Da qualche tempo Marx è stato riscoperto nel mondo anglosassone
dal mondo accademico e dai mass media, i quali lo elogiano con appellativi
come “il pensatore del nuovo millennio”. In particolare Marx viene considerato
il primo economista che analizzò il fenomeno della globalizzazione,
in quanto considerava l’espansione l’essenza stessa dello sviluppo del
capitalismo.
E’ paradossale, e forse è una ironia della storia, che l’attenzione
a Marx si sia affermata adesso che il comunismo non è più
una minaccia.
La riscoperta dell’opera di Marx ha prodotto anche un lavoro pregevole
come questa biografia scritta da Francis Wheen, giornalista del “Guardian”.
Era da tempo che la vita di Marx non era oggetto di attenzione, certamente
da quando è terminata l’esperienza dei paesi socialisti in Europa.
Ma anche prima della caduta del muro di Berlino, la vita di Marx, più
che essere oggetto di studi, veniva santificata in superficiali agiografie.
Questa biografia di Wheen ha il merito di essere una seria indagine storica,
scritta col semplice intento di scrivere una biografia di Marx e non per
essere rispondente a giudizi preconcetti, com’erano per esempio quelli
degli autori sovietici che censuravano gli scritti in cui Marx dava giudizi
negativi della Russia (Marx fu sempre ferocemente anti-russo, perché
considerava la Russia zarista come il bastione della reazione), oppure
ancora, dal lato opposto, i giudizi infamanti di chi accusava Marx di essere
stato una spia della polizia (accusa risalente già a Bakunin) o
di chi lo criticava per fatti della sua vita privata, come il vivere alle
spalle dell’amico Engels. Come ha scritto “The Independent”, “superando
sia gli agiografi che i demonizzatori, Wheen è riuscito a far risorgere
un uomo sepolto nella sua icona”.
Wheen non ha ceduto nemmeno alla facile tentazione di criticare Marx
per taluni aspetti della sua vita privata, come l’essere sempre a caccia
di quattrini dai parenti e dagli amici, soprattutto da Engels al quale
richiese soldi anche morì Mary Burns, la donna che tra le molte
amanti di Engels fu senza dubbio quella a cui fu più legato. Certamente
la vita di Marx non è stata un esempio di politically correctness.
Wheen non tace gli aspetti della vita di Marx che potremmo definire “moralmente
criticabili”, ma correttamente li inquadra nel contesto e pur dedicandogli
ampio spazio non ne fa il perno di questa biografia, che altrimenti sarebbe
divenuta una biografia scandalistica. Semplicemente, viene rispettato il
sottotitolo, “vita pubblica e privata”, e di entrambe si parla in questo
libro.
Per quanto riguarda invece la “vita pubblica”, ovvero l’attività
politica di Marx e le sue opere, Wheen ricostruisce il formarsi del pensiero
marxiano dai molteplici interessi di gioventù all’attenzione crescente
prima per la filosofia e poi per l’economia, fino a restare quest’ultima
la materia che Marx considerava fondamentale per la comprensione dell’attività
umana. Wheen racconta gli sforzi e la fatica fatta da Marx per capire “come
funziona” l’economia capitalista, per arrivare al suo opus magnum, Das
Kapital, il libro che veramente considerava fondamentale. A proposito di
quest’opera, Wheen ripercorre sommariamente i giudizi che ha ricevuto nel
corso di oltre un secolo, giudizi che vanno dal definirla un illeggibile
ed oscuro cumulo di sciocchezze ad un meno insultante ritenerla una previsione
sbagliata sul futuro del mondo e dell’economia. Il giudizio di Wheen è
molto più equilibrato. Innanzitutto egli smentisce la fondatezza
di facili giudizi sulle “mancate previsioni” dell’immiserimento crescente,
ricordando che Marx parla di “impoverimento relativo” e non assoluto, e
che, a proposito di previsioni, Marx sosteneva l’impossibilità per
il capitalismo di eliminare completamente la miseria, e questo, ricorda
Wheen, è quanto è accaduto e sta accadendo anche nei paesi
capitalistici più ricchi, dove permangono comunque sacche di povertà.
E’ curioso il giudizio complessivo di Wheen sul Capitale: egli lo considera
non solo e non tanto un trattato di economia, ma soprattutto “un’opera
d’arte”, un’opera che esprime una concezione globale del mondo. Wheen giustifica
questo suo giudizio confrontando il Capitale con altre opere di economia
scritte da Marx, come Salario, prezzo e profitto, molto più chiare
e leggibili. Perché, si chiede Wheen, il Capitale non è altrettanto
chiaro e leggibile? La sua risposta è che è così perché
si tratta dell’opera a cui Marx ha dedicato tutta la sua vita, la quintessenza
del suo pensiero, per cui vi ritroviamo non solo il rigore dell’economista
ma anche l’ironia e la verve polemica; “si trarrà dunque maggior
valore d’uso e anche maggior profitto dal Capitale se lo si leggerà
come un’opera dell’immaginazione: melodramma vittoriano oppure romanzo
gotico di vasto respiro, dove gli eroi sono resi schiavi e poi distrutti
dal mostro che loro stessi hanno creato (“il capitale che viene al mondo
grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro”), o fors’anche
utopia satirica swiftiana”.
Wheen contrappone alla pesantezza ed alle frasi involute del Capitale
non solo la chiarezza di scritti politici come il Manifesto, Le lotte di
classe in Francia, ma anche i numerosi pampleth polemici con cui il sanguigno
Marx rispondeva per le rime ai suoi critici, anche quando scrivere tali
libelli gli faceva perdere tempo ed energie.
Ma la caratteristica comune, secondo Wheen, di tutti gli scritti marxiani,
è la critica spietata, iconoclasta (non a caso il motto preferito
di Marx era de omnibus dubitandum, si deve dubitare di tutto), per qualunque
argomento oggetto dell’analisi, sia la politica, l’economia o la filosofia,
una capacità critica che secondo Wheen va apprezzata quali che siano
i giudizi che si possono dare sull’opera di Marx.
Fabrizio Billi