STATI UNITI: IL BUONO SCUOLA DIETRO LA LAVAGNA
di Pino Patroncini


La notizia nei mesi scorsi ha avuto un discreto risalto anche sui quotidiani italiani: nello stesso giorno delle elezioni presidenziali gli elettori della California respingevano nettamente la proposta di introdurre il buono scuola ( che in America, con un termine che da noi ricorda piuttosto le vacanze, chiamano "voucher" ) per finanziare l'istruzione privata.
La notizia evidentemente era di grande interesse anche da noi sia per le polemiche suscitate dalle proposte di finanziamento della scuola non statale sia per la formula specifica del buono scuola, scelta espressamente da alcune amministrazioni regionali, prima fra tutte la formigoniana Giunta regionale lombarda. E il piatto si faceva ancora più succulento se si pensa che i fautori del buono scuola hanno sempre citato i liberisti e disinvolti Stati Uniti d'America come battistrada di un provvedimento di cui si vorrebbero esaltare le qualità efficientistiche e liberali.
Ma, come vedremo, le cose non stanno esattamente così.

Il caso californiano: un caso non isolato. Innanzi tutto: che cosa è successo in California?
La legge, definita ai fini referendari Proposition 38, avrebbe dovuto prevedere un buono scuola di 4000 dollari (otto milioni di lire) per le famiglie che avessero iscritto i figli nelle scuole private. L'iniziativa era stata assunta da Tim Draper, un magnate della Sylicon Valley, con la solita idea di coniugare privatizzazione e risparmi pubblici. Ma è stata proprio questa filosofia liberista a decretare l'isolamento dell'iniziativa, tanto che neppure la chiesa cattolica, che detiene la maggioranza delle scuole private californiane, si è schierata a favore. Infatti è stato subito evidente che, stante le condizioni delle strutture scolastiche e l'impossibilità delle scuole di fare fronte al volume della domanda pubblica, il finanziamento si sarebbe risolto in un vantaggio per chi nelle scuole private c'era già, vale a dire per le famiglie più ricche. La legge è stata fortemente osteggiata dall'American Federation of Teachers, il secondo sindacato americano per importanza e numero di iscritti (700.000), da tempo in prima linea a difesa della scuola pubblica. L'Aft ha speso parecchio in spot pubblicitari per sostenere il no nella campagna referendaria.
La sconfitta del buono scuola californiano rivestiva un grande rilievo politico sia perchè la California è stata in passato il battistrada di spregiudicate scelte neoliberiste, quando Reagan ne era il governatore, sia perchè la politica del buono scuola fa parte del programma repubblicano di Bush.
Ma se la notizia della California ha fatto il giro del mondo, pochi sanno che nello stesso giorno delle elezioni presidenziali, non solo in California, ma anche nel Michigan un referendum ha visto sconfitta la politica del buono scuola per 2 a 1, mentre negli stati di Washington, New Mexico, Rhode Island, Colorado e Arizona il corpo elettorale ha approvato significativi aumenti di finanziamento alle scuole pubbliche. Il caso del Michigan è forse più clamoroso dello stesso caso californiano perché qui anche la Chiesa Cattolica si era schierata a favore del "voucher" e i sondaggi ne davano per favoriti i fautori. "Un altro segnale che la gente non è affatto convinta delle potenzialità del buono scuola" ha scritto la rivista Time.

Il finanziamento della scuola privata da parte degli Stati. Contrariamente a quanto si pensa., quindi il finanziamento pubblico alla scuola privata americana non è una cosa così scontata. Dei 50 stati che compongono l'Unione e ai quali compete il grosso dei provvedimenti scolastici, solo sei esercitano delle politiche di finanziamento alle scuole private e di questi solo 2 adottano il sistema del buono scuola. Vi sono al contrario stati, come il Michigan appunto, dove la legge vieta espressamente il finanziamento alle scuole private e altri dove il corpo legislativo ha respinto le proposte di buono scuola, come il Nuovo Mexico, dove la proposta riguardava un contributo di 3.000 dollari a famiglia.
