Già anziano e pieno di dubbi, ma carico di prestigio, il grande
intellettuale critico della gauche tentò di fermare il partito armato,
e di redimere l'artefice degli Anni di piombo.
Andò apposta a trovarlo nel carcere di massima sicurezza di
Stammheim presso Stoccarda, ma non riuscì a fargli cambiare idea.
Ripartì celando dietro dichiarazioni ufficiali contro la repressione
la sua delusione profonda, e tenendosi dentro il senso di sconfitta. Sembra
un film, inveceè una storia vera, top secret finoa ieri. L'eroe
sconfittoe l'antieroe caparbio, si chiamavano Jean-Paul Sartre e Andreas
Baader. Accadde il 4 dicembre 1974. Quasi quarant'anni dopo, i protocolli
segreti di quel colloquio in carcere sono stati resi pubblici. Sono un
documento storico, rivelato da Der Spiegel, che ha ottenuto dalle autorità
la trascrizione pressoché integrale del colloquio, stilata con diligenza
e persino con precise annotazioni sugli umori dei due, da parte dei poliziotti
presenti.
«Le masse, guardiamo alle masse», esordì l'autore
de La nausea, Critica della ragione dialettica, Situazioni e di tanti testi-chiave
della cultura contemporanea. «La Rote Armee Fraktion ha intrapreso
azioni con cui il popolo non era d'accordo». Un j'accuse e un monito
chiaro, contro la scelta della lotta armata e del terrorismo in una democrazia.
Baader rispose arrogante e impassibile: «È stato constatato
che il venti per cento della popolazione simpatizza con noi».
L'idea dell'incontro era venuta a Ulrike Meinhof, la pasionaria delle
Br tedesche. Sperava che il grande Sartre, già prigioniero della
Wehrmacht e resistente, vedesse nella Repubblica federale uno Stato-erede
del Reich e nei terroristi quasi una reincarnazione dei partigiani. Ma
il muro dell'incomprensione si levò subito tra i due. «So
di quelle statistiche», replicò Sartre, «sono state
pubblicate ad Amburgo». Baader s'illuse di averlo convinto, e partì
alla carica: «La situazione in Germania dipende da piccoli gruppi,
nella legalità e nell'illegalità». Immediata, dura
e chiarissima venne la risposta di Sartre: «Queste azioni sono giustificabili
in Brasile (dove allora era al potere una brutale dittatura militare, ndr
), ma non in Germania». Perché mai?, chiese Baader infastidito
e sorpreso. «In Brasile», rispose il premio Nobel, «singole
azioni sono state necessarie per cambiare la situazione, quelle azioni
sì che furono il necessario lavoro di base». Baader, annotarono
i poliziotti, appariva sempre più irritato. Perché qui è
diverso?, domandò.
«Qui non c'è il tipo di condizione del proletariato che
c'è in Brasile», tentò di convincerlo Sartre. Il terrorista
allora divenne ostile. Ricordò (nelle comode celle d'isolamento
lui e gli altri avevano radio e tv) che Sartre aveva appena definito "un
crimine" l'assassinio di un giudice a Berlino da parte dei terroristi.
«Pensavo che lei fosse venuto come amico, non come giudice».
«Voglio discutere con lei dei vostri princìpi», tentò
ancora Sartre, «Difficile», ribatté il terrorista. Poi,
annotarono i poliziotti, prese a leggere più volte frasi fatte di
un suo comunicato di tre pagine dattiloscritto. «Il processo obiettivo
attraversa contraddizioni... nell'offensiva la sinistra in Germania è
accerchiata e isolata, la annienteranno... lo stato d'emergenza è
in preparazione, l'offensiva contro di noi non è visibile, gli strumenti
del capitalismo sembrano naturali; la politica del nemico di classe...».
A quel punto Sartre lo interruppe, con un soprassalto: «Scusi, non
riesco capire, che vuol dire "la politica del nemico di classe?"».
Tentativo inutile. Baader tornò a leggere, parlò di «due
linee, la frazione del Capitalee quella del debole riformismo... noi vediamo
la possibilità di una dittatura strisciante, ecco la speciale situazione
tedesca, il capitalismo Usa impone la sua politica». Nello scarno
locale peri colloqui strettamente sorvegliati a Stammheim, si respirava
sempre più un'atmosfera di dialogo tra sordi. Sartre ripeté
con la massima chiarezza: «Guardi, le azioni della Rote Armee Fraktion
non raccolgono nessuna eco nella Repubblica federale. Attacchi armati sono
certamente giusti in paesi come il Guatemala, ma non qui».
Baader rispose con una provocazione, gli suggerì di creare gruppi
armati in Francia. «Eh no, non credo proprio che il terrorismo sarebbe
una cosa buona per la Francia», replicò Sartre. Baader, annotarono
i poliziotti, si mostrò deluso, aveva sperato in un appoggio di
Sartre al partito armato. Il visitatore da Parigi se ne andò in
silenzio, alla conferenza stampa si limitò a criticare la "inumana"
detenzione in isolamento di Baadere degli altri terroristi. La stampa tedesca
sparò a zero su di lui. Baader, Gudrun Ensslin e gli altri capi
storici della Raf morirono suicidi in cella il 18 ottobre 1977 dopo il
blitz antiterrorismo contro il jet Lufthansa dirottato a Mogadiscio per
ottenere la loro liberazione. L'ultrasinistra parlò di omicidio,
ma i loro avvocati - disse l'inchiesta - avevano procurato loro le armi
per uccidersi. Sartre scomparve tre anni più tardi, all'apice della
gloria, senza mai narrarea nessuno quel suo disperato tentativo di risparmiare
all'Europa gli anni di piombo del partito armato.
Andrea Tarquini, "la Repubblica", 4 febbraio 2013