CONFINDUSTRIA  EDUCATION
Ottobre 2008

 

 

LINEE  DI INTERVENTO PER IL RIORDINO DEGLI ISTITUTI TECNICI

 

L’ACTION PLAN PER L’ISTRUZIONE TECNICA, elaborato da Confindustria con la collaborazione di un gruppo di esperti e di dirigenti di qualificati Istituti tecnici di tutta Italia nel corso del 2007 e suddiviso in tre sezioni:

 

-        Contenuti

-        Governance

-        Risorse umane

Questa proposta va realizzata attraverso alcune azioni immediate.

 

Contenuti

 

-        contenimento nel numero delle materie

Il numero delle materie deve essere ridotto e gli orari di ciascuna di esse devono essere significativi negli istituti tecnici. Il limite di 32 ore settimanali non deve essere superato e deve includere spazi per l’autonoma progettazione delle scuole.

-        spazio per l’autonomia delle scuole

Le 32 ore non devono essere tutte predefinite nei quadri orario. Alle scuole, dentro le 32 ore, deve essere affidato uno spazio (2-3 ore, circa il 10%) che esse devono organizzare in autonomia, per rispondere ai bisogni individuati in sede locale;

-        istituzione dell’insegnamento di Scienze integrate

che riunisca tutti gli insegnamenti a carattere scientifico. Non occorre a questo livello di età un approfondimento specialistico, ma una visione di insieme ed una metodologia di base; tale insegnamento comprende chimica, fisica, biologia e scienze della terra e può essere attribuito attraverso il ricorso alle “classi atipiche” per evitare le rigidità delle attuali classi di concorso che vanno riformate e semplificate;

-        insegnamento in lingua inglese

possibilmente, oltre all’insegnamento della lingua inglese in quanto tale, un altro insegnamento dovrebbe essere svolto in lingua inglese;

-        una sola lingua straniera

non è realistico prevedere l’insegnamento di una seconda lingua straniera.

 

Governance

 

-        istituire (solo per gli Istituti tecnici) un Consiglio di Amministrazione,

in cui vi sia una presenza significativa di soggetti esterni alla scuola, espressione del mondo della produzione e/o dei servizi, in relazione agli indirizzi di studio;

-        attribuire al Consiglio poteri effettivi di governo

tale organo deve affiancare il dirigente (i cui poteri non vanno ridotti) e deve avere la responsabilità complessiva per l’indirizzo generale, il piano di sviluppo pluriennale della scuola, il programma annuale ed i rapporti con le imprese e le aziende che costituiscono i naturali interlocutori di ciascun Istituto;

-        separazione dei compiti di partecipazione da quelli di governo

il Consiglio di Amministrazione non sostituisce gli organi di partecipazione democratica; ma la partecipazione deve essere tenuta distinta dalla gestione, dall’indirizzo tecnico e dal governo;

-        il problema non sta nel nome

se il termine Consiglio di Amministrazione “disturba”, se ne può trovare un altro, ma non si può prescindere da uno specifico modello di governo degli Istituti tecnici, data la loro precisa missione (che non è uguale a quella dei licei): formare i quadri intermedi che devono contribuire allo sviluppo delle aziende di produzione e servizi.

 

Risorse umane

 

-        scelta del personale docente e tecnico

gli istituti tecnici debbono poter scegliere in autonomia (ed in raccordo con le imprese di produzione e servizi più vicine al proprio indirizzo di studi) almeno il personale che deve svilupparne la missione specifica: insegnanti di materie tecniche, tecnici di laboratorio, ufficio tecnico. Questo personale deve essere svincolato dalle classi di concorso e dall’assegnazione centralizzata;

-        autonomia reale nella gestione della quota di flessibilità

perché la flessibilità ipotizzata (fra il 20% ed il 35%) abbia un senso, il personale destinato a coprirla non deve essere già predeterminato nei quadri orari e negli organici. Sono gli istituti tecnici che devono individuare il fabbisogno di materie/attività corrispondenti e scegliere se richiedere agli uffici scolastici insegnanti “tradizionali” o se chiamare esperti esterni qualificati, con procedure trasparenti ma libere.


