ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE DEL LAZIO
ROMA
RICORSO
(Con domanda di
sospensione cautelare)
- la Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni, CF 97452310580, con sede in via delle Carrozze, 19 - 00187 ROMA, in persona del legale rappresentante, il coordinatore MARIO DI CARLO;
Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, C.F. 02570990586 con
sede in Roma, Lungotevere R. Sanzio, 9, in persona del legale rapresentante
p.t. Renzo Gattegna, il Comitato Insegnanti
Evangelici Italiani (CIEI), CF
94127450362, con sede in via Corassori, 54 – 41043 FORMIGINE (Mo), in persona
del Rappr.legale. il presidente LIDIA GOLDONI; la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, C.F. 02090430584;
Part. I.V.A. 01030141004, con sede in via Firenze, 38 -00184 ROMA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, il
presidente DOMENICO MASELLI; il Comitato torinese per la Laicità della
scuola, CF 97527930016, con sede in via Donizetti,16 bis -10126 TORINO, in
persona del legale rappresentante pro
tempore, il presidente CESARE
PIANCIOLA; la Tavola Valdese,
CF 85002490010, con sede in Via
Beckwith, 2 - 00166 TORRE PELLICE (To),
in persona del legale rappresentante pro
tempore, Moderatora Past. MARIA BONAFEDE; il CRIDES- Centro Romano di Iniziativa per la Difesa dei Diritti nella
Scuola, CF 96355840586, con sede in via Buonarroti, 12 - 00185 ROMA, in
persona del legale rappresentante pro
tempore, la presidente ANTONIA
BARALDI SANI; l’Associazione Democrazia
Laica, con sede in via Sant’Alessio,
19- 00153 ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, il presidente ENRICO MODIGLIANI (C.F.
MDGNRC37TO1H501D); l’Associazione Scuola
Università Ricerca “As.SUR”, CF
97367830581, con sede in via del Policlinico 131, 00161 ROMA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, Renata
Puleo; l’Associazione “XXXI ottobre per
una scuola laica e pluralista (promossa dagli evangelici italiani)”, CF
96402610586, con sede c/o Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, via
Firenze 38 – 00184 Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, NICOLA PANTALEO; l’Associazione Nazionale del Libero Pensiero
“Giordano Bruno”, CF 03869901003, con sede in via della Consolata,11 -10122 TORINO, in persona del legale
rappresentante pro tempore, BRUNO SEGRE;
la Chiesa Evangelica Luterana in Italia,
C.F. 80250190586, con sede in via Aurelia Antica, 391 , in persona del legale
rappresentante pro tempore, Edoardo
Zampella; UAAR- Unione degli Atei e
degli Agnostici Razionalisti, C.F. 92051440284 ; Partita I.V.A.
03430250286, con sede in Largo Brancaccio, 163 -ROMA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, Raffaele
Carcano; la Consulta Torinese per la
Laicità delle Istituzioni, CF 97663330013, con sede in via Avigliana
42, 10138 TORINO, in persona del legale
rappresentante pro tempore, il
coordinatore TULLIO MONTI; l’Unione
Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno, CF 80421780588,
con sede in Lungotevere Michelangelo, 7 - 00192 ROMA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, DANIELE
BENINI; la Federazione delle Chiese
Pentecostali, CF 97185000581, con sede in via Rivarano, 18 Monteforte
Irpino (AV), in persona del legale rappresentante pro tempore, Pastore CARMINE CRISTALLO; l’Unione Cristiana Evangelica Battista D’Italia, CF 01828810588, con
sede in Piazza S.Lorenzo in Lucina, n. 35, Roma, in persona del legale
rappresentante pro tempore, ANNA
MAFFEI; Associazione Nazionale “ Per
la Scuola della Repubblica” , C.F. 91206990375, con sede legale in Firenze,
Via Lamarmora, 26 – 50121 Firenze – in persona del legale rappresentante p.t.
Prof. Antonia Baraldi Sani; FNISM – Federazione Nazionale Insegnanti,
C.F. 80098720016, con sede legale in Roma, Via Rocca di Papa 113 – in persona
del legale rappresentante p.t. Prof Gigliola Ciummei Corduas; CIDI – Centro
di Iniziativa Democratica Insegnanti
- C.F. 80410150587 – con sede legale in Roma, P.zza Sonnino, 13 – Cap
00153 ROMA – in persona del legale rapp.te p.t. Maria Sofia Toselli; CGD –
Coordinamento Genitori Democratici – C.F.
