La nuova serie della rivista dell’Istituto storico della Resistenza
di Piacenza si apre con un numero monografico dedicato a Stefano Merli,
che riporta gli atti della giornata di studi tenutasi a Piacenza il 3 dicembre
2004, a dieci anni dalla morte.
Stefano Merli è stato studioso del movimento operaio e militante
politico. Serena Groppelli, in apertura della rivista, ne traccia un breve
profilo biografico.
Nato nel 1925 a Podenzano, in provincia di Piacenza, dopo la laurea
nel 1949 lavora alla Fondazione Felrinelli. Negli anni cinquanta, assieme
a Luigi Cortesi, dirige la “Rivista storica del socialismo”. Tra la fine
degli anni sessanta e la fine degli anni settanta fonda e dirige la rivista
“Classe”. Successivamente dirigerà la rivista “Socialismo - storia”.
Si tratta di riviste, soprattutto le prime due, come ricordato in diversi
interventi, che hanno avuto una importanza notevole negli studi storici,
così come sono stati importanti libri come Proletariato di fabbrica
e capitalismo industriale, definito sia da Maria Grazia Meriggi che da
Attilio Mangano il suo capolavoro.
Oltre ad essere stato accademico a Siena, Venezia e Milano, Merli è
stato anche un militante politico. Socialista per radici familiari e convinzione
personale, (come aveva ricordato Collotti Pischel “si è dichiarato
socialista fin da ragazzo”, precisando sempre di “essere socialista e non
comunista”, p. 28), in occasione della scelta del Psi di governare con
la Dc, partecipa alla scissione della sinistra socialista che darà
vita al Psiup, nel 1964.
A Piacenza sarà dirigente della locale Federazione del Psiup
tra la fine degli anni sessanta e fino allo scioglimento del partito nel
1972. Successivamente sarà impegnato in organizzazioni della nuova
sinistra (nuovo Psiup, Pdup, Dp), per poi iscriversi al Psi negli anni
ottanta.
Quando si dedicano convegni e pubblicazioni a persone scomparse, è
perché si ritiene che abbiano fatto qualcosa di importante, che
può essere utile ancora oggi, o che comunque vale la pena di essere
ricordato. Come si chiede Attilio Mangano, “come recuperare Stefano? Come
continuare ad occuparsene”? (p. 42)
Dagli interventi raccolti nella rivista, credo si possa dire che l’importanza
di Merli come storico stia nel valore dei suoi studi sul movimento operaio,
e nel metodo di lavoro che ha sempre privilegiato una ricerca più
completa possibile delle fonti.
Per quanto riguarda la sua attività politica, rimane di interesse
il suo percorso di ricerca di un socialismo libertario, un “problema che
Stefano non ha risolto: il socialismo possibile”. (p. 42)
Merli è stato, come scrive ancora Attilio Mangano, un intellettuale
militante, che coniuga la ricerca e la battaglia politica. Sì, ma
come la coniuga? Mantenendo sempre fede al rigore filologico, alla ricerca
delle fonti, all’analisi dei documenti. Questo rigore dello storico è
ricordato in più d’un intervento.
Maria Grazia Meriggi nota che “gli storici più rigorosi sono
quelli che hanno anche avuto esperienze di lavoro in archivio o in biblioteca
e quindi si sono misurati in un corpo a corpo appassionato con il problema
di raccolta e di organizzazione delle fonti senza le quali non si fa un
autentico lavoro storico”. (p. 44) Per Merli l’attenzione ed il rispetto
per le fonti erano diventate pane quotidiano fin dagli anni in cui lavorava
alla Fondazione Feltrinelli, schedando periodici.
