Francesco Giardinazzo
Ritratto per tre poeti: W.C. Williams, S. Heaney, W. Stevens.
Secondo ritratto: la poesia incrostata nell'argilla della storia.
´Whe have no prairies/ To slice a big sun at evening -/ Everywhere the eye concedes to/ Encroaching horizon, // Is wooded into the cyclop's eye/ Of a tarn. Our unfenced country/ Is bog that keeps crusting/ Between the sights of the sun.// They've taken the skeleton/ Of the Great Irish Elk/ Out of the peat, set it up/ An astounding crate full of air.// Butter sunk under/ More that a Hundred years/ Was recovered salty and white./ The ground itself is kind, black butter// Melting and opening underfoot,/ Missing its last definition/ By millions of years./ They'll never dig coal here// Only the waterlogged trunks/ Of great firs, soft as pulp./ Our pioneers keep striking/ Inwards and downwards,// Every layer they strip/ Seems camped on before./ The bogholes might be Atlantic seepage./ The wet centre is bottomless." (Bogland, da Door into the dark, 1969; in New Selected Poems, Faber & Faber, London 1990).
(´Non abbiamo praterie/ Per recidere il sole immenso della sera -/ Dovunque l'occhio intorno volga / Ad usurpare l'orizzonte,// Si fissa nell'occhio del ciclope/ del lago montano./ La nostra terra senza reticolati/ E' il bog che s'incrosta/ Fra le occhiate del sole.// Hanno preso lo scheletro/ Del Grande Alce Irlandese/ Fuori dal pozzo, e l'hanno innalzato/ In una gabbia enorme d'aria.// Il burro seppellito/ Pi˜ di cento anni/ Fu ritrovato intatto e sapido./ La terra stessa Ë morbido, nero burro// che fonde e si sfa sotto i passi/ Mancandogli l'ultima definizione/ Da milioni d'anni or sono./ Mai altro estrarranno da qui// Solamente tronchi pregni d'acqua/ Di grandi abeti, morbidi come marna./ I nostri pionieri proseguono/ All'interno e nel profondo,// E ad ogni strato che strappano,/ Svela remoti accampamenti./ I bogholes potrebbero essere tentacoli dell'Atlantico./ L'umido centro Ë senza fondoª). (trad. di F. G.).
Pi˜ si scende nel suo profondo, pi˜ la terra Ë innocente e misteriosa. Il mistero e l'innocenza si perfezionano in una gemma. Della Commedia di Dante il grande poeta russo Osip Mandel'stam parlÚ in questi termini. Ora non Ë un caso che la grande ammirazione di Heaney per Mandel'stam lo abbia naturalmente condotto al poema italiano, che ha studiato con profonditý e persino tentando la traduzione di alcuni episodi (il canto di Ugolino, ad esempio), confrontandosi con esperienze analoghe come quella di Robert Lowell. Ma la ricerca si concreta sempre nella sua poesia. Dunque Ë questo bog, la torbiera stratificata di millenni che le mani indagano febbrilmente, risollevando la storia dimenticata (veramente?) di una terra dilaniata da secoli di lotte fratricide come l'Irlanda, tanto vicina per questo alla Firenze di Dante. La guerra civile che l'Italia ha conosciuto come esito tragico della pi˜ grande tragedia del secondo conflitto mondiale; ed il problema connesso, ma oggi sopito, di una "poesia civile" degna di questo nome e di questa storia. Le radici di una lingua, e la lingua poetica Ë uno strumento di saggio eccellente a riguardo, sprofondano nel remoto. Da queste radici la poesia trae alimento vitale per la propria perseveranza, la propria magmatica fluiditý. Simbolo altrettanto eloquente, il magma, consapevole di una materia che tenta di resistere e ne rimane arsa, toccando nell'incandescenza la sublimazione preziosa (ma meno duratura) del diamante. Sentiamo perciÚ, in questi termini, la vicinanza di un Luzi a Heaney (nato nella contea di Derry, nell'Irlanda del Nord, da una famiglia cattolica nel 1939). Si potrebbe parlare di una "fratellanza" nel rifiuto alla lotta di entrambi: si confronti una poesia come Presso il Bisenzio con The Strand at Lough Beg (La spiaggia di Lough Beg, da Field Work, 1979): le ombre consuntili che s'addensano attorno al poeta e gli rammentano quell'abiura trasformata in dolente testimonianza, e l'apparizione del cugino del poeta, Colum McCartney (ucciso dai Protestanti in un'imboscata), che rievoca la loro infanzia in quei luoghi. Entrambi i poeti hanno in mente la poesia delle prime battute del Purgatorio dantesco: ne sia una riprova il poemetto Station Island (1984), quando l'ombra riemerge dal bog a rimproverare duramente:
"You saw that and you wrote that - not the fact./You confused evasion and artistic tact./The Protestant who shot me through the head/I accuse directly, but indirectly, you/who now atone perhaps upon this bed/for the way you whitewashed ugliness and drew/the lovely blinds of the Purgatorio/and saccharined my death with morning dew" ("Tutto ciÚ hai visto, e scritto - non il fatto vero./ Tu confondesti evasione con delicatezza artistica./Accuso direttamente il Protestante/che mi colpÏ al capo, ma anche te indirettamente/che forse ora sconti su questo letto/ per quell'imbiancatura stesa sulle atrocitý/le amabili cortine del Purgatorio/addolcendo la mia morte con la rugiada mattutina"). CosÏ in Luzi: "(...) ´Tu? Non sei dei nostri./Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta/quando divampava e ardevano nel rogo bene e maleª. (...) "Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,/mi dico, potranno altri in un tempo diverso./Prega che la loro anima sia spoglia/e la loro pietý sia pi˜ perfetta." (da Nel magma (1961-1963), in Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1988, pp. 319-21).