80421880586 – con sede legale in Roma, Via Gardano, 135 – 00146 ROMA –
in persona del legale rapp.te p.t. Angela Nava Mambretti; Associazione
Comitato Bolognese Scuola e Costituzione – C.F. 92026850377 - con sede legale in Bologna, Via Marconi 67/2
– Cap 40122 Bologna – in persona del legale rapp.te p.t. in carcia Bruno
Moretto; Associazione Nazionale Evangelica Italiana, C.F. 97075370581 –
con sede legale in Roma, Vicolo S. Agata, 20 – cap 00153 – in persona del
legale rappr.ta p.t. Roberto Mazzeschi; M.C.E. - Movimento Cooperazione
Educativa – C.F. 97025510583 – con sede in Roma, Via dei Sabelli, 119 -cap
00185 – in persona del legale rappr.te p.t. Domenico Canciani;
nonché per i Sigg. Alessandro Fusaroli, nato a Roma 27.03.1989, C.F. FSRLSN89C27H501R e Arianna Tassinari, nata a Bologna il 29 .12.1989, C.F. TSSRNN89T69A944P, nella qualità di studenti iscritti all’ultimo anno del ciclo di insegnamento secondario, che hanno deciso di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, né di insegnamenti sostitutivi; tutti rappresentati e difesi, giusta mandati in calce al presente atto, dagli Avv.ti Fausto Buccellato e Prof. Massimo Luciani e Avv. Mario Di Carlo elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Roma, Viale Angelico, n. 45,
c o n t r o
Il Ministero della pubblica istruzione, in persona del Ministro pro tempore,
per l’annullamento in
parte qua, previa sospensione,
dell’Ordinanza del Ministro della pubblica istruzione n. 30 Prot. 2724 del 10 marzo 2008, recante “Istruzioni e modalità organizzative ed operative per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore nelle scuole statali e non statali. Anno scolastico 2007/2008”, nella parte in cui stabilisce che “I docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Analoga posizione compete, in sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime” (art. 8, punto 13) e che “L’attribuzione del punteggio, nell’ambito della banda di oscillazione, tiene conto, in coerenza con quanto previsto all’art. 11, comma 2, del DPR n. 323 del 23.7.1998, del giudizio formulato dai docenti di cui al precedente comma 13 riguardante l’interesse con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento della religione cattolica ovvero l’attività alternativa e il profitto che ne ha tratto, ovvero altre attività, ivi compreso lo studio individuale che si sia tradotto in un arricchimento culturale o disciplinare specifico, purché certificato e valutato dalla scuola secondo modalità deliberate dalla istituzione scolastica medesima. Nel caso in cui l’alunno abbia scelto di assentarsi dalla scuola per partecipare ad iniziative formative in ambito extrascolastico, potrà far valere tali attività come crediti formativi se presentino i requisiti previsti dal D.M. n. 49 del 24-2-2000” (art. 8, punto 14), nonché di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso.
In data 10 marzo 2008 il
Ministero della pubblica istruzione ha emanato, come di prassi in vista della
fine dell’anno scolastico, un’ordinanza (n. 26, Prot. 2724) con la quale ha
stabilito le “Istruzioni e modalità organizzative ed operative per lo
svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione
secondaria superiore nelle scuole statali e non statali”.
In analogia con quanto avvenuto lo scorso anno (O.M. n. 26 del 15 marzo 2007, Prot. 2578, impugnata da diversi soggetti, tra cui le Associazioni odierne ricorrenti, con ricorso n. 4297/2007, pendente innanzi la Sez. III quater di codesto Ecc.mo TAR), e a differenza di analoghi provvedimenti adottati in occasione dei precedenti anni scolastici, l’ordinanza prevede (art. 8, punto 13) che i docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipino a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento; che analoga posizione competa, in sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime (art. 8, punto 13 cit.) e che l’attribuzione del punteggio, nell’ambito della banda di oscillazione, tenga conto, oltre che degli elementi di cui all’art. 11, comma 2, del D.P.R. n. 323 del 23 luglio 1998, del giudizio formulato dai docenti di cui al precedente comma 13 riguardante l’interesse con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento della religione cattolica ovvero l’attività alternativa e il profitto che ne ha tratto, ovvero di altre attività, ivi compreso lo studio individuale che si sia tradotto in un arricchimento culturale o disciplinare specifico, purché certificato e valutato dalla scuola secondo modalità deliberate dalla istituzione scolastica medesima. E’ poi previsto che gli alunni che abbiano scelto di assentarsi dalla scuola per partecipare ad iniziative formative in ambito extrascolastico potranno far valere tali attività esclusivamente come crediti formativi, e soltanto se esse presentino i requisiti previsti dal d.M. n. 49 del 24 febbraio 2000 (art. 8, punto 14).
Da tali statuizioni discende un effetto gravemente discriminatorio nei confronti degli studenti che abbiano deciso di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, né di insegnamenti sostitutivi, i quali rischiano di essere penalizzati nell’attribuzione del credito scolastico rispetto ai colleghi che abbiano diversamente optato.
* * *
L’ordinanza in epigrafe indicata e da ultimo richiamata, limitatamente alle disposizioni di cui all’art. 8, punti 13 e 14, è pertanto illegittima e gravemente lesiva degli interessi dei ricorrenti, che ne chiedono l’annullamento in parte qua, previo assenso di misura di sospensione cautelare inaudita altera parte, per i seguenti motivi di
Preliminarmente. Sulla sussistenza dell’interesse a ricorrere. I ricorrenti privati, Sigg.ri Alessandro Fusaroli e Arianna Tassinari, sono studenti iscritti all’ultimo anno del ciclo superiore. Poiché entrambi hanno scelto di non avvalersi né dell’insegnamento della religione cattolica, né di insegnamenti sostitutivi, è evidente il pregiudizio che essi subirebbero (per le ragioni che si confida di illustrare oltre) dalla denegata esecuzione del provvedimento impugnato.
Altrettanto
evidente l’interesse a ricorrere delle associazioni, delle confessioni
religiose e degli altri enti ricorrenti, i quali, a loro volta, sono soggetti
rappresentativi di categorie di cittadini interessati alla piena applicazione
ddel principio di eguaglianza e dei diritti costituzionali di libertà religiosa
e di manifestazione del pensiero, con specifico riferimento, in diversi casi,
al mondo della scuola e alle tematiche dell’istruzione.
La Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni, ad esempio, “ha come finalità la difesa della laicità delle Istituzioni e la diffusione della cultura laica” (art. 1 Statuto) e promuove fra l’altro, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto, “azioni per l’abolizione di tutte le norme costituzionali (artt.7 e 8), legislative e governative nazionali, regionali, locali e di ogni altro tipo che limitino la laicità delle Istituzioni e favoriscano concessioni di compiti, contributi, diritti e privilegi ad altre istituzioni, tali da compromettere la laicità delle Istituzioni pubbliche; [...] prese di posizione ed iniziative sugli atti e sulle politiche del Comune di Roma, della Provincia di Roma, della Regione Lazio, dei Governi e dei Parlamenti Nazionale ed Europeo e di ogni altra Istituzione riguardanti i temi della laicità e della libertà di pensiero; incontri e seminari sul tema della libertà di pensiero, della laicità delle Istituzioni, dei diritti umani, delle libertà individuali, della libertà di ricerca scientifica e del progresso umano; [...] formazione ed aggiornamento di docenti ed educatori delle scuole di ogni ordine e grado e di ogni altra istituzione, finalizzati alla promozione dei principi laici; interventi presso le istituzioni scolastiche, con i predetti fini; [...] iniziative tese a favorire la civile convivenza e l’integrazione fra persone e culture diverse”. Il CRIDES- Centro Romano di Iniziativa per la Difesa dei Diritti nella Scuola, a sua volta, “intende proseguire l’attività iniziata nel 1986 per l’affermazione e la tutela dei diritti di tutti nella scuola a partire dalla libertà di coscienza e di parola. Pertanto si propone di promuovere un funzionamento dell’istituzione scuola coerente con il principio di laicità della cultura e dello stato in conformità del dettato costituzionale, combattendo ogni discriminazione, in particolare quella derivante dall’IRC nella scuola pubblica” (art. 2 Statuto).
Il
Comitato Insegnanti Evangelici Italiani
(CIEI) ha fra le sue finalità, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto, la tutela
della laicità nella scuola pubblica; la Società
laica e Plurale, per statuto, “si riconosce nei principi ispiratori dei
Manifesti laici del 1998 e del 2000; si propone come punto di riferimento
politico e organizzativo per le Associazioni, i Gruppi, i Comitati che in
Italia promuovono, da prospettive e con orientamenti diversi, la cultura della
laicità e che si impegnano, col metodo della discussione e della nonviolenza,
per la realizzazione nella società e nello stato dei principi di laicità
sanciti nella Costituzione della Repubblica Italiana”; il Comitato torinese per la lacità della scuola “si prefigge
programmaticamente il continuo potenziamento della scuola pubblica laica.
Pertanto le sue finalità sono le seguenti: [...] b) affermazione nella scuola
di un metodo che garantisca la più ampia circolazione delle idee e rifiuti
qualsiasi forma di indottrinamento o dogmatismo; c) parità di trattamento
scolastico tra credenti e non credenti” (art. 2 Statuto).
L’Associazione
Democrazia laica “afferma e sostiene il «valore della laicità dello Stato e
delle pubbliche istituzioni» nella consapevolezza della necessità di una
continua rielaborazione e confronto con le sfide della modernizzazione e del
mondo che cambia; [...] si propone il compito di difendere le istituzioni
pubbliche dall’ingerenza di ogni forma di integralismo, sia esso ideologico o
religioso [...]; in questa prospettiva [...] si pone di fronte ai temi che
riguardano l’indipendenza della scienza e della ricerca, la libertà
dell’individuo (sui temi della famiglia, delle scelte di vita e in materia di
sanità), la difesa della scuola pubblica e del pluralismo culturale”.
E’
in sé evidente, infine, l’interesse a ricorrere dei soggetti rappresentativi di
confessioni religiose diverse dalla cattolica, alle quali non trovano
applicazione le misure di favore previste dalle disposizioni impugnate.
1.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 Disp. Prel. al Codice civile; 9 l. n. 121 del 1985; art. unico d.P.R. n. 202 del 1990; 309 d. lgs. n. 297 del 1994. Come è noto, principi fondamentali risultanti, fra gli altri, dall’art. 9 l. n. 121 del 1985, recante applicazione del Concordato del 1984 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, sono quelli per cui: a) “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”; b) “Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento”; c) “All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.
Il Protocollo
addizionale agli accordi del 1984, a sua volta, stabilisce all’art. 5, “In relazione all’articolo 9” appena
citato, che “L’insegnamento della
religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito - in conformità
alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli
alunni - da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità
ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica”; che
“Con successiva intesa tra le competenti
autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1) i programmi dell’insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini
e gradi delle scuole pubbliche; 2) le modalità di organizzazione di tale
insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle
lezioni; 3) i criteri per la scelta dei libri di testo; 4) i profili della
qualificazione professionale degli insegnanti”.
L’intesa
cui l’art. 5 citato fa rinvio è stata formalizzata con il d.P.R. n. 202 del
1990.
Giusta gli accordi tra lo Stato e la Santa Sede, si badi, gli insegnanti di religione cattolica non dispongono, al pari degli insegnanti delle altre materie, di “voti”, né svolgono “esami”, potendo semplicemente stilare, “in luogo” di voti ed esami, una “nota speciale” nella quale diano conto dell’interesse con il quale ciascuno studente segue l’insegnamento e del profitto che ne abbia ottenuto.
