“Per la Scuola della Repubblica”
Tel. 06 3337437 –– telefax 06 3723742
e-mail scuolarep@tin.it

Contro la Moratti, ma per la Scuola della Repubblica

Il successo pur se parziale della mobilitazione dal basso, sostenuta unitariamente dall’associazionismo e dalle forze politiche e sociali, a difesa del “tempo pieno e contro il primo decreto legislativo di attuazione della legge delega, pone il problema della ridefinizione di una strategia complessiva che integri questa battaglia in una più generale contestazione degli attacchi che da diverse parti vengono portati al disegno costituzionale della scuola pubblica.
La recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 13/2004) e le valutazioni che se ne sono fatte hanno chiaramente dimostrato che la politica governativa finalizzata alla destrutturazione del sistema scolastico nazionale può esser favorita da certe interpretazioni dei processi di autonomia e di decentramento avviati dai precedenti governi.
In particolare la riforma del titolo V della Costituzione, almeno per quanto riguarda la scuola, si sta rivelando fonte di pericolose ambiguità e inestricabili contraddizioni
Si tratta difatti di una riforma confusa, introdotta nel vano tentativo di bloccare le spinte eversive e localiste della Lega, ma nel contempo destinata ad aprire contraddizioni nel sistema scolastico statale e sulla sua funzione istituzionale, come emerge dalla suddetta sentenza..
La Corte, movendo da una riflessione più generale sugli effetti della riforma del Titolo V Cost. sull’ordinamento scolastico, si è pronunciata su due questioni specifiche.
In primo luogo la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 3 L. n. 448/01 (legge finanziaria per il 2002) che attribuiva agli Uffici scolastici Regionali la competenza di determinare gli organici delle singole istituzioni scolastiche nell’ambito della ripartizione tra le diverse regioni stabilita dallo Stato; la Corte ha difatti stabilito “la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, ... in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato”.
La sentenza della Corte ha quindi un’efficacia concreta limitatamente alla ripartizione degli organici (nei limiti del contingente regionale stabilito dallo Stato) nell’ambito regionale; peraltro la stessa Corte dopo aver dichiarato l’illegittimità di detta norma, ne ha anche dilazionato l’efficacia, subordinandola ad un necessario intervento legislativo da parte delle Regioni.
Si tratta di un principio non solo conforme ai criteri di ripartizione delle competenze previsti dal Titolo V, ma anche condivisibile; difatti era illogico attribuire alle regioni una competenza nella programmazione delle istituzioni scolastiche nel territorio e non anche delle relative dotazioni organiche.
La Corte con la stessa sentenza ha, invece, dichiarato che spetta alla competenza legislativa dello Stato l’assegnazione di ore aggiuntive d’insegnamento al personale docente delle istituzioni scolastiche.
Su queste ambiguità si sono innestate valutazioni contraddittorie: si è detto di tutto e l’opposto di tutto; si è affermato che, per effetto di tale sentenza, la gestione e l’organizzazione delle scuole e quindi anche del personale spetterebbe alle Regioni: cioè sarebbe già realizzata la devolution voluta dalla Lega, proprio quello che si voleva evitare. Si è anche affermato che il decreto Moratti, recentemente approvato, sarebbe illegittimo perché invasivo delle competenze delle Regioni in materia di tempo pieno..
La necessaria opposizione alla politica scolastica di questo Governo non può, però, indurre ad utilizzare la sentenza della Corte per avviare una sorta di “regionalizzazione” della scuola. Una dura contestazione della politica della Moratti, non deve favorire tentazioni di soluzioni “localiste”.
La sentenza della Corte deve essere letta nel quadro dei principi generali sanciti negli articoli. 33 e 34 della Costituzione e non modificati dalla riforma del titolo V.
L’istruzione è un compito istituzionale dello Stato e quindi, pur dopo la riforma del Titolo V. spetta allo Stato garantire a tutti e in tutte le regioni una scuola laica, democratica, aperta al confronto e qualificata; i diversi ordinamenti didattici e relativi curriculi, l’organizzazione, il reclutamento e la gestione del personale, la libertà d’insegnamento, ecc. sono tutti aspetti ordinamentali che devono essere definiti con le norme generali da parte dello Stato; nel contempo l’organizzazione didattica ed amministrativa delle singole istituzioni rientrano nella loro autonomia che il Titolo V esplicitamente garantisce.
Né può esserci dubbio che, pur dopo la riforma del titolo V il personale delle scuole statali, rimane personale statale, reclutato sulla base di leggi statali e gestito sulla base di accordi sindacali e di leggi statali, con una possibile mobilità territoriale nazionale e con le garanzie costituzionali per la libertà d’insegnamento.
Questi rischi e questi obiettivi non possono essere ignorati dai coordinamenti locali e nazionali, che unitariamente si oppongono alla politica scolastica del governo, nel definire le linee d’intervento a difesa e per il rilancio della funzione istituzionale del sistema scolastico statale e nazionale essenziale per lo sviluppo culturale e democratico dell’intero Paese: nell’art. 33 è sancito che “La Repubblica detta le norme generali ed istituisce scuole statali di ogni ordine e grado”.

Comitato “Per la scuola della Repubblica” associazione onlus –
Sede legale via La Marmora 26 50121, Firenze; operativa via Castelfranco Veneto 125, 00191 Roma,
amministrativa via G. Venezian 3, 40121 Bologna. (c/c postale 23452543)