I due stati che adottano il buono scuola sono il Vermont e la Florida. L'adozione del buono scuola nel Vermont è un fatto storico ed affonda le sue motivazioni nella configurazione montuosa di questo stato, costellato di piccoli centri privi di scuole pubbliche. Appositamente per sopperire a questa carenza il piccolo stato del New England ha preferito da sempre intervenire con un sussidio finanziario all'arte di arrangiarsi dei suoi cittadini, piuttosto che istituire una miriade di piccole scuole. Ma le cose non sono sempre state pacifiche: un contenzioso, sviluppato anche qui soprattutto dall'Aft, è intervenuto spesso e volentieri contro l'abuso di queste pratiche fuori dalle aree destinate.
Il caso della Florida riveste maggiore importanza, perché stato individuato dal Partito repubblicano come il terreno della vera e propria sperimentazione del buono scuola come sistema nazionale di finanziamento della scuola privata. Non a caso è Jeb Bush il governatore che ha promosso il progetto. Ma in realtà il provvedimento si limita a intervenire economicamente a favore degli studenti che abbiano registrato insuccessi nella propria scuola pubblica per due o tre anni. Alle famiglie di questi studenti viene assegnato un buono che varia dai 3 ai 4 mila dollari. Il numero dei buoni assegnabile è comunque così basso rispetto alle richieste, che la cosa si è tradotta in una vera e propria lotteria.
Nell'Arkansas invece non c'è un buono scuola, ma dal momento che il problema che si vuole affrontare è, come in Florida, quello dell'insuccesso scolastico, soprattutto in relazione a scuole o distretti scolastici a rischio o al di sotto del rendimento medio, lo stato si accolla le spese di trasferimento degli studenti da un distretto ad un altro. Nel contributo non sono comunque compresi i trasporti.
Lo Stato dell'Illinois dal giugno 1999 contribuisce con una sovvenzione, che arriva fino a 500 dollari, alle spese delle famiglie per l'istruzione, indipendentemente dal fatto che la scuola scelta sia pubblica o privata. Ma dal momento che tale contributo deve coprire il 25% delle spese, per avere il contributo intero occorre una spesa di 2.000 dollari, che praticamente hanno solo coloro che mandano il figlio alla scuola privata.
In Arizona invece sono previsti 500 dollari di detrazione fiscale per donazioni finalizzate all'educazione. Tali donazioni tuttavia devono essere per persone fisiche, non per enti o scuole. In tal modo non è possibile aggirare l'ostacolo facendo figurare una retta, in toto o in parte, come donazione. Inoltre non possono essere per i propri figli. Si crea così una sorta di sistema di scambio di favori.


Stati e municipalità: il caso di Cleveland. Per cogliere meglio la situazione americana tuttavia occorre avere presente che ciò che oggi è in discussione non è tanto il finanziamento pubblico delle scuole private, che pure in modi diversi può avvenire da parte di diversi enti pubblici, ma il fatto che ad accollarsi questo finanziamento siano gli Stati, a cui di solito compete il peso della politica educativa, o addirittura il Governo Federale. Quest'ultima soluzione a maggior ragione dopo l'ascesa alla presidenza di un repubblicano. E' questo partito, infatti, che in linea con il conservatorismo internazionale, vuol fare del buono scuola un elemento di sistema.
Alcuni finanziamenti infatti non sono mancati da molte amministrazioni municipali. Naturalmente i casi hanno avuto più risonanza nazionale quando a fare la scelta del buono scuola sono state le amministrazioni di città grosse e importanti come Milwakee e Cleveland . Ma anche in questo caso le cose non sono sempre andate lisce.