A LIVELLO LEGISLATIVO:

 

-        emanare un provvedimento normativo specifico (questa seconda soluzione è considerata dall’On. Aprea più realistica rispetto alla prima)

che preveda:

-        istituzione del Consiglio di Amministrazione (o denominazione alternativa) solo per gli Istituti tecnici

-        rinvio a successivi decreti (da emanare in tempi brevi) per quanto riguarda la definizione di struttura, poteri e raccordo con gli altri organi collegiali degli Istituti in questione

-        criteri generali cui devono ispirarsi i decreti in questione (vedi scheda 1 e Action Plan per l’Istruzione Tecnica)

oppure:

-        attribuzione agli Istituti tecnici di autonomia statutaria

-        rinvio allo statuto dei singoli istituti dell’istituzione dei propri organi di governo

-        criteri generali cui gli statuti dovranno ispirarsi (fra cui la presenza di un organo come il Consiglio di Amministrazione, comunque denominato – per il resto vedi scheda 1 e Action Plan)

oppure, in ulteriore subordine:

-        sperimentazione nazionale di autonomia statutaria per quegli Istituti tecnici che si colleghino con il mondo della produzione e dei servizi ed il territorio e promuovano intorno al proprio progetto di qualità formativa una fondazione dotata di risorse “esterne” per un importo minimo predefinito (ad es. 50.000 euro). Il riferimento è al modello delle Foundation schools inglesi


A LIVELLO DEL REGOLAMENTO (di cui all’art.13 della legge 40/2007)

 

Le proposte seguono lo schema della bozza di regolamento predisposta dal MIUR e sono raggruppate sotto i titoletti del documento MIUR intitolato “Documento di base per la discussione”.

 

Identità degli istituti tecnici

I profili attualmente individuati sono definiti in modo generico. Modificarli coinvolgendo nella loro riscrittura esperti dei settori economici e produttivi interessati (è quanto già stiamo realizzando).

I profili vanno associati alla chiara definizione di standard minimi irrinunciabili di competenze chiave.

Non sono noti il numero e l’articolazione dei sotto-indirizzi. Si ribadisce che non deve esservi proliferazione di micro-piani di studio, tutti definiti in modo rigido dal centro e differenziati solo da uno o due insegnamenti.

Le opzioni che “specificano ulteriormente gli indirizzi” non vanno determinate dal centro. Vanno individuate dalle scuole, in raccordo con le realtà economiche e produttive del territorio. Se mai, possono essere previste linee guida generali di coerenza per l’equivalenza sostanziale dei percorsi e dei titoli di studio finali.

Non sono noti i quadri orario. Ferme restando le 32 ore complessive, al loro interno va ricavato uno spazio di autonomia effettiva per le scuole (2-3 ore non devono essere predefinite dal centro).

Organizzazione dei percorsi

Il numero complessivo delle materie va contenuto al massimo. Si deve pensare nel primo biennio ad un insegnamento di Scienze integrate, che riunisca tutti gli insegnamenti scientifici.

Si deve esplicitamente indicare fin dal primo biennio l’uso sistematico del laboratorio e di metodologie problem solving, sia per l’insegnamento che per le verifiche.

I laboratori devono essere adeguatamente attrezzati e dotati di un tecnico di laboratorio che affianchi il docente e che sia in possesso di comprovata esperienza di lavoro nell’ambito relativo. Va eliminato il doppione costituito dall’insegnante tecnico-pratico, che è quasi sempre un generico diplomato privo di esperienze concrete.

Si deve prevedere fin dal primo biennio il raccordo con il mondo esterno tramite incontri con le aziende del territorio, visite di esperti e visite aziendali.

La ripartizione oraria indicata per il primo biennio (65% materie generali comuni – 35% materie di indirizzo) può andar bene.

Sarebbe auspicabile che per il secondo biennio le materie di indirizzo salissero dal 55% (circa) attualmente indicato al 60%.

Per il quinto anno, le materie di indirizzo non possono essere inferiori al 65% del totale orario. Non ha senso articolare il triennio finale in 2+1 se poi la struttura degli insegnamenti non si differenzia in alcun modo. Il quinto anno deve preparare in modo mirato all’inserimento lavorativo o alla prosecuzione di studi ben individuati. La reversibilità delle scelte – a questo livello – è solo uno spreco di tempo e di risorse.

Per il secondo biennio e soprattutto per il quinto anno dovrebbe essere prevista una soglia minima di ore da destinare ad attività di stage e tirocini.

Gli “spazi di autonomia” indicati (20%-30%-35%) possono andar bene. Ma devono essere “reali”, cioè non occupati già nei quadri orario da insegnamenti predefiniti rigidamente dal centro. Al massimo questi spazi possono essere individuati come “ambiti di competenze” che gli istituti tecnici devono riempire con insegnamenti ed attività scelti in accordo con il mondo economico e produttivo di riferimento.

