenti (tasso di passaggio al lavoro, tempi per
trovarlo, prosecuzione negli studi in settori coerenti con gli studi seguiti,
ecc.);
- richiamare la necessità che gli esiti dell’autovalutazione e del monitoraggio sugli ex-studenti vengano utilizzati per l’aggiornamento del piano di sviluppo.