Le proposte dei ministri Gelmini e Tremonti su come affrontare i problemi della scuola
italiana oscillano tra il passatismo e l'irrilevanza
La voce.info: La scuola italiana fra
nostalgie e crisi di identità
26-08-2008
di Tito Boeri
e Fausto Panunzi 25.08.2008
Grazie a
un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sulla crisi di identità della
scuola italiana e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della
Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola
italiana. Non che siano particolarmente promettenti.
Oscillano tra passatismo e irrilevanza. Speriamo in
qualche ripensamento. Senza dimenticare che una società che
risparmia sull'investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al
suo futuro.
Grazie a
un editoriale di Ernesto Galli della Loggia e a un dibattito apertosi sulle
colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani
del governo sulla scuola italiana.
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Prima di discutere le proposte
dei ministri Gelmini e Tremonti
è opportuno richiamare i contenuti dell’intervento che ha avuto l’indubbio
merito di stimolarle. La tesi di Galli della Loggia è che la crisi della scuola
italiana sia l’altra faccia della medaglia della crisi di identità
del nostro paese, incapace di “progettare il suo futuro, perché non riesce più
a incontrare il suo passato”. Questa diagnosi è così astratta da rendere
difficile una sua valutazione. Anche se fosse corretta, non offrirebbe comunque terapie di immediata attuazione. Come fa una società a riappropriarsi del suo passato e a definire
una nuova identità? Chi dovrebbe promuovere tale processo? E
quale sarebbe l’orizzonte temporale? La scuola non può permettersi il lusso di
aspettare che la società italiana riconosca se stessa allo specchio, ma ha la
necessità di interventi urgenti.
ORDINALE, CARDINALE E VECCHIO
MANUALE
Questa necessità viene riconosciuta negli interventi dei ministri Gelmini e Tremonti, che hanno il
pregio di proporre misure potenzialmente di efficacia immediata. Partiamo dalle
due proposte avanzate dal ministro dell’Economia: il ritorno ai voti al
posto dei giudizi e una riduzione della frequenza nel cambiamento dei libri di testo. Si tratta di interventi
marginali, se non del tutto irrilevanti. I giudizi, come i voti, hanno un
valore ordinale. Come 8 è meglio di 7, così ottimo è
meglio di distinto. Riesce difficile capire perché la scala 9-8-7-6-5 (peraltro
già applicata nei licei) sia preferibile alla scala ottimo
– distinto – buono – sufficiente – insufficiente o a quella A-B-C-D usata nei
paesi anglosassoni. Quanto ai libri di testo, è vero che sono cambiati
nel tempo, ma lo stesso è avvenuto anche a livello di testi universitari. La
ragione è che nel tempo è cambiata la modalità di studio e apprendimento degli
studenti a ogni livello. Il diffondersi di nuove
tecnologie come il computer ha arricchito gli strumenti didattici a
disposizione degli insegnanti e i libri di testo si sono adattati a tali
cambiamenti, inserendo supporti didattici come i cd dedicati al ripasso degli
argomenti e una grafica meno spartana di quella dei libri di
testo degli anni Settanta. Questo processo è avvenuto in tutti i paesi. Certo,
vi sono case editrici che procedono ad aggiornamenti cosmetici pur di spiazzare
il mercato dell’usato. Ma non ci si può affidare che
agli insegnanti per impedire che queste scelte editoriali appesantiscano il
bilancio delle famiglie. Esistono già tetti di spesa. Intervenendo d’imperio si
corre il rischio di ritardare l’innovazione didattica.
LE QUATTRO “I”
La stessa ottica “passatista”
ispira le proposte del ministro Gelmini: ripristino
del voto di condotta, divisa scolastica, maestro unico, insegnamento
dell’educazione civica. Inoltre, si aggiunge alla vecchia ricetta delle tre I
(inglese, informatica e impresa) una quarta I
(italiano), cioè lo studio della letteratura, della storia e delle tradizioni
italiane. Il maestro unico, il grembiule e il voto di condotta c’erano negli
anni Settanta e così anche l’insegnamento dell’educazione civica. Ma la società italiana è cambiata e così la scuola. In
particolare, sono cambiati gli studenti e le loro famiglie. Il massiccio flusso
di immigrati ha reso meno omogenee le classi. I
bambini con disabilità, che venivano
prima lasciati a casa, adesso vanno – giustamente – a scuola. La maggiore
partecipazione femminile al mercato del lavoro ha fatto fiorire il tempo pieno,
riducendo il coinvolgimento delle famiglie nel processo di apprendimento
degli studenti.
Non è certo con il ritorno al passato che la scuola italiana troverà la
soluzione dei suoi problemi. Cosa si può fare allora
per la scuola italiana? Un sistema di buoni (voucher) che consenta
alle famiglie di scegliere tra le varie scuole, anche private, mettendole in
competizione, è la proposta che è stata avanzata da più
parti. Ma anche l’introduzione del sistema
di voucher non farebbe in alcun modo scomparire il ruolo della scuola pubblica.
E per migliorare la scuola pubblica le ricette non sono molte: c’è bisogno di una iniezione di capitale fisico e capitale umano.
Molte scuole pubbliche sono ancora in edifici vecchi, spesso inadatti a ospitare le attività scolastiche. Mancano laboratori
scientifici e linguistici e ci sono troppo poche aule di scienze. In altri
paesi gli studenti si spostano tra diverse aule a seconda
degli insegnamenti. Da noi, la carenza di aule
impone di fare spostare gli insegnanti anziché gli studenti, col risultato che
i docenti di materie come biologia, chimica e fisica non possono svolgere bene
il loro mestiere. La scarsità di palestre adeguate e quindi l’impossibilità di
consentire ai ragazzi di svolgere attività sportiva è un altro dei problemi
cronici della scuola italiana, le cui conseguenze si sono evidenziate anche
alle Olimpiadi di Pechino. Ad oggi, purtroppo, non è stata ancora completata
l’anagrafe edilizia e quindi non sappiamo ancora quali siano
le scuole che necessitano di interventi rilevanti. Un programma di
miglioramento dell’edilizia scolastica non è rinviabile. Accanto al
miglioramento delle strutture occorre migliorare la qualità
dell’insegnamento. Una selezione più severa per
l’immissione in ruolo dei docenti. Incentivazione degli insegnanti, con
premi per chi svolge con dedizione il suo lavoro e sanzioni per chi invece brilla per assenteismo o scarso impegno in classe. Maggiore potere ai presidi nella scelta dei docenti e nella loro
incentivazione. Taglio dei plessi scolastici marginali. Formazione e test periodici per gli insegnanti. Tutti, in
qualunque parte d’Italia. Test nazionali per verificare il grado di apprendimento degli studenti che serviranno alle famiglie
per conoscere il contenuto formativo di tutte le scuole italiane. Potranno
così, soprattutto al Sud, esercitare pressioni sui docenti affinché migliori la qualità della didattica anziché puntare solo ad
avere un pezzo di carta per i loro figli.
Tutte queste proposte costano. Ma sarebbe miope
rinviare l’investimento nella scuola invocando la già eccessiva spesa per il
corpo docente. Bene invece utilizzare ogni risparmio nella
spesa corrente e derivante dalla chiusura dei plessi inefficienti per investire
nei materiali didattici e nell’edilizia scolastica. E
se ci sono insegnanti che non fanno il loro lavoro, occorre fare tutto il
possibile per espellerli dal sistema scolastico. Ma senza
dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una
società che sta rinunciando al suo futuro.