Dirigenti e valutazione scolastica: uscire dalle ambiguità

Uno degli aspetti più controversi (nel senso che è incomprensibile) della controriforma Moratti riguarda la valutazione degli alunni.

Come è noto, non è chiaro se ogni scuola può darsi propri criteri di valutazione oppure se ancora rimane un sistema scolastico nazionale con criteri validi per tutte le scuole (in coerenza con il valore legale del titolo di studio); non è chiaro nemmeno se l’insegnamento della religione cattolica in coerenza con il principio supremo della laicità  dello Stato e quindi della scuola statale è ancora un insegnamento facoltativo e come tale valutato a parte oppure se è diventato un insegnamento curriculare con possibili esoneri; e quindi inserito nella scheda di valutazione per tutti; inoltre non è neppure chiaro se il dirigente scolastico ha titolo a partecipare alla valutazione degli alunni oppure no.

Tale ultimo aspetto non si può risolvere soltanto con valutazioni di opportunità; è una questione sotto il profilo giuridico rilevante perchè incide sulla validità degli scrutini e quindi del titolo di studio; ma è anche una questione rilevante perchè ripropone il problema della ambigua collocazione del dirigente scolastico nell’ordinamento scolastico.

In questi ultimi anni (purtroppo non solo nell’era morattiana, ma anche prima) la legislazione scolastica è caratterizzata da una costante approssimatività e quindi spesso è anche contraddittoria.

Un aspetto è però indubbio: la valutazione degli alunni è un’attività didattica, strettamente connessa con lo status del docente e la sua autonomia professionale.

L’Amministrazione scolastica non può e non deve in alcun modo incidere su tale attività, così come sull’attività didattica in generale.

Ciò premesso, se era pacifico che il personale direttivo aveva titolo a partecipare (anzi a presiedere i consigli di classe) alla valutazione degli alunni, si deve invece ritenere quanto meno problematica la partecipazione alla valutazione degli alunni da parte dell’attuale figura di dirigente scolastico.

Difatti si dovrebbe anzitutto definire la natura della qualifica del dirigente scolastico; è personale “della” scuola dell’autonomia o è personale dell’Amministrazione che svolge la propria attività “nella” scuola?

A parte la circostanza secondo cui per effetto del D.Lgs. n. 59/03 relativo alla scuola primaria e secondaria di I grado, il dirigente scolastico non farebbe parte del gruppo dei docenti legittimati alla valutazione degli alunni, è fuor di dubbio che il dirigente scolastico ha una qualificazione giuridica, quanto meno, ambigua.

E’ vero che “proviene” dal ruolo dei docenti, ma è pure vero che la qualifica dirigenziale per i capi di istituto “preposti alle istituzione scolastiche ed educative” è stata istituita ex art. 25 D.Lgs. n. 165/01 “nell’ambito dell’amministrazione scolastica periferica”; sarebbe quindi una figura professionale non più della scuola, ma dell’Amministrazione scolastica nella  scuola, con buona pace dell’autonomia scolastica.

Coerenza vorrebbe che per garantire un’effettiva autonomia della scuola soprattutto per quanto attiene l’attività didattica, i dirigenti appartenenti all’”Amministrazione scolastica periferica” non dovrebbero partecipare all’attività didattica e quindi alla valutazione degli alunni.

Senza dubbio questa impostazione si scontrerà con la sensibilità della maggior parte dei dirigenti scolastici, che giustamente tengono molto al loro status professionale di origine; ma non si può sostenere lo status professionale di docente (in senso lato) e nel contempo l’inquadramento come dirigente dell’Amministrazione scolastica periferica e cioè di organo dell’Amministrazione “nella” scuola e quindi funzionalmente dipendente dall’Amministrazione ed in primo luogo dal Ministro; tale ambiguità deve essere risolta.

Corrado Mauceri

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