Dieci anni fa, scrivendo sul quotidiano «Repubblica» del
7 luglio 1995, Nello Ajello “rivelava” che in Italia oltre alla P2
e a Gladio, era esistito anche un anticomunismo illuminato e progressista,
persino di sinistra, che aveva trovato spazio in “una costellazione di
riviste culturali di tradizione laica e antifascista”; un anticomunismo
che “mai sconfinava con le ossessioni di Joseph MacCarthy, mai colludeva
con le maniere rudi di Scelba, mai si piegava all’affarismo di regime”.
La vicenda italiana di questo anticomunismo è oggi ripresa nel libro
di Frances Stoner Saunders che ricostruisce con dovizia di particolari
e ampia documentazione, i rapporti intercorsi, durante la guerra fredda,
tra la CIA e l’Intellighenzia anticomunista dell’Europa Occidentale. L’autore
chiama in causa nomi altisonanti del Novecento: scrittori, critici d’arte,
scienziati, storici, registi, direttori d’orchestra, attori, editori, giornalisti
che si misero al servizio della lotta contro il comunismo e per la difesa
delle libertà dell’Occidente democratico, accettando di lavorare
per enti, riviste, istituti, giornali finanziati direttamente o indirettamente
dalla CIA. Il libro, non a caso, è stato accolto con imbarazzo quando
venne pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1999 e, l’anno dopo,
negli Stati Uniti.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell’euforia panica
scatenata dall’inizio della guerra fredda la CIA varò un programma
per “vincere senza combattere la terza guerra mondiale”, scatenando una
guerra culturale e propagandistica da contrapporre a quelle messa in campo
dai sovietici, dal suo servizio segreto, il famoso KGB, dai partiti comunisti
e dalla sinistra marxista in genere. Uno dei principali ispiratori del
programma della CIA era Frank Lindsay, che già si era fatto le ossa
nell’Oss (il servizio d’informazione statunitense durante la seconda guerra
mondiale) che tra il 1949 e il 1951 aveva organizzato in Europa la rete
stay behind, Gladio.
L’avvio alla realizzazione del programma iniziò con la convocazione
del Congresso per la libertà della cultura, che a Berlino nel 1950
sancì la nascita di un’internazionale di cervelli contro le marce
dei partigiani della pace ispirate da Mosca. Rimase attivo in molti paesi
fino al 1967. Il Congresso raccolse uomini di cultura in gran parte di
estrazione liberaldemocratica o radicali, di sinistra non marxista o ex
comunisti delusi dallo stalinismo. Risultarono coinvolti a vari livelli
e per periodi diversi Bertrand Rassel, John Dewey, Karl Jasper, Raymond
Aron, Arthur Koestler. Fra gli italiani: Benedetto Croce, Ignazio Silone,
Nicola Chiaromente, Guido Piovene, Altiero Spinelli, Carlo Levi, Italo
Calvino, Vasco Pratolini.. Alcuni di loro sapevano che il congresso era
una creatura della CIA, altri lo intuivano ma preferivano non approfondire,
altri ancora, probabilmente, ne erano ignari.
Il Congresso aveva uffici in trentacinque paesi, stipendiava decine
di persone, pubblicava più di venti riviste di prestigio, organizzava
esposizioni d’arte, contava su un proprio servizio per la diffusione di
notizie e articoli di opinione, organizzava conferenze internazionali e
ricompensava musicisti, artisti, scrittori con premi e pubblici riconoscimenti.
Come scrive l’autore nell’introduzione, la sua missione consisteva nel
distogliere l’intellighenzia europea dal fascino del maxismo e del comunismo
in favore di una visione del mondo che si accordasse con l’American way.
Una rete di persone lavorò gomito a gomito per promuovere l’idea
che il mondo aveva bisogno di una pax americana, di un nuovo illuminismo.
Già il piano Marshall –combinando aiuti economici e decisa propaganda
ideologica e politica, voleva trasmettere un messaggio chiaro: il futuro
dell’Europa occidentale d’ora in avanti sarebbe stato intrecciato con quello
degli Stati Uniti. Si trattava, in primo luogo, di contrastare l’idea radicata
in Europa che l’America fosse culturalmente povera, una nazione di masticatori
di cicles, di grandi automobili, di zotici vestiti da ricchi.
Gli Stati Uniti impiegarono enormi risorse ed energie, mobilitando
tutte le forse culturali possibili, costituendo fondazioni, finanziando
il cinema, lo spettacolo, il costume per diffondere le idee americane,
la libertà americana e contrastare il comunismo a livello culturale.
Si determinarono così intrecci tra gruppi d’interesse economici,
politici, militari e culturali. La guerra del Vietnam fu letta come la
prosecuzione della battaglia per il contenimento dell’espansione comunista
nel mondo. Grande fu lo stupore e lo scoramento quando una nuova generazione
di giovani, americani e non, cresciuti nel clima della guerra fredda, cominciò
a contestare e criticare quella guerra e quel sistema dando vita ai movimenti
di protesta e controculturali degli anni sessanta che sfociarono poi, soprattutto
in Europa, nel ’68.
Rilevante fu l’apporto degli italiani. La riunione di Berlino in cui
nel luglio del 1950 venne fondato il congresso per la libertà della
cultura, era presieduta dal filosofo liberale Benedetto Croce ed era stata
preparata dallo scrittore Ignazio Silone. Nel gruppo dirigente della sezione
italiana del Congresso, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario Pannunzio,
figuravano personaggi come Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Nicolò
Carandini, Francesco Campagna, Giuseppe Romita, Gaetano Martino. L’affiliata
Associazione italiana per la libertà della cultura fu istituita
da Ignazio Silone alla fine del 1951 e divenne il centro di una federazione
di circa cento gruppi culturali indipendenti, ai quali l’associazione forniva
conferenzieri, libelli, libri, film e uno spirito cosmopolita. Pubblicava
il bollettino «Libertà della cultura» e successivamente
la rivista «Tempo Presente».
Diego Giachetti