Aristofane, La festa delle donne, traduzione di Edoardo Sanguineti, Genova, il melangolo, 2001, pp. 86, € 5,16.
In occasione della recente messa in scena al Teatro Greco di Siracusa, la casa editrice il melangolo ripropone la traduzione, già del 1979, curata da Edoardo Sanguineti della commedia aristofanea Le Tesmoforiazuse. Si può affermare, senza dubbio, che Sanguineti, con questa sua Festa delle donne, si è accostato a un suo simile: a un dotto, divertito e divertente schenóbate della parola; non per nulla nella nota introduttiva il curatore ricorda al lettore che, nel “trattare” questa commedia, ha posto grande attenzione “al gioco verbale e all’invenzione linguistica”. Sanguineti ha più volte rammentato ai suoi lettori (Il traduttore, nostro contemporaneo, in La missione del critico, Genova, Marietti, 1987, 182-188) che il traduttore non deve produrre una “Scrittura dello Schermo”, per non dover seguire un eventuale “lavqe gravya~” (scrivi di nascosto), ma deve parlare “attraverso la sua lingua viva, nella nostra lingua viva”. L’atteggiamento traduttivo di Sanguineti si potrebbe definire, oggi, ‘ermeneutico’: Mattioli ha giustamente messo in evidenza (E. M., Poetica ed ermeneutica della traduzione, “Testo a fronte” XVII 1997, 5-11) come la traduzione sia un incontro di due poetiche, quella dell’autore e quella del traduttore, e sono proprio le correlazioni che si instaurano tra queste che ci permettono di “dare un giudizio storicamente fondato” su un lavoro traduttivo.
Se Aristofane veniva accusato da Cratino di eujripidaristofanivzein, cioè di imitare per alcuni aspetti Euripide, noi possiamo dire che Sanguineti ‘aristofansanguineteggia’, rende ‘contemporaneo’ il testo aristofaneo, lo imita e lo piega secondo criteri di “dicibilità”, “rappresentabilità” e “scenicità”. Come il commediografo imita e paròdia la tragedia di Euripide, rendendo sottile il confine tra comicità e umorismo, così Sanguineti si ‘traveste’ da Aristofane, calandosi nell’Atene del V sec. a.C. e risalendo fino a noi restituendoci un “sentimento di invalicabile distanza”. La commedia, ‘parodia tragica’ o ‘paratragedia’, è essenzialmente una commedia del travestimento: Aristofane complica e interseca continuamente i diversi e innumerevoli piani della realtà e della finzione; Sanguineti si inserisce in maniera organica in questo gioco di travestimenti creando almeno due nuovi piani, quello del traduttore, inventivo e produttivo, e quello del lettore, o spettatore, fruitivo e immaginativo. Sanguineti, che suddivide la commedia in quindici scene, imita spesso l’originale, creando neologismi e giochi linguistici, ma spesso supera persino il testo greco o lo rende maggiormente efficace e vibrante. È proprio così che qhludriw`de~, kateglwttismevnon e mandalwtovn diventano rispettivamente “femminescabile”, “linguimboccabile” e “chiavatellabile” (p. 19). “Ginofono” (p. 22), “ginecomane” (p. 43), “ginecofilo” (p. 43) e “cuculeggiantoide” (p. 71), ad esempio, rendono i termini gunaikovfwno~, gunaikomanw`, proxenw` ed ejpikokkavstria. La vivacità linguistica di Sanguineti trabocca quando una boccetta per l’olio da atleta diventa “for men” e la fascia per il seno “reggipuppe” (p. 19). Euripide diffama le donne, chiamandole “adulteroidi” (moicotrovpou~), “maschiòmani” (ajndrerastriva~), “sbevazzose” (oijnopivpa~), “traditoresse” (prodovtida~), “blablablanti” (lavlou~), “malsaniche” (oujde;n uJgiev~) e “rovina super” (mevga kakovn) (p. 35). Divertenti i numerosi e ironici omoteleuti, come in queste battute: “presidentessa Timòclea, cancellieressa Lisilla, proponentessa Sóstrata” (p. 34); “una delinquente, pubblicamente,/ impudicamente eloquente” (p. 39), con disposizione chiastica, e “ohi, che solidine che sono le tue puppine, come due rapanelline” (p. 82). La parabasi si trasforma in una “passerella” (p. 56), una carrozza in una “duecavalli” (p. 57) e una focaccia in una “pizza” (p. 42): effetto comico ed effetto straniante vengono a coincidere, l’uno rinforza e rende più potente l’altro, con un esito pirotecnicamente partecipante e partecipativo; ogni soluzione partecipa alla costruzione drammaturgica, allo spettacolo in maniera strutturale, ma soltanto attraverso la partecipazione di un “nostro contemporaneo”. Frequenti i bisticci fonici: “che cosa dire, adesso, a queste cose, quando questo fa questo, e non sente vergogna?” (p. 52), con poliptoto tra “queste” e “questo”, “fatto il fatto che hai fatto” (p. 52) e “dove sta, sta sozza?” (p. 75); tra i numerosi casi d’allitterazione si noti il “voi vanamente vaneggiate” (p. 52) che rende il greco mavthn lalei`te. Le espressioni simili “farsi fottere” e “e lo dà via” (p. 14) traducono due verbi di discusso significato: binou`mai e laikavzw. Se il primo termine si può far corrispondere al significato richiamato da Sanguineti, il secondo sarà invece da intendere come fellare, come hanno fatto notare Jocelyn (H. D. J., A Greek Indecency and its Students. LAIKAZEIN, “PCPhS” CCVI 1980, 12-66) e Pretagostini (R. P., L’omosessualità di Agatone nelle Tesmoforiazuse di Aristofane e la figura del kelhtivzein (v. 153), in MOUSA. Scritti in onore di G. Morelli, Bologna, Pàtron, 1997, 117-123); la variatio, dunque, non è solo stilistico-lessicale, ma anche semantica, delineante varie performance considerate dai Greci come tipiche delle persone che si prostituiscono. La frase “[…] e ci allevano persino i cani/ molossi, a farci il baubau, per gli amanti” (p. 35) fa ben comprendere come Sanguineti voglia giocare con i termini “cani” e “baubau”, collegandoli in modo equivoco, come avviene in greco tramite le allitterazioni delle parole Molottikouv~ e mormolukei`a: la prima parola indica la razza ‘molossa’ dei cani, mentre la seconda, inventata da Aristofane, fa riferimento a Mormwv, espressione detta di solito ai bambini per spaventarli; il traduttore vuole creare una sorta di anfibologia tra il nostro spaventevole mostro, il ‘babau’, detto anche ‘bau’, e il verso del cane, anch’esso ‘bau’. La battuta solitamente attribuita a Clistene “slègati il reggipuppe, presto, tu svergognato” (p. 48) sarebbe, come suggerisce Degani (E. D., Ar. Thesm. 638, “Eikasmós” VII 1996, 119s.), da far pronunciare preferibilmente per metà (“slègati…presto”) alla prima donna, che si riferisce al parente di Euripide, e per metà (“tu svergognato”) a Mnesiloco stesso, parlante a Clistene che dovrebbe spogliarlo.
Bijoy M. Trentin
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