Evidentemente la storia e i suoi personaggi si aggirano concentricamente attorno a questa fossa primordiale, ne esalano e parlando riannodano il filo spezzato delle parole, concretizzano quelle che Heaney definisce nel titolo di una sua raccolta di saggi, Preoccupations (Selected Prose 1968-1978, Faber & Faber, London 1980; l'altra raccolta di saggi ha per titolo The Government of Tongue, Faber and Faber, London 1988). The sense of place (ed. cit., pp.131-149) Ë quanto di pi˜ significativo si possa produrre a riguardo. Il "senso del luogo", l'appartenenza fisica e spirituale al luogo originario Ë il filo continuo della poesia di Heaney (cosÏ ad esempio in An open letter, "A Field Day Pamphlet nƒ2, Derry, 1983, p.10:
"My patria, my deep design/to be at home/In my own place and dwell within/its proper name" - "La mia patria, il mio saldo intento/di essere a casa/In un posto mio e dentro il suo nome/ restarmene.") e della sua riflessione critica: "But I like to remember that Dante was very much a man of a particular place, that his great poem is full of intimate placings and place-name, and that as he moves round the murky circles of hell, often heard rather than seen by his damned friends and enemies, he is recognized by his local speech or so recognizes them." - "Mi fa piacere rammentare che Dante fu sommamente uomo di un luogo particolare, ed il suo immenso poema Ë pieno di intime geografie e nomi di luoghi, e che mentre si addentra per i bui cerchi dell'inferno, pi˜ che visto udito dai suoi nemici e dai suoi amici dannati, viene riconosciuto dalla sua parlata locale, oppure egli riconosce nello stesso modo quelli" (op. cit. pp.136-7).
Ma discendendo negli strati pi˜ profondi (Contini alluderebbe al "fonosimbolico"- con interessanti riscontri, qui, anche per il Pascoli che sperimentava certe percezioni "prelogiche" nel tessuto linguistico della sua poesia), Heaney distingue nettamente all'interno della lingua due dimensioni:
"I began as a poet when my roots were crossed with my reading. I think of the personal and Irish pieties as vowels, and the literary awarenesses nourished on English as consonants. My hope is that poems will be vocables adequate to my whole experience. Guardian, 1972" ("Ho cominciato ad essere poeta quando le mie radici si sono intersecate con le mie letture. Io penso ai miei personali ed irlandesi affetti come vocali, e alle consonanti come alla consapevolezza letteraria nutrita dall'inglese. La mia speranza Ë che queste poesie siano vocaboli adeguati alla mia esperienza intera"; op. cit., p. 37).
Il dramma di una cultura divisa fra l'annichilimento del "parlar materno", il gaelico, e l'imposizione univoca di una lingua di dominio, l'inglese, rappresenta una lacerazione ulteriore del territorio poetico, del bogland. Il quale, visto dall'alto, dalla prospettiva di chi vi si addentra, assomiglia ai "Sacchi" meravigliosi di Burri (realizzati negli anni Cinquanta, appena dopo la guerra e la detenzione dell'artista in un campo di prigionia a Hereford nel Texas - la cui ariditý sarý esplorata nei "Cretti" negli anni Settanta) , anch'essi territori liminari fra innocenza e oltraggio, ispirati da un francescanesimo che informa l'ansia di giustizia (e di perdono) di Dante, la casta grazia delle sue rime tormentate dalle tragedie di un tempo rivissuto in quel parlare "onesto"; il linguaggio come veste severa, come norma esistenziale. Si ritrovano nelle testimonianze sul santo assisiate queste frasi.
"Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocefissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni. Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere altro." (Vita Prima di Tommaso da Celano, in Fonti francescane, Padova 1982, p. 444). O ancora: "(...) Portava sempre cuciti sulla tonaca dei pezzi di sacco grossolano. E, morente, comandÚ che la tonaca per le esequie fosse ricoperta di sacco." (Specchio di perfezione, op. cit., p. 1321); "(...) voleva avere e indossare sempre una misera tonaca, fatta di pezze cucite insieme, e talvolta rappezzata dentro e fuori (...) Preferiva procurarsi da qualche fratello una tonaca giý logora per l'uso; e alle volte ricevere parte della tonaca da uno, parte da un altro. All'interno del saio, a cagione delle sue molte infermitý e perchË soffriva tanto il freddo, cuciva talora una pezza di panno nuovo." (Leggenda perugina, op. cit., p. 1220).
La poesia si Ë incrostata nell'argilla della storia. La tensione nella quale la materia si aggruma di vocali e consonanti, quel linguaggio inerente alla natura - come affermava Theodore Roethke, altra musa di Heaney - che attraversa questa per irrompere nelle vicende degli uomini, si condensa in un grafico melodico, in una
linea, in una sutura, in un reperto: l'acre carezza del tempo che tormenta e addolcisce. Osservando gli "Essiccatoi" che a Cittý di Castello ospitano le opere di Burri, la loro nuditý essenziale di cattedrali riconsacrate dalla fatica che si fa opera, la povertý scenografica che da sempre la tragedia richiede per i suoi eventi irreversibili, quel "purificarsi della materia" di cui ha parlato nella sua musica anche Luigi Dallapiccola, o come ancora ne parla Arvo Part nella sua ultima composizione Fratres, tutto questo nell'estrema solitudine remota del bog (torbiera o "terramare") si Ë concentrato in un punto unico, buio, implacabile.