L’art. 205, comma 1, d. lgs. 16 aprile
1994, n. 297, con cui è stato approvato il testo unico delle disposizioni
legislative vigenti in materia di istruzione, che attribuisce al Ministro della
Pubblica Istruzione il potere di disciplinare annualmente, con propria
ordinanza, le modalità organizzative degli scrutini ed esami, deve essere
ovviamente interpretato, innanzitutto, alla luce dei princìpi complessivamente
risultanti dal medesimo d. lgs. e, in particolare, dal disposto dell’art. 309,
ove è stabilito che “Nelle scuole
pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado l’insegnamento della
religione cattolica è disciplinato dall’accordo tra la Repubblica Italiana e la
Santa Sede e relativo protocollo addizionale, ratificato con legge 25 marzo
1985, n. 121, e dalle intese previste dal predetto protocollo addizionale,
punto 5, lettera b).
2.
Per l’insegnamento della religione cattolica il capo di istituto conferisce
incarichi annuali d’intesa con l’ordinario diocesano secondo le disposizioni
richiamate nel comma 1.
3. I
docenti incaricati dell’insegnamento della religione cattolica fanno parte
della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e
doveri degli altri docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali
solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione
cattolica.
4. Per l’insegnamento della religione cattolica, in luogo di voti e di esami, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento e il profitto che ne ritrae”.
E invero, proprio a motivo del fatto che l’insegnante di religione cattolica non può partecipare, al medesimo titolo degli altri, alla determinazione della complessiva valutazione degli studenti, nel d.P.R. n. 202 del 1990 e (in esecuzione di questo), per pressoché costante prassi amministrativa, nelle annuali Ordinanze Ministeriali sugli scrutini e gli esami è stato stabilito che l’accennata nota speciale “diventa un giudizio motivato” (non, comunque, un voto) nel solo caso in cui il parere dell’insegnante di religione cattolica divenga determinante per la decisione circa la promozione o la bocciatura di uno studente.
In questo modo, come si vede, si è assicurato il rispetto della libertà di scelta sancìto dalla Costituzione, dalla legge e dai patti con la Santa Sede, facendo in modo che la scelta se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica fossa davvero rimessa alla libera valutazione di ciascuno studente, poiché non potevano in alcun modo derivarne incentivi, né penalizzazioni, a carico di alcuno.
Tale prassi ha subìto deroga, a quanto risulta, soltanto con l’analoga O.M. 26 del 2007, impugnata innanzi codesto Ecc.mo TAR con il ricorso n. 4297/07 di cui si è detto in punto di fatto (mentre l’O.M. 21 maggio 2001, n. 90, Prot. 4042, come si confida di mostrare meglio oltre, conteneva disposizioni solo in parte analoghe a quelle qui censurate, che per di più non furono reiterate nelle ordinanze degli anni successivi e fino al 2007).
La disciplina legislativa vigente e la prassi amministrativa largamente dominante, dunque, stabiliscono che l’insegnamento della religione cattolica non deve comparire sulla scheda di valutazione, bensì semplicemente su una “speciale nota” redatta dall’insegnante di religione cattolica “in luogo” dei voti di cui non dispone e degli esami che non può svolgere.
Le disposizioni qui censurate non prevedono soltanto che gli insegnanti di religione cattolica “partecipano a pieno titolo” alla decisione sul credito scolastico, ma anche che l’insegnamento della religione cattolica e le eventuali attività alternative siano valutabili a tale fine e che gli studenti che non abbiano seguito l’insegnamento della religione cattolica o quello alternativo possano far valere le loro attività extrascolastiche solo come credito formativo, sicché si pongono in evidente, palmare contrasto con le fonti appena richiamate.
Come felicemente sintetizzato
nell’Interrogazione a risposta scritta n. 4-01614, presentata nella scorsa
legislatura dai Senn. Capelli, Gaggio Giuliani e Gagliardi, con riferimento
alla analoghe disposizioni contenute nell’O.M. n. 26/07, “le disposizioni richiamate, che non trovano giustificazione in alcuna
innovazione legislativa o regolamentare, si pongono in contrasto con
l’orientamento costante della Corte Costituzionale - sentenze n. 203 del 1989 e
n. 13 del 1991 - e costituiscono un palese sconfinamento dell’ordinanza in un
campo non disponibile per gli strumenti della prassi amministrativa che
stravolge il quadro normativo di riferimento;
per
effetto delle stesse disposizioni, inoltre, molti studenti potrebbero essere
indotti, in vista di un punteggio più vantaggioso nel credito scolastico, a
rinunciare alla scelta dettata dalla propria coscienza, garantita dalla Corte
costituzionale e dallo stesso art. 9 del Concordato che parla di scelta che non
deve comportare «alcuna forma di discriminazione»;
anche il D.P.R. 23 giugno 1990, n. 202, con il quale è stata applicata la nuova intesa tra l’autorità scolastica italiana e la C.E.I. va nella stessa direzione laddove dispone che il voto del docente di religione cattolica nello scrutinio finale, qualora si riveli determinante ai fini della promozione o della bocciatura, non venga computato ma divenga un giudizio motivato da iscrivere nel verbale”.
2.- Eccesso di potere. Disparità di
trattamento. Irragionevolezza manifesta. Violazione del principio di certezza
giuridica e del principio di affidamento. Violazione del divieto di
retroattività degli atti amministrativi. La patente contraddizione con l’applicazione che la migliore prassi delle
precedenti, analoghe ordinanze ministeriali ha sin qui fatto di tali fonti
normative, poi, denuncia il palese eccesso di potere per la manifesta
irragionevolezza delle determinazioni adottate.