Nel dicembre del 1999 il giudice distrettuale federale dello Stato dell'Ohio ha bocciato come incostituzionale il "voucher program" avviato nel 1996 dall'amministrazione comunale di Cleveland, che prevedeva lo stanziamento di 20 milioni di dollari per 3500 studenti di 56 scuole private a discapito degli 80.000 studenti della città. La motivazione del ricorso contro questo programma, avviato sempre da parte dell'American Federation of Teachers, ipotizzava la violazione dei principi costituzionali di separazione tra Stato e Chiesa, essendo i beneficiari in molti casi alunni di scuole religiose. La base del ricorso era una sentenza della Corte Suprema, risalente al 1973, con cui quest'ultima aveva messo fina alla politica dello Stato di New York di rimborso per famiglie a basso reddito che mandavano i figli a scuole religiose. E questa di Cleveland non è stata neppure l'unica sentenza a sancire l'incostituzionalità dell'uso di fondi pubblici per finanziare l'educazione in scuole religiose: analoghe sentenze si sono avute da parte della corte distrettuale del Wisconsin nel 1995 e ancora nel 1999 da parte delle corti supreme del Maine e del Vermont e da parte della Prima Corte d'Appello americana.
Questo richiamo alla separazione tra Stato e Chiesa in uno stato multireligioso, ma abituato nella sua storia anche a rigide separazioni tra le comunità confessionali, può destare sorpresa, tanto quanto può destarla la diffusa opposizione al buono scuola nell'America liberista. Al contrario occorre tenere presente che gli americani sono talmente gelosi di questa separazione, da non ammettere, ad esempio, l'insegnamento della religione nell'orario scolastico e neppure nelle istituzioni scolastiche pubbliche. L'insegnamento della religione avviene non a cura delle scuole, ma delle comunità religiose e presso queste ultime, prevalentemente il sabato o al pomeriggio, fuori dall'orario scolastico. La scuola tutt'al più si limita a favorire la partecipazione a queste iniziative. E l'attenzione ai principi di eguaglianza in questo caso è tale che paradossalmente, pur in assenza dell'insegnamento religioso nella scuola, sono previste in alcuni stati ed in alcuni distretti scolastici "attività alternative alla religione", in base a sentenze dei tribunali statali e a un parere della Corte Suprema secondo cui tutti gli alunni, anche quelli che non si avvalgono dell'insegnamento religioso delle comunità, hanno diritto a pari opportunità educative.

Sindacati e opinione pubblica. Anche negli Stati Uniti, quindi, la battaglia sul buono scuola ha implicazioni di carattere più generale e costituisce un tema politico di spessore rilevante. E che la partita in gioco sia grossa è dimostrato dalle cifre che sono state spese nella campagna elettorale dal fronte pro-voucher: 30 milioni di dollari avrebbe speso Tim Draper in California, mentre nel Michigan la sola chiesa cattolica ha speso due milioni di dollari e altri li ha spesi il comitato "Kid first! Yes".
Ma anche sull'altro fronte non si è risparmiato sulle spese, andate soprattutto in spot pubblicitari, inchieste, avvocati ecc.. In primo piano in questa battaglia sono stati i sindacati dei lavoratori della scuola, sia la National Educational Association, forte dei suoi due milioni e mezzo di associati, sia, soprattutto, la già citata American Federation of Teachers, forte di 700.000 iscritti ma con alle spalle la confederazione Afl-Cio. L'Aft vanta una guerra ormai pluriennale contro il buono scuola, contrassegnata da risultati positivi sul piano legale, come quello di Cleveland, e di vittorie elettorali, come quella della California. E con l'"American Federation of Teachers Resource Page" vanta anche il più visitato sito web sull'argomento. L'Aft infatti non si limita ad una battaglia generica contro i provvedimenti, ma si preoccupa anche di studiare l'evoluzione del fenomeno e di tenerne sotto controllo l'impatto sull'opinione pubblica.
