Gent.mi redattori del «Bollettino '900»,
[...] La vostra iniziativa è un buon segnale di vita dalle stanze spesso mortificate dal formalismo e dal moralismo del Dipartimento di Italianistica. In primo luogo un invito. Il bollettino - se non è casuale il nome - più che un luogo di discussioni e di discorsi critici e metacritici in vitro, sia davvero un bollettino. Viva di segnalazioni più che di detenzioni di discorsi. Metta sull'avviso, lanci segnali, faciliti le connessioni, metta in guardia, dia opportunità. Ciò servirebbe a evitare che il Bollettino sia appena la riproduzione del pur meritorio lavorio del retrobottega del Dipartimento. Ciò non significa non riportare per nulla i contenuti del «Seminario» sul '900, ma certo ridurre il «peso» di quei contributi per allargare la mappa, avviare collegamenti con altro dal Dipartimento, il quale, anche rispetto alla vita letteraria che si svolge anche solo a poche centinaia di metri, rischia sempre d'essere schifiltosamente assente, per inopia quando non per motivi più lerci. In secondo luogo, non deve cessare per un istante la chiarezza (che non significa immutabilità) circa i motivi d'urgenza, di necessità di tale nuova «creatura». E i motivi non possono essere dati in un lamento sullo stato delle cose. Proporre qualcosa che abbia valore - semplicemente: che valga la pena di... - è il compito, nel tempo del deserto che avanza. Dice bene Pellizzi che «la vita letteraria sembra scindersi tra l'esistenza breve e mediana dei suoi prodotti [...] e la tautologia della ricerca individuale». E individua nell'assenza di «comunità umane» il motivo profondo per cui la letteratura - qualsiasi sia la dimensione preferenziale che incarna - non è più, letteralmente, sostenuta. Cioè supportata o sopportata. Non saranno le untuose uscite pamphlettistico-elettorali di qualche narratore oggi à la page a ridare il senso di una comunità in cui il successo del letterato va troppo di pari passo con la sua funzionalità politica. Con gli amici che con me redigono «clanDestino» abbiam sempre insistito a chiamare l'attività letteraria «gesto». E un «gesto» nasce sempre da una comunità umana, qualunque sia. Un gesto che non ha diversa dignità dagli altri gesti umani, né maggior veggenza. Però un gesto, che come tale «porta» un valore. Ora che sul mercato USA i testi europei tradotti hanno raggiunto la soglia di un misero tre per cento, mentre la traduzione di testi Usa invade le nostre librerie, tutto ciò richiede a noi e ai nostri lettori di essere comunità, così che i gesti dello scrivere e del leggere non siano gesti incomprensibili e inutili, ma pur nella loro oscurità, necessari. Da qui può venire la scelta di gesti letterari che siano meno preoccupati della griffe, dell'abito editoriale e della vanità illusoria e giornalistica che infetta le viscere e la testa di chi vive nel mondo affinché sia scritto in un libro. Può venire l'ilare umiltà di chi sa che il gesto letterario è anche un gesto ascetico o è una puttanata.
Dunque occorrerà, nel momento che l'oggetto prescelto è la gran fornace del '900, dare segnali di giudizio, di preferenza. Poiché non vi è rapporto vero con nulla se non giunge a esprimersi con giudizi e preferenze. Mann avvertiva che «comprendere tutto vorrebbe dire tutto perdonare»: per nulla di meno dell'ampiezza di tale sfida vale la pena di interessarsi di letteratura. È questo un passo oltre a quanto scritto di interessante da Bagnoli nella sua «breve premessa»: un passo da non compiere in fretta, ma da non rimandare, così che la «freddezza comunicativa» non lasci presto il passo alla «freddezza» che dissimula la neutralità, maschera politica del nichilismo imperante, temperata appena dalle moine dei «moderati» che ci invadono. Il letterato non è un moderato, semmai è uno che si modera - che diverso sacrificio e che diverso amore. Lo sappiamo noi di «clanDestino», con le nostre recenti polemiche con Giuseppe Conte e i suoi «seguaci di Hermes». Poiché tutto perdonare implica il giudicare tutto, come consigliava Paolo di Tarso, trattenendo il valore.
Altrimenti, che senso avrebbe un Bollettino con il compito di confermare l'esistente? Sarebbe solo un altro bollettino, un'altra maschera burocratica che rischia di uccidere proprio ciò di cui si dichiara innamorato.