L’ordinanza prescrive infatti, come esposto in punto di fatto, una diversa valutazione nell’attribuzione del credito scolastico, rispettivamente, agli studenti che si siano avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica o di un’attività alternativa (o che svolgano attività di studio individuale a scuola), da un lato, e gli studenti che (nell’esercizio di un diritto riconosciuto dalla fondamentale sent. C. cost., n. 13 del 1991) abbiano scelto di assentarsi dall’edificio scolastico o comunque di astenersi da ogni insegnamento alternativo durante l’ora di religione cattolica.
Tale diversità dei criteri di valutazione ha senza dubbio l’effetto di discriminare gli studenti appartenenti alla seconda categoria rispetto a quelli appartenenti alla prima.
Le previsioni impugnate, infatti, assicurano che allo studio della religione cattolica o alle attività alternative (compresa l’attività di studio individuale a scuola) corrisponda l’attribuzione di un certo credito scolastico.
Né potrebbe obiettarsi che non vi sarebbe discriminazione, perché gli studenti che si assentino da scuola nelle ore di religione senza svolgere alcuna attività documentabile, per quanto privati di un vantaggio, non subirebbero direttamente una deminutio.
Non deve dimenticarsi che, ai sensi dell’art. 3, comma 6, l. n. 425 del 1997, “a conclusione dell’esame di Stato è assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, che è il risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte e al colloquio e dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato. La commissione d’esame dispone di 45 punti per la valutazione delle prove scritte e di 30 per la valutazione del colloquio. Ciascun candidato può far valere un credito scolastico massimo di 25 punti”.
Evidente, dunque, che le disposizioni censurate impediscono agli studenti così discriminati di esser valutati in condizione di parità con gli altri e – per soprammercato – li espongono al rischio di presentarsi in condizioni di svantaggio sul mercato del lavoro o su quello dei servizi formativi (ad esempio, in occasione della partecipazione a selezioni per l’ammissione a corsi universitari o a borse di studio), caratterizzati come noto da un’altissima competitività.
Non potrebbe neppure obiettarsi, infine, che le disposizioni censurate garantirebbero comunque agli studenti “non avvalentisi” la possibilità di ottenere la valutazione delle attività eventualmente svolte fuori da scuola quali crediti formativi, ai sensi e nei limiti di cui al d.M. n. 49 del 24 febbraio 2000.
Sussiste infatti una assoluta disomogeneità tra credito scolastico (che, come si è visto, concorre direttamente alla determinazione del voto finale) e semplici crediti formativi.
Come è noto,
invero, “Ai sensi dell’art. 11, D.P.R. n.
323 del 1998, il punteggio attribuito per «credito scolastico» esprime la valutazione del
grado di preparazione complessiva raggiunta da ciascun alunno nell’anno scolastico
in corso, con riguardo al profitto e tenendo conto anche dell’assiduità della
frequenza scolastica,
ivi compresi eventuali «crediti formativi», intesi quest’ultimi come le qualificate esperienze,
debitamente documentate, da cui derivino competenze coerenti con il tipo di
corso cui si riferisce l’esame di stato; pertanto, la attribuzione del
punteggio spettante per il «credito scolastico» assorbe in sé la valutazione anche del «credito formativo»
e preclude che per quest’ultimo sia attribuito un ulteriore autonomo punteggio”
(Cons. Stato Sez. VI, 22/06/2005, n. 3290). Ne consegue che il credito
formativo non equivale al credito scolastico, ma costituisce solo un elemento
che, assieme ad altri, è valutabile nella determinazione di quest’ultimo.
2.1.- Ulteriore profilo di irragionevolezza e sintomo di eccesso di potere è costituito dalla assoluta indeterminatezza dei criteri che, ai sensi dell’art. 8, comma 14, della deliberazione impugnata, dovrebbero presiedere alla eventuale valutazione, quali crediti formativi, delle attività svolte dagli studenti che non si siano avvalsi dell’insegnamento delle religione cattolica, né di attività sostitutive.
Tale valutazione viene infatti in sostanza rimessa alla più ampia discrezionalità di ciascun istituto scolastico, aggravando i (già concreti) rischi di discriminazione.
2.2.- Ulteriore sintomo dell’irragionevolezza delle disposizioni censurate sta in ciò che, con determinazioni del marzo 2008 (adottate, dunque, alla fine dell’anno scolastico) si è preteso di fissare i criteri per la valutazione di attività che gli studenti hanno già compiuto durante il passato anno scolastico, quando, naturalmente, non potevano immaginare di doversi “precostituire” la prova di aver svolto attività valutabili sotto il profilo del merito scolastico.
La retroattività della quale qui si dice è, ovviamente, la retroattività c. d. “impropria” (v., ad es., Cass., Sez. un., 1° aprile 1993, n. 3888), e cioè quella che si verifica le quante volte si incide su rapporti o situazioni giuridiche in essere, alterando, in ragione di un fatto passato, la loro disciplina, conosciuta sino a quel momento dagli interessati e sulla quale essi potevano fare ragionevole, legittimo affidamento.