E' da questo sito che abbiamo tratto una serie di dati sull'opinione pubblica americana in merito all'argomento. Confrontando una serie di dati messi insieme dal 1996 ad oggi l'Aft è arrivata alla conclusione che quanto più le ipotesi di finanziamento della scuola privata esplicitano il ricorso al buono scuola, tanto più sollecitano l'ostilità dell'opinione pubblica. Al contrario quanto più si tengono sul generico, tanto più catturano la benevolenza della gente.
Così in un'inchiesta Nbc-Wall Street Journal del 1996 il 62% degli americani si dice favorevole sulla libertà di scelta della scuola pubblica a cui mandare i figli, ma solo il 25% si dice favorevole al buono scuola per mandare i figli alla scuola privata. Più o meno lo stesso risultato dà l'indagine nazionale Garin-Hart-Yang del 1997: 69% favorevole ad incrementare la qualità della scuola pubblica, solo il 25% a favore del buono scuola per scuole private o religiose. E un'altra inchiesta del Wall Street Journal dello stesso anno sul buono scuola dà il 53% di oppositori e il 44% di favorevoli. Un'inchiesta bipartisan sull'elettorato texano svolta da parlamentari di quello stato nel 1997 dà un 67% di elettori favorevoli a che la spesa pubblica sia diretta solo verso le scuole pubbliche contro un 27% disponibile al finanziamento delle scuole private. Un'inchiesta Phi-Delta-Kappa/Gallup dello stesso anno conferma che il 52% si oppone al fatto che chi manda i figli alle scuole private possa attingere da fondi pubblici dello Stato, contro un 44% di favorevoli. Però nel caso che a pagare sia non lo Stato, ma il Governo federale le due opinioni si equivalgono al 48%.
Ma, sempre nel 1997, l'osservatorio dell'American Education Reform Foundation, dice che, potendo scegliere, il 64% degli americani sceglierebbe la scuola privata e solo il 29% quella pubblica. E l'aspirazione alla scuola privata sarebbe più forte nelle famiglie povere che in quelle benestanti: secondo una ricerca Hart del 1996, in cui però non si parlava di buono scuola, il 70% degli americani risulta favorevole a dare soldi alle famiglie bisognose perché possano iscrivere i figli alla scuola privata e una recente inchiesta della Stanford University darebbe una disponibilità ai "vouchers" più alta tra le famiglie povere (79%) che tra le famiglie benestanti (59%), mentre da un'inchiesta del Joint Center for Political and Economic Studies del 1997 il 57% della popolazione negra sarebbe favorevole al buono scuola contro il 48% della popolazione americana in genere. La situazione può sembrare paradossale, ma va tenuto presente che, nella situazione americana, la scuola privata appare come l'unica soluzione a problemi sia di integrazione culturale (assistenza, tutoraggio, recupero) sia di identità sociale ( basti pensare, per esempio, ai milioni di latino-americani cattolici).
Complessivamente comunque ne emerge che l'americano medio è tendenzialmente contrario al finanziamento pubblico della scuola privata, soprattutto quando questo avviene attraverso la modalità del buono scuola. Prendendo spunto dalle note vicissitudini delle elezioni presidenziali americane, che si svolgevano in contemporanea con i referendum di California e Michigan, la rivista Time ne prendeva chiaramente atto: "Le elezioni presidenziali devono essere ancora chiuse, ma gli elettori sono stati espliciti circa i buoni scuola: non li gradiscono." E aggiungeva "Come mai una così vasta opposizione? Una teoria porta a pensare che gli Americani semplicemente non sono pronti a rinunciare alla scuola pubblica e che c'è una assai diffusa percezione, enfatizzata dagli oppositori del buono scuola, che accettare i vouchers significhi lasciare a secco la scuola pubblica. Il movimento anti-voucher può inoltre essere favorito dall'attuale generazione di genitori, la maggioranza dei quali proviene dalla scuole pubbliche, dove stavano quando ancora c'era una grande fiducia nel sistema pubblico."
Per fortuna!