Il testo, molto corposo, curato da Velio Abati, autore anche di una
ricca introduzione, raccoglie le numerose interviste rilasciate da Franco
Fortini tra il 1952 e il 1994 su riviste e giornali più o meno noti;
in ogni caso la grande distanza di anni le rende spesso “nuove” al lettore
di oggi.
Franco Fortini (1917- 1994), fiorentino, di padre ebreo e di madre
cattolica, è, senza dubbio, una delle maggiori voci della cultura
italiana del novecento. Saggista, poeta, per anni docente di Storia della
critica letteraria all’Università di Siena, impegnato in prima persona
nella battaglia politica, sempre eterodosso (indimenticabile il suo I dieci
inverni sulla crisi dello stalinismo e della sinistra italiana), sempre
vicino a movimenti culturali e sociali capaci di criticare l’esistente,
ha vissuto il paradosso di vedere il suo impegno poetico e letterario spesso
sottovalutato, quasi coperto da quello politico.
Le interviste ripercorrono una sorta di biografia intellettuale, coprendo
uno spazio di oltre quarant’anni, con numerosi flash back che riportano
a tanti dei drammi del secolo scorso.
Il lucido pessimismo dell’intellettuale si manifesta nella riflessione
sugli orrori degli anni da lui vissuti. I lager nazisti, la persecuzione
contro gli ebrei, ma anche contro l’uomo in generale, non sono mai disgiunti
da una totale denuncia dei gulag staliniani e del sistema di illegalità
creatosi nell’Urss tra gli anni venti e i trenta. Fortini narra di aver
appreso delle purghe staliniane nel 1944 in Svizzera. Questa tragica rivelazione
è fondamentale nella sua formazione, nel suo rifiuto del dogmatismo
pseudo- marxista, del suo essere comunista critico per un cinquantennio.
Rispondendo ad una intervista del 1977 intorno ai fatti della storia
che lo hanno maggiormente segnato, dice:
Direi nell’ordine la persecuzione fascista contro mio padre, quella
razziale del ’38, i grandi eventi esistenziali del 1945, i campi nazisti,
i processi di Mosca, l’atomica. E inoltre: tutta la vicenda del comunismo
internazionale dal ’35 in poi. E’ il mondo che soffre, ma la piaga la senti
tu.
Il testo intreccia memoria, analisi dei temi, questioni nodali quali
l’ebraismo, il razzismo, l’impegno dell’intellettuale e figure quali Brecht,
Sartre, Lukacs, Vittorini.
E’ la storia, non solo della cultura e non solo italiana che scorre
davanti a noi nelle cinquecento pagine, ripercorrendo il dopoguerra, la
grande speranza degli anni ’50, con la denuncia dello stalinismo e l’ipotesi
di un socialismo rinnovato, l’attenzione ai fermenti giovanili, intellettuali
ed internazionali, il disincanto successivo, sino alla disperazione degli
ultimi anni.
Le ultime interviste e gli ultimi interventi coniugano un pessimismo
antropologico con la disperazione personale per la malattia e la prospettiva
della morte, avvenuta nel 1994, l’anno della prima affermazione elettorale
delle destre. Come dice una sua frase, riportata sulla copertina del suo
Extrema ratio, note per un buon uso delle rovine (Milano, Garzanti, 1990):
La storia è andata così, la vita anche. Mutare il ribrezzo
in lucidità, la speranza in certezza. E in impazienza.
Forse il curatore avrebbe potuto procedere ad una scelta delle interviste,
selezionandole ed offrendo quindi un libro di minori dimensioni e quindi
anche di più agevole lettura. La scelta compiuta permette, però,
di meglio comprendere tutta l’opera di questa grande figura della nostra
cultura e di ripensare alla sua attualità di poeta e di pensatore
critico.
Sergio Dalmasso