Trentuno anni fa veniva assassinato il compagno Valerio Verbano, tre
fascisti armati fanno irruzione nell’appartamento in cui vive con i suoi
genitori sequestrandoli e lo uccidono dopo una colluttazione con un colpo
alle spalle.
Come scrisse il giorno dopo 23 febbraio 1980 “Lotta Continua”: ”I boia
entrano anche nelle case.(…) Diciannove anni ucciso ancora più cinicamente
degli altri”.
Studente del liceo Archimede, Valerio cresce dentro le lotte del movimento
del ‘77, assumendo l’antifascismo come un aspetto più complessivo
della sua militanza a scuola e nel quartiere. Un antifascismo che andava
al di la delle parole, che tentava di mettere in evidenza i legami tra
i fascisti e i traffici d’armi ed eroina della Banda della Magliana, e
le coperture di cui godevano negli ambienti politici e giudiziari.
Il 20 aprile del ’79, durante una perquisizione la DIGOS rinviene nel
suo appartamento quello che diventerà famoso come il “dossier Verbano”
un insieme di materiale scritto e fotografico con ipotesi d’indagine sugli
assassini di Walter Rossi, Roberto Scialabba, Fausto e Iaio a Milano, una
ricostruzione della nascita dei Nar a Roma. Dopo il 22 febbraio ’80 il
dossier scompare misteriosamente dagli archivi del Tribunale di Roma.
L’archivio è un tipico esempio di controinformazione militante,
uno schedario di nemici, con nomi, foto, appunti, indirizzi, nominativi
di fascisti coinvolti in fatti, contrassegnati in base alla presunta appartenenza
ai vari gruppi (Nar, Terza Posizione, Fuan ecc.), con indicazione degli
ideologi e ispiratori. Più di cento nomi. Solo dopo la strage di
Bologna del 2 agosto 1980, le indagini mostreranno la veridicità
delle ipotesi formulate dal giudice Amato sulla base anche delle note raccolte
nel dossier da Valerio. Amato fu assassinato dai Nar quattro mesi dopo
Verbano.
Alcuni articoli di quotidiani, nei giorni scorsi ci hanno informato
di nuovi accertamenti ed ipotesi sui presunti assassini di Valerio, per
questo motivo i carabinieri del Ris avrebbero esaminato alcuni oggetti
abbandonati dai killer subito dopo l’omicidio del giovane militante dell’Autonomia
Operaia romana. Si tratta della pistola, del silenziatore, di due bossoli,
di un paio di occhiali e di un bottone. Scopo dell’accertamento tecnico
é quello di comparare le possibili tracce lasciate sui reperti con
altre già in possesso degli inquirenti e tra queste, sembra, anche
un dna. Gli occhiali ed il bottone sono stati recuperati recentemente nell’ufficio
corpi di reato del Tribunale.
Da alcuni giorni, il pm Erminio Amelio, titolare degli accertamenti
sta sentendo testimoni e, tra questi, anche personaggi, all’epoca dei fatti,
legati ad ambienti di estrema destra e di estrema sinistra. Sarebbero stati
ascoltati un’amica di Verbano e due altri ex militanti. Il magistrato dovrebbe
convocare nei prossimi giorni delle persone già coinvolte nella
prima inchiesta giudiziaria presto chiusa senza risultati e, non é
escluso, anche i terroristi neri Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.
Almeno è quello che scrivono agenzie di stampa e giornali in queste
ore.
“L’Unità” ha pubblicato due nomi di ex estremisti di destra,
come persone indagate, uno dei quali presente nel “Dossier Verbano”. Lo
storico Marco Capoccetti Boccia (autore del libro “Valerio Verbano, una
ferita ancora aperta”), afferma che nell’articolo uscito sul “Corriere
della Sera” il 24 febbraio, l’articolista Giovanni Bianconi afferma due
cose inesatte: “Scrive che una copia del dossier venne consegnata ai legali
della famiglia Verbano nel 1980, ma dagli atti giudiziari non risulta e
anche in una intervista da me realizzata all’allora avvocata Giovanna Lombardi
questa ipotesi, che già circolava, venne seccamente smentita. Inoltre,
aggiunge Capoccetti Boccia, Bianconi non spiega dove è stato esattamente
ritrovato questo dossier limitandosi a dire che è uscito dagli archivi
dei Carabinieri. Strana circostanza visto che fu la Digos della Polizia
a sequestrarlo e ad occuparsi dell’istruttoria; dopo anni di oblio non
si capisce da dove proviene questa copia che andrà accuratamente
verificata nella sua autenticità”.
Tanti rimangono quindi i dubbi e le domande sulla riapertura del caso
Verbano, annunciata pochi giorni fa proprio in occasione dell’anniversario
del suo assassinio. Secondo i carabinieri del Ros che hanno ora riaperto
il caso, quello di Valerio Verbano fu un omicidio non preventivato. Forse,
dicono, doveva essere solo un ferimento, seguito a un interrogatorio della
vittima per farsi dire il nome della «spia», o delle «spie»
da punire per avergli fornito informazioni così dettagliate sui
movimenti di un numero molto alto di estremisti di destra.
Sta di fatto che a distanza di tanto tempo nessuna verità giudiziaria
è stata accertata, un delitto analogo a molti altri che vede terroristi
neri, istituzioni, insieme in un altro omicidio di Stato.
Quest’anno a Roma ci sono state molte iniziative culturali, sociali
e politiche, organizzate dai compagni di Valerio, la presentazione di due
libri, quello citato prima “Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta”
e l’altro “Valerio Verbano. Ucciso da chi, come, perché”, di Valerio
Lazzaretti, che si presenta non solo come una ricostruzione dell’omicidio
di Valerio, ma come una vera e proprio lavoro di controinformazione e ricostruzione
su tutta la galassia neofascista romana in quel periodo storico. Il 22
febbraio si è tenuto come tutti gli anni il corteo per le vie del
quartiere Tufello-Valmelaina, ed è terminato alla palestra popolare
intitolata a Verbano e seguito da una performance teatrale di Ulderico
Pesce. Corteo a cui hanno partecipato almeno duemila compagni, di cui molti
giovanissimi ed erano presenti i compagni del “Gruppo Anarchico Cafiero”
con un proprio volantino. Ricordare Valerio oggi, senza retorica, oltre
ad avere un valore simbolico, deve essere vissuto come occasione collettiva
di difesa della memoria storica, battaglia di verità, lottare per
una società libera, contro ogni forma di paura, contro lo sfruttamento,
per praticare l’autonomia delle lotte sociali.
"Umanità nova", n. 7, 6 marzo 2011