Davide Rondoni
Molte lettere, tradizionali ed elettroniche, sono giunte nelle scorse settimane alla Redazione: di questo ringraziamo i lettori, interpretandolo come segno di attenzione nei confronti di una iniziativa che si avvia quindi a consolidarsi e ad acquisire una fisionomia riconoscibile nel panorama delle pubblicazioni. Li ringraziamo per i generosi complimenti, sperando di riuscire a meritarli sempre; e anche per qualche critica, che - se sincera - non può che essere d'aiuto.
però forse necessario rubare un breve spazio per qualche opportuna precisazione: il Bollettino, come recita l'intestazione, non è del Dipartimento di Italianistica, ma presso il Dipartimento. Non è e non può essere quindi voce ufficiale, e nemmeno ufficiosa, del Dipartimento stesso, al quale esso vuole soltanto affiancarsi, in tutta libertà, convinto di poter svolgere un utile servizio, ma senza la pretesa di occupare spazi. Parlare poi di «retrobottega» come è stato fatto, con una venatura forse di disprezzo, quantomeno di sufficienza, pare vagamente offensivo nei confronti di chi offre gratuitamente il proprio lavoro, come coloro che hanno contribuito al seminario sul «Novecento contemporaneo»: lavoro spontaneo, non finalizzato ad ottenere pubblicazioni o il riconoscimento di una funzione didattica, o ad occupare «posti chiave». Essendo poi la Redazione nata anche sulla base di tale lavoro, era parso giusto aprire le pubblicazioni con un numero zero che servisse innanzi tutto a far conoscere l'identità della rivista, per lasciare in seguito spazio ad altre voci. Quanto al «peso» di questi contributi, credano i lettori che non era proprio possibile ridurre interventi di quindici cartelle a meno di una, e che era necessario pubblicare un numero ampio di contributi proprio per avere una mappa più ampia possibile.
Il modo migliore per non «detenere discorsi», infatti, è non trattenerli a fior di labbra, come volendo simulare chissà quale sapienza nascosta, ma produrli, farli circolare, metterli a confronto: ed è anche il modo più onesto per iniziare un dialogo a distanza. Per sua stessa natura il Bollettino sceglie di confrontarsi con grandi spazi e con orizzonti più ampi di quelli delle «accademie»: questo per attingere non a uno spensierato vagabondaggio «postmoderno» nell'indifferenziato, ma al coraggio del punto di vista e al senso della posizione. Non siamo una "scuola" né una roccaforte ideologicamente murata: neppure diciamo, parafrasando Sanguineti, che la nostra posizione è «non avere posizione»: piuttosto essa sta nella consapevolezza che la si debba faticosamente costruire in un lavoro di confronti ad ampio raggio e a prezzo dell'errore, e che non giunge per ispirazione divina né vada cercata nelle soffitte o negli 'orticelli' dietro casa. Le nostre motivazioni vanno dunque oltre il lamento sullo stato delle cose, e si fondano sulla certezza che, anche a proprie spese e senza mai rinunciare all'autonomia critica, sia tempo di costruire.
Condividiamo a pieno l'esigenza di ristabilire nell'immediato una discussione sulla letteratura, senza preoccuparsi troppo di vesti grafiche fastose: per questo apprezziamo i molti che ci hanno espresso consenso per il nostro abito svelto e semplice, sia sul Web sia su carta, che ha la funzione di rendere più facile l'accesso e più immediata la circolazione.
Altre critiche ci sono giunte su singoli argomenti e proposte, anche se in formulazioni troppo ristrette per essere pubblicate. Due di esse riguardavano la possibilità di affrontare un progetto di ricerca sui generi letterari contemporanei che contempli insieme i «generi del discorso, microcronotopi della sfera pubblica» e le «grandi cronotopie» costituite dai «generi secondari» (Cfr. Pellizzi, in n. zero, p. 2). Ora, la vastità di un progetto non ci preoccupa. Piuttosto vorremmo che certi problemi nodali ritornassero ad essere al centro di un dibattito pubblico. Ciò ci offre l'occasione di ripetere l'invito a quanti ci hanno comunicato le loro osservazioni, o intendono farlo, di dare ad esse la forma di interventi critici, di discussioni e proposte.
Vincenzo Bagnoli