Questo rigore filologico, ricorda ancora Maria Grazia Meriggi, rimane
un insegnamento valido. Anzi, è più che mai valido oggi,
in tempi in cui ha tanta parte l’uso pubblico della storia, vale a dire
un uso strumentale, che è possibile “solo evitando la verifica delle
fonti”. (p. 44)
Anche Attilio Mangano rileva il rigore filologico di Merli: “il nesso
di filologia e politica è ineccepibile, Merli non forza mai un testo
per via del suo accordo – disaccordo politico…Anche un lettore di oggi
non può non ammirare la spregiudicatezza con cui Merli si misura
con tutto il patrimonio interpretativo con vera padronanza e non può
che rimanere sbalordito dalla mole enorme di materiali e di fonti d’archivio,
giornali, inchieste, materiali con cui lavora”. (p. 33)
Credo si potrebbe dire che anche Merli fa un uso pubblico della storia,
ma non nel senso di prendere dalla storia solo qualche elemento e di utilizzarlo
per giustificare le proprie tesi politiche, ma nel senso di considerare
la maggior quantità possibile di fonti per capire la dinamica dei
fatti storici, da cui Merli traeva poi conclusioni politiche. Per esempio,
in Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, Merli “antepone
all’enorme ricerca, al grande apparato documentario, un’introduzione estremamente
militante” (p. 45), ma “se oggi un lettore provasse a non leggere la parte
introduttiva e a soffermarsi sulla ricerca stessa e i suoi risultati ne
confermerebbe la validità…scoprendo come essa sopravviva come lezione
storiografica”. (p. 27) Si tratta insomma di un uso pubblico della storia
ben diverso da quello comunemente praticato oggi, quando “la maggior parte
della produzione storiografica del cosiddetto revisionismo è una
storiografia che non ha, dal punto di vista dell’acquisizione di conoscenze,
nessun valore”. (p. 44)
L’importanza di Stefano Merli come storico è menzionata in diversi
interventi.
Attilio Mangano afferma che nella storia del lavoro Merli “ha un’importanza
paragonabile, per altri settori, ad altri grandi storici”. (p. 23)
Maria Grazia Meriggi ricorda che Merli, pur amando molto definirsi
uno “storico dai piedi scalzi”, in realtà è stato “uno storico
di valore nazionale interno al dibattito scientifico professionale del
mestiere, dell’accademia”. (p. 43)
Luigi Cortesi ricorda l’importanza, per gli studi sul movimento operaio,
della “Rivista storica del socialismo”, diretta da lui e da Merli. Anche
quella rivista, così come i lavori di tanti altri studiosi che hanno
avuto a che fare con la Fondazione Feltrinelli, ha contribuito a dare dignità
alla storia del movimento operaio, “favorendone la collocazione nel contesto
internazionale e generale della storia italiana. Era un “genere” che non
esisteva prima, a parte alcuni studi della prima metà del secolo,
e che effettivamente contribuì a mutare il quadro culturale e politico
tradizionale, dominato dal nazionalismo e dall’idealismo”. (p. 57)
La “Rivista storica del socialismo” ebbe il merito di avviare “una
serie di discussioni su temi fino a poc’anzi considerati tabù –
la storia del comunismo, Gramsci, lo stalinismo - . Furono dieci anni di
battaglia in nome della vera ricerca a partire dal presente e dalle stesse
sfide della politica”. (p. 59)
Credo sia un dato significativo del valore della libertà della
ricerca, che la “Rivista storica del socialismo” fosse promossa da studiosi
che militavano nel Pci, come Cortesi, e nel Psi, come Merli, senza l’appoggio
ufficiale di nessuno dei rispettivi partiti. La rivista di storia di area
comunista era anzi un’altra, “Studi storici”, promossa dall’Istituto Gramsci,
“e si presentava come espressione dell’unico marxismo storiografico autorizzato”.
(p. 60) Lo stesso Togliatti, che era persona di cultura, arrivò
a preferire la “Rivista storica del socialismo” a “Studi storici”.
La collaborazione tra Cortesi e Merli, e con essa l’esistenza della
rivista, va in crisi definitiva nel 1967, “e fu probabilmente dovuto alla
divergenza tra le mie priorità teoriche e il suo classismo assoluto”.
(p. 62) Credo però che questa spiegazione dei motivi della rottura
non sia molto chiara (quali erano le priorità teoriche di Cortesi,
cos’era il classismo assoluto di Merli?).
Successivamente Merli fonderà e dirigerà un’altra rivista,
“Classe”, la cui importanza è ricordata da Attilio Mangano come
emblematica per “chi volesse capire la storia culturale e politica della
nuova sinistra”. (p. 35)
Infine, l’ultima rivista promossa da Merli è “Socialismo storia”,
secondo Mangano giudicata superficialmente ed ingiustamente un ritorno
all’ovile socialista, mentre anticipò “il grande tema del socialismo
“europeo”, quindici anni prima che diventasse aria fritta ulivista”. (p.
36)
Le tre riviste, continua Mangano, corrispondono a tre periodi della
vita politica di Merli: quello morandiano, quello psiuppino e di nuova
sinistra, e quello socialista.