Né rileva, naturalmente, la nota vicenda che ha fatto seguito all’accennata impugnativa della analoga O.M. n. 26/07. Come accennato, tale ordinanza è stata impugnata con ricorso n. 4297/2007, tuttora pendente innanzi la Sez. III quater di codesto Ecc.mo TAR. L’ordinanza cautelare 23/29 maggio 2007, n. 2699, con la quale codesto Ecc.mo TAR aveva sospeso il provvedimento allora impugnato, è stata per vero riformata in appello con Ord. n. 2920 del 2007. Da tale vicenda, tuttavia, non potrebbe trarsi la conclusione che gli studenti interessati dovessero attendersi che nel corrente anno scolastico fossero perpetuate le misure già contestate. Al contrario, anzi, le polemiche che hanno fatto seguito alla vicenda appena ripercorsa, oltre che la sussistenza (di cui si è detto) di una consolidata, contraria prassi amministrativa, non lasciavano supporre che l’Amministrazione avrebbe perseverato nell’erronea linea inaugurata lo scorso anno.
Gli studenti interessati, dunque, vengono discriminati addirittura retroattivamente, arrivando a subire conseguenze che, per tutta la durata dell’anno scolastico, non potevano sapere con certezza di dover ricollegare alla scelta (finora, libera e non penalizzante, né oggetto di incentivi) relativa all’insegnamento della religione cattolica. Né, chiaramente, si potrebbe affermare che, nel corso del corrente anno scolastico, gli studenti interessati dovessero prudenzialmente conformarsi all’erronea prassi seguita lo scorso anno, avvalendosi dell’insegnamento della religione cattolica o “precostituendosi” attività alternative valutabili ai sensi dell’ordinanza già impugnata. Ammettere ciò, infatti, sarebbe la miglior prova della discriminazione che si lamenta, poiché così facendo gli studenti che non volessero avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, né praticare attività alternative, sarebbero stati messi di fronte all’alternativa di perseverare in tale libera scelta, a rischio di vedersi penalizzati, ovvero di revocarla per evitare di subirne conseguenze negative.
L’atto impugnato, pertanto, viola il
fondamentale principio della tutela del legittimo affidamento nella sicurezza
giuridica. Come è noto, sia la
giurisprudenza comunitaria che quella costituzionale hanno posto l’accento
sulla doverosità del rispetto del diritto all’affidamento addirittura da parte
del legislatore. In particolare la Corte costituzionale, già a partire dalla
sent. n. 349 del 1985 (ma v, anche sentt. nn. 822 del 1988; 155 del 1990; 390
del 1995; 211 del 1997; 229 del 1999; 416 del 1999; e già prima gli spunti
delle sentt. nn. 210 del 1971 e 36 del 1985), ha affermato che il principio
della certezza del diritto e il connesso principio della tutela
dell’affidamento del cittadino costituiscono “valori” riconosciuti dalla Costituzione, che vincolano il
legislatore e che il legislatore non può esimersi dal rispettare: “l’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica [...] costituisce elemento
fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto”. Con particolare
efficacia, poi, la sent. n. 525 del 2000 ha qualificato l’“affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica” come “principio che, quale elemento essenziale
dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi
che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti”),
mentre la sent. n. 446 del 2002 ha confermato che “in linea generale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica - essenziale elemento dello Stato di diritto - non può essere leso da
disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di
situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”, proponendo statuizioni
poi confermate dalla sent. n. 168 del 2004 e dalla sent. n. 264 del 2005.
La
stessa irretroattività, anzi, è un “fondamentale
valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il
legislatore deve in linea di principio attenersi” (sent. n. 229 del 1999),
proprio per non mettere a rischio l’affidamento dei destinatari dei precetti
normativi. A maggior ragione, dunque, ciò che non può fare il Legislatore non
può certo fare l’amministrazione. Del resto, è pacifico che l’art. 11 disp.
prel. cod. civ. stabilisca un divieto generale di retroattività degli atti
amministrativi (per tutti, in dottrina, F. SATTA, Irretroattività degli atti normativi, in Enc. Giur., Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1989,
Vol. XVII, 6), specie qualora essi
incidano sfavorevolmente nella sfera giuridica dei privati. Divieto, questo,
che è stato platealmente violato dall’atto impugnato.
3.- In subordine. Illegittimità derivata per l’illegittimità costituzionale degli artt. 11 Dispp. Prel. al Codice civile; 9 l. n. 121 del 1985; art. unico d.P.R. n. 202 del 1990; 309 d. lgs. n. 297 del 1994, ove interpretati nel senso del provvedimento impugnato. Ove poi si ritenesse che il complesso delle fonti normative richiamate in punto di fatto e nell’esposizione del primo motivo di ricorso consenta l’adozione dei provvedimenti censurati, dovrebbe senza dubbio sollevarsi questione di legittimità costituzionale delle rispettive norme, per contrasto con gli artt. 3 Cost. (per l’evidente irragionevolezza e per le possibili discriminazioni e disparità di trattamento che ne resterebbero consentite), 2, 7, 8 e 21 Cost. (per l’inaccettabile compressione del principio di parità fra confessioni religiose, nonché della libertà religiosa e del diritto di manifestazione del pensiero). E’evidente, peraltro, che l’eccezione di illegittimità costituzionale è qui prospettata soltanto in via di estremo tuziorismo, in quanto delle disposizioni in esame è ben possibile dare un’interpretazione costituzionalmente legittima, quale quella fin qui sostenuta.
L’esposizione dei motivi di sicura illegittimità costituzionale dell’interpretazione qui respinta consente, per vero, di ricordare che, come chiarito da tempo dalla Corte costituzionale, una scelta quale quella compiuta coi provvedimenti impugnati, semplicemente, non era nella disponibilità dell’Amministrazione.