Gli insegnamenti ed attività individuati dalle scuole nell’esercizio dell’autonomia di cui sopra devono essere affidati a personale individuato dalle stesse (eventualmente, ma non necessariamente, anche attraverso richiesta agli uffici scolastici territoriali, per le materie più “tradizionali”). Le classi di concorso e le graduatorie non devono costituire un vincolo in tale area.

Vanno bene i dipartimenti didattici, ma le “linee-guida definite a livello nazionale” rischiano di burocratizzarne ed irrigidirne il funzionamento.

Il comitato tecnico-scientifico non può sostituire uno specifico organo di governo (consiglio di amministrazione o simile) che restituisca agli istituti tecnici la capacità di interpretare in modo efficace la propria missione fondamentale, attraverso la collaborazione privilegiata con il mondo della produzione e dei servizi.

Comunque, se deve esistere: a) gli esperti esterni non possono essere “in numero contenuto” e cioè minoritario; e b) i docenti interni non possono essere né in maggioranza numerica né “designati dal collegio docenti”, per evitare logiche politiche o sindacali anziché la valutazione delle loro competenze. La scelta va affidata al dirigente, su criteri indicati dal consiglio di amministrazione (o organo equivalente, se costituito). Se non c’è, al solo dirigente.

Agli esperti esterni individuati dal comitato tecnico-scientifico debbono poter essere affidate anche attività didattiche curricolari, cioè facenti parte dei quadri orario e non solo insegnamenti aggiuntivi o opzionali.

L’Ufficio Tecnico deve essere dotato di competenze e risorse in misura adeguata ad assicurarne l’efficace funzionamento, anche in raccordo con le imprese esterne di riferimento.

Valutazione e titoli finali

Le certificazioni finali devono indicare non solo le materie seguite ma le competenze effettivamente acquisite in relazione all’indirizzo tecnico di studi prescelto.

Della commissione d’esame deve far parte anche un rappresentante designato dalle realtà economiche e produttive del territorio con comprovata esperienza di lavoro nell’ambito cui si riferisce il titolo finale.

Le prove di esame devono includere: a) prove pratiche che dimostrino le competenze operative e b) la presentazione di un progetto applicativo che dimostri la capacità di utilizzare il complesso delle conoscenze acquisite per la risoluzione di un problema concreto.

Collegamenti con il territorio e la specializzazione tecnica superiore

Fare esplicito riferimento alla collaborazione nei poli anche con gli Istituti professionali, oltre che con le strutture formative accreditate dalle Regioni.

Superare per gli Istituti Tecnici Superiori il vincolo dei sei ambiti attualmente indicati e quello della struttura obbligatoria come fondazioni di partecipazione.

Strumenti giuridici per un ordinamento flessibile

Non si ravvisa la necessità di definire in sede contrattuale i profili professionali delle figure da utilizzare nell’Ufficio Tecnico. Si tratta di competenze tecniche che vanno individuate dal dirigente e dai docenti dell’area di riferimento.

“Ambiti, criteri e modalità per l’articolazione degli indirizzi in opzioni, nonché per l’utilizzazione degli spazi di autonomia previsti” vanno lasciati appunto all’autonomia degli istituti, entro linee-guida molto generali. Altrimenti, non ha senso parlare di autonomia e di raccordo con il territorio per il supporto allo sviluppo delle realtà economiche e produttive ivi esistenti.

Il costituendo Comitato nazionale per l’Istruzione tecnica, per adempiere efficacemente agli obiettivi indicati, deve essere costituito (o almeno operare) per sotto-comitati, corrispondenti agli indirizzi di studio. Altrimenti finirà con il limitarsi a generiche raccomandazioni prive di incidenza e significato reale. L’aggiornamento periodico non deve riferirsi genericamente “ai percorsi” ma concretamente agli “standard professionali e formativi” Del Comitato e dei sotto-comitati debbono far parte esponenti del mondo economico e produttivo.

Monitoraggio e valutazione di sistema

Va bene la valutazione esterna, ma:

- richiamare per gli istituti tecnici l’obbligo di una propria autovalutazione, svolta in raccordo con il mondo economico e produttivo del territorio coerente con l’indirizzo di studi;

- richiamare la necessità che di tale autovalutazione faccia parte il monitoraggio degli esiti post-diploma dei propri studenti (tasso di passaggio al lavoro, tempi per trovarlo, prosecuzione negli studi in settori coerenti con gli studi seguiti, ecc.);

- richiamare la necessità che gli esiti dell’autovalutazione e del monitoraggio sugli ex-studenti vengano utilizzati per l’aggiornamento del piano di sviluppo.