Nel percorso politico e intellettuale di Merli, se si può individuare
un “filo rosso” che si snoda lungo la sua vita di intellettuale e di militante
politico, è sicuramente la ricerca di un socialismo che abbia come
elemento fondante la libertà. In questa ricerca, Merli muta i propri
riferimenti politici. Come scrive Mangano, Merli prima “crede di aver trovato
il suo modello classista e libertario in Morandi” (p. 29), e vede la polemica
tra il dirigente socialista e Rosselli come la polemica tra un socialista
liberale e un socialista classista, è dà ragione a quest’ultimo.
Dagli anni ottanta, “scopre che aveva ragione Rosselli. La svolta degli
ultimi anni è in questo senso netta”. (p. 29) Il cambiamento di
riferimenti politici (dalla nuova sinistra al Psi) va di pari passo col
cambiamento delle culture e delle personalità politiche oggetto
dei suoi studi: “Torna ad occuparsi di Tasca, e di Faravelli e di Gorni,
della destra socialista che adesso gli si rivela come una sponda trascurata
e un incunabolo di un socialismo diverso”. (p. 25)
Gli ultimi anni del percorso intellettuale e politico di Merli sono
giudicati con accenti differenti in alcuni interventi. Secondo Mangano,
si tratta di capire i motivi della svolta, sarebbe superficiale dire che
“si tratta di un pentimento politico e teorico” (p. 26), ma si tratta invece
di un cambiamento di direzione nella ricerca di un comunismo libertario.
Assai più severo il giudizio di Cortesi: “Ad un certo punto,
intorno al 1980, egli iniziò una deriva politica, non priva di aspetti
masochistici, che lo portò al dubbio più onesto e più
doloroso, quello d’aver scritto secondo linee di valore ormai superate,
e lo fece approdare al craxismo. O forse piuttosto: a un apprezzamento
per l’autonomia della tradizione socialista che gli fece accettare anche
il craxismo…Egli bruciò l’impazienza del suo spirito in un radicalismo
portato a conseguenze revisionistiche estreme, e perfino ad un rovesciamento
a volte rabbioso di posizioni non solo socialiste, ma anche democratiche…Fu
tentato di sminuire e distruggere i valori nei quali aveva creduto”. (pp.
63-64)
Franco Toscani, pur giudicando assai negativamente la scelta politica
del Psi craxiano, ritiene però le motivazioni di quella scelta politica
coerenti con la ricerca di un socialismo libertario.
Secondo Toscani, “Merli riteneva che il Psi craxiano, col suo dinamismo,
scombussolasse le carte, mettesse in discussione il bipolarismo Dc-Pci,
vanificasse l’egemonismo comunista…..Però non si è reso conto
con ciò che caratterizzava la politica craxiana, col suo trasformismo
e l’ideologia della governabilità, con la subalternità sostanziale
alla Dc, poi la corruzione della natura del partito e il suo declino”.
(p. 81)
Ma anche quella scelta politica, secondo Toscani, era coerente con
gli ideali di una vita, la ricerca “del socialismo libertario, della democrazia
radicale, della partecipazione popolare e del controllo dal basso del potere”.
(p. 93)
Alcuni interventi raccolti nella rivista sono più di valutazione
dell’opera di Merli, altri più incentrati sul ricordo, come quello
di Nuccio Tirelli, ex segretario del Psiup di Piacenza, intervistato da
Barbara Spazzapan, o come quello di Carlo Carotti, che ricorda un viaggio
in Cina di una delegazione del Pdup di cui Merli faceva parte. Si tratta
di un breve intervento che è consigliabile leggere integralmente,
per capire quello che personalmente ritengo un aspetto fondamentale dell’insegnamento
di Merli, il voler capire in base alle convinzioni che venivano maturate
anziché per partito preso. In Cina, ricorda Carotti, Merli andava
“per capire qual era la situazione”, mentre altri “volevano vedere fideisticamente
quello che non c’era”. (p. 52)
Altri interventi sono un mix tra valutazioni sull’opera di Merli e
sul ricordo, come quello di Cortesi.
Completano la giornata di studi un intervento di Serena Groppelli sul
fondo archivistico lasciato da Merli all’Isrec di Piacenza, un intervento
di Donatella Siboni sui manifesti del fondo Merli, e un intervento di Diego
Giachetti sulle culture giovanili tra la fine degli anni sessanta e la
fine dei settanta, che ha il pregio della non “pesantezza” perché
affronta tematiche apparentemente “leggere”, le culture giovanili attraverso
la musica e le canzoni dell’epoca.
Infine un dvd, allegato alla rivista, con una sintesi di interviste
a persone che avevano conosciuto Merli.
Fabrizio Billi