Principio fondamentale risultante dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, è quello per il quale l’unico modo di garantire agli studenti piena libertà di determinazione in ordine all’avvalimento dell’insegnamento della religione cattolica è quello di evitare che essi siano posti in una posizione di obbligo, nella quale la scelta di non avvalersi del relativo insegnamento debba necessariamente essere compensata da un’obbligazione alternativa.
Tanto è stato affermato, con esemplare chiarezza, nella fondamentale sentenza n. 13 del 1991, ove la Corte ha affermato che la “modulazione di scelta” consentita dall’Amministrazione scolastica, tra “a) attività didattiche e formative; b) attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente; c) nessuna attività, che l’Amministrazione interpreta come libera attività di studio e/o ricerca senza assistenza di personale docente”, ha evidentemente “per fine la realizzazione di un contenuto liberamente voluto, così da non contraddire ma anzi fedelmente tradurre lo «stato di non-obbligo»” nel quale la precedente sent. n.. 203 del 1989 ha individuato l’unica alternativa possibile all’avvalimento dell’insegnamento della religione cattolica. Fondamento delle conclusioni raggiunte dalla Corte nel 1989, come è noto, è la considerazione che “La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno, perché proposta in luogo dell’insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l’una e l’altro lo schema logico dell’obbligazione alternativa”, mentre deve al contrario concludersi che “Per quanti decidano di non avvalersene l’alternativa e uno stato di non-obbligo”. Nella sent. n. 13 del 1991 la Corte costituzionale ha del resto avuto occasione di chiarire le ampie potenzialità esplicative del principio del “non obbligo”, chiarendo che “per coloro tuttavia che non esercitino nessuna delle tre scelte proposte” deve concludersi che lo “stato di non-obbligo” può ben “avere tra i suoi contenuti anche quello di non presentarsi o allontanarsi dalla scuola”, in quanto il suo “valore finalistico” è “di non rendere equivalenti e alternativi l’insegnamento di religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall’esterno della coscienza individuale l’esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa, coinvolgente l’interiorità della persona”.
Quel che si deve garantire, insomma, è che la scelta per l’una o l’altra soluzione sia dettata solo da considerazioni personali dell’interessato, in assenza di condizionamenti e di discriminazioni.
4.- Domanda di sospensione. Dalla temuta attuazione del provvedimento impugnato discenderebbe un danno gravissimo e irreparabile per i ricorrenti.
L’ultima data utile per l’approvazione del “documento del consiglio di classe”, di cui all’art. 6 dell’Ordinanza impugnata (la quale, in questo, segue la consolidata prassi operativa degli ultimi anni) è infatti quella di martedì 15 maggio 2008 (cfr. art. 6 cit.). Tale documento, sempre ai sensi dell’art. 6 in esame, “indica i contenuti, i metodi, i mezzi, gli spazi e i tempi del percorso formativo, i criteri, gli strumenti di valutazione adottati, gli obiettivi raggiunti, nonché ogni altro elemento che i consigli di classe ritengano significativo ai fini dello svolgimento degli esami”. In esso, dunque, dovranno essere stabiliti i criteri per l’assegnazione dei crediti scolastici agli studenti dell’ultimo anno.
Il calendario degli esami di maturità prevede poi che la sessione
degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria
superiore abbia inizio entro il 20
giugno 2008.
E’ allora del tutto evidente
che i ricorrenti privati non potranno attendere la definizione del giudizio di
merito, onde veder tutelati i propri diritti e legittimi interessi.
A seguito della richiesta
sospensione, va sottolineato, i consigli di classe potranno modificare le
determinazioni eventualmente già assunte entro il termine sopra indicato,
attribuendo i crediti scolastici con i criteri ormai consolidati di cui alla
migliore prassi amministrativa. Non vi sarebbe, dunque, alcun pregiudizio per
il pubblico interesse.
Come si è visto, infatti, le
determinazioni censurate costituiscono l’unica differenza tra l’ordinanza
ministeriale impugnata e le analoghe ordinanze emesse negli anni passati (fino
al 2007 escluso). Eliminate (e prima ancora, sospese) le irragionevoli
previsioni di cui ai commi censurati, i rimanenti criteri resterebbero immuni
dai gravi effetti discriminatori che si sono – si confida - evidenziati. Gli
studenti riceverebbero dunque le rispettive valutazioni secondo il procedimento
ormai consolidato e su una base di assoluta parità, potendo così affrontare
serenamente le prove finali.
Ciò che più conta, ove la cautela non fosse
concessa, dalla esecuzione delle determinazioni censurate risulterebbero
compromessi diritti costituzionali fondamentali (la cui tutela e promozione,
come si è visto, sono tra le finalità delle associazioni e delle confessioni
religiose ricorrenti), sicché il danno sarebbe, per definizione, irreparabile.
Si confida dunque che, anche dato l’evidente fumus di fondatezza dei motivi di impugnazione fin qui accennati, codesto Ecc.mo Tribunale vorrà concedere il provvedimento di sospensione dell’atto impugnato.
Conforta tali aspettative, si sottolinea sommesssamente, l’autorevole precedente costituito dalle ordinanze cautelari nn. 413 e 414 del 1° febbraio 2006, con le quali la Sez. III quater di codesto Ecc.mo Tribunale ha avuto occasione di valutare la non manifesta infondatezza delle censure con le quali si lamentava la violazione dell’art. 304, comma 4, d. lgs. n. 297 del 1994, per l’indebito inserimento della religione cattolica nell’ambito delle materie curriculari ai fini della definizione del cosiddetto portfolio delle competenze nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione.
Non basta. Come accennato, codesto Ecc.mo TAR ha già avuto occasione di apprezzare, seppur in fase liminare, la serietà delle censure, in tutto analoghe a quelle qui sviluppate, mosse nei confronti dell’omologa Ordinanza ministeriale dello scorso anno. Con la menzionata Ord. 23 maggio 2007, n. 2408, invero, è stata disposta la sospensione, in parte qua, dell’Ordinanza del Ministro della pubblica istruzione n. 26 Prot. 2578 del 15 marzo 2007, recante disposizioni perfettamente sovrapponibili a quelle qui censurate. E a sommesso, ma fermo avviso di questa difesa, non può rilevare la circostanza che tale ordinanza sia stata riformata in appello.
L’estrema stringatezza della motivazione dell’ordinanza di riforma (Cons. Stato, Sez. VI, 12 giugno 2007, n. 2920) non consente, per vero, di ricostruirne compiutamente l’iter logico-argomentativo; ma è comunque possibile considerare quanto segue.
L’ordinanza del Consiglio di Stato motiva l’accoglimento dell’appello, innanzitutto, affermando che “l’ordinanza ministeriale impugnata reitera, essenzialmente, nei suoi contenuti, l’o.m. 21 maggio 2001 n° 90 (pubblicata in G.U. 20 luglio 2001, n° 167 S.O.) che in precedenza ha dis[ci]plinato la materia”. Basta tuttavia la lettura della richiamata ordinanza del 2001 per verificare che, come anticipato, l’ordinanza del 2007 (come quella qui impugnata) non si limita a riproporre le disposizioni che prevedono la partecipazione dell’insegnante di religione cattolica alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, ma, a differenza dell’ordinanza del 2001, introduce una fonte di possibile discriminazione, stabilendo che gli studenti che non hanno seguito l’insegnamento della religione cattolica o quelli alternativi possano far valere le loro attività extrascolastiche solo come credito formativo.
Il richiamo alla prassi inaugurata nel 2001, per di più, non pare rilevante per escludere la lamentata violazione dell’affidamento, in quanto tale prassi non è stata seguita negli anni successivi (e sino al 2007); né, per concludere sul punto, la sussistenza di una prassi illegittima può valere ad escludere la sussistenza del fumus di fondatezza di una impugnativa.
Non pare condivisibile, infine, l’ulteriore motivazione dell’ordinanza di riforma, secondo la quale “neppure si rinvengono i profili di pregiudizio grave e irreparabile in capo agli originari ricorrenti, mentre significativi pregiudizi possono patire i destinatari delle norme impugnate, che non sono neppure parte del giudizio”. Nell’affermare che vi siano controinteressati esposti a un potenziale pregiudizio, come si vede, si ammette espressamente la sussistenza della discriminazione lamentata, dal momento che il solo modo di assicurare il rispetto della libertà di scelta sancìto dalla Costituzione, dalla legge e dai patti con la Santa Sede, sarebbe stato quello di assicurare che la stessa scelta non potesse comportare incentivi, né penalizzazioni, a carico di alcuno degli studenti.
Inoltre, il riferimento ai soggetti che non sono parte del giudizio – si consenta di osservare – appare improprio, trattandosi di giudizio vertente su un atto generale a contenuto sostanzialmente normativo.
Resta dunque pienamente convincente quanto diffusamente e
cristallinamente argomentato nell’ordinanza di codesto Ecc.mo Tribunale, n.
2408 del 2007: l’art. 8, punti 13-14 dell’O.M. impugnata, come le analoghe
disposizioni dell’omologa ordinanza del 2007, “viola il precetto di cui all’art. 309, IV° del D.Lgs. n. 297/1994 in
quanto:
- la predetta norma configura
l’insegnamento della religione come una materia extracurriculare, come è
dimostrato dal fatto che il relativo giudizio – per coloro che se ne avvalgono
– non fa parte della pagella ma deve essere comunicato con una separata
«speciale nota»;
- sul piano didattico, l’insegnamento della religione non può a nessun titolo concorrere alla formazione del «credito scolastico» di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 323/1988, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l’insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive”.
In questi termini sono le suesposte censure.
*****
P. Q .M.
Si chiede che codesto Ecc.mo Tribunale Amministrativo Regionale voglia accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa sospensione, annullare l’art. 8, commi 13 e 14, dell’Ordinanza del Ministro della pubblica istruzione n. 30 Prot. 2724 del 10 marzo 2008, recante “Istruzioni e modalità organizzative ed operative per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore nelle scuole statali e non statali. Anno scolastico 2007/2008”.
Con vittoria di spese, competenze e onorari.
Roma, 9 maggio 2008
Avv. Fausto Buccellato Avv. Prof. Massimo Luciani
Avv. Mario Di Carlo
-
al Ministero della pubblica istruzione, in
persona del Ministro pro tempore, e per esso all’Avvocatura Generale
dello Stato, con sede in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
- alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, e per essa all’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, Via dei Portoghesi n. 12,
- alla Conferenza Episcopale Italiana, nella persona del Presidente pro tempore, con sede in Roma, Circonvallazione Aurelia, n. 50;
- al Sig. Ludovica Viti, residente in Via Calvi Risorta, 21 – 00